Aborto a seguito di amniocentesi: responsabilità medica e riparto dell'onere probatorio
21 Aprile 2022
Massima
La responsabilità medica, anteriormente alla l. n. 24 del 2017, deve qualificarsi in termini di responsabilità contrattuale, sicché - ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per la lesione del diritto alla salute - è onere del danneggiato provare secondo il criterio del "più probabile che non", il nesso di causalità fra l'aggravamento della situazione patologica (o l'insorgenza di nuove patologie) e la condotta del sanitario, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta al medico dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile (avendo eseguito la prestazione professionale in modo diligente), provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza. Il caso
Una coppia di coniugi citava in giudizio un ospedale e due medici, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell'aborto subito a seguito di amniocentesi, allorché, il medico – contrariamente alle buone prassi mediche – aveva inserito l'ago nell'itero tre volte. In primo grado la domanda era parzialmente accolta, proposto appello dal medico, il giudice di seconde cure aveva rigettato la domanda attorea sul rilievo che l'inserimento dell'ago nell'utero della donna non era stato provato. Proposto ricorso in Cassazione, i giudici di legittimità annullano la sentenza di merito sul rilievo che il medico non aveva dimostrato di aver eseguito la prestazione professionale in modo diligente, provando che l'inesatto adempimento era stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza. La questione
La questione in esame è la seguente: in tema di responsabilità medica, anteriormente alla l. n. 24 del 2017, come si ripartisce l'onere della prova? Le soluzioni giuridiche
Come noto al danneggiato incombe l'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del danneggiante e l'evento dannoso, in base ai principi di diritto in tema di accertamento e prova della condotta colposa e del nesso causale nelle obbligazioni risarcitorie affermati dalla Corte di Cassazione, che possono essere sintetizzati come segue: a) sia nei giudizi di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, sia in quelli di risarcimento del danno da fatto illecito, la condotta colposa del responsabile ed il nesso di causa tra questa ed il danno costituiscono l'oggetto di due accertamenti concettualmente distinti; la sussistenza della prima non dimostra, di per sé, anche la sussistenza del secondo, e viceversa; b) l'art. 1218 c.c. solleva il creditore della obbligazione che si afferma non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore inadempiente, ma non dall'onere di provare il nesso di causa tra la condotta del debitore ed il danno di cui domanda il risarcimento; c) nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere dell'attore, paziente danneggiato, dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento; tale onere va assolto dimostrando, con qualsiasi mezzo di prova, che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", la causa del danno; se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. n. 18392/2017; Cass. n. 26824/2017).
Secondo il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza (Cass. n. 27606/2019; Cass. n. 26700/2018). In breve, nei giudizi di risarcimento del danno da responsabilità medica, è onere del paziente dimostrare l'esistenza del nesso causale, provando che la condotta del sanitario è stata, secondo il criterio del "più probabile che non", causa del danno, sicché, ove la stessa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. n. 3704/2018). Osservazioni
Sia in tema di responsabilità contrattuale sia in tema di responsabilità extracontrattuale, sussiste un duplice nesso di causalità, materiale (tra condotta ed evento dannoso) e giuridica (tra evento dannoso e danno). In entrambe le ipotesi di responsabilità il danneggiato deve provare il nesso di causalità materiale tra condotta ed evento dannoso; ma la prova del nesso causale materiale tra condotta ed evento dannoso può essere fornita dal paziente, quale creditore, anche attraverso presunzioni; siffatto possibile ricorso alla prova presuntiva è in grado di attenuare la condizione di maggiore difficoltà probatoria in cui normalmente versa il creditore della prestazione professionale medica rispetto al creditore di qualunque altra prestazione (Cass. n. 29498/2019).
Con specifico riferimento alla questione esaminata dalla pronuncia in commento, va ribadito che nelle obbligazioni di facere professionale, a differenza che nelle altre obbligazioni, la causalità materiale (e cioè il nesso tra condotta ed evento) non è assorbita dall'inadempimento; l'aggravamento della situazione patologica o l'insorgenza di nuove malattie, possono non dipendere dalla violazione delle leges artis, ed avere invece una diversa eziologia. Il creditore cioè deve allegare l'inadempimento (e cioè la negligenza del sanitario), ma deve provare sia l'evento dannoso (e le conseguenze che ne sono derivate; c.d. causalità giuridica) sia il nesso causale tra condotta del sanitario nella sua materialità (e cioè a prescindere dalla negligenza) ed evento dannoso. Di conseguenza, se resta ignota la causa dell'evento dannoso (e cioè se il creditore non riesce a provare, neanche attraverso presunzioni, che l'evento dannoso - l'aggravamento della patologia preesistente o l'insorgenza di una nuova patologia - sia in nesso causale con la condotta del sanitario), le conseguenze sfavorevoli ai fini del giudizio ricadono sul creditore medesimo, che ne aveva il relativo onere; se, invece, resta ignota la causa di impossibilità sopravvenuta della diligenza professionale (ovvero, come detto, resta indimostrata l'imprevedibilità o l'inevitabilità di tale causa di impossibilità), le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore.
Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha annullato la pronuncia della corte di appello che non si è conformata ai principi così richiamati, rilevando come la mancata acquisizione di alcuna prova certa (l'inserimento di tre volte dell'ago nell'utero della donna) di un prospettabile nesso di causalità tra il comportamento degli operatori dell'amministrazione sanitaria convenuta ed il successivo aborto lamentato dai ricorrenti, avesse assunto, nella specie, un valore dirimente, a nulla rilevando che i sanitari non avevo dimostrato l'eventuale causa alternativa che avrebbe reso impossibile la prestazione (tenuto conto della prossimità temporale tra amniocentesi e perdita del liquido amniotico, cui è poi seguito l'aborto).
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