Prima lettura del diritto alla “morte volontaria” medicalizzata nel testo approvato dalla Camera
19 Aprile 2022
La tematica del fine vita in questi mesi ha subito un'improvvisa accelerazione. Inizialmente, quale effetto della richiesta referendaria patrocinata dall'Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica con la richiesta di abrogazione parziale del delitto sanzionato dall'art. 579 c.p., avente l'effetto di una sostanziale depenalizzazione dell'omicidio del consenziente. La richiesta costituiva più che altro una sollecitazione all'inerzia legislativa nel disciplinare la materia delle scelte di fine vita, anche in seguito agli inascoltati moniti della Corte Costituzionale (Corte cost. sent. n. 207/2018 e n. 242/2019). La richiesta referendaria non ha superato il vaglio della Corte Costituzionale che, con sentenza n. 50 del 2 marzo 2022, è pervenuta alla declaratoria di inammissibilità. La Corte ha ritenuto che l'abrogazione tout court della norma penale ex art. 579 c.p. avrebbe lasciato prive di tutela “le persone più deboli e vulnerabili, in confronto a scelte estreme e irreparabili, collegate a situazioni, magari solo momentanee, di difficoltà e sofferenza, o anche soltanto non sufficientemente meditate” (come si legge in motivazione, § 5.3). L'opportuno riferimento riguarda le situazioni di debolezza, abbandono e fragilità psicologica in cui versano, anche per mero taedium vitae, molteplici persone, affette da disturbi psichiatrici (basti pensare alle sindromi depressive, ai disturbi borderline della personalità, alla sindrome bipolare). Come si è autorevolmente notato (Canestrari), in questi casi il suicidio mira a lenire le “ferite dell'anima”, non ad “evadere da un corpo fattosi prigione”, come avviene per i pazienti terminali straziati da insopportabili sofferenze che chiedono di accedere al suicidio assistito. Le due situazioni presentano solo una labile comunanza (quanto agli esiti finali) e non sarebbe corretto equipararle. Viceversa, questo sarebbe stato l'effetto che la vittoria del sì avrebbe determinato. Approvazione delle disposizioni sulla morte volontaria medicalmente assistita
Nella seduta del 10 marzo 2022, la Camera dei Deputati, vincendo le ritrosie di una parte significativa della politica, dopo anni di discussioni, è riuscita nell'intento di approvare in prima lettura il testo delle “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”, con successivo transito del d.d.l. al Senato (S. 2553). Il p.d.l. approvato dalla Camera è frutto di un testo unificato che, nella seduta del 6 luglio 2021 era stato approvato dalle Commissioni riunite Giustizia ed Affari Sociali della Camera, seppur non all'unanimità. Il testo trasfondeva in un unico articolato molteplici p.d.l. depositati in materia (in particolare, C. 2 di iniziativa popolare, C. 1418 Zan, C. 1586 Cecconi, C. 1655 Rostan, C. 1875 Sarli, C. 1888 Pagano, C. 2982 Sportiello e C. 3101 Trizzino). Rispetto al documento approvato il 6 luglio 2021, nel testo approvato in prima lettura dalla Camera si notano talune significative innovazioni. Da un punto di vista lessicale, il testo evidenzia che la nuova disciplina normativa in discussione, effettuando una precisa scelta di campo di natura compromissoria, non ha inteso disciplinare l'eutanasia, un termine che nell'articolato neppure compare, a differenza di quanto facevano talune p.d.l. che in esso sono state trasfuse; dall'altro, con terminologia innovativa, esso neppure utilizza l'espressione, normalmente in uso, di “suicidio medicalmente assistito”, intendendo disciplinare la “morte volontaria medicalmente assistita”. Il significato dei due termini non sembra differenziarsi. Entrambe le perifrasi si riferiscono al desiderio espresso dal malato terminale, dotato di pieno discernimento e di un minimo di autosufficienza fisica, di porre fine volontariamente (con l'aiuto del sanitario) ad una vita di dolore insopportabile, oltrechè priva di prospettive. L'articolato intende normare la “morte volontaria” del malato, che è attuabile grazie un suo “atto autonomo” (v. art. 5, comma 7); una morte che è “medicalmente assistita”, in quanto la stessa “richiede assistenza medica, al fine di porre fine volontariamente ed autonomamente alla propria vita” (art. 1). I requisiti richiesti per la sussunzione nell'ambito della novella ed affinché sia esclusa la punibilità del medico e del personale sanitario “che abbiano dato corso alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita” (“nonché a tutti coloro che abbiano agevolato in qualsiasi modo la persona malata ad attivare, istruire e portare a termine la predetta procedura” ex art. 8; come i familiari o gli amici del paziente che abbiano contribuito o agevolato il proposito suicidario a norma dell'art. 580 c.p.) sono i seguenti, ricalcati sulle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale nella pronunzia n. 242/2019, seppur integrati da taluni profili innovativi. 1) Anzitutto, la procedura nasce dalla richiesta avanzata da “persona maggiore di età, capace di intendere e di volere e di prendere decisioni libere, attuali e consapevoli, adeguatamente informata” (art. 3, comma 1). Restano pertanto esclusi dal suicidio assistito i soggetti minorenni e quanti siano mentalmente disabili. La richiesta deve essere “informata, consapevole, libera ed esplicita” (art. 4). La forma della richiesta (richiesta sempre “revocabile in qualsiasi momento”) deve avere forma scritta, espressa nelle “forme dell'atto pubblico o della scritturar privata autenticata”; ovvero, qualora “le condizioni della persona non lo consentano”, la volontà può essere raccolta “con videoregistrazione o qualunque dispositivo idoneo che consenta di comunicare e manifestare inequivocabilmente la volontà” (art. 4, comma 2). Al testo approvato dalle Commissioni riunite è stato aggiunto che, in tale ultima eventualità, necessita procedersi ad una documentazione qualificata della volontà del richiedente, esigendosi in particolare “la presenza di due testimoni ed un pubblico ufficiale che attesti l'autenticità, la data e il luogo di espressione della volontà dell'interessato”. In tal caso, quale presupposto di ulteriore garanzia dell'espressione di una genuina volontà della persona e onde evitare eventuale responsabilità dei sanitari partecipi alla procedura, lessicalmente parrebbe che il consenso della persona vada raccolto in un verbale redatto da parte del notaio o da altro pubblico ufficiale in grado di attribuirgli pubblica fede (art. 2699 c.c.). Ad ogni effetto di legge, quanto all'esclusione di responsabilità del sanitario, il documento sarebbe inattaccabile, dato che beneficia del valore probatorio privilegiato tipico dell'atto pubblico, ossia di quanto il pubblico ufficiale “attesta essere avvenute in sua presenza” (art. 2700 c.c.). Nella specie, il verbale raccoglierebbe la genuina volontà della persona di porre fine alla propria vita tramite ausilio di personale sanitario. 2) Nel passaggio dell'articolato all'aula alla Camera, è stato introdotto un ulteriore requisito, non previsto nel precedente testo. Si esige in particolare che il richiedente il suicidio medicalizzato “sia stato previamente coinvolto in un percorso di cure palliative al fine di alleviare il suo stato di sofferenza e le abbia esplicitamente rifiutate o le abbia volontariamente interrotte” (art. 3, comma 1), di cui alla legge n. 38 del 2010 (richiamate dall'art. 2, l. n. 219/2017). La finalità del “coinvolgimento” del paziente terminale in un “percorso di cure palliative” ha il più che scoperto intento di disincentivare la richiesta di suicidio medicalizzato. L'ottica è quella di far beneficiare il paziente del care che caratterizza il palliativismo, venendo egli accudito nelle fasi conclusivi dell'esistenza in ambiente ospedaliero, non ostile, caratterizzato da empatia e calore umano, per quanto l'hospice non sia in grado di curarlo e procurargli guarigione. In tal modo rendendo meno difficile ed ostile il momento del trapasso. Non è necessario che il paziente abbia effettivamente intrapreso il “percorso di cure palliative” (con trasferimento in hospice), come emerge dal successivo art. 5, comma 3 (“il rapporto deve indicare inoltre se la persona è a conoscenza del diritto di accedere alle cure palliative e specificare se è già in carico a tale rete di assistenza o se ha esplicitamente rifiutato tale percorso assistenziale”). Per l'assolvimento del requisito è sufficiente che il paziente dichiari di conoscere le cure palliative e di rifiutarle. Criticamente, si è notato che il requisito costituirebbe un mero “adempimento burocratico”, essendo “sufficiente un paio di crocette su di un modulo prestampato” (Razzano 66). Se ciò è vero, si consideri che: quanto prevede la norma in discussione, è null'altro che l'informazione per il consenso al trattamento sanitario, che viene comminata dal medico al paziente, il quale esprime le proprie autonome e sovrane scelte terapeutiche (ai sensi dell'art. 1, commi 2 e 3. l. 219/2017). Il paziente terminale, una volta acquisita l'informazione medica mediante colloquio col sanitario, è in grado di esprimere la scelta sul se essere coinvolto nelle cure palliative oppure rifiutarle. Si consideri che, come noto, in Italia, la rete della medicina palliativa è lungi dall'essere diffusa in modo omogeneo sul territorio (come imponeva oltre un decennio or sono la l. n. 38/2010) ed in alcuni territori tale percorso non è ancora accessibile al paziente in fine vita. Si consideri allora che, se il legislatore, imponesse una diversa scelta al malato, quest'ultimo rischierebbe di non potere accedere alla procedura di “morte volontaria”, determinando lesione del principio di eguaglianza. 3) La persona che avanzi richiesta di morte volontaria medicalmente assistita deve essere “affetta da sofferenze fisiche e psicologiche che la persona stessa trova assolutamente intollerabili” (art. 3, comma 2. lett. a), sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale. 4) Ancora, quale ulteriore condizione soggettiva, il malato terminale deve essere affetto da “patologia irreversibile e con prognosi infausta, oppure essere portatrice di una condizione clinica irreversibile”. Non viene indicato l'arco temporale di ipotetica sopravvivenza in vita, come stabilivano talune delle p.d.l. trasfuse nell'articolato in discussione. Il novum, frutto del lavoro parlamentare della Camera consiste nell'introduzione della previsione della “attestazione del medico curante o del medico specialista che ha in cura” la persona (art. 3, comma 2, lett. a). La patologia irreversibile di cui è affetto il malato va attestata con certificazione da parte del medico curante, ovvero, dallo specialista. 5) Da ultimo, si esige che il richiedente sia “tenuto in vita da trattamenti sanitari di sostegno vitale, la cui interruzione provocherebbe il decesso del paziente”, come aveva indicato la pronunzia della Corte Costituzionale n. 242/2019. Un requisito che la letteratura ha criticato, in quanto avrebbe l'effetto di restringere l'accesso alla procedura di suicidio medicalizzato, limitandola a quanti sopravvivano grazie ad ausili medici artificiali. Per quanto una pronunzia della Corte d'assise di Massa del luglio 2020 sul c.d. caso Trentini abbia evidenziato che questo requisito possa ricevere interpretazione estensiva (Assise Massa 27 luglio 2020, in Giustizia civile. Com., con nota adesiva di Cappelli). Procedura
La procedura di morte volontaria, come dettagliata dal testo normativo, è piuttosto articolata, caratterizzata da molteplici passaggi procedurali; per quanto, “per evitare abusi”, la stessa debba esplicarsi “col supporto e sotto il controllo del Servizio Sanitario Nazionale” (art. 2, comma 1), come indicato dalla Corte Costituzionale. La richiesta di suicidio va indirizzata al “medico”,senza ulteriore qualificazione (è stata eliminato l'originario riferimento al medico di medicina generale, al medico curante o al medico di fiducia, qualificazioni presenti in precedenza. Sembra al riguardo sufficiente l'abilitazione all'esercizio della professione sanitaria: art. 4, comma 2). Ricevuta la richiesta, “il medico redige un rapporto dettagliato e documentato sulle condizioni cliniche e psicologiche del richiedente e sulle motivazioni che l'hanno determinata” (art. 5, comma 2), sempreché la persona abbia ricevuto adeguata informazione sulla propria condizione clinica, sulla prognosi e la stessa sia a conoscenza del diritto di accedere al percorso di cure palliative precisando se l'abbia rifiutato (comma 3). Il rapporto va “trasmesso senza ritardo” al Comitato per la valutazione clinica, un organismo di nuova istituzione (da istituire previa approvazione di un regolamento del Ministero della salute che lo disciplini) da incardinare presso le Aziende sanitarie territoriali (art. 7). Il Comitato per la valutazione clinica, “entro trenta giorni”, esprime “un parere motivato sull'esistenza dei presupposti e dei requisiti stabiliti dalla presente legge a supporto della richiesta di morte volontaria medicalmente assistita”, da ritrasmettere al medico ed alla persona interessata (art. 5, comma 5). Durante i lavori parlamentari sono state opportunamente aggiunte le seguenti precisazioni onde permettere a tale organismo una migliore istruzione della pratica. A questo fine, il Comitato “può convoca(re) il medico di riferimento o l'equipe sanitaria”, mentre “è tenuto a sentire il paziente” per accertare che la richiesta “sia stata informata, consapevole e libera” (comma 5). Se il parere espresso dal Comitato è favorevole, il medico lo trasmette tempestivamente alla Direzione Sanitaria Territoriale. A questo punto, si procede ad esecuzione del suicidio medicalmente assistito. Con ambigua perifrasi la norma dispone che l'Azienda Sanitaria sia tenuta ad “attivare le verifiche necessarie a garantire che il decesso avvenga nel rispetto delle modalità di cui al comma 1” (ovvero, nel “rispetto della dignità della persona malata ed in modo da non provocare ulteriori sofferenze ed evitare abusi”) (art. 5, comma 7). Si precisa ulteriormente che il decesso è consentito “alle persone prive di prive di autonomia fisica mediante l'adozione... di strumenti, anche tecnologici, che consentono il compimento dell'atto autonomo secondo le disposizioni della presente legge”. Superando iniziali ritrosie lessicali riscontrabili nel testo licenziato dalle Commissioni riunite, il legislatore ha esplicitato in cosa consista il suicido medicalizzato. Esso è un “atto autonomo” compiuto dal paziente “mediante adozione di strumenti” tecnici forniti dalla struttura ospedaliera, necessari all''inoculazione della pozione venefica nel corpo del malato, quando quest'ultimo sia “privo di autonomia fisica”. La nuova dizione normativa adottata sembra in grado di fugare ogni perplessità lessicale; esplicitando che il suicidio medicalmente assistito non costituisce una forma di eutanasia. Dato che è il paziente a darsi autonomamente la morte con un atto suicidiario, effettuando una scelta libera e cosciente, mediante assunzione del cocktail di preparati farmacologici venefici forniti dalla struttura sanitaria, la quale è tenuta a porre a disposizione i presidi sanitari necessari all'assunzione del preparato. Si precisa che il decesso può avvenire, alternativamente, “presso il domicilio del paziente” o “presso una struttura ospedaliera o sanitaria pubblica”. Conformemente agli enunciati della pronunzia della Corte Costituzionale n. 242, l'art. 2 del testo ha precisato, ulteriormente, che il decesso per morte volontaria medicalmente assistita avviene “con il supporto e sotto il controllo del Sevizio Sanitario Nazionale”. Il testo normativo dispone che “all'atto del decesso” del malato è presente il medico (curante o dell'USL), eventualmente valendosi della “collaborazione di uno psicologo”, tenuto ad “accertare che persista la volontà di morte volontaria medicalmente assistita e che permangano tutte le condizioni di cui all'art. 3” (art. 5, comma 10), come pure le persone che il paziente desidera avere al suo capezzale (art. 5, comma 1) (familiari, sacerdote, etc.). Triade di controlli
Triplice è la tipologia di controlli che l'art. 5 pone, su diversi livelli di analiticità, affidandola a diversi organismi (medico, Comitato per la valutazione clinica, medico presente all'atto del decesso). Il medico (che ha ricevuto la richiesta dal paziente) opera una preliminare valutazione “filtro” sui presupposti della richiesta, redigendo una relazione descrittiva sulle condizioni del paziente (egli “redige un rapporto dettagliato”; art. 5, comma 2) ed attestando che i presupposti di accesso non difettano “palesemente” (art. 5, comma 4). Subentra poi la valutazione espressa dal Comitato per la valutazione clinica, che esprime un parere sulla effettiva “esistenza dei presupposti e dei requisiti stabiliti dalla presente legge” (art. 5, comma 4), a seguito di istruzione approfondita, che si concreta anche nell'obbligatoria audizione del paziente. È previsto infine un riscontro ex post, con riguardo alla “persistenza della volontà” del paziente, prima che si proceda al suicidio. Tale riscontro è rimesso al “medico presente all'atto del decesso”. A tutela di una scelta effettivamente ponderata e consapevole, in quanto gravida di irreversibili conseguenze, il legislatore ha elevato il livello di salvaguardia del paziente, per effetto della previsione di controlli molteplici affidati ad un diverso e crescente livello di analiticità (sul punto anche Pizzetti, 780 ed ivi nota 59), oltrechè a diversi soggetti dotati di diverse competenze e professionalità. Valorizzando esperienze straniere (quali Olanda e Belgio), è stata prevista “l'esclusione della punibilità” (c.d. scriminante procedurale); disponendo che non siano punibili ex artt. 580 (aiuto o istigazione al suicidio) e 593 c.p. (per il delitto di omissione di soccorso) quanti (medico, personale sanitario e amministrativo, nonchè “tutti coloro che abbiano agevolato in qualsiasi modo la persona malata ad attivare, istruire e portare a termine la predetta procedura”) abbiano dato corso alla procedura in discorso, sempreché “essa sia eseguita nel rispetto delle disposizioni di cui alla presente legge” (art. 8). Obiezione di coscienza e previsione di un diritto soggettivo
Si era criticamente osservato che il testo base aveva omesso di disciplinare l'obiezione di coscienza del medico e del personale sanitario chiamato alla preparazione del farmaco venefico. Mentre appariva necessario colmare la lacuna, dettando una previsione normativa che garantisse la “coscienza” da parte di chi non condivide il principio di disponibilità della vita umana ormai al “crepuscolo”, posto a fondamento della novella. La lacuna è stata opportunamente colmata disponendo che il personale sanitario possa sollevare obiezione di coscienza, mediante previsione di una “preventiva dichiarazione” dell'obiettore “da comunicare entro tre mesi dall'adozione del regolamento di cui all'art. 7 al direttore dell'azienda sanitaria locale o dell'azienda ospedaliere, nel caso di personale dipendente” (art. 7, comma 1). Con formula analoga a quella adottata nella legge in tema di consenso informato e d.a.t. (art. 1, comma 7, l. n. 219/2017), il testo approvato dalla Camera dispone: “gli enti ospedalieri pubblici autorizzati sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento della procedure previste dalla presente legge, adottando tutte le misure organizzative che si rendano necessarie” (art. 7, comma 4). La previsione di “un'obbligazione” a carico del SSNN volta ad“assicurare l'espletamento delle procedure” di suicidio medicalmente assistito sembra deporre nel senso dell'attribuzione al paziente di una “facoltà” (come testualmente si esprime l'art. 1 dell'articolato); e, perciò, di un diritto soggettivo pretensivo a conseguire la prestazione da parte dell'ospedale; facoltà che viene ribadita dalla previsione normativa che ammette il paziente a “ricorrere al giudice”, a fronte del diniego di accesso alla procedura (art. 5, comma 8, su cui infra § 7) (Razzano, 63, si riferisce ad un “diritto azionabile dal paziente”; in senso contrario, Pizzetti). Aggiungasi che, laddove il legislatore ammette il paziente a “ricorrere al giudice” contro il diniego all'accesso alla procedura medicalizzata di “morte volontaria”, gli conferisce un diritto soggettivo perfetto, in quanto azionabile in sede processuale (legittimazioneattiva). Tale facoltà si aggiunge a quelle che già compongono lo statuto dei diritti dei pazienti terminali. Intervento giudiziale
Significativa innovazione (rispetto al testo unificato) si rinviene nel testo dell'art. 5, comma 8, dell'articolato, qualora il medico esprima parere contrario ritenendo che “manchino palesemente i presupposti e le condizioni di cui all'art. 3”, ovvero, in caso di parere contrario espresso da parte del Comitato per la valutazione clinica, con riguardo alla sussistenza di presupposti e di condizioni di accesso. In tal caso al paziente compete la possibilità di ricorrere contro tali dinieghi. Il legislatore ha previsto che la persona ha “possibilità di ricorrere al giudice territorialmente competente, entro il termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della decisione motivata del medico di cui al comma 4 o del parere contrario del Comitato”. Con ciò confermando che il paziente è titolare di una posizione soggettiva di diritto ad accedere alla procedura medicalizzata di suicidio medicalizzato. Opportunamente, il legislatore ha previsto l'intervento del giudiziario in presenza di un contrasto di posizioni; tra richiesta del paziente (che intenda accedere alla morte volontaria assistita) ed il diniego espresso, vuoi da parte del medico, vuoi da parte del Comitato per la valutazione clinica (la Razzano, 65, valuta criticamente la previsione del ricorso al giudice, ritenendola incostituzionale e contraria al diritto alla vita ed alla salute ex art. 32 Cost.). La previsione riecheggia l'intervento risolutore del giudiziario, già previsto in tema di consenso informato ai trattamenti sanitari, quando insorga conflitto tra legale rappresentante dell'incapace, ovvero, fiduciario in presenza di testamento biologico, e valutazioni espresse del sanitario (art. 3, comma 5, ed art. 4 l. n. 219/2017), impeditivo il formarsi del consenso informato al trattamento. Da un punto di vista sistematico e quale garanzia del paziente, la novellata previsione normativa appariva necessaria. Per quanto, lessicalmente, il neofita testo sia particolarmente scarno di contenuti, scontando lacune che il Senato potrebbe colmare. Si consideri che il testo normativo in discussione non individua il giudice competente, quale procedura vada seguita e quale forma rivesta il provvedimento conclusivo, né sono precisati i soggetti legittimati alla presentazione del ricorso e neppure si chiarisce l'eventuale impugnabilità del provvedimento conclusivo dell'incidente. Allo stato, è ipotizzabile che giudice competente sia il Tribunale (non essendo l'affare rientrante nella competenza per materia del Giudice di pace), data la sua competenza residuale (art. 9 c.p.c.). La competenza territoriale sarebbe individuabile nel foro del luogo di ricovero della persona. In assenza di qualsivoglia riferimento testuale all'applicabilità del rito camerale (che, per speditezza, parrebbe quello maggiormente adatto alla bisogna; artt. 737 e ss. c.p.c.), il ricorso della persona avverso la decisione del medico o del Comitato andrebbe veicolata secondo la forma del processo ordinario di cognizione (artt. 163 e segg. c.p.c.), ovvero, in forma cautelare, in presenza del timore di un “pregiudizio imminente ed irreparabile” (art. 700 c.p.c.). In tal caso, con reclamabilità dell'ordinanza ex art. 669 terdecies c.p.c. al collegio. Allo stato, unico soggetto dotato di legittimazione a ricorrere è testualmente individuato nella “persona” che ha avanzato richiesta di “morte volontaria” e che è stata rifiutata (a tenore del comma 8). Non potrebbero ricorrere i familiari del paziente, che non sono indicati tra i soggetti legittimati alla presentazione della richiesta di cui agli artt. 3 e 4 del testo, che è evidentemente atto personalissimo del paziente. Nè pare ipotizzabile la legittimazione ad agire del p.m., dato che la questione non involge diritti degli incapaci (artt. 69 c.p.c. e 73 Ord. Giud.). La persona che chiede la morte volontaria medicalmente assistita può essere solo un “maggiorenne e capace di intendere e volere” (art. 3, comma 1, dell'articolato). Conclusioni
Nel garantire il diritto al suicidio assistito il SSNN deve operare rispettando i principi di: “tutela della dignità del paziente e dell'autonomia della persona”; di “tutela della qualità della vita fino al termine”, come pure, fornendo “adeguato sostegno sanitario psicologico e socio assistenziale della persona e della sua famiglia” (art. 2, comma 3). Il testo approvato dalla Camera dei Deputati e le precisazioni contenute nella disposizione testè richiamata, sono in grado di coniugare e garantire il diritto di autodeterminazione del paziente in fine vita, restituendogli completa autonomia e dignità esistenziale; conferendogli un coacervo di facoltà che costituisce conquista di civiltà di una democrazia matura, fondata su valori personalistici, che valorizza antropologicamente la persona umana ex artt 2 e 3 Cost., usque ad exitum vitae. Per effetto dei lungimiranti interventi della Corte Costituzionale compiuti negli anni 2018 e 2019 (cui si è aggiunta la recente pronunzia n. 50/2022), all'approvazione della disciplina normativa dettata in tema di consenso informato a d.a.t. (l. n. 219/2017) ed alle previsioni (migliorative rispetto al passato) del testo approvato dalla Camera dei Deputati sulla “morte volontaria”, in Italia si sta affermando una neofita posizione soggettiva, la quale intende garantire la qualità della vita del paziente morente “fino al suo termine”; ovvero, il diritto “di morirecon dignità”; che, come si è affermato, rappresenta “parte del corpus fondamentale dei diritti individuali dell'uomo”; quello di “essere considerato persona fino alla fine” (Veronesi, 7). Riferimenti
U. Veronesi, Il diritto di morire, Mondadori, 2005. Cappelli, La nozione di sostegno di trattamento vitale dopo la sentenza n. 242/2019 della Corte Costituzionale: il caso Trentini, in Giust. Civ. Com., 2021. Canestrari, Ferite dell'anima e corpi prigionieri, Bonomia press, 2021. Masoni, Dignità e diritti dei malati terminali, 2022, Milano, 217 e ss. Luccioli, Le ragioni di un'inammissibilità. Il grande equivoco dell' ebutanasia,in Giustizia insieme, 2022. Pizzetti, L'aiuto medico alla morte volontaria in Italia tra via referendaria e via parlamentare, in federalismi.it., 4/2022, 763 e ss. Razzano, La proposta di legge sulle “Disposizioni in materia di morte volontaria medicalmente assistita”: una valutazione nella prospettiva costituzionale anche alla luce della sent. n. 50/2022 |