Disponibile la nuova Edizione de "Le imposte sui redditi nel Testo Unico"
13 Maggio 2022
La nuova edizione del Commentario “Le imposte sui redditi nel testo unico” vede la luce in un momento storico particolare. In Parlamento si sta discutendo, con non poche difficoltà, la delega di riforma del sistema fiscale che interessa anche il comparto dell'imposizione sui redditi (personali e societari). Non è la prima volta, dai lontani anni settanta, che vengono presentati disegni di legge di revisione e riordino del nostro ordinamento tributario, ma quasi sempre le ambiziose aspettative in essi contenute sono rimaste deluse. Verrebbe da dire che i progetti di riforma fiscale sono assimilabili alla celebre opera del drammaturgo Samuel Beckett “Aspettando Godot” che, nel teatro dell'assurdo, costruisce la trama sulla condizione dell'attesa. Un'attesa che, però, nel nostro caso, limita la normale produzione normativa a interventi spesso estemporanei e stagionali e fa svolgere un ruolo di supplenza agli arresti della giurisprudenza e alla prassi dell'Amministrazione finanziaria, che nel loro insieme costituiscono un sistema para-legislativo con cui gli addetti ai lavori si devono necessariamente confrontare.
In ogni caso, la prossima dovrebbe essere la stagione della riforma fiscale (ancorché la stessa non sembra che riguarderà una revisione della politica di prelievo tra i diversi comparti impositivi). Rispetto all'ultima edizione del Volume, un tentativo è rinvenibile nel disegno di legge delega del mese di ottobre 2021 che ha fatto seguito al ciclo di audizioni tenutesi nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla “Riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema tributario” dinanzi alle Commissioni Finanze di Camera e Senato. Un piccolo passo verso la riforma dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è stato compiuto con la Legge di bilancio 2022 che, all'insegna della conferma della tassazione progressiva, ha ridotto gli scaglioni dell'imposta da cinque a quattro, rimodulando anche le aliquote del prelievo e, allo stesso tempo, ha modificato le detrazioni d'imposta per le singole tipologie reddituali, disciplinate dall'art. 13 del Testo Unico. È evidente, però, che si tratta di un intervento parziale (lo stanziamento di soli 7 miliardi di euro lo conferma). L'attuale Irpef, infatti, pure a seguito delle modifiche della Legge di bilancio 2022, continua ad essere, nel suo complesso, un sistema distorsivo e, per certi versi, iniquo.
L'esigenza di garantire l'equità orizzontale tra le diverse categorie di produttori di redditi da lavoro (dipendenti, autonomi e pensionati) non è stata ancora soddisfatta, così come continua ad apparire troppo elevata la tassazione degli scaglioni intermedi. Nessuna azione concreta, peraltro, è stata posta in essere per ridurre, e soprattutto razionalizzare, la babele di tax expenditures (basti pensare ai “bonus edilizi”) che condiziona l'imposta netta dovuta dal singolo contribuente e che, di fatto, costituisce uno dei fattori distorsivi dell'equità orizzontale. Attualmente (anche a seguito delle misure del periodo emergenziale da Covid-19) se ne contano oltre 600 per un costo prossimo ai 70 miliardi di euro. L'auspicio è che la riforma sappia individuare i giusti criteri per mantenere in vita solo le tax expenditures che rispondono a reali esigenze di premialità. Con riferimento alla tassazione delle società, invece, il disegno di legge delega non appare cogliere nel segno, limitandosi a principi generici e astratti che speriamo possano, in un futuro neanche troppo prossimo, riempirsi dei giusti contenuti. Sulla tassazione dei redditi d'impresa, infatti, va aperto un cantiere serio e ampio di riforma, con l'obiettivo, in primo luogo, di raccordare ancor meglio la normativa fiscale alla prassi contabile, nazionale e internazionale, garantendo sia una più coerente misurazione della capacità contributiva in linea con gli effettivi risultati economici conseguiti dall'impresa, sia una maggiore sistematicità dei testi normativi. Da un punto di vista sostanziale, la riforma del modello impositivo applicabile alle società non potrà che tenere conto della crisi economica (di liquidità, di investimenti e di approvvigionamenti di materiali) che, iniziata con l'emergenza epidemiologica sta, purtroppo, proseguendo con il conflitto russo-ucraino. Ecco, allora, come già auspicavo nella prefazione della precedente edizione, perché non mettere in discussione tutte quelle disposizioni limitative del Testo Unico, che risultano ancor meno giustificabili nell'attuale contesto? Mi riferisco ai limiti all'utilizzo delle perdite fiscali, per le quali andrebbe valutato l'inserimento di un meccanismo più moderno quale quello del carry-back (da estendersi, magari, anche agli interessi passivi). Qualche riflessione meritano ormai anche i vetusti limiti alla deduzione degli oneri per i veicoli aziendali o per le spese di rappresentanza, che paiono giustificati più da ragioni di gettito che in un'ottica di razionalità del prelievo. Le risorse, questa volta come non mai, sembrano non mancare: i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sono tanti e, se ben spesi, anche con la giusta e mirata politica fiscale, potranno costituire un nuovo volàno per l'economia nazionale. D'altro canto, il cantiere di riforma, ora che l'emergenza epidemiologica (con tutto ciò che ha comportato in termini anche di relazioni politiche e istituzionali) sembra essere meno preoccupante, non può che tenere nella giusta considerazione l'influenza del livello normativo fiscale sovranazionale e comunitario. Quello fiscale, come è noto, specie con riferimento all'imposizione diretta, è un comparto nel quale l'internazionalizzazione e l'armonizzazione, a livello comunitario in special modo, non sono sempre facili e, anzi, trovano l'ostacolo, in sede decisionale, nella regola dell'unanimità (recentemente messa in discussione anche dal nostro Presidente del Consiglio dei Ministri), ma avallata dai non pochi Paesi europei che basano la loro fortuna anche su politiche di dumping fiscale.
Passi in avanti, però, sono stati fatti, ad esempio, con il recente recepimento delle Direttive ATAD ad opera del D.Lgs. n. 142 del 2018, già esaminato nella precedente edizione del manuale, ed oggetto di ulteriori approfondimenti anche in questa. Altre evoluzioni sembrano essere alle porte. In ogni caso, l'importanza dell'orizzonte internazionale è, evidentemente, destinata a diventare sempre più rilevante nella produzione delle norme fiscali, sebbene la strada verso la determinazione di una c.d. Common Corporate Tax Base («CCTB»), vale a dire una base imponibile comune per l'imposta sulle società, sembra essere lunga e impervia. Ad esempio, per il prossimo futuro, la proposta di direttiva COM (2021)565 (nota come ATAD III), che ha lo scopo di identificare le società che esercitano un'attività economica minima o nulla, potrebbe avere importanti risvolti pratici sulla nozione di società di comodo ai fini impositivi, disconoscendo, ai soggetti che non rispetteranno il “substance test” della Direttiva, i benefici derivanti, fra l'altro, dalle Direttive sui regimi di esenzione su dividendi, interessi e royalties. Non può, poi, trascurarsi l'impatto economico e politico derivante dalla spesso non adeguata tassazione delle big company dell'economia digitale. Anche su questo, il contesto internazionale dovrebbe fare di più. Il Pillar II, come noto, definisce i principi di una minimum tax a livello globale pari al 15 per cento, sulla base delle regole elencate nel Globe (global anti-base erosion rules). Una proposta sicuramente ambiziosa e già condivisa dai Paesi del G20 che, però, come sempre in questi casi, raccoglierà i suoi frutti solo se sarà attuata in modo coordinato e in tempi relativamente vicini da un numero rilevante di Paesi. L'esigenza di giungere ad una soluzione in tempi rapidi è accentuata anche dal fatto che, a livello domestico, il nostro Paese ha individuato due soluzioni per la tassazione dei Giganti del web ma, purtroppo, con scarsi risultati. Da un lato, c'è l'imposta sui servizi digitali che, di fatto, è un'imposta ibrida che non riesce ad intercettare, se non in minima parte, il gettito dell'economia digitale. Dall'altro lato, l'art. 162 del Testo Unico, alla lett. f-bis), riconduce nella nozione di stabile organizzazione, soggetto d'imposta nel nostro Paese, la significativa e continuativa presenza economica nel territorio dello Stato costruita in modo tale da non farne risultare una presenza fisica nel territorio. Ad oggi, però, tale disposizione appare sostanzialmente di complessa applicazione, a causa del non semplice coordinamento con le norme contenute nelle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni firmate dal nostro Paese.
Intanto, però, in attesa della riforma, il quadro normativo – e questa non è una novità – è sempre più complesso e frammentario e la giurisprudenza, specie quella di legittimità, che nella sua attività ermeneutica è chiamata a fare da bussola per gli operatori del settore, non può che risentirne. Si pensi al proliferare, quasi quotidiano, di pronunce (non sempre univoche e convergenti) della Suprema Corte di Cassazione sul principio di inerenza, declinato dall'art. 109 del Testo Unico e richiamato in molteplici altre disposizioni. In questo senso, sono note a tutti gli operatori le prese di posizione della Corte di Cassazione che pare, a partire dal 2018, avere abbondonato la nozione di “inerenza quantitativa” cui veniva ricondotta la possibilità per l'Amministrazione finanziaria di censurare i comportamenti antieconomici; ciò, anche in linea con lo “sganciamento” del concetto di inerenza da una specifica disposizione del Testo Unico (fra le altre, Cass. sent. nn. 450 e 3170 del 2018). In altri casi, invece, la produzione giurisprudenziale ha creato un notevole disorientamento tra gli addetti ai lavori. Si pensi alle conseguenze pratiche della recente sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 8500/2021. In tale arresto la Suprema Corte ha affermato che, in caso di contestazione di un componente di reddito ad efficacia pluriennale (quote di ammortamento, sopravvenienze attive rateizzabili, riporto in avanti delle perdite di esercizi pregressi, etc.) per ragioni concernenti “il fatto generatore ed il presupposto costitutivo di esso”, la decadenza del potere di accertamento dell'Amministrazione finanziaria deve essere verificata facendo riferimento al termine per la rettifica della dichiarazione nella quale il singolo rateo del componente pluriennale è indicato e non a quello concernente il periodo di imposta nel quale il detto componente è maturato o è stato iscritto per la prima volta. È evidente che si tratta di una interpretazione che inerisce all'accertamento più che la fiscalità sostanziale, ma è altrettanto evidente che i due comparti sono oggi indissolubilmente legati, in un rapporto osmotico di causa-effetto. Di qui, l'esigenza di riportare nel commentario il contesto giurisprudenziale, calando i principi espressi nella realtà quotidiana di quanti, professionisti e contribuenti, si misurano con le interpretazioni spesso mutevoli concernenti le regole dell'imposizione diretta.
Anche la prassi oggi è, per così dire, di complessa “gestione”. Infatti, se la pubblicazione, dal 2018, della (quasi) totalità delle risposte dell'Agenzia delle Entrate ad istanze di interpello risponde ad una condivisibile ed apprezzabile logica di trasparenza da parte dell'Amministrazione finanziaria, il proliferare di precedenti che ne deriva è, troppo spesso, foriero di possibile confusione per gli addetti ai lavori, chiamati ad individuare le fattispecie più prossime a quella di loro interesse. E ciò, senza considerare che la pubblicazione delle risposte interviene senza che sia nota, ai contribuenti, l'istruttoria di dettaglio condotta e i fatti effettivamente “indagati”. Si pensi, a mero titolo esemplificativo, a tutte le risposte a interpello fornite in tema di operazioni straordinarie; le stesse sono quanto mai varie e articolate, con la conseguenza che i confini della neutralità fiscale ormai sono spesso di incerta individuazione, vista la crescente capacità espansiva che la prassi attribuisce al divieto di porre in essere operazioni abusive del diritto di cui all'articolo 10-bis della L. 212 del 2000.
Ciò che è certo, però, è che oggi non è dalla sola lettura della disposizione che può desumersi, neppure minimamente, la corretta portata applicativa delle norme, ma il lavoro che l'operatore deve compiere è ben più complesso, dovendo spingersi più in là e riguardare una faticosa disamina di giurisprudenza e prassi in un quadro sinottico non sempre chiaro e, in ogni caso, disorganico. In effetti, mi sono chiesto se avesse ancora senso proporre, nel 2022, un Volume così ampio e strutturato. È infatti, quello che stiamo vivendo, un tempo in cui l'informazione, anche quella di carattere strettamente tecnico, è necessariamente rapida, immediata, fruita con continuità quotidiana. La risposta che mi sono dato è stata, però, decisamente affermativa, vista la necessità, a maggior ragione, di punti di riferimento che compendino l'esistente normativo e interpretativo. Oggi come non mai, infatti, è necessario a mio giudizio avere una pubblicazione organica e organizzata, quale questa nuova edizione intende essere. È alla luce di questo contesto, che abbiamo, quindi, proceduto a un aggiornamento del testo, con la consueta volontà di arricchimento e miglioramento dei materiali. L'obiettivo, come sempre, è quello di rendere il manuale più completo e aggiornato, ricco di riferimenti di prassi, dottrina e giurisprudenza e in grado di cogliere, il più possibile, le specificità e le novità di una materia in continua evoluzione. La nuova edizione, in particolare, intende rispondere proprio all'esigenza, da più parti segnalata, di approfondire la prassi e gli orientamenti giurisprudenziali riferibili ai singoli articoli del Testo Unico per consentire una visione organica e sistematica delle diverse disposizioni in esso contenute. Tuttavia, l'obiettivo ulteriore che il Volume si pone è anche quello di consentire al lettore di uscire dalla logica di un commento alla norma per “casi limite”, che possano rivelarsi di interesse solo per chi deve gestire situazioni del tutto analoghe. L'ambizione è quella di fornire una guida aggiornata, ma che riesca, con autorevolezza, a ricostruire il “filo conduttore” che lega l'interpretazione delle diverse norme. Un testo che non si perda in una esasperata e disorientante ricostruzione dei diversi precedenti di prassi o di giurisprudenza ma che li tenga nella adeguata considerazione e che, anzi, dagli stessi parta per individuare quel necessario equilibrio tra attenzione ai singoli casi e giusta ricerca di sistematicità e organicità interpretativa. In effetti, fin dall'origine, il testo ha inteso essere proprio questo: un commento ragionato, e si spera autorevole, delle complesse disposizioni contenute nel Testo Unico delle imposte sui redditi che non si riduca, di fatto, a un “massimario” di prassi e giurisprudenza ma che, comunque, sia caratterizzato da un approccio adeguatamente pratico, che eviti sterili ricostruzioni della funzione astratta delle norme tributarie scissa dalle problematiche che effettivamente gli operatori affrontano quotidianamente.
Speriamo di essere riusciti a fare un buon lavoro. Buona lettura e soprattutto buon lavoro a tutti.
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