La fiscalità delle criptoattività
18 Maggio 2022
Premessa
Il trattamento fiscale delle criptoattività dipende essenzialmente dalla loro qualificazione giuridica, che si presenta alquanto incerta, stante il sostanziale vuoto normativo. È dubbia la soluzione prescelta dall'Agenzia delle Entrate di equiparare le criptovalute a valute estere, essendo forse preferibile, in linea generale ed in aderenza alla prassi contabile, inquadrarle tra i beni immateriali, categoria alla quale verosimilmente appartengono anche le altre criptoattività. Le conseguenze sono decisive, ai fini Ires, Irap, IVA e non solo. L'unica iniziativa legislativa (ancora in fase embrionale) che si registra è il disegno di legge n. 2572 presentato in Senato che sembra allinearsi, seppur ovviamente attraverso l'introduzione di modifiche legislative, alla posizione dell'Agenzia delle Entrate, proponendo l'introduzione di un regime impositivo calibrato su quello delle valute estere. Di certo, è auspicabile che, nelle more dell'introduzione di una normativa ad hoc, la stessa Agenzia delle Entrate non proceda all'applicazione di sanzioni in caso di interpretazioni difformi da quella da essa proposta, vista l'evidente incertezza della materia. Introduzione
La DeFi, la finanza decentralizzata che consente agli utenti di effettuare transazioni senza necessità di intermediari, continua la sua inarrestabile crescita. È quello che alcuni chiamano capitalismo anarchico, risposta della grande crisi americana. Non a caso la nascita del Bitcoin viene collocata nel 2008, data di apparizione dello scritto dello pseudonimo Satoshi Nakamoto, che discettava di una nuova forma di denaro digitale, in grado di inserirsi sia nello scambio di beni, sia nelle operazioni finanziarie. Del resto, come nella finanza tradizionale, tutto nasce dalla moneta (per poi evolversi in strumenti di pagamento, finanziari, collaterali, derivati, ecc.), e quindi nella nostra finanza decentralizzata tutto nasce dalle criptovalute (che invero moneta non sono, perché, salvo la curiosa eccezione di El Salvador, non hanno corso legale in alcuna giurisdizione).
In effetti oggi le criptoattività, ovvero rappresentazioni digitali di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia dei registri distribuiti Distributed Ledger Technology (DLT), che ha la sua manifestazione prima nella blockchain, hanno assunto le forme più varie, dalle stablecoin, agli utility token, ai token ibribi fino ai Non-Fungible-Token (NFT), intorno ai quali ruotano anche le dinamiche del Metaverso. Esse presentano caratteristiche assai diverse, a volte antinomiche, e meritano una trattazione giuridica e tributaria a parte (agli aspetti tributari della finanza decentralizzata è dedicato il Volume di prossima uscita A. Tomassini, Criptovalute, NFT e Metaverso. Fiscalità diretta, indiretta e successoria, Giuffrè Francis Lefebvre, 2022, cui si rimanda per approfondimenti e riferimenti bibliografici).
Siamo in una infosfera dove le dinamiche economico-finanziarie si intersecano con quelle socio-culturali, in continua evoluzione grazie ai (o per colpa dei) mezzi offerti dalla tecnologia. Nella DeFi le transazioni vengono scandite dagli smart contract, ovvero protocolli che eseguono o controllano eventi o azioni in modo automatico sulla base di condizioni prestabilite e di cui oggi si dibatte sulla riconducibilità o meno a contratti giuridicamente vincolanti.
Stando al proprium di questo breve scritto, va innanzitutto indagata la qualificazione giuridica delle criptovalute e delle criptoattività perché è dall'inquadramento del fenomeno in una determinata categoria che discende il trattamento tributario. Le tre categorie alle quali le criptovalute vengono abitualmente ascritte, nel sostanziale vuoto normativo, sono le valute estere (lettura sposata dalla nostra Agenzia delle Entrate dalla Risoluzione 72/2016 in avanti), gli strumenti (rectius i prodotti) finanziari o i beni immateriali (categoria cui riteniamo senz'altro ascrivibili gli NFT e che oggi verosimilmente è la più appropriata anche per le criptovalute).
Le conseguenze della qualificazione giuridica sul piano tributario sono decisive, basti pensare che se si sposa una delle prime due assimilazioni sopra richiamate ci si dirige verso un regime di esenzione delle transazioni sotto il profilo IVA, mentre se, invece, si sposa l'equiparazione a beni immateriali, le transazioni in criptovalute andrebbero sostanzialmente sempre ad inquadrare operazioni assoggettate ad IVA. Stesse, decisive, differenziazioni si producono agli effetti del trattamento contabile. Il principio della derivazione rafforzata, che rende immediatamente rilevanti agli effetti tributari le scelte operate sul piano contabile, importa di passare, ad esempio, dal trattamento tributario delle attività e passività in valuta a quello delle rimanenze nel caso dell'assimilazione a beni immateriali.
Del resto, l'esercizio dell'interpretazione estensiva e finanche analogica (invero di interpretazione è corretto parlare quando il tentativo è quello di “estendere” il significato della norma, mentre nel caso dell'analogia più che di interpretazione è corretto parlare di “integrazione”) è necessitato, atteso il vuoto normativo che caratterizza la materia. Il disegno di legge Senato 2572
L'iniziativa legislativa (ancora a livello embrionale e quindi con limitate probabilità di successo) contenuta nel disegno di legge Senato n. 2572 ha l'ambizione di introdurre nuove regole antiriciclaggio e fiscali in tema di criptovalute. In particolare, il disegno di legge punta ad introdurre una (singolare) definizione di criptoattività come “unità matematica” (la valuta virtuale sarebbe dunque una forma di unità matematica) e di ulteriori obblighi antiriciclaggio per i fornitori di servizi relativi alle criptovalute.
Quanto più specificamente alle regole fiscali, vengono proposte delle modifiche impattanti soprattutto sulla fiscalità delle persone fisiche non imprenditori, prevedendo un trattamento ad hoc ma sostanzialmente allineato alla posizione dell'Agenzia delle entrate, posto che si tratterebbe di modifiche normative comunque calibrate sulla disciplina delle valute estere.
Segnatamente, il disegno di legge propone di intervenire sulla disciplina dei redditi diversi, includendo espressamente le valute virtuali nelle lettere c-ter) e seguenti dell'art. 67 T.u.i.r. Quanto al costo fiscale, la proposta è quella di modificare il comma 6 dell'art. 68 T.u.i.r. nel senso di considerare pari a zero il costo fiscale delle criptovalute acquisite gratuitamente e invece di utilizzare il costo documentato con data certa negli altri casi. Inoltre, il disegno di legge prevede l'introduzione di un singolare meccanismo di rivalutazione del costo fiscale delle criptovalute con il pagamento di una imposta sostitutiva sullo stile delle normative di rivalutazione fiscale delle partecipazioni. Il disegno di legge propone altresì di confermare sul piano legislativo l'obbligo di presentazione del quadro RW della dichiarazione dei redditi per le valute virtuali sostenuto dall'Agenzia dell'entrate, introducendo tuttavia un'esenzione dal predetto obbligo per “depositi” sotto i 15.000 Euro. Verrebbe in ogni caso confermato il non assoggettamento ad IVAFE. Le modifiche normative determinerebbero, chiarendo i dubbi interpretativi oggi esistenti, l'irrilevanza fiscale di operazioni non realizzative quali i prelievi dai portafogli virtuali (il ragionamento di fondo sembrerebbe essere incentrato sulla mancanza di effettività e attualità di capacità contributiva nei casi di prelievo da wallet funzionale a spostare semplicemente le criptovalute verso altro wallet del medesimo contribuente o anche di perdita di possesso delle chiavi private per attacchi informatici o altre ragioni) e le cosiddette operazioni crypto to crypto (conversione di criptovaluta in altra criptovaluta). Viene infine prevista una modifica alla lett. h) dell'art. 44 T.u.i.r. volta ad includere “i rapporti attraverso cui possono essere gratuitamente acquisite, a qualunque titolo, valute virtuali”. Ciò comporterebbe la riconducibilità alla categoria dei redditi di capitale dei proventi derivanti dalle attività di Forging o Staking, ovvero di Yield Farming di nuove criptovalute nell'ambito di progetti di finanza decentralizzata, e dei proventi ottenuti nell'ambito di operazioni di Savings di criptovalute.
Si tratta come detto di una iniziativa legislativa in una fase del tutto preliminare che invero sembra risolvere solamente una minima parte delle questioni tributarie che ruotano attorno alle criptoattività e peraltro nemmeno in modo convincente, perché dubitiamo fortemente della bontà della tesi che fa leva sulla assimilazione criptovalute-moneta.
Di certo, è auspicabile che l'Agenzia delle Entrate, nelle more dell'introduzione di un compiuto quadro normativo, non proceda all'applicazione di sanzioni in caso di interpretazioni difformi da quella da essa proposta riscontrate in fase di verifica e accertamento, vista l'evidente incertezza della materia.
Ad oggi, l'unica definizione disponibile di criptovalute sul piano dello ius positum è quella della normativa antiriciclaggio, che serve a escludere la qualifica come moneta, ma che presenta una genericità non appagante, anche agli effetti tributari. Il riferimento è al d.lgs. 25 maggio 2017, n. 90, che inquadra la valuta virtuale come “rappresentazione digitale di valore” utilizzabile come “mezzo di scambio”.
Si tratta di un ausilio interpretativo fallace, perché derivato dalla normativa antiriciclaggio e quindi ispirato dall'esigenza di repressione di fenomeni illeciti e dalla volontà di abbracciare quante più fattispecie possibili, con un'ampiezza definitoria che renderebbe invero compatibile la assimilazione delle criptovalute a ognuna delle tre categorie giuridiche sopra indicate (valute estere, prodotti finanziari, beni immateriali). In ogni caso non pare soddisfacente, né sul piano logico né su quello giuridico, la soluzione proposta dall'Agenzia delle Entrate circa la qualificazione delle valute virtuali come valute estere, che peraltro sembra trovare una certa adesione nel citato disegno di legge n. 2572/2022. La posizione dell'Agenzia fa leva sulla nota sentenza Hedqvist della Corte di Giustizia Europea (causa C-264/14), che ne ha valorizzato il ruolo di mezzo di pagamento in un caso dove, tuttavia, era chiara tale funzione (e peraltro mai propugnando l'equiparazione alle valute estere). Si tratta di una interpretazione ormai anche piuttosto risalente (Risoluzione 72/2016) e figlia di una lettura della sentenza Hedqvist da superare. Le criptovalute non sono valute, per l'assenza di corso legale; non sono estere, per la loro connaturata a-territorialità.
Chiarito ciò, riteniamo, tuttavia, che non vi sia una soluzione alternativa definitiva, e che sovente occorra procedere con metodo casistico cercando di orientarci a seconda della funzione della criptovaluta (e della criptoattività). In altre parole potrebbe essere opportuno, anche considerando i diversi contesti e ambienti giuridici dove possono presentarsi, ora considerarle come un bene immateriale, ora come un mezzo di scambio, ora come uno strumento (rectius un prodotto) finanziario, con le relative conseguenze impositive. Se dobbiamo esprimere un favor, ribadiamo non valido erga omnes, verosimilmente, allo stato della legislazione vigente, la qualificazione più appropriata per le criptoattività è quella di beni immateriali (aderiamo alla teoria evolutiva per cui questi, visto il tenore dell'art. 810 c.c., che ritiene bene tutto ciò che possa formare oggetto di diritti, non siano un numerus clausus). Sono tali, quasi certamente, gli utility e i non fungible token, ai quali sono sempre agganciati diritti, ma fors'anche le criptovalute (o magari alcune di esse), ancorché queste inquadrino dei token “puri” o “vuoti”, posto che non sono necessariamente collegati a diritti.
In conclusione
In definitiva, con riguardo alle fiscalità delle criptovalute, l'equiparazione a valute estere propugnata oggi dall'Agenzia delle Entrate imporrebbe il loro trattamento fiscale, per i privati non imprenditori, come redditi diversi (aliquota del 26 per cento e irrilevanza delle operazioni a pronti sotto la soglia dei 51mila euro) e comporterebbe l'obbligo di compilazione del quadro RW (ancorchè non l'assoggettamento ad IVAFE, sempre secondo l'Agenzia). Ancora, per le società e i titolari di reddito di impresa l'equiparazione comporterebbe l'applicazione delle regole fiscali apprestate per le attività e passività in valuta, l'irrilevanza IRAP e l'esenzione IVA. A conclusioni radicalmente diverse, invece, si giungerebbe in caso di assimilazione a beni immateriali che, tra le altre conseguenze, importerebbe l'imponibilità Irap e IVA.
Quanto agli NFT, in assenza di disposizioni legislative e qui anche di chiarimenti dell'Agenzia delle Entrate, l'assimilazione a beni immateriali sembra più netta. Il loro essere inquadrabili tra i beni immateriali digitali ci sembra innanzitutto condurre alla loro assimilazione ai fini IVA alle prestazioni di servizi effettuate attraverso mezzi elettronici, con le relative conseguenze in punto di territorialità di tali prestazioni. Sotto il profilo delle imposte dirette, riteniamo che il loro trattamento debba seguire il bene sottostante a cui l'NFT è abitualmente legato. I proventi originati dalla cessione di NFT da parte di soggetti residenti in Italia, persone fisiche o giuridiche attive nel relativo mercato, possono dar luogo a redditi di impresa o di lavoro autonomo. Occorre quindi aver riguardo ai ricavi ex art. 85 T.u.i.r. e ai compensi per prestazioni di lavoro autonomo ex artt. 53 ss. T.u.i.r. Occorre poi prestare attenzione alla transnazionalità dei flussi e quindi alla applicazione eventuale di ritenute e convenzioni contro le doppie imposizioni.
Infine il Metaverso (un mondo di mezzo tra realtà virtuale ed aumentata che punta a riprodurre il mondo reale) e la sua fiscalità. Riteniamo che i redditi prodotti nel Metaverso non siano tassabili nel mondo reale, almeno fin quando non entrino in relazione con quest'ultimo e risultino suscettibili di creare ricchezza reale, o se si preferisce capacità contributiva tassabile. Ciò in quanto i guadagni di varia natura che invece si esauriscono nel Metaverso ad oggi non sembrano dissimili dalle vincite nei video game, a meno che non generino eventi realizzativi, appunto, nel mondo reale.
In sostanza oggi le vicende impositive nel Metaverso sono legate a quelle degli NFT, che sono lo strumento attraverso il quale circolano a titolo oneroso beni e servizi in tale nuovo mondo.
I temi trattati nel presente scritto sono approfonditi nella monografia di prossima uscita A. Tomassini, Criptovalute, NFT e Metaverso. Fiscalità diretta, indiretta e successoria, Giuffrè Francis Lefebvre, 2022, cui si rimanda anche per i riferimenti bibliografici. Si rende altresì noto che sarà disponibile un video NFT di presentazione dell'opera su OpenSea nel quale l'Autore dialoga con Niccolò Abriani, Autore della Presentazione del Volume. |