Sulla presenza del RUP nella commissione di aggiudicazione in qualità di presidente

Diego Campugiani
28 Aprile 2022

Nel caso in cui un funzionario abbia concretamente adottato la documentazione di gara sottoscrivendola - anche ove la paternità sostanziale degli elaborati non sia integralmente ad esso imputabile - in senso non solo formale ma anche sostanziale, definendone autonomamente il contenuto prescrittivo con valore vincolante per l'Amministrazione ai fini della valutazione delle offerte, non può assumere anche il ruolo di Presidente della commissione giudicatrice.

Il caso. Il TAR ha annullato la procedura di gara in applicazione dell'art. 77, comma 4, del Codice dei contratti pubblici a mente del quale “I commissari non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo relativamente al contratto del cui affidamento si tratta. La nomina del RUP a membro delle commissioni di gara è valutata con riferimento alla singola procedura”.

Nel caso di specie il Presidente della commissione aveva cumulato in sé molteplici funzioni, istruttorie (quale R.u.p.) e regolatorie, in seno al medesimo incanto: dalla redazione del progetto di fattibilità tecnico-economica dell'opera e di tutta la lex specialis di gara, fino all'approvazione dei verbali della procedura e alla sua aggiudicazione definitiva.

È stato quindi ritenuto che la ratio della disposizione debba essere ravvisata nel garantire che colui che abbia redatto la lex specialis, non posa procedere alla valutazione delle offerte presentate, in quanto preclusione posta a presidio della trasparenza e terzietà dell'organo valutativo.

Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, “il fondamento ultimo di razionalità della disposizione dell'art. 77, comma 4, è dunque quello per cui chi ha redatto la lex specialis non può essere componente della Commissione, costituendo il principio di separazione tra chi predisponga il regolamento di gara e chi è chiamato a concretamente applicarlo una regola generale posta a tutela della trasparenza della procedura, e dunque a garanzia del diritto delle parti ad una decisione adottata da un organo terzo ed imparziale mediante valutazioni il più possibile oggettive, e cioè non influenzate dalle scelte che l'hanno preceduta (Cons. Stato, Sez. V, 27 febbraio 2019, n. 1387)” (Cons. Stato, n. 6744/2021).

Il Collegio, tuttavia, non ha ignorato l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui il disposto dell'art. 77, comma 4, del Cod. Appalti dev'essere interpretato e applicato alla luce del canone di proporzionalità, evitando automatismi formali e posizioni eccessivamente rigide che finiscano per paralizzare l'azione amministrativa (soprattutto) in amministrazioni, come quella resistente, di piccola entità.

È stato, in tal senso, precisato che “la verifica della situazione di incompatibilità lamentata da un concorrente richiede sempre un giudizio in concreto volto a far emergere la partecipazione del soggetto in questione alla predisposizione materiale degli atti di gara, il che si ravvisa solo quando ricorra “una effettiva e concreta capacità di definirne autonomamente il contenuto, con valore univocamente vincolante per l'amministrazione ai fini della valutazione delle offerte, così che in definitiva il suo contenuto prescrittivo sia riferibile esclusivamente al funzionario” (cfr. Cons. Stato, n. 6082/2018; Cons. Stato n. 6965/2010).

Per la gara in causa tuttavia parte ricorrente aveva adeguatamente comprovato il ruolo di tecnico egemone dell'Amministrazione. Sicché non hanno avuto pregio le difese dell'amministrazione che ha opposto il mancato superamento della “prova di resistenza”, attraverso la quale si sarebbe dovuto indicare come l'offerta aggiudicataria avrebbe beneficiato dal giudizio del presidente della Commissione.

Invero, in tema di contestazione della composizione della commissione, trova applicazione il condivisibile orientamento per cui devono “ritenersi ammissibili le censure volte a contestare il procedimento di nomina della Commissione giudicatrice anche quando non sia stato dimostrato che la procedura, ove governata da una Commissione in differente composizione, avrebbe avuto un esito diverso, essendo pacifico che la prova di resistenza non debba essere offerta da colui che deduca vizi diretti ad ottenere l'annullamento e la successiva rinnovazione dell'intera procedura” (Cons. Stato, n. 7557/2019; Cons. Stato n. 4054/2018).

Tale conclusione s'inscrive nel più ampio indirizzo secondo il quale, “allorché le censure proposte sono dirette ad ottenere l'annullamento dell'intera procedura e non il conseguimento di una immediata collocazione utile nella graduatoria impugnata, non sussiste in capo al deducente l'onere di fornire alcuna prova di resistenza” (cfr. Cons. Stato n. 2258/2018; Cons. Stato n. 1312/2018; Cons. Stato n. 1288/2016).