Ventiquattro piante di marijuana con potenziale raccolto di quasi mille dosi: sacrosanta la condanna
21 Aprile 2022
Impossibile parlare di coltivazione domestica a fronte di ben ventiquattro piante di marijuana e della potenziale produzione di quasi mille dosi singole.
Conseguente, quindi, la condanna per produzione illecita di sostanze stupefacenti. A finire sotto processo è un uomo.
A lui viene contestato di «aver coltivato, nel giardino di una casa in stato di abbandono e nella sua esclusiva e diretta disponibilità, ventiquattro piante di marijuana, di cui cinque interrate e diciannove in vaso». In primo grado i giudici optano per la non punibilità.
Questa decisione viene ribaltata completamente in Appello: i giudici optano per la condanna a sedici mesi di reclusione, con annessa multa di quattromila euro. In particolare, in secondo grado viene sancita la correttezza degli «accertamenti, condotti dal personale del Laboratorio Analisi chimiche dell'ospedale, su un campione per quattro diverse tipologie omogenee di piante (ovvero piante piccole con influorescenza, piante grandi, piante grandi in vaso e pianta verde)» e viene sottolineato che «in tutti i campioni esaminati è stato riscontrato un principio attivo superiore alla soglia minima». Questo dato, corroborato dal «rilevante numero di dosi ricavabili», legittima la condanna, anche perché, viene sottolineato, «l'uomo non ha addotto alcuna giustificazione in ordine alla coltivazione né esigenze di uso personale». Inutile il ricorso proposto in Cassazione dall'uomo.
I giudici di terzo grado ne confermano difatti la condanna, così come stabilita in Appello. In prima battuta viene ribadita la legittimità dell'«analisi tossicologica compiuta, a seguito di un campionamento, solo su sei piante delle ventiquattro sottoposte a sequestro».
Su questo fronte i giudici ribadiscono che «in caso di rinvenimento di una piantagione destinata alla produzione di sostanze stupefacenti, la polizia giudiziaria ben può limitare il sequestro ad alcune piante scelte a campione, procedendo contestualmente alla distruzione delle altre».
Inoltre, «a fronte del sequestro delle piante, poi, le analisi sulla sostanza stupefacente da parte dei laboratori o dei consulenti tecnici incaricati vengono effettuate non già sull'intero quantitativo di sostanza stupefacente in sequestro, bensì su singoli campioni debitamente repertati, rappresentativi della partita da cui il campione è stato prelevato». Ebbene, in questa vicenda «la procedura adottata è stata corretta, in quanto nel verbale della Azienda sanitaria locale si dà atto che il campionamento è stato operato sulla base della stessa tipologia di piante con un giudizio di tipo tecnico». Così, a fronte di un campionamento correttamente attuato, «l'estensione dei risultati delle analisi effettuate sul campione alle altre piante facenti parte del medesimo gruppo è operazione legittima». Dalla Cassazione respingono anche l'ipotesi che «la coltivazione fosse attuata per un mero consumo personale». In questa ottica i giudici osservano che «l'uomo aveva affermato, all'atto dell'ispezione, il consumo personale in relazione ad un modesto quantitativo di marijuana, pari a circa 10 grammi, custodita in uno zaino» e spontaneamente consegnata agli uomini delle forze dell'ordine, mentre «nulla aveva dichiarato in merito alle ragioni della coltivazione». Allo stesso tempo, per certificare la rilevanza penale della coltivazione viene posto in risalto «il dato relativo al numero delle singole dosi ricavabili dal quantitativo di principio attivo, incompatibile», sottolineano i giudici, «con la nozione di coltivazione domestica di minime dimensioni». Per essere precisi, «quale indice di una coltivazione di sostanza stupefacente penalmente rilevante, cioè non rivolta in via esclusiva all'uso personale del coltivatore» viene valorizzata «l'entità della coltivazione avente ad oggetto ventiquattro piante e il dato ponderale, ovvero il numero di dosi ricavabili dalla sostanza coltivata, pari a 946 dosi singole».
Impossibile, quindi, parlare di «coltivazione di sostanze stupefacenti a carattere domestico».
*Fonte: DirittoeGiustizia |