Oneri di allegazione del danno non patrimoniale e preclusioni
09 Maggio 2022
La categoria unitaria del danno non patrimoniale
La natura del danno non patrimoniale è stata efficacemente scolpita dalle Sezioni Unite con le sentenze di San Martino nn. 26972-26975 del 11 novembre 2008 che hanno fornito delle risposte ancor oggi valide sia a questioni di carattere dogmatico che a dubbi di natura più strettamente processuale, legati alla possibilità di enucleare diverse sottocategorie di danno non patrimoniale e alle conseguenze sugli oneri di allegazione e di prova. Le Sezioni Unite, partendo dall'art. 2059 c.c., hanno affermato che la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale può essere riconosciuta se il pregiudizio sia conseguenza della lesione di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall'ordinamento positivo.
Il danno non patrimoniale, “identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di suddivisione in sottocategorie. Il riferimento a determinati tipi di pregiudizio, in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale), risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. E' compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.”. L'esigenza preliminare di citare testualmente alcuni passi di questa ormai arcinota sentenza deriva proprio dalla longevità dei principi affermati, grazie alla capacità di adattamento della nozione di danno patrimoniale così concepita alle molteplici esigenze del diritto vivente e ai meccanismi processuali, come si avrà modo di verificare nei paragrafi seguenti. La definizione del pregiudizio non patrimoniale come “danno conseguenza” della lesione di interessi fondamentali consente al giudice di garantire l'integralità del risarcimento, valutando tutte le componenti -voci- del danno, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore-uomo si siano verificate per provvedere poi alla loro integrale riparazione. Le Sezioni Unite contengono però anche un monito sulla necessità di allegare e provare le conseguenze pregiudizievoli, dato che nel caso di lesione di valori della persona il danno conseguenza non è in re ipsa. Anche in caso di ricorso alla prova presuntiva, “Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto”. La Cassazione ha in più occasioni ribadito e anzi enfatizzato l'aspetto della unitarietà del danno non patrimoniale, perseguendo soluzioni processuali elastiche, idonee a garantire l'integralità del risarcimento. Così è arrivata ad affermare che “colui che agisce in giudizio per il risarcimento di danni da illecito soddisfa tutti i requisiti richiesti dagli art. 99, 112, 163 n. 3-4 e 183, comma 5 c.p.c., con la domanda generica di risarcimento di ‘tutti i danni' ricollegabili all'evento lesivo, a nulla rilevando l'eventuale specificazione a titolo esemplificativo di singole voci di danno liquidabili” (Cass. n. 26505/2009); o anche che “non occorre che il danneggiato proponga fin dall'atto di citazione una specifica domanda risarcitoria relativa ad ognuno degli aspetti considerati, essendo sufficiente che egli manifesti inequivocabilmente la volontà di ottenere il risarcimento di ‘tutti i danni non patrimoniali', purché egli specifichi, nel corso del giudizio, i peculiari aspetti che tali danni abbiano concretamente assunto” (Cass. n. 18659/2013, in termini simili Cass. n. 21917/2014, Cass. n. 15523/2019).
Con particolare riferimento al danno morale, più di recente è stato affermato che la relativa richiesta “(…) con le memorie 183 c.p.c. n. 2 costituisce una specifica della più generica richiesta di risarcimento formulata con l'atto introduttivo del giudizio, senza mutazione o alterazione del fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio, non integrando pertanto essa la lamentata mutatio libelli bensì una mera emendato libelli. non potendo considerarsi pertanto tardiva la domanda di relativo risarcimento espressamente proposta solo in sede di precisazione delle conclusioni da chi come nella specie abbia chiesto in atto di citazione il risarcimento del danno (ergo, di tutti i danni) subito in conseguenza del medesimo” (Cass. n. 39442/2021). Sempre sul presupposto della natura unitaria del danno, è stata ritenuta ammissibile l'estensione della domanda anche ai pregiudizi che si producono nel corso del processo e, pertanto, non solo la modifica quantitativa, ma anche l'allegazione di un pregiudizio diverso ed ulteriore rispetto a quello inizialmente dedotto, se manifestatosi a giudizio già instaurato e derivato dal medesimo fatto illecito (Cass. n. 11789/2017, n. 2038/2019).
Coerentemente, una volta affermata l'unitarietà del danno e ritenuta ammissibile la deduzione anche dei pregiudizi verificatisi in pendenza del giudizio, questi ultimi, se non espressamente dedotti, rilevano ai fini del deducibile, e ciò impedisce che gli stessi possano essere fatti valere in un successivo giudizio risarcitorio nel quale si discuta degli effetti della medesima condotta inadempiente o illecita Cass. n. 22879/2021). Oneri di allegazione e preclusioni
Nelle pronunce sopra citate, però, le affermazioni che, quali corollario della unitarietà del risarcimento non patrimoniale, attribuiscono una portata esemplificativa alla allegazione dei vari pregiudizi, si riferiscono, a ben vedere, non ai fatti costitutivi del diritto, ma alle voci di danno intese come categorie descrittive e quindi sfaccettature di un medesimo pregiudizio. Poiché il pregiudizio non è in re ipsa, la nozione unitaria del danno non patrimoniale e delle sfaccettature che lo caratterizzano deve saldarsi con i principi processuali relativi agli oneri di allegazione e prova dei fatti costitutivi della domanda e alle relative preclusioni processuali, in base a quanto disposto dall'art. 163 c.p.c. e dall'art. 183 c.p.c. L'indicazione dell'“oggetto della domanda”, nel caso più frequente in cui la richiesta risarcitoria è per equivalente, assume una rilevanza minore che in altri casi, poiché il petitum è illiquido, e quindi il requisito di cui all'art. 163, n. 3, c.p.c. è soddisfatto anche con la semplice richiesta di risarcimento di “tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali”. Più rilevante è invece l'indicazione della causa petendi, coincidente con i “fatti che costituiscono le ragioni della domanda” di cui all'art. 163, n. 4 c.p.c. e quindi che qualificano la domanda stessa, contribuendo alla costruzione del petitum. Ai fini dell'identificazione della causa petendi posta dalla parte a base della domanda, secondo quanto affermato ormai costantemente nella giurisprudenza di legittimità, non rilevano tanto le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l'insieme delle circostanze di fatto che la parte pone a base della propria richiesta, mentre è devoluta al giudice la corretta identificazione degli effetti giuridici scaturenti dai fatti dedotti in causa (Cass. 4598/2006).
Nel momento in cui si propone una domanda risarcitoria, quindi, occorre descrivere innanzitutto l'evento lesivo di un interesse fondamentale per l'ordinamento positivo che è il nucleo della domanda. Da tale nucleo però si sviluppano le varie conseguenze dannose, patrimoniali e non patrimoniali, che acquistano una loro fisionomia sulla base delle circostanze di fatto narrate dal danneggiato. Se è vero quindi che il giudice, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., pronuncia su tutta la domanda, è anche vero che la domanda poggia su una vicenda storica di competenza dell'attore e sui fatti dallo stesso narrati. I fatti costitutivi riguardano sia l'evento che le conseguenze, anche manifestatesi nel corso del giudizio, perché il diritto al risarcimento è subordinato al prodursi di conseguenze dannose e non è in re ipsa. Da un medesimo evento lesivo possono derivare, ma non necessariamente, molteplici pregiudizi, anche di natura eterogenea il cui apprezzamento contribuisce alla quantificazione del petitum, e anzi alla sua stessa verifica. Affermare che il danno non è in re ipsa significa riconoscere che, a seguito di una condotta illecita lesiva di un diritto della persona, è necessario indagare sull'effettivo prodursi di conseguenze dannose patrimoniali o non patrimoniali, quali presupposto della richiesta risarcitoria. Se sono allegati i fatti costitutivi dell'evento lesivo e di almeno una conseguenza dannosa, sarà soddisfatto il requisito di cui all'art. 163, n. 4 c.p.c.
Ma anche una volta scongiurato il rischio di dichiarazione di nullità della citazione, l'onere di allegazione delle lesioni, patrimoniali e non patrimoniali, prodotte dalla condotta lesiva assolve alla duplice esigenza di circoscrivere il perimetro di decisione del giudice, ai sensi dell'art. 112 c.p.c., e di mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, entro il termine della fase di trattazione del processo, ossia quando, con l'eventuale deposito delle memorie ex art. 183, comma 6, c.p.c., si cristallizza il thema probandum.
Quanto alla prima esigenza, dall'anno 2018 si è assistito a una presa di posizione della giurisprudenza di legittimità, a partire dalla sentenza n. 901/2018, e anche tramite il c.d. “Decalogo” dell'ordinanza n. 7513/2018, volta a censurare le decisioni di merito che avallano deficit di allegazione, ancor prima che di prova, dei vari profili di pregiudizio non patrimoniale, soprattutto con riferimento alla sofferenza umana conseguente alla lesione di un diritto costituzionalmente protetto. Nel punto 5) del “Decalogo” in particolare si afferma che bisogna accertare “in concreto e non in astratto (…) in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito”, perché il “valore uomo” è il patrimonio fondamentale della persona, seppure non in termini di moneta ma di benessere, e la sofferenza è comunque una diminuzione di questo benessere.
Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, esaminare tutte le conseguenze dannose dell'illecito, e dall'altro, evitare di attribuire nomi diversi a identici pregiudizi. Di conseguenza, in sede istruttoria, occorrerà effettuare un approfondito accertamento, facendo anche riferimento al fatto notorio, alle massime di esperienza ed alle presunzioni, ma non attuando alcun automatismo risarcitorio. Si tratta di un'evoluzione giurisprudenziale, a mio parere, del tutto in linea con i principi già affermati dieci anni prima dalle Sezioni Unite con le sentenze di San Martino, e coerente anche con le pronunce che nel corso degli anni hanno applicato tali principi nell'ottica dell'altrettanto fondamentale esigenza di tutela del contraddittorio. Difatti, era già stato affermato che le allegazioni che devono accompagnare la proposizione di una domanda risarcitoria non possono essere limitate alla prospettazione della condotta colpevole della controparte, potenzialmente produttiva di danni, ma devono includere anche la descrizione delle lesioni, patrimoniali e/o non patrimoniali, prodotte da tale condotta, dovendo l'attore mettere il convenuto in condizione di conoscere quali pregiudizi vengono imputati al suo comportamento, a prescindere dalla loro esatta quantificazione e dall'assolvimento di ogni onere probatorio al riguardo (Cass. n. 691/2012). Quando i fatti pregiudizievoli posti a fondamento della domanda di risarcimento non sono stati compiutamente allegati, "la successiva produzione documentale, che pure attesti l'esistenza di quei fatti, non è idonea a supplire al difetto originario di allegazione, giacché ciò equivarrebbe ad ampliare indebitamente il thema decidendum" (Cass. n. 7115/2013).
Più di recente la Cassazione ha richiamato i principi delle Sezioni Unite n. 26972/2008 per una disamina approfondita degli oneri di allegazione che, in ossequio al disposto dell'art. 163, comma 2, n. 4, c.p.c., devono riguardare i fatti primari, ovvero i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del danno e, con specifico riguardo alle conseguenze pregiudizievoli causalmente riconducibili alla condotta, consistono “nella compiuta descrizione di tutte le sofferenze di cui si pretende la riparazione (mentre all'onere di allegazione dei danni non corrisponde un onere di qualificazione giuridica, ovvero il loro inquadramento sub specie iuris, alla luce del principio iura novit curia)”(Cass. n. 25164/2020). La medesima sentenza ha ribadito che l'onere di allegazione è altresì funzionale all'esplicazione del diritto di difesa, onde consentire di circoscrivere il contenuto dello speculare onere di contestazione e, di conseguenza, di delimitare, nell'ambito dei fatti allegati, quelli da provare.
Ma, per quanto attiene al danno morale, considerata la sua dimensione eminentemente soggettiva, “Ad un così puntuale onere di allegazione - la cui latitudine riflette la complessità e multiformità delle concrete alterazioni in cui può esteriorizzarsi il danno non patrimoniale (…) non corrisponde, pertanto, un onere probatorio parimenti ampio”, potendosi fare ricorso al ragionamento probatorio di tipo presuntivo” (ancora Cass. n. 25164/2020). Modificazione della domanda risarcitoria
Rimane allora da capire fino a quale momento del processo una domanda che soddisfa i requisiti minimi di validità di cui agli artt. 163, nn. 3 e 4 e 164, comma 4 c.p.c., e cioè che descrive i fatti costitutivi dell'evento lesivo e di almeno una conseguenza dannosa, possa essere arricchita con l'allegazione di ulteriori fatti descriventi i pregiudizi scaturiti dall'evento. Con riferimento alla domanda risarcitoria, si tratta più di un “arricchimento” o di “integrazione” della medesima domanda e non di vera e propria “modificazione”, nel senso spiegato con molta chiarezza dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 12310/2015. Le Sezioni Unite hanno ritenuto compatibile una modificazione della domanda, eventualmente incidente anche sugli elementi oggettivi di identificazione della medesima, ossia causa petendi e petitum, fino all'esito dell'udienza di comparizione o della scadenza del primo termine di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., qualora concesso, cioè fino a un momento “in cui non è ancora sostanzialmente iniziata la trattazione della causa, non è intervenuta l'ammissione di mezzi di prova, e quindi una modifica anche incisiva della domanda non arrecherebbe pregiudizio all'ordinato svolgimento del processo”. Le domande modificate non possono essere considerate "nuove" nel senso di "ulteriori" o "aggiuntive", trattandosi pur sempre delle stesse domande iniziali modificate che però non si aggiungono a quelle iniziali, ma le sostituiscono e si pongono pertanto, rispetto a queste, in un rapporto di alternatività, sempre però con riferimento a una medesima vicenda sostanziale. Nell'ambito particolare dei giudizi di risarcimento, la Cassazione ha ammesso anche, in un giudizio intentato in origine nei confronti di una struttura sanitaria per ottenere il risarcimento dei danni subiti per avere contratto l'epatite C in conseguenza di una trasfusione di sangue, la successiva domanda, avanzata nella memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., volta ad accertare che l'attore era stato contagiato dal virus non con tale trasfusione, ma per effetto di una "generica infezione nosocomiale nel periodo di degenza", ritenendo che non si determinasse la compromissione delle potenzialità difensive della controparte o l'allungamento dei tempi processuali (Cass. n. 4031/2021). A maggior ragione non mi pare sussistano ostacoli a consentire l'allegazione di ulteriori fatti costitutivi della medesima domanda, come ad esempio, l'esistenza di ulteriori conseguenze dannose, anche patrimoniali, quali l'esborso di spese mediche, a seguito di un evento lesivo dell'integrità psicofisica di cui inizialmente sono state allegate solo conseguenze non patrimoniali, o l'allegazione di ulteriori circostanze di fatto indicative di una particolare sofferenza interiore. Una volta cristallizzato il thema probandum entro la prima memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c., sarà possibile solo l'allegazione di fatti secondari nell'ambito della successiva memoria finalizzata alla richiesta di mezzi istruttori. Si tratta comunque di elementi altrettanto importanti nelle cause di risarcimento del danno non patrimoniale, come già osservato dalla sentenza della Sezioni Unite n. 26972/2008, in cui, ai fini della prova presuntiva “Il danneggiato dovrà tuttavia allegare tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentano di risalire al fatto ignoto.” La distinzione rispetto ai fatti principali a fondamento della domanda, deducibili solo dalle parti assume poi particolare rilievo anche con riferimento all'attività del CTU, tenuto conto di quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un. n. 3086/2022).
Difatti il consulente può acquisire, anche a prescindere dall'attività di allegazione delle parti, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda. Inoltre, l'accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa, mentre l'accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti, viola il principio della domanda e il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d'ufficio.
Nella fase conclusionale del processo il petitum può essere illustrato anche con l'utilizzo di tutte le diverse voci descrittive del danno non patrimoniale, anche non menzionate in precedenza, purché scaturenti dai fatti già tempestivamente allegati. In questo senso deve essere intesa la possibilità di chiedere il risarcimento del danno morale anche con le memorie conclusionali a cui fa riferimento la sentenza della Cass. n. 39442/2021 sopra citata. Conclusioni
Il filo conduttore che dalle Sezioni Unite del 2008 si dipana fino alle pronunce più recenti della Cassazione si rinviene nella distinzione tra fatti costitutivi della domanda, inerenti sia all'evento lesivo che alle conseguenze pregiudizievoli, e voci descrittive dell'unico danno non patrimoniale. Le preclusioni processuali si riferiscono solo all'allegazione dei fatti costitutivi della medesima domanda che possono essere aggiunti fino alla prima memoria ex art. 183, comma 6, o, se sopravvenuti, anche nel corso del giudizio, mentre l'elencazione di voci o tipi di pregiudizio risponde a esigenze meramente descrittive del danno e può avvenire in qualunque momento del giudizio, anche da parte del giudice. |