Successione necessaria: doverosa la reintegrazione in natura della quota di riserva dei legittimari

27 Aprile 2022

La lesione di legittima può essere provata anche con presunzioni? Nel caso di lesione di legittima, la reintegrazione delle quote di riserva deve necessariamente avvenire in natura?
Massima

In caso di lesione della quota di legittima, il legittimario, pur potendo eliminare la lesione attraverso la sola collazione, può altresì esercitare contestualmente l'azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che soltanto l'accoglimento di tale domanda può assicurargli l'assegnazione dei beni in natura, sia attraverso il subentro nella comunione ereditaria quando la disposizione testamentaria lesiva non riguardi singoli beni, sia attraverso il subentro nella comunione di singoli beni, come dimostrato dall'art. 560 c.c., che, nel disciplinarne lo scioglimento, prevede, in via preferenziale, la separazione della parte di bene necessaria per soddisfare il legittimario e, in caso di impossibilità della separazione in natura e dunque di non comoda divisibilità del bene, l'applicazione dei criteri preferenziali specificamente individuati dal comma 2, in deroga a quelli di carattere generale di cui all'art. 720 c.c.

Il caso

Primo, Secondo e Terzo convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale Tizia, Caio e Sempronio, deducendo che la madre aveva disposto dei propri beni relitti con testamento il cui contenuto risultava lesivo della quota di riserva degli attori, stante il valore delle assegnazioni testamentarie effettuate in favore dei convenuti.

Si costituiva Tizia che contestava la fondatezza della domanda, deducendo che Primo aveva ricevuto in vita dalla madre la donazione di un immobile e che i beni assegnati agli altri attori erano idonei a soddisfare la quota di legittima vantata.

Il Tribunale adito rigetta la domanda, escludendo che la quota di legittima fosse stata lesa.

Avverso tale sentenza veniva proposto appello.

La Corte d'Appello accoglie l'appello di Primo e, ritenuta la lesione della quota di legittima dell'appellante, dispone la integrazione della stessa con la condanna di Tizia, Caio e Sempronio al pagamento di una somma di denaro, oltre interessi, sulle stesse somme di anno in anno rivalutate.

Avverso detta sentenz, viene proposto ricorso per cassazione.

Si deduce, in particolare, che in primo grado gli attori si erano limitati a richiedere la sola declaratoria di nullità o inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive della quota di riserva con la richiesta di integrare in corrispondenza la quota in questione. Tale richiesta però non risultava adeguatamente corroborata in quanto la citazione mancava di ogni indicazione in ordine alle modalità di restituzione dei beni interessati dalla riduzione.

In appello invece era stata specificamente indicata la somma che sarebbe stata necessaria per reintegrare la legittima della controparte.

Si tratta però di una richiesta che integra, ad avviso del ricorrente, la proposizione di una domanda nuova, della quale viene dunque eccepita l'inammissibilità.

Inoltre si contesta che la motivazione della sentenza risulta evidentemente viziata nella parte in cui ha ritenuto validamente formulata la domanda originaria per essere stati indicati i beni di cui al testamento, chiedendo la riduzione delle disposizioni lesive, trascurando invece di considerare che sull'attore incombe il preciso onere di determinare con esattezza il valore della massa ereditaria, e di allegare e comprovare tutti gli elementi occorrenti per stabilire se vi sia stata lesione della quota di riserva.

Si rileva, infine, che la sentenza impugnata, una volta riconosciuta la lesione della legittima, l'ha reintegrata con l'attribuzione di una somma di denaro, mentre tale reintegrazione andava effettuata in natura, come si ricava dal complesso delle norme in tema di azione di riduzione.

La questione

La lesione di legittima può essere provata anche con presunzioni? Nel caso di lesione di legittima, la reintegrazione delle quote di riserva deve necessariamente avvenire in natura?

Le soluzioni giuridiche

In merito al contenuto dell'atto di citazione per la proposizione dell'azione di riduzione, la Cassazione rileva che la più recente giurisprudenza di legittimità, rivedendo le precedenti affermazioni rese sul punto, ha statuito che l'omessa allegazione nell'atto introduttivo di beni costituenti il relictum e di donazioni poste in essere in vita dal de cuius, anche in vista dell'imputazione ex se, ove la loro esistenza emerga dagli atti di causa ovvero costituisca oggetto di specifica contestazione delle controparti, non preclude la decisione sulla domanda di riduzione, dovendo il giudice procedere alle operazioni di riunione fittizia prodromiche al riscontro della lesione, avuto riguardo alle indicazioni complessivamente provenienti dalle parti, nei limiti processuali segnati dal regime delle preclusioni per l'attività di allegazione e di prova.

Ne consegue che, ove il silenzio serbato in citazione sull'esistenza di altri beni relitti ovvero di donazioni sia dovuto al convincimento della parte dell'inesistenza di altre componenti patrimoniali da prendere in esame ai fini del riscontro della lesione della quota di riserva, il giudice non può solo per questo addivenire al rigetto della domanda, che è invece consentito se, all'esito dell'istruttoria, e nei limiti segnati dalle preclusioni istruttorie, risulti indimostrata l'esistenza della dedotta lesione.

Nella stessa sentenza i giudici affermano che il legittimario, ancorché abbia l'onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria all'uopo l'indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva.

Ritiene dunque il Collegio che la sentenza impugnata si sia conformata a tale principio come si rileva dalla motivazione, nella parte in cui si ricorda che gli attori già in primo grado avevano dettagliato i beni indicati nel testamento della de cuius, indicando altresì le ragioni per le quali la loro attribuzione era idonea a ledere la quota di legittima. Ha altresì ricordato come le conclusioni rese in primo grado non fossero limitate alla sola riduzione, con la declaratoria di inefficacia delle disposizioni lesive, ma contenessero anche la richiesta di integrare la quota dei legittimari, richiesta che sottende quindi anche quella di restituzione dei beni oggetto delle disposizioni testamentarie nei limiti in cui pregiudicano la quota di riserva degli attori.

Ne deriva che la quantificazione in termini monetari della lesione patita, come precisata in sede di appello, non si connota come domanda nuova o modificazione delle domande proposte in citazione, ma rappresenta una mera specificazione della domanda, alla luce degli sviluppi anche istruttori intervenuti nel corso del giudizio.

La Suprema Corte ritiene invece fondate le censure nella parte in cui rilevano l'erroneità della decisione del giudice di appello di provvedere al ristoro del diritto di riserva della parte attrice mediante l'attribuzione di una somma di denaro.

A tal proposito i giudici ricordano che nel caso di azione tendente alla riduzione di disposizioni testamentarie che si assumano lesive della legittima, il giudice deve anzi tutto accertare quale sia la quota di legittima spettante all'attore legittimario, e deve, a tal fine, riunire fittiziamente i beni e determinare l'asse ereditario, procedendo poi alla sua valutazione secondo i valori del tempo dell'apertura della successione e tenendo conto anche della qualità dei beni, se fruttiferi o meno.

Accertata cosi la quota di legittima, nel procedere alla sua liquidazione, deve tenersi presente che il legittimario ha diritto di conseguirla in natura e solo eccezionalmente in denaro, e che, in questo ultimo caso, il credito del legittimario non è di valuta, ma di valore.

Infatti, è stato sottolineato come una delle differenze più significative tra la collazione e l'azione di riduzione consista proprio nel fatto che quest'ultima obbliga alla restituzione in natura dell'immobile donato, mentre l'altra ne consente l'imputazione di valore, sicché se la collazione, nei rapporti indicati nell'art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del de cuius, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, e può comportare di fatto l'eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, ciò non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l'azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l'accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l'assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l'imputazione del relativo valore.

Trattasi di una conseguenza derivante dalla stessa natura della pronuncia che accolga l'azione di riduzione che determina l'inefficacia per il legittimario della disposizione lesiva e che comporta, ove la disposizione abbia ad oggetto determinati beni, l'instaurarsi di una comunione tra beneficiario della disposizione lesiva e legittimario, nella quale la quota di compartecipazione del secondo è determinata in misura corrispondente al valore proporzionale della lesione da recuperare sul bene in rapporto al valore del bene stesso.

Tale conclusione trova poi il conforto dell'art. 560 c.c. che regola proprio la disciplina della comunione così determinatasi, prevedendo che preferibilmente la quota di legittima debba essere reintegrata mediante la separazione della parte del bene necessaria per soddisfare il legittimario, aggiungendo però che, laddove la separazione in natura non sia possibile, ed il bene quindi sia non comodamente divisibile, lo scioglimento della comunione avverrà sulla base di criteri preferenziali specificamente individuati dal comma 2 ed in deroga a quelli di carattere generale posti dall'art. 720 c.c.

È pur vero – conclude la Cassazione - che la giurisprudenza si è occupata anche dell'ipotesi di reintegra della quota del legittimario in denaro, ritenendo che in tal caso l'obbligazione abbia natura di debito di valore, necessitante di adeguamento, mediante rivalutazione monetaria, al mutato valore dei beni in natura esistenti nell'asse, ma ciò presuppone che la reintegra in denaro o sia frutto di una concorde volontà delle parti o che scaturisca dallo scioglimento della comunione secondo le modalità specificamente dettate dall'art. 560 c.c.

Ma ove non ricorrano tali condizioni, resta fermo che l'inefficacia delle disposizioni testamentarie lesive, quale effetto dell'accoglimento dell'azione di riduzione, determina il subentro del legittimario nella comunione ereditaria (ove la disposizione testamentaria lesiva non abbia ad oggetto singoli beni) oppure nella comunione dei singoli beni oggetto di attribuzioni specifiche (a titolo di legato ovvero di institutio ex re certa o di apporzionamento nell'ambito della divisione del testatore), e quindi la reintegra in natura.

La Cassazione afferma così il principio secondo cui la reintegrazione, in linea di principio, va fatta in natura, mediante attribuzione, in tutto o in parte secondo che la riduzione sia pronunciata per intero o per una quota, dei beni oggetto delle disposizioni ridotte.

È pur vero che tale affermazione viene di norma compiuta a tutela del diritto del legittimario, che non è in linea di principio suscettibile di essere convertito in un diritto di credito, ma ciò non toglie che la osservanza della regola possa essere pretesa anche dal soggetto che subisce la riduzione, che non può essere costretto, contro la sua volontà, a liquidare in denaro la lesione che il legittimario ha diritto di recuperare in natura, e ciò soprattutto nel caso in cui la reintegra in denaro risulti svantaggiosa rispetto all'ipotesi in cui la reintegra sia realizzata in natura.

La pronuncia di appello va quindi cassata in quanto la corte d'appello non si è attenuta a tali principi, in quanto, una volta determinata la misura della lesione, avrebbe dovuto verificare in via prioritaria se sussistevano le condizioni per la reintegrazione della legittima in natura, non potendo procedere direttamente alla reintegra in denaro.

Osservazioni

In tema di successione necessaria, per accertare la lesione della quota di riserva va determinato il valore della massa ereditaria, quello della quota disponibile e della quota di legittima. A tal fine, occorre procedere alla formazione del compendio dei beni relitti ed alla determinazione del loro valore al momento dell'apertura della successione; quindi, alla detrazione dal “relictum” dei debiti, da valutare con riferimento alla stessa data; e, ancora, alla riunione fittizia, cioè meramente contabile, tra attivo netto e “donatum”, costituito dai beni di cui sia stato disposto a titolo di donazione, da stimare, in relazione ai beni immobili ed ai beni mobili, secondo il loro valore al momento dell'apertura della successione (artt. 747 e 750 c.c.) e, con riferimento al valore nominale, quanto alle donazioni in denaro (art. 751 c.c.). Devono calcolarsi, poi, la quota disponibile e la quota indisponibile sulla massa risultante dalla somma tra il valore del “relictum” al netto ed il valore del “donatum” ed imputarsi, infine, le liberalità fatte al legittimario, con conseguente diminuzione, in concreto, della quota ad esso spettante (art. 564 c.c.) (Cass. 24 luglio 2012, n. 12919).

Laddove il de cuius abbia disposto dei propri beni a titolo di liberalità con donazioni dirette ed indirette (su queste ultime v. Cass., sez. un., 27 luglio 2017, n. 18725), anche dissimulate (App. Roma 13 giugno 2017; Cass. 29 ottobre 2015, n. 22097; Cass. 22 settembre 2014, n. 19912; Cass. 3 luglio 2013, n. 16635) o per successione in danno dei legittimari, cioè ledendo la quota di legittima ad essi spettante, questi hanno a disposizione tre azioni, autonome benché strettamente connesse, per tutelare le proprie ragioni: l'azione di riduzione, l'azione di restituzione contro i beneficiari delle disposizioni ridotte e l'azione di restituzione contro i terzi acquirenti (artt. 553-564 c.c.).

In particolare, l'azione di riduzione ha lo scopo di far dichiarare l'inefficacia (totale o parziale) nei confronti del legittimario leso delle disposizioni (comprese le donazioni indirette) eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre.

L'azione di riduzione non è una azione di invalidità in quanto le disposizioni lesive della legittima non sono in sé nulle né annullabili, anche se suscettibili di essere resi inoperanti, ed inefficaci in tutto o in parte, nei limiti in cui ciò sia necessario per l'integrazione della quota di riserva, attraverso l'esercizio del diritto potestativo dell'erede legittimario di chiederne la riduzione (Cass. 20 novembre 2008, n. 27556; Cass. 27 ottobre 2008, n. 25834). Pertanto, laddove il legittimario non proponga l'azione di riduzione o vi rinunci, esse rimangono ferme, perfettamente valide ed efficaci.

L'azione di riduzione è precisamente una azione di inefficacia successiva: per effetto della sentenza di riduzione il trasferimento lesivo delle ragioni del legittimario si considera come non avvenuto nei confronti di quest'ultimo (Cass. 11 giugno 2003, n. 9424; Cass. 12 aprile 2002, n. 5323).

La sentenza che conclude il giudizio di riduzione è dunque una sentenza di accertamento costitutivo in quanto accerta l'esistenza della lesione della legittima e dall'accertamento consegue, per legge, l'inefficacia delle disposizioni lesive nei confronti del legittimario leso (Cass. 19 dicembre 2017, n. 30485).

In tema di prescrizione dell'azione di riduzione va segnalata una importante sentenza della Cassazione a Sezioni Unite che ha stabilito che il termine di prescrizione dell'azione di riduzione decorre dalla data di accettazione dell'eredità da parte del chiamato in base a disposizioni testamentarie lesive della legittima (nella specie, è stata cassata la sentenza di merito che aveva fatto decorrere tale termine dalla data di pubblicazione del testamento olografo) (Cass., sez. Unite, 25 ottobre 2004, n. 20644).

La giurisprudenza ha costantemente affermato – e la sentenza in commento non si discosta da tale orientamento – che il soggetto che agisce in riduzione ha l'onere d'indicare entro quali limiti sia stata lesa la quota di riserva, determinando con esattezza il valore della massa ereditaria, nonché quello della quota di legittima violata, dovendo, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva, oltre che proporre, sia pure senza l'uso di formule sacramentali, espressa istanza di conseguire la legittima, previa determinazione della medesima mediante il calcolo della disponibile (Cass. 31 luglio 2020, n. 16515; Cass. 2 settembre 2020, n. 18199; Cass. 19 gennaio 2017, n. 1357; Cass. 14 ottobre 2016, n. 20830; Cass. 30 giugno 2011, n. 14473).

Inoltre, la Cassazione ha precisato che in tema di azione di riduzione, non è dato poter discutere di lesione della quota di legittima in assenza di un'indagine estesa all'intero patrimonio del de cuius giacché, quand'anche tale lesione fosse sussistente, alla stessa ben potrebbe porsi rimedio con una diversa distribuzione del patrimonio relitto, sia di natura immobiliare che mobiliare, come previsto dall'art. 553 c.c. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, che aveva rigettato una domanda di riduzione, cui era sottesa la lesione della quota di riserva calcolata con riferimento al solo patrimonio mobiliare del de cuius e non anche a quello immobiliare) (Cass. 25 settembre 2017, n. 22325; Cass. 17 ottobre 1992, n. 11432).

In linea generale, la giurisprudenza ritiene che il principio dell'intangibilità della quota di legittima debba intendersi soltanto in senso quantitativo e non anche in senso qualitativo, potendo il testatore soddisfare le ragioni dei legittimari con beni di qualunque natura, purché compresi nell'asse ereditario (Cass. 12 settembre 2002, n. 13310). In altri termini, il testatore può liberamente stabilire quali beni, necessariamente provenienti dall'asse ereditario, devono formare la quota del legittimario, purché venga rispettato il valore della quota stessa; pertanto, la divisione con cui il testatore disponga che le ragioni ereditarie di un riservatario siano soddisfatte dagli eredi, tra cui l'eredità è divisa, con la corresponsione di una somma di denaro non compresa nel relictum, è affetta da nullità ex articolo 735 c.c. (Cass. 12 marzo 2003, n. 3694).

La Cassazione, attenendosi a tale principio, ribadito anche dalla pronuncia in commento, ha affermato costantemente che la reintegrazione in linea di principio va fatta in natura, mediante attribuzione, in tutto o in parte secondo che la riduzione sia pronunciata per intero o per una quota, dei beni oggetto delle disposizioni ridotte. Generalmente tale affermazione viene proposta a tutela del diritto del legittimario, che non è in linea di principio suscettibile di essere convertito in un diritto di credito. Ciò non toglie che la osservanza della regola possa essere pretesa anche dal soggetto che subisce la riduzione, che non può essere costretto, contro la sua volontà, a liquidare in denaro la lesione che il legittimario ha diritto di recuperare in natura (Cass. 10 dicembre 2020, n. 28196; Cass. 31 luglio 2020, n. 16515; Cass. 4 dicembre 2015, n. 24755; Cass. 29 ottobre 2015, n. 22097; Cass. 17 marzo 2016, n. 5320; Cass. 19 marzo 2010, n. 6709).

Laddove la quota di legittima fosse eccezionalmente reintegrata in denaro (per concorde volontà delle parti o perché dallo scioglimento della comunione scaturiscano dei conguagli), trattandosi di credito di valore e non già di valuta, l'integrazione deve essere adeguata al mutato valore - al momento della decisione giudiziale - del bene a cui il legittimario avrebbe diritto, affinché ne costituisca l'esatto equivalente, dovendo pertanto procedersi alla relativa rivalutazione (Cass. 17 marzo 2016, n. 5320; Cass. 19 marzo 2010, n. 6709).

I giudici di Piazza Cavour rimarcano, inoltre, la differenza fra azione di riduzione e collazione: mentre la riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, la collazione, nei rapporti indicati nell'art. 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del de cuius, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile. Nondimeno, il rilievo che la collazione può comportare di fatto l'eliminazione di eventuali lesioni di legittima, consentendo agli eredi legittimi di conseguire nella divisione proporzioni uguali, non esclude che il legittimario possa contestualmente esercitare l'azione di riduzione verso il coerede donatario, atteso che solo l'accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l'assegnazione di beni in natura, privando i coeredi della facoltà di optare per l'imputazione del relativo valore. Al contempo, e in modo speculare, deve riconoscersi che l'azione di riduzione, una volta esperita, non esclude l'operatività della collazione con riguardo alla donazione oggetto di riduzione, fermo restando che mentre la collazione, ove richiesta in via esclusiva, comporta il rientro del bene donato nella massa, senza riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile, nel caso di concorso con l'azione di riduzione essa interviene in un secondo tempo, dopo che la legittima sia stata reintegrata, al fine di redistribuire l'eventuale eccedenza, e cioè l'ulteriore valore della liberalità che esprime la disponibile (Cass. 10 dicembre 2020, n. 28196).

Circa i rapporti fra azione di riduzione e collazione la Cassazione si è pronunciata anche recentemente, affermando il principio secondo cui ai fini della collazione non esiste differenza tra disponibile e indisponibile e il riferimento che a tali concetti fa l'art. 737 c.c., non rende rilevante la distinzione ai fini della collazione, ma costituisce applicazione del principio stabilito dall'art. 556 c.c., giacché la dispensa da collazione non può mai risolversi in una lesione dell'altrui legittima: il che peraltro non significa che se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile, l'eccedenza è soggetta a collazione, ma piuttosto che il donatario è esposto, per l'eccedenza, all'azione di riduzione (Cass. 8 ottobre 2021, n. 27377).

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