Rettificazione di sesso e mancata conversione in matrimonio dell'unione civile: una questione di legittimità costituzionale
17 Maggio 2022
Massima
L'interesse pubblico alla definizione certa del genere sessuale non richiede che sia sacrificato il diritto del singolo alla conservazione della propria integrità psicofisica. Non deve, pertanto, sussistere un obbligo dell'intervento chirurgico quale condizione imprescindibile per l'acquisizione di una nuova identità di genere; anzi, la nuova identità di genere può essere il frutto di un processo individuale che non postula la necessità dell'intervento di rettificazione dei caratteri sessuali, purché il percorso scelto sia connotato da serietà e univocità e giunga all'approdo finale, mediante rigorosi accertamenti tecnici eseguiti in sede giudiziale.
Per la protezione costituzionale di cui godono le unioni civili omoaffettive il legislatore avrebbe dovuto prevedere un meccanismo di adattamento, ove quest'ultime siano attraversate da una vicenda di rettificazione di sesso di una delle parti. Il che, tuttavia, non è, atteso che la scelta di valore tradotta nella l. 76/2016 si è inequivocabilmente orientata in una direzione diametralmente opposta, concependo il non automatico transito tra unione civile e matrimonio, ma pur sempre intervallato da uno iato temporale all'interno del quale il nucleo essenziale dei diritti e doveri del rapporto di coppia, siccome sprovvisto di protezione, diviene sostanzialmente oggetto di potenziale affievolimento integrale. Il caso
Due uomini contraggono un'unione civile in Italia nell'anno 2019. Uno dei contraenti l'unione si sottopone all'iter per la rettificazione del sesso, presentando, secondo la relazione del consultorio, una disforia di genere di tipo FtM. Su tale presupposto la persona transgender agisce in giudizio dinanzi al Tribunale di Lucca, per essere autorizzata all'intervento chirurgico di rettificazione del sesso biologico, premettendo di intendere mantenere un legame giuridico consolidato con il proprio partner, convertendo l'unione civile in matrimonio, in difetto di un espresso divieto dell'ordinamento. La questione
Il Tribunale di Lucca, nel valutare i presupposti per assecondare la richiesta del ricorrente, dopo approfondita disamina della normativa e del diritto vivente, ha ritenuto doversi sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 26 l.76/2016, nella parte in cui non prevede che, con il mutamento del sesso di uno dei partner, l'unione civile abbia a sciogliersi automaticamente, senza facoltà per gli uniti di convertire l'unione civile in un matrimonio. Nel ritenere fondato il quesito sollevato dal ricorrente, il Tribunale ha rimesso alla Consulta l'ulteriore questione dell'assenza di un litisconsorzio necessario esteso all'unito civilmente nel giudizio di autorizzazione all'intervento chirurgico per il cambio di sesso del partner. Le soluzioni giuridiche
L'art. 1, comma 26, della L. sulle Unioni Civili e le Convivenze (l. 20 maggio, 2016, n. 76) prevede, come noto, l'automatico scioglimento dell'unione civile, una volta intervenuta la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei contraenti l'unione. Il comma successivo stabilisce, invece, che alla rettificazione di sesso, intervenuta in costanza di matrimonio, ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli effetti civili, consegue l'automatica instaurazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Il Tribunale, nel premettere come il ricorrente, nel caso di specie, non si fosse ancora sottoposto ad alcun intervento chirurgico demolitivo e/o modificativo dei caratteri sessuali, ma soltanto ad una terapia di tipo ormonale, ha ritenuto in primo luogo la piena legittimazione dello stesso, anche in difetto di un intervento chirurgico, ad essere autorizzato alla rettificazione del sesso. Sul punto il tribunale lucchese ha fatto piena applicazione dell'indirizzo della giurisprudenza costituzionale, in forza del quale l'intervento chirurgico modificativo dei caratteri sessuali primari non integra più un "prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, bensì, un possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico" (cfr. Corte Cost. 221/2015). Ciò premesso, il Tribunale ha richiamato altresì l'orientamento della giurisprudenza nomofilattica, a tenore del quale "il riconoscimento giudiziale del diritto al mutamento di sesso non può che essere preceduto da un accertamento rigoroso del completamento di tale percorso individuale da compiere attraverso la documentazione dei trattamenti medici e psicoterapeutici eseguiti dal richiedente, se necessario integrati da indagini tecniche officiose volte ad attestare l'irreversibilità personale della scelta" (Cass. sent. n. 15138/2015). Ritenuta la legittimazione ad agire del ricorrente, il tribunale lucchese è passato all'esame della seconda questione sottesa al caso di specie, ovverosia la richiesta, formulata senza il pieno contraddittorio delle parti dell'unione, di convertire l'unione civile in matrimonio, come conseguenza riflessa dell'autorizzazione alla rettificazione del sesso del ricorrente. Secondo la tesi di quest'ultimo, l'ordinamento non imporrebbe alcun divieto alla conversione automatica dell'unione civile in matrimonio. Richiamata sul punto una pronuncia del Tribunale di Brescia del 2019, secondo la quale, in assenza di normativa che contempli espressamente la possibilità di procedere alla conversione dell'atto di stato civile avente ad oggetto uno dei due coniugi, deve ritenersi applicabile analogicamente l'art. 70-octies d.P.R. 396/2000 a norma del quale: "Nell'ipotesi di cui all'articolo 31, comma 4-bis, del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, l'ufficiale dello stato civile del comune di celebrazione del matrimonio o di trascrizione se avvenuto all'estero, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, procede all'iscrizione dell'unione civile nel registro delle unioni civili con le eventuali annotazioni relative alla scelta del cognome ed al regime patrimoniale, l'estensione analogica della suddetta norma ai casi come quello di specie, oltre ad essere costituzionalmente orientata nel rispetto del fondamentale principio di uguaglianza, garantisce il superamento della illogica discordanza, allo stato esistente, tra i dati relativi al genere di xxxxxx, già modificati sui documenti identificativi e quelli invece risultanti dalla trascrizione dell'unione civile in cui la ricorrente risulterebbe ancora di genere maschile...” Sennonché il Tribunale ricusa detta interpretazione, ritenuto che l'art. 12 delle Preleggi non consenta l'applicazione analogica al di fuori di un caso di lacuna nell'ordinamento; lacuna che non è ravvisabile nel caso di specie, atteso il tenore letterale dell'art. 1, comma 26 della Legge sulle Unioni Civili e le Convivenze, che prevede l'automatico scioglimento dell'unione civile, in conseguenza della sentenza di rettificazione del sesso di uno dei contraenti. Ciò rilevato, secondo il ragionamento del Tribunale, la norma anzidetta è idonea a generare un'irragionevole discriminazione a danno dei contraenti l'unione civile, che senza la facoltà di convertire automaticamente la propria unione in matrimonio (come, all'opposto, invece, accade con i coniugi, secondo quanto prevede il successivo comma 27), assisterebbero inermi allo scioglimento del loro legame, con obbligo, ove ritenuto, di procedere alla celebrazione di un successivo matrimonio. Come noto, tuttavia, alla celebrazione del matrimonio può giungersi solo a seguito di alcuni preventivi adempimenti, uno su tutti l'obbligo (assente nella disciplina dell'unione civile) delle pubblicazioni. Ne consegue che, nel periodo di tempo tra lo scioglimento dell'unione civile e la celebrazione di un nuovo matrimonio, la coppia rimarrebbe sostanzialmente priva di una tutela giuridica adeguata, con ciò determinandosi, secondo il ragionamento del Tribunale, una violazione del loro diritto alla continuità affettivo-familiare, come previsto dall'art. 8 CEDU. Ritiene, da ultimo, il Tribunale, richiamato l'art. 31, comma 4-bis, d. lgs. 150/2011, la necessità di una partecipazione al procedimento dell'altro contraente l'unione civile, affinché gli uniti possano rendere una dichiarazione congiunta dinanzi al tribunale, sino all'udienza di precisazione conclusioni, di volersi unire in matrimonio, indicando il regime patrimoniale comune e stabilendo il cognome comune, con ordine all'ufficiale dello stato civile del comune di costituzione dell'unione civile o di registrazione, se costituita all'estero, di iscrivere il matrimonio nel registro degli atti di matrimonio e di annotare le anzidette dichiarazioni relative alla scelta del cognome ed al regime patrimoniale. Nel sollevare la questione di costituzionalità in relazione all'ultima questione dedotta, il Tribunale prospetta una sorta d'inedita e nuova forma di celebrazione del matrimonio, dinanzi ad un giudice, anziché di fronte all'Ufficiale di Stato Civile o ad un ministro del culto. Osservazioni
Il Tribunale di Lucca ha sospeso il giudizio rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale e attenzionandola su cinque diverse questioni di costituzionalità, le prime due, con riferimento all'art. 1, comma 26, l. 76/2016, e le successive, con riferimento all'art. 31, comma 4-bis, d.Lgs. n. 150/2011. Il tutto manifesta sospetti di incostituzionalità delle norme anzidette per violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, nonché per contrarietà agli artt. 8 e 14 della Carta Europea dei Diritti dell'Uomo. In sostanza, per il tribunale è irragionevole, nonché discriminatorio, non consentire a una parte dell'unione civile di proseguire il proprio legame con l'altro contraente, mediante conversione in matrimonio dell'unione, una volta che una delle Parti agisca in giudizio chiedendo la rettificazione del proprio sesso, quando, invece, all'opposto, ma in una situazione analoga, due persone eterosessuali sposate potrebbero mantenere il loro legame sotto la forma protetta dell'unione civile. Il comma 26 della Legge Cirinnà prevede che, con il mutamento del sesso di una delle parti dell'unione, questa si sciolga automaticamente; ciò non accade, invece, in una coppia sposata che, in forza del successivo comma 27, continuerebbe a mantenere uno status privilegiato, pur rappresentato dalla diversa forma dell'unione civile. Accade sostanzialmente che, con il cambiamento di sesso di uno dei contraenti, si assiste a una causa di scioglimento automatica dell'unione civile, dal carattere irreversibile, in ragione del fatto che l'unione civile è istituto ontologicamente rivolto a persone dello stesso sesso. Per inquadrare al meglio la fattispecie all'esame del tribunale occorre brevemente rivolgere l'attenzione alla natura dell'istituto dell'unione civile, confrontandolo con quello matrimoniale. È noto che il legislatore del 2016 abbia attinto, ai fini della regolamentazione degli effetti dell'unione civile, a molte delle norme riservate alla disciplina matrimoniale. Cionondimeno, sussistono evidenti differenze tra i due istituti, specie con riguardo alla diversa regolamentazione della fase di formazione del vincolo, nonché a quella patologica dello scioglimento. Innanzitutto, l'unione civile non si celebra, ma si costituisce, a differenza del matrimonio, e non è preceduta dagli adempimenti che la legge richiede ai nubendi per convolare a nozze. Il matrimonio civile richiede altresì la celebrazione, come detto, dinanzi all'Ufficiale di Stato Civile del comune di residenza di entrambi gli sposi, ancorché a tale regola possa derogarsi secondo quanto prevede l'art. 109 c.c. Come noto, invece, l'unione civile può essere costituita in ogni Comune d'Italia, a richiesta dei contraenti, senza impedimenti. L'unione civile si costituisce con una dichiarazione all'Ufficiale di Stato Civile del Comune scelto dai contraenti, che deve essere confermata entro i 180 giorni successivi, pena la perdita di efficacia della prima. La particolare speditezza del procedimento di costituzione dell'unione civile è a fondamento della ratio del discusso comma 27 dell'art. 1 l. 76/2016, secondo il quale alla rettificazione di sesso di uno dei due coniugi consegue l'automatica conversione del matrimonio in un'unione civile. Il medesimo ragionamento non può valere, secondo le disposizioni di legge, per il procedimento inverso. Con il cambio di sesso di uno dei contraenti, infatti, l'unione civile si scioglie automaticamente e i partners sono, per così dire, costretti a intraprendere l'iter di legge per la celebrazione di un matrimonio, ove ritengano di sottoporvisi. Nella pendenza tra lo scioglimento dell'unione e la celebrazione di un nuovo matrimonio, gli uniti civilmente perdono il loro status, rimanendo sostanzialmente senza adeguata tutela, privati dei diritti che discendono dall'unione civile. In quell'intervallo di tempo, il rischio di eventi drammatici (pensiamo all'improvvisa morte di uno dei due) potrebbe concretamente vanificare ogni tentativo, da parte del legislatore, di conferire una protezione speciale alla coppia, anche prevedendo meccanismi di sostentamento post mortem dell'altro partner, come, ad esempio, il trattamento di reversibilità e i diritti successori. Sul punto si ritiene di dover muovere una critica al Tribunale, nella parte in cui ha ritenuto di ricondurre il comma 26 a una violazione dell'art. 2 Cost., in relazione al riconoscimento in favore dell'unione omoaffettiva di una speciale tutela, quale formazione sociale meritevole di protezione costituzionale; è chiaro che, con il cambio di sesso dell'unito civilmente viene a mancare il riferimento all'art. 2 Cost., nel senso stabilito dal legislatore del 2016, non più ricadendosi nell'ipotesi dell'unione omoaffettiva quale formazione sociale meritevole di protezione costituzionale, ma piuttosto in una violazione degli artt. 3 Cost. e 8 e 14 CEDU (comunque censurate dal tribunale), quale diritto alla non discriminazione nonché alla continuità affettivo-familiare della coppia, composta da due persone di sesso diverso, che perde il proprio status, in forza della previsione contenuta nella L. 76/2016. A questa “perdita” secondo il Tribunale potrebbe rimediarsi mediante l'estensione del contraddittorio processuale all'altro contraente unito civilmente che, con una dichiarazione congiunta ed espressa personalmente, potrebbe richiedere al Tribunale una sorta di celebrazione, in corso di giudizio, di un nuovo matrimonio. Infatti, l'art. 31, comma 4-bis, d.lgs. n. 150/2011 stabilisce che, fino alla precisazione delle conclusioni, colui che ha proposto domanda di rettificazione e il coniuge hanno facoltà di dichiarare congiuntamente in udienza di voler costituire un'unione civile in caso di accoglimento della domanda, con successiva iscrizione dell'unione civile nell'apposito registro da parte dell'ufficiale di stato civile competente. In questo senso, il comma 4 del medesimo articolo prevede la partecipazione personale del coniuge al processo, mediante notificazione dell'atto di citazione proposto dall'altro coniuge. La soluzione non pare francamente cogliere nel segno, perché con l'accoglimento della questione di legittimità si istituirebbe una nuova forma di costituzione del matrimonio, peraltro in violazione degli articoli citati prima, omettendo una serie di adempimenti da svolgere, che la Legge demanda appositamente ai coniugi e all'ufficiale dello stato civile, giungendo financo a ignorare la necessità della celebrazione del matrimonio, che è insita nell'istituto. La questione di fondo andrebbe semmai inquadrata con riferimento agli artt. 3 e 14 CEDU, denunciando invero un trattamento di sfavore da parte del legislatore per le coppie omoaffettive e, in questo caso, per la persona transgender, discriminazione che diviene particolarmente odiosa anche solo confrontandola con il quadro normativo europeo-occidentale (nel 2021 l'ultimo “avamposto scettico” dell'Europa occidentale, insieme all'Italia, la Svizzera, ha approvato, con referendum assunto a grande maggioranza, l'introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso). L'approdo giurisprudenziale della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, come noto (tra tutte Shalk e Kopf c. Austria), ha, tuttavia, mantenuto la linea dell'ambiguità, riservando ai legislatori nazionali ogni più ampia facoltà di disciplinare l'istituto matrimoniale e, quindi, legittimando la fondatezza dell'intero impianto normativo della l. 76/2016. Una provocazione: per “risolvere”, per così dire, la questione sollevata dal Tribunale di Lucca, sarebbe invero necessario che la Consulta estendesse (ma non si vede come) le Unioni Civili alle coppie eterosessuali: non sarebbe una novità, del resto, nel piano normativo e giurisprudenziale europeo, con la Corte Suprema Britannica, che già il 27 giugno 2018, aveva a denunciare una violazione degli artt. 8 e 14 CEDU dell'analoga disciplina delle unioni civili britannica (discendente dal Civil Partnership Act del 2004), riservata, sin dall'allora, alle sole coppie omosessuali.
Riferimenti
Barbato, Alla Corte Costituzionale l'impossibilità di convertire l'unione civile in matrimonio a seguito della sentenza di rettificazione di sesso di uno dei partner, in Articolo29.it; Di Palma, La perdurante preclusione delle unioni civili alle coppie eterosessuali nel Regno Unito. L'incompatibilità del Civil Partnership Act 2004 con gli artt. 8 e 14 CEDU, in Rivista Familia; Fasano, Unioni civili: forma, diritti e doveri,in IlFamiliarista. |