La legittimazione attiva dei creditori postergati a proporre istanza di fallimento ex art. 6 l. fall. e l'integrazione dello stato di insolvenza

10 Maggio 2022

Il tribunale si è pronunciato sull'ammissibilità dell'istanza di fallimento presentata dal socio quando agisca in veste di creditore, sebbene postergato, chiarendo altresì se i crediti dei soci concorrano ad integrare lo stato di insolvenza ex art. 5 l. fall.
Le massime

La connotazione postergata, ai sensi dell'art. 2467 c.c., del credito del socio non esclude la sua legittimazione attiva a proporre istanza di fallimento nei confronti della società debitrice. Invero l'art. 6 l. fall., nell'individuare i soggetti legittimati all'iniziativa per la dichiarazione di fallimento, non opera alcuna distinzione in ordine alle caratteristiche del credito azionato, né al relativo ordine di pagamento, con la conseguenza che anche il titolare di un credito postergato – in quanto titolare di un diritto patrimoniale che lo legittima all'azione – può agire per la dichiarazione del fallimento del proprio debitore.

Ai fini dell'accertamento e della successiva dichiarazione dello stato di insolvenza di cui all'art. 5 l. fall. rilevano anche i crediti dei soci per il rimborso dei finanziamenti che, ai sensi dell'art. 2467 c.c., sono postergati.

Il caso

Con il provvedimento in oggetto il Tribunale di Palermo affronta il tema dei crediti postergati ex art. 2467 c.c. da una duplice prospettiva: in primo luogo, ai fini della legittimazione attiva alla proposizione dell'istanza di fallimento; in secondo luogo, quale ulteriore elemento che concorre ad integrare – o meno – lo stato di insolvenza della società debitrice.

Per meglio comprendere la vicenda è opportuno ripercorrerne i punti fondamentali.

Viene depositato un ricorso con cui si chiede la dichiarazione di fallimento di una società, nei confronti della quale l'ex socio espone un credito per la restituzione di finanziamenti erogati in suo favore.

Nell'articolare le proprie difese, la società debitrice evidenzia, inter alia, che il credito esposto ed azionato è inesigibile, in quanto postergato ex art. 2467 c.c., con conseguente ritenuto difetto di legittimazione attiva ex art. 6 l. fall. in capo al ricorrente. Inoltre, secondo la società resistente tale credito, stante la sua connotazione postergata, non rileverebbe ai fini dell'integrazione dello stato di insolvenza di cui all'art. 5 l. fall., che pertanto, nel caso di specie, difetterebbe.

Il tribunale è stato così chiamato a valutare se, in primo luogo, la ricorrente avesse la legittimazione attiva alla richiesta della dichiarazione di fallimento; in secondo luogo, se i crediti postergati concorressero all'integrazione dello stato di insolvenza.

Il contesto e l'orientamento della giurisprudenza

La norma di cui all'art. 2467 c.c. persegue l'obbiettivo di contrastare il fenomeno di sottocapitalizzazione che può interessare le società, disincentivando i soci a fornire capitale a prestito piuttosto che di rischio, in modo da ridurre così la propria esposizione.

Pertanto, soddisfatti i due requisiti previsti da tale norma – ossia il possesso della qualifica di socio da parte del soggetto al momento dell'erogazione del finanziamento e l'integrazione di uno stato di eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto –, i crediti dei soci alla restituzione di quanto prestato vengono postergati.

In questo modo si tutelano anche gli altri creditori che, diversamente, verrebbero pregiudicati dal fatto che i soci, piuttosto che effettuare un conferimento, erogando un prestito potrebbero, in un secondo momento, aggravare il dissesto della società tentando di sottrarsi al regime di residualità delle loro pretese rispetto a quelle dei veri e propri creditori sociali.

Il medesimo regime è previsto dal D.Lgs. 14/2019, recante il Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, che all'art. 383, comma 1 recepisce l'orientamento sostanzialista eliminando il riferimento temporale all'anno precedente alla dichiarazione di fallimento contenuto all'art. 2467 c.c., ammettendo l'applicazione di tale regime anche durante la vita della società e rimettendo agli amministratori il dovere di rifiutare il rimborso a favore dei soci finanziatori ove la società versi in uno stato di squilibrio finanziario.

In ragione di tali considerazioni ci si è chiesti se, in primo luogo, i crediti postergati dei soci che traggono origine dal finanziamento concorrano all'integrazione dello stato di insolvenza, che ai sensi dell'art. 5 l. fall. è presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che lo stato di insolvenza si realizza in presenza di una situazione d'impotenza dell'imprenditore, strutturale e non soltanto transitoria, che non gli consente di soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività (così Cass., sez. un., 13 marzo 2001, n. 115 e, di recente, Cass., sez. I, 15 maggio 2019, n. 12994). Dirimente la considerazione che tale situazione prescinde totalmente dalla gradualità da osservarsi nel soddisfacimento delle diverse pretese creditorie vantate nei confronti della società di cui si prospetta l'insolvenza.

In secondo luogo, ci si è domandati se i soci-creditori postergati – che abbiano scientemente deciso di concedere un finanziamento alla società che versi in condizioni di eccessivo squilibrio dell'indebitamente rispetto al patrimonio netto, laddove sarebbe stato invece ragionevole un conferimento – siano legittimati a proporre istanza per la dichiarazione di fallimento ex art. 6 l. fall.

Già la giurisprudenza di merito aveva evidenziato che tale norma attribuisce ai creditori, senza alcuna specificazione, la legittimazione in ordine all'iniziativa per la dichiarazione di fallimento. Inoltre, è stato evidenziato che il socio, da un lato, agisce qui come terzo e, dall'altro, vanta un credito che, sebbene postergato, comunque gli conferisce un diritto patrimoniale legittimante l'esercizio di tale azione.

La Corte di Cassazione ha sul punto precisato che la domanda di fallimento ha un contenuto meramente processuale, rispetto a cui l'accertamento del credito si pone come incidentale ai fini della legittimazione al ricorso. L'art. 6 l. fall., identificando il creditore senza darne alcuna ulteriore specificazione, sembra riferirsi a chi vanta un credito nei confronti dell'imprenditore non necessariamente certo, liquido ed esigibile, ma anche non ancora scaduto o munito di titolo esecutivo, ma comunque idoneo a giustificare un'azione esecutiva.

La soluzione offerta dalla sentenza

Il Tribunale di Palermo ha, in primo luogo, rigettato l'eccezione di difetto di legittimazione attiva sollevata dalla debitrice, che si fondava sulla considerazione per cui i creditori postergati ex art. 2467 c.c. non sarebbero stati legittimati attivi alla richiesta di dichiarazione del fallimento.

La Corte ha ricordato che l'art. 6 l. fall., nell'individuare i soggetti legittimati alla proposizione dell'istanza volta alla dichiarazione di fallimento – ossia il debitore, i creditori ed il pubblico ministero –, non opera alcuna distinzione in ordine alle caratteristiche del credito che viene azionato né, tantomeno, al relativo ordine di pagamento.

Diretta conseguenza di ciò è che il soggetto titolare di un diritto di credito postergato, pur sempre titolare di un diritto di natura patrimoniale che lo legittima all'esperimento dell'azione, può agire per vedere dichiarato il fallimento del proprio debitore.

Il Tribunale ha poi affrontato la questione inerente alla sussistenza dello stato di insolvenza, requisito necessario per la dichiarazione di fallimento. Segnatamente, la Corte si è domandata se l'esposizione debitoria della società a fronte del finanziamento erogatole dai soci e soggetto all'art. 2467 c.c. concorra – o meno – a definire il presupposto di cui all'art. 5 l. fall.

Al riguardo è stato evidenziato che anche i crediti postergati dei soci per il rimborso dei finanziamenti rilevano ai fini dell'accertamento dello stato di insolvenza. Si ha stato di insolvenza quando il debitore versa in una situazione di incapacità strutturale che impedisce di soddisfare regolarmente le proprie esposizioni debitorie, nel senso che, venute meno le condizioni di liquidità e di credito necessarie all'esercizio dell'attività d'impresa, si trova nell'impossibilità di provvedere con gli ordinari mezzi agli adempimenti delle obbligazioni assunte. A tal fine è necessario valutare la situazione esistente al momento della decisione ed anche il suo prevedibile sviluppo: si tratta di una valutazione prognostica che prende in esame non singoli aspetti dell'attività imprenditoriale, ma tutti gli elementi significativi funzionali a verificare l'attitudine dell'impresa a disporre economicamente e finanziariamente dei mezzi necessari a far fronte al regolare adempimento di tutte le obbligazioni; pertanto, non possono certamente essere esclusi i crediti postergati, atteso che la valutazione anzidetta prescinde dalla gradualità̀ da osservare nel soddisfacimento delle diverse pretese che i creditori vantino nei confronti della società̀ di cui si prospetti l'insolvenza.

Conclusioni

La sentenza in commento affronta il duplice problema della legittimazione attiva all'istanza di dichiarazione del fallimento in capo ai creditori postergati ex art. 2467 c.c. e del concorso dei loro crediti nella valutazione dello stato di insolvenza.

La soppressione del fallimento d'ufficio ha rafforzato il ruolo dei soggetti di cui all'art. 6 l. fall., i soli legittimati a dare inizio all'istruttoria prefallimentare. Ritenere che i titolari di un credito postergato non posseggano tale legittimazione significherebbe dare un'interpretazione restrittivache, ad oggi, non trova fondamento in alcuna espressa disposizione di legge. Inoltre, una siffatta interpretazione produrrebbe l'ulteriore effetto di limitare il novero dei soggetti legittimati a proporre istanza di fallimento. Ciò lederebbe, ancorché in via mediata, l'intera classe creditoria, a tutela della quale tutta la normativa in materia di fallimento è improntata.

Anche per quanto concerne la valutazione della sussistenza dello stato di insolvenza, quanto prospettato dalla sentenza in commento appare condivisibile. Non si potrebbe certamente operare una corretta valutazione prognostica rispetto alla capacità della debitrice di portare avanti con mezzi propri l'attività d'impresa senza prendere in considerazione tutte le esposizioni debitorie, incluse quelle connotate dal regime di postergazione nel loro soddisfacimento sancito dall'art. 2467 c.c.

Guida all'approfondimento

A. Messore, La compensazione del debito da aumento di capitale e la postergazione legale dei finanziamenti soci, in Banca borsa tit. cred., 2018, 380; Cass. 20 giugno 2018, n. 16291, in Banca borsa tit. cred., 2020, 199; D. Scano, L. Tronci, Finanziamenti e versamenti dei soci nelle società partecipate, in Giur. comm., 2018, 175; F. Signorelli, L'iniziativa per la dichiarazione di fallimento da parte del creditore postergato, in questo portale, 25 gennaio 2018; L. Mandrioli, I finanziamenti soci interinali nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm., 2019, 615; M. Campobasso, La disciplina dei finanziamenti dei soci postergati dopo il correttivo al codice della crisi, in Banca borsa tit. cred., 2021, 171; M. Palmieri, I finanziamenti dei soci alla luce dei Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, in Giur. comm., 2020, 1004; T. Di Marcello, Effetti della liquidazione giudiziale sul rimborso dei finanziamenti dei soci, in Giur. comm., 2021, 125; Trib. Milano 14 novembre 2019, in Banca borsa tit. cred., 2021, 103; Trib. Pescara 22 settembre 2016, in Giur. comm., 2018, 346.

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