Piazza di spaccio seriale: negata la lieve entità del fatto

Redazione Scientifica
22 Aprile 2022

Non può ritenersi che il fatto compiuto nel quadro della gestione di una “piazza di spaccio” sia di lieve entità, sebbene i singoli episodi di cessione siano di modica quantità, «giacché anche tale condotta, in quanto posta in essere nell'ambito di un'articolata organizzazione di supporto, è indice di una comprovata capacità dell'autore di assicurare uno stabile commercio di sostanza stupefacente».

La Corte d'appello aveva confermato la pronuncia del GUP che, a seguito di un giudizio immediato, aveva condannato M.M. alla pena di quattro anni e otto mesi di reclusione per spaccio di sostanze stupefacenti.

L'imputato propone ricorso per Cassazione, denunciando, tra i vari motivi, violazione di legge e vizio di motivazione per il mancato inquadramento della fattispecie in esame nella ipotesi meno grave di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.

La doglianza è inammissibile.

Secondo la Suprema Corte, infatti, i giudici di secondo grado hanno fornito una motivazione esaustiva in merito all'esclusione della ricorrenza dell'ipotesi disciplinata dall'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.

La Corte d'appello, infatti, ha valorizzato il ruolo assunto dall'imputato in una “piazza di spaccio seriale” nella quale l'imputato era il riferimento di molti acquirenti, valutando anche l'ingente quantitativo di sostanze smerciato, oltre che l'accertata capacità di approvvigionamento sistematico di eroina e cocaina.

Pertanto, i giudici hanno fatto corretta applicazione del principio secondo cui, ai fini del riconoscimento del reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990, la valutazione dell'offensività della condotta non può essere ancorata solo alla quantità di sostanza singolarmente spacciata o detenuta, «ma alle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avuto riguardo all'entità di droga movimentata in un determinato lasso di tempo, al numero di assuntori riforniti, alla rete organizzativa e/o alle peculiari modalità adottate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell'ordine» (Cass. pen., n. 13982/2018).

Non può, quindi, ritenersi che il fatto compiuto nel quadro della gestione di una “piazza di spaccio” sia di lieve entità, sebbene i singoli episodi di cessione siano di modica quantità, «giacché anche tale condotta, in quanto posta in essere nell'ambito di un'articolata organizzazione di supporto, è indice di una comprovata capacità dell'autore di assicurare uno stabile commercio di sostanza stupefacente».

Per questi motivi, la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.

*Fonte: DirittoeGiustizia

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