Il fine giustifica i mezzi (analogici): la sanabilità del ricorso privo di firma digitale

Vittoria Donat-Cattin
Andrea Antonio Talivo
03 Maggio 2022

Il vizio del ricorso privo di firma digitale non configura una causa di nullità bensì una mera irregolarità sanabile ai sensi dell'art. 44, comma 2, c.p.a.A fronte del mancato deposito del ricorso notificato e della tempestiva (ri)notificazione dello stesso, non può parlarsi di c.d. consumazione del potere di impugnazione.
La vexata quaestio

Con ordinanza 25 ottobre 2021, n. 7138, la IV Sezione del Consiglio di Stato deferiva all'Adunanza Plenaria la “questione interpretativa relativa all'eccezione pregiudiziale di improcedibilità dell'appello principale” sollevata dall'appellante incidentale in virtù del fatto che il ricorso fosse stato depositato oltre il termine di decadenza di trenta giorni ex artt. 94 (“Deposito delle impugnazioni”) e 45 c.p.a. (“Deposito del ricorso e degli altri atti processuali”).

In particolare, l'appello principale, inizialmente notificato senza l'apposizione della firma digitale e non depositato, era stato nuovamente notificato – previa rituale sottoscrizione – entro la scadenza del relativo termine e, tuttavia, la sua iscrizione a ruolo era avvenuta oltre il suddetto termine decadenziale, decorrente – secondo l'appellante incidentale – dalla data della prima notificazione.

La decisione dell'Adunanza Plenaria

Investita della “questione relativa alla corretta interpretazione delle disposizioni e dei principi che regolano le impugnazioni”, l'Adunanza Plenaria ha chiarito in primis l'estraneità della vicenda de qua al paradigma della c.d. consumazione del potere di impugnazione, stante l'assenza dei relativi presupposti.

Invero, il mancato deposito del ricorso a seguito della prima notificazione impedisce l'instaurazione della litispendenza e, per l'effetto, la facoltà di impugnazione non può ritenersi esercitata (rectius, “consumata”).
Inoltre, “l'identità testuale – quanto al petitum ed alla causa petendi – degli atti notificati” non consente di configurare una successione di diversi mezzi di gravame, “essendosi semplicemente in presenza di una reiterata notifica del medesimo atto”, giudicata del tutto irrilevante. Ciò in quanto “la predisposizione ed il deposito del ricorso in formato non digitale”, seppur non conformi alle disposizioni dettate sul punto dall'art. 136, comma 2-bis, c.p.a. e dall'art. 9, comma 1, D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 (“Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico”), comunque non incorrono – a detta del Supremo Consesso Amministrativo – in espressa comminatoria legale di nullità, ai sensi dell'art. 156 c.p.c. (“Rilevanza della nullità”).

Oltretutto, il ricorso “avrebbe comunque raggiunto il suo scopo tipico (ex art. 156, comma 3, c.p.c.), essendone certa l'attribuibilità ad un soggetto determinato e la natura di strumento deputato alla chiamata in causa ed alla articolazione delle proprie difese”.

Pertanto, l'Adunanza Plenaria ha ritenuto di qualificare “il vizio del ricorso depositato pur privo di firma digitale come un'ipotesi di mera irregolarità sanabile, con conseguente applicabilità del regime di cui all'art. 44, comma 2, c.p.a. (che prevede la fissazione, da parte del giudice, di un termine perentorio entro il quale la parte deve provvedere alla regolarizzazione dell'atto, nelle forme di legge)”, contemplando, peraltro, la possibilità che il ricorrente provveda “direttamente a rinotificare l'atto con firma digitale, ancor prima che il giudice ordini la rinnovazione della notifica”.

Ne deriva quindi che, “nel caso di plurime notifiche dell'atto volte ad emendare vizi dello stesso”, il termine per il deposito del ricorso ex artt. 94 e 45 c.p.a. deve farsi decorrere non dalla data della prima notificazione bensì “dalla data dell'effettiva notifica dello specifico atto concretamente depositato”.

Considerazioni e spunti di riflessione

In disparte i rilevanti principi enunciati dall'Adunanza Plenaria in merito alla c.d. consumazione del potere di impugnazione, il presente contributo intende approfondire l'ulteriore profilo relativo alla mancata sottoscrizione del ricorso con firma digitale.

Al riguardo, con la pronuncia in commento, il Supremo Consesso Amministrativo ha chiarito che la firma digitale – seppur obbligatoria dal 1° gennaio 2017 (data di entrata in vigore del PAT) – deve essere qualificata come un requisito formale, la cui inosservanza dà luogo non alla nullità dell'atto bensì ad una mera irregolarità, in quanto tale, sanabile “spontaneamente” dalla parte ovvero entro il termine fissato all'uopo dal Giudice ai sensi dell'art. 44, comma 2, c.p.a. (“Vizi del ricorso e della notificazione”).

L'Adunanza Plenaria ha così inteso valorizzare il principio di conservazione degli atti e, in particolare, la regola generale ex art. 156 c.p.c. – applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno operato dall'art. 39 c.p.a. – secondo cui la nullità dell'atto processuale – che deve essere comminata dalla legge – viene sanata laddove quest'ultimo si sia rivelato comunque idoneo al raggiungimento dello scopo.

Tuttavia, la soluzione ermeneutica proposta dal Giudice Amministrativo sembrerebbe non essere la sola (giuridicamente) possibilealla luce i) di una lettura sistematica delle disposizioni dettate in materia di PAT, promossa da parte della giurisprudenza di merito, e ii) delle differenti – se non proprio contrapposte – interpretazioni offerte, mutatis mutandis, dalla Giustizia Civile e Tributaria in materia di processo telematico.

Una diversa interpretazione delle disposizioni dettate in materia di PAT

In particolare, quanto al PAT, secondo l'(attuale) art. 136 c.p.a. (“Disposizioni sulle comunicazioni e sui depositi informatici”), “tutti gli atti (…) delle parti sono sottoscritti con firma digitale” (cfr. comma 2-bis). Dunque, la sottoscrizione digitale degli atti non è più una facoltà delle parti, com'era invece nel regime anteriore al 1° gennaio 2017; infatti, secondo la formulazione pro-tempore vigente del comma 2-bis cit., “tutti gli atti (…) delle parti possono essere sottoscritti con firma digitale”.

Più in generale, secondo l'art. 136, comma 2, c.p.a., “i difensori (…) depositano tutti gli atti e i documenti con modalità telematiche”.

Di tenore analogo è l'art. 13, comma 1-ter, disp. att. c.p.a. (i.e. Allegato 2 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), ai cui sensi, “tutti gli adempimenti previsti dal codice e dalle norme di attuazione inerenti ai ricorsi depositati (…) dal 1° gennaio 2017 sono eseguiti con modalità telematiche, secondo quanto disciplinato nel decreto di cui al comma 1”, vale a dire nel D.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 (“Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico”).

Al riguardo, il Regolamento prevede espressamente che “il ricorso introduttivo (…) e qualsiasi altro atto del processo (…) sono redatti in formato di documento informatico sottoscritto con firma digitale conforme ai requisiti di cui all'articolo 24 del CAD” (cfr. art. 9, comma 1, D.P.C.M. n. 40/2016).

Come visto, la norma richiama l'art. 24 (“Firma digitale”) del Codice dell'Amministrazione Digitale (CAD) di cui al d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, a cui rinvia – in termini generali – l'art. 3 (“Organizzazione del Sistema Informativo della giustizia amministrativa”) del D.P.C.M. n. 40/2016, che recita come segue: “Il SIGA è organizzato in conformità alle prescrizioni del CPA, alle disposizioni di legge speciali regolanti il processo amministrativo telematico, al CAD e al Codice dei dati personali” (cfr. comma 1).

A sua volta, il CAD rinvia alle “Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici” adottate dall'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID), contenenti, ai sensi dell'art. 71 del CAD, “le regole tecniche e di indirizzo per l'attuazione del presente Codice”. Peraltro, esse “hanno carattere vincolante e assumono valenza erga omnes”, come è stato precisato dal Consiglio di Stato nel parere n. 2122 del 10 ottobre 2017 reso sullo schema del decreto correttivo al CAD (i.e. d.lgs. 26 agosto 2016, n. 179). Pertanto, “nella gerarchia delle fonti, anche le presenti Linee Guida sono inquadrate come un atto di regolamentazione, seppur di natura tecnica, con la conseguenza che esse sono pienamente azionabili davanti al giudice amministrativo in caso di violazione delle prescrizioni ivi contenute” (cfr. capitolo 1.10.).

Significativamente, tali Linee guida – entrate in vigore il 1° gennaio 2022, per effetto della proroga disposta con determinazione dirigenziale n. 371 del 17 maggio 2021 – prevedono che, in caso di documento informatico formato per via telematica o su supporto informatico, “l'immodificabilità ed integrità sono garantite” – tra l'altro – proprio dall'“apposizione di una firma elettronica qualificata, di una firma digitale o di un sigillo elettronico qualificato o firma elettronica avanzata” (cfr. capitolo 2.1.1.).

Del resto, anche secondo l'art. 1, comma 1, lett. i), D.P.C.M. n. 40/2016, e l'art. 1, comma 1, lett. s), del CAD, la firma digitale è la sola che consente al destinatario “di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico”, con la conseguenza che, in sua assenza, l'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo sembrerebbe pregiudicata a monte.

Ebbene, alla luce di tali disposizioni, appare quanto meno opinabile la qualificazione della firma digitale come (mero) requisito di forma degli atti processuali, benché essa – come visto – sia stata patrocinata dall'Adunanza Plenaria e, prima ancora, da una consistente parte della giurisprudenza amministrativa (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. V, 1 aprile 2019, n. 2126, 9 luglio 2018, n. 4193 e 27 giugno 2018, n. 3953; id.; sez. IV, 28 giugno 2018, n. 3972 e 4 aprile 2017, n. 1541; TAR Campania – Napoli, sez. V, 27 gennaio 2020, n. 369; id., sez. VII, 12 giugno 2017, n. 3201).

Invero, secondo l'orientamento pretorio dominante,“nel processo amministrativo telematico il mancato deposito digitale o l'assenza della firma digitale non danno luogo a inesistenza, abnormità o nullità degli atti, ma solo a una situazione di irregolarità, per cui (…) il giudice amministrativo ordina la regolarizzazione in formato digitale alla parte che ha redatto, notificato o depositato un atto in formato cartaceo” (cfr. TAR Campania – Napoli, sez. III, 4 ottobre 2021, n. 6195). Ciò in quanto “la violazione delle specifiche tecniche del P.A.T., dettate in ragione della peculiare configurazione del sistema informatico della G.A. (cd. S.I.G.A.), non può comportare la invalidità degli atti di procedura compiuti qualora non vengano in rilievo la violazione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione finale, ma, al più, una mera irregolarità sanabile in virtù del principio del raggiungimento dello scopo" (T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 4 aprile 2017, n. 1799)” (cfr. TAR Sicilia – Catania, sez. I, 24 febbraio 2020, n. 474).

In particolare, secondo l'Adunanza Plenaria, “la predisposizione ed il deposito del ricorso in formato non digitale non incorre in espressa comminatoria legale di nullità (ex art. 156, comma 1, c.p.c.)”.

Eppure, anche a voler riconoscere che la sottoscrizione digitale attenga solo alla forma dell'atto, l'art. 156 c.p.c. richiamato in sentenza stabilisce che “non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge” e, invero, tale nullità risulta esplicitamente prevista dall'art. 44, comma 1, lett. a), c.p.a., a mente del quale, “il ricorso è nullo (…) se manca la sottoscrizione”.

In effetti, “non paiono esservi sufficienti elementi testuali o sistematici per dequotare la prescrizione sulla firma digitale di tutti gli atti e provvedimenti inerenti al processo amministrativo telematico ad una mera forma strumentale valida unicamente per il loro deposito, anziché ad una forma univocamente prescritta dal legislatore come mezzo di inequivoca imputazione dell'atto al suo autore a fini sostanziali; (…) di conseguenza, (…) la prescrizione dell'art. 40 c.p.a., in base al quale il ricorso deve contenere la sottoscrizione (…) del difensore munito di procura speciale, dovrebbe intendersi ora riferita alla sottoscrizione mediante firma digitale” e “lo stesso, allora, dovrebbe dirsi in relazione all'art. 44, comma 1, lett. a), c.p.a., per il quale il ricorso è nullo se manca la sottoscrizione” (cfr. TAR Campania – Napoli, Sez. II, 22 febbraio 2017, n. 1053).

Ed infatti, non è mancato nella giurisprudenza di merito chi – a differenza dell'Adunanza Plenaria – ha ravvisato nella sottoscrizione digitale un “requisito essenziale” del ricorso e nella sua mancanza una causa di irricevibilità dello stesso; ciò in quanto, “ai sensi degli artt. 21 e 35 del C.A.D. solo qualora provvisto di firma elettronica, il documento informatico assume valore legale e può soddisfare i requisiti della forma scritta, della identificabilità dell'autore, dell'integrità del documento e della sua immodificabilità” (cfr. TAR Campania – Napoli, sez. I, 28 marzo 2017, n. 1694).

Sul tema, preme rilevare, peraltro, che l'art. 24 del CAD – cui rinvia l'art. 9, comma 1, D.P.C.M. n. 40/2016 – dispone che “l'apposizione a un documento informatico di una firma digitale o di un altro tipo di firma elettronica qualificata basata su un certificato elettronico revocato, scaduto o sospeso equivale a mancata sottoscrizione (…)” (cfr. comma 4-bis). E, se tanto può dirsi per l'apposizione di una firma digitale basata su un certificato elettronico non valido, altrettanto dovrebbe potersi dire in relazione alla mancata apposizione della stessa. Diversamente opinando, tale ultima situazione si gioverebbe di un trattamento ingiustificatamente più favorevole rispetto alla prima.

Oltretutto, l'Allegato A del D.P.C.M. n. 40/2016 (recante, ai sensi dell'art. 19 del D.P.C.M. n. 40/2016, le specifiche tecniche per l'esecuzione di quest'ultimo), prevede che “il fascicolo informatico (…) contiene (…) tutti gli atti, documenti e provvedimenti in formato digitale” (cfr. art. 3 sul “Fascicolo processuale informatico”) e che “l'atto del processo in forma di documento informatico può essere depositato esclusivamente” nei formati indicati nell'art. 12 (“Formato degli atti e dei documenti processuali”), i quali “non devono contenere restrizioni al loro utilizzo per selezione e copia integrale o parziale”. Per l'effetto, ai sensi del medesimo art. 12, “non è ammessa la scansione di copia per immagine”, fatta eccezione solo per i documenti allegati e per la procura alle liti.

E, anche laddove – in ipotesi – si intendesse estendere tale regime ‘derogatorio' al ricorso introduttivo costituito da una scansione dell'atto in formato analogico, comunque si renderebbe necessaria l'attestazione di conformità all'originale, al pari di quanto normativamente previsto per la procura (cfr. TAR Campania – Napoli, sez. VII, 18 giugno 2021, n. 4191, che ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso “per essere la copia informatica della prodotta procura ad litem, rilasciata da parte ricorrente, priva delle necessarie firma digitale e asseverazione di conformità all'originale cartaceo (e dunque di autenticazione) ad opera del difensore”; in senso contrario, cfr., ex multis, TAR Lombardia – Milano, sez. I, 25 marzo 2021, n. 782).

In generale, l'art. 136, comma 2-ter, c.p.a. dispone che, “quando il difensore depositi con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte, di un provvedimento del giudice o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attesta la conformità della copia al predetto atto mediante l'asseverazione di cui all'articolo 22, comma 2, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. (…) Nel compimento dell'attestazione di conformità di cui al presente comma i difensori assumono ad ogni effetto la veste di pubblici ufficiali.”

In particolare, secondo il combinato disposto degli artt. 39 c.p.a. e 83, comma 3, c.p.c., qualora la procura alle liti sia stata conferita su supporto cartaceo, “il difensore che si costituisce attraverso strumenti telematici ne trasmette la copia informatica autenticata con firma digitale, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici e trasmessi in via telematica”.

Analogamente, l'art. 8 del D.P.C.M. n. 40/2016 (“Procura alle liti e conferimento dell'incarico di assistenza e difesa”) prevede che “la procura alle liti è autenticata dal difensore, nei casi in cui è il medesimo a provvedervi, mediante apposizione della firma digitale” (cfr. comma 1) e che “nei casi in cui la procura è conferita su supporto cartaceo, il difensore procede al deposito telematico della copia per immagine su supporto informatico, compiendo l'asseverazione prevista dall'articolo 22, comma 2, del CAD con l'inserimento della relativa dichiarazione nel medesimo o in un distinto documento sottoscritto con firma digitale” (cfr. comma 2). Dello stesso tenore risulta la disciplina dettata dall'art. 14, comma 3, dell'Allegato A del D.P.C.M. n. 40/2016 (sulle “Notificazioni per via telematica”).

Secondo il richiamato art. 22, comma 2, del CAD (“Copie informatiche di documenti analogici”), “le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono estratte, se la loro conformità è attestata da un notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, secondo le Linee guida” adottate dall'AgID, ossia mediante l'apposizione di “firma digitale o firma elettronica qualificata o avanzata” (cfr. capitolo 2.2.).

Sulla scorta di tali previsioni, il Giudice Amministrativo ha più volte sanzionato con l'inammissibilità il ricorso depositato – unitamente a una procura non sottoscritta digitalmente e non asseverata – mediante scansione per immagine dell'atto cartaceo privo di firma digitale e di asseverazione. Ciò in quanto l'art. 45 c.p.a. (“Deposito del ricorso e degli altri atti processuali”) “statuisce l'onere del deposito nella segreteria del ricorso, ovviamente in originale, e, pertanto, il deposito di una fotocopia dello stesso, e non del documento originario, non costituirebbe strumento idoneo a portare all'esame del giudice adito l'atto di impulso processuale ed il relativo ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile (…): situazione del tutto sovrapponibile aldeposito di una copia informatica non asseverata corredata da procura parimenti non asseverata” (cfr. TAR Sicilia – Catania, sez. III, 13 marzo 2017, n. 499 e 5 aprile 2017, n. 716; in termini analoghi, TAR Campania – Salerno, sez. I, 6 febbraio 2017, n. 213).

Dunque, in assenza di un ricorso in formato digitale, l'atto dovrebbe presentare (quanto meno) l'asseverazione di conformità all'originale.

Tuttavia, come visto, l'Adunanza Plenaria, accogliendo l'orientamento maggioritario espresso in precedenza dalla giurisprudenza amministrativa, ha adottato un diverso approccio alla questione: essa, infatti, ha ravvisato nella mancanza della firma digitale una mera irregolarità formale dell'atto, in quanto tale sanabile secondo il regime previsto dall'art. 44, comma 2, c.p.a.

Tale principio non sembra aver riscontrato nella giurisprudenza civile e tributaria un consenso altrettanto condiviso: invero, in materia di PCT e di PTT, la sottoscrizione digitale è stata più volte qualificata quale requisito di validità degli atti processuali, con il conseguente rigetto in rito dei ricorsi che ne fossero sprovvisti.

Un breve excursus sulle differenti soluzioni prospettate dalla giurisprudenza civile e tributaria in materia di processo telematico

In materia di PCT, la Suprema Corte già da tempo ha chiarito che “la firma digitale è pienamente equiparata, quanto agli effetti, alla sottoscrizione autografa in forza dei principi contenuti nel D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e successive modificazioni (cfr., segnatamente, art. 1, comma 1, lett. p) e s), art. 20, comma 3 e art. 21) applicabili anche al processo civile”; pertanto, essa costituisce “- al pari della sottoscrizione dell'atto analogico (cd. cartaceo) ai sensi dell'art. 125 c.p.c. (cfr. tra le altre Cass. n. 1275/2011) - requisito di validità dell'atto introduttivo del giudizio (anche di impugnazione), in quanto essa attiene alla formazione dello stesso e alla sua riconducibilità a chi lo ha formato (nella specie, necessariamente al difensore munito di procura)”.

Secondo gli Ermellini, la mancanza della firma digitale dà quindi luogo a un vizio “non sanabile”, che determina a sua volta l'inammissibilità del ricorso (cfr. Cass. civ., sez. VI, 8 giugno 2017, n. 14338; id., 15 marzo 2021, n. 7206, in cui si afferma non la nullità bensì l'inesistenza dell'atto introduttivo privo di firma digitale; Cass. civ., sez. III, 14 giugno 2021, n. 16746, in cui si afferma indirettamente che il ricorso, a differenza della relata di notifica, rientra tra gli atti processuali di parte che, secondo l'elencazione tassativa di cui all'art. 125 c.p.c., necessitano della sottoscrizione (digitale) del difensore; Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2015, n. 22871).

In effetti, se è vero che la firma digitale è assimilabile in toto alla firma autografa, allora anche ad essa sarà necessariamente preclusa la sanatoria di cui all'art. 182 c.p.c., “norma applicabile ai difetti di rappresentanza, assistenza o di autorizzazione o a quelli della procura e non alla più radicale assenza di sottoscrizione dell'originale dell'atto introduttivo (oltre che della procura), riconducibile all'inosservanza dell'art. 125 c.p.c.” (cfr. Cass. civ., sez. II, 24 dicembre 2021, n. 41484).

Peraltro, secondo le considerazioni di carattere sistematico svolte, mutatis mutandis, dalle Sezioni penali della Cassazione, “il fraintendimento in ordine al procedimento di produzione dell'atto d'impugnazione “in forma di documento informatico” – che, se correttamente seguito, esclude di per sé che detta forma possa consistere in una “scansione di immagini” – costituisce l'antecedente logico dell'equivoco (…) relativo ad una possibile, ma in realtà inesistente, rilevanza di alcuna sottoscrizione manuale dell'atto”; invero la firma digitale, avendo la specifica attitudine “di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico”, è la sola “che, al pari della sottoscrizione del documento cartaceo, consente di riferire l'impugnazione all'autore della stessa”.
Ne deriva “l'inammissibilità in sé e per sé di un atto del procedimento, qual è l'atto di impugnazione, non sottoscritto con firma digitale” (cfr. Cass. pen., sez. II, 25 gennaio 2022, n. 2874).

Oltretutto, anche laddove si tratti di copie informatiche per immagine, esse devono comunque presentare l'apposizione della firma digitale del difensore, “indefettibilmente prevista per attestare, questa volta, la conformità di quanto trasmesso all'originale” (cfr. Cass. pen., n. 2874/2022, cit.). Ciò dicasi senz'altro con riferimento alla procura alle liti, che, ove conferita su supporto cartaceo e copiata per immagine su supporto informatico, deve essere poi asseverata – nel PCT come, del resto, nel PAT – mediante sottoscrizione del difensore con firma digitale, la cui assenza ben può determinare l'inammissibilità dei relativi ricorsi (cfr. Cass. civ., sez. I, 14 maggio 2019, n. 12850).

In un'altra circostanza, la Suprema Corte si è espressa in termini meno ‘tranchants', laddove ha statuito che il ricorso nativo digitale “per essere valido (…) deve essere sottoscritto con firma (ovviamente) digitale” e che, tuttavia, l'assenza di quest'ultima “potrebbe determinare la nullità dell'atto, se non fosse possibile aliunde ascriverne la paternità certa, in ragione del principio del raggiungimento dello scopo” (cfr. Cass. civ., SS.UU., 24 settembre 2018, n. 22438).

Ebbene, il principio enunciato dalla Suprema Corte nella richiamata sentenza n. 14338/2017 – diametralmente opposto a quello affermato in specie dall'Adunanza Plenaria – sembra aver riscontrato consenso non solo tra i Giudici di merito (cfr., ex multis, Corte di appello, Bologna, sez. lav., 20 marzo 2019, n. 234; Corte di appello, Milano, sez. II, 20 gennaio 2022, n. 197) ma anche presso le Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali, che – proprio sulla scorta di quell'autorevole precedente – in più occasioni si sono espresse a favore della qualificazione della sottoscrizione digitale come requisito di validità degli atti processuali formati nella vigenza del PTT.

In particolare, la CTR Emilia-Romagna ha rilevato che l'“assenza di sottoscrizione [digitale] non può essere sanata a posteriori dalla circostanza che la notificazione dei ricorsi sia stata effettuata a mezzo PEC atteso che tale modalità di trasmissione consente di attestare esclusivamente la provenienza dell'atto da un determinato mittente, ma non è in grado di sostituire un requisito di ammissibilità dello stesso (e cioè la sottoscrizione del ricorso)” (cfr. Comm. Trib. Reg. per l'Emilia-Romagna, 5 ottobre 2021, n. 1223/6/2021). E in termini analoghi si era già espressa la CTP Rieti allorquando aveva affermato che il documento formato con modalità digitali e trasmesso telematicamente è giuridicamente efficace e valido in ambito processuale solo qualora vi sia apposta la firma digitale (cfr. CTP Rieti, sez. II, 21 dicembre 2018, n. 262).

Conclusioni

Con la pronuncia in commento, l'Adunanza Plenaria ha adottato un approccio sostanzialistico ispirato al principio di conservazione degli atti processuali: invero, benché la sottoscrizione con firma digitale sia prescritta dalle disposizioni sul PAT, tuttavia, essa non può assurgere a requisito di validità del ricorso, e, per l'effetto, la sua mancanza costituisce una mera irregolarità formale sanabile ai sensi dell'art. 44, comma 2, c.p.a.

Trattasi della soluzione esegetica invalsa già da tempo nella giurisprudenza amministrativa: infatti, dall'entrata in vigore del PAT, solo una esigua parte dei Giudici di merito si era mostrata di altro avviso e – sulla scorta di un'analisi sistematica delle disposizioni dettate in materia – aveva identificato nella firma digitale un requisito essenziale del ricorso, dando prioritario rilievo alla circostanza che solo la sua apposizione è in grado di garantire l'integrità e la paternità (certa) all'atto. Ed anche nella giurisprudenza civile e tributaria si rinvengono alcune (autorevoli) pronunce che, in virtù dei medesimi principi, assimilano la firma digitale alla firma autografa, con la conseguenza che, in presenza di un atto non sottoscritto digitalmente, esso non può che ritenersi irrimediabilmente viziato.

Le diverse soluzioni ermeneutiche così riscontrate in materia di PCT e di PTT offrono senz'altro interessanti spunti di riflessione e inducono a sospettare che l'‘indulgenza' dimostrata in specie dell'Adunanza Plenaria sia destinata senz'altro a far discutere.