Fine della relazione tra due conviventi: è possibile vendere la casa familiare e spartirsi il ricavato anche in presenza di figli minori?

Paola Silvia Colombo
17 Maggio 2022

Due conviventi more uxorio sono proprietari al 50% della casa familiare acquistata con mutuo. La coppia si scioglie e il padre intende vendere la casa e con il ricavato estinguere la sua parte di mutuo e la parte residua da spartirsi tra i due ex. La madre si oppone. In caso di figli minori, il genitore comproprietario dell'immobile adibito a residenza familiare ha facoltà di sciogliere la comunione oppure prevalgono le norme sulla tutela della prole minore a risiedere nell'abitazione familiare?

Due conviventi more uxorio sono proprietari al 50% della casa familiare acquistata con mutuo. La convivenza termina, il padre intende vendere la casa e con il ricavato estinguere la sua parte di mutuo e spartire con l'ex la somma rimanente. La madre si oppone. In caso di figli minori, il genitore comproprietario dell'immobile adibito a residenza familiare ha facoltà di sciogliere la comunione oppure prevalgono le norme sulla tutela della prole minore a risiedere nell'abitazione familiare?

Occorre preliminarmente evidenziare che l'assegnazione della casa coniugale è una misura, prevista dall'art. 337-sexies c.c., che risponde all'unica esigenza di tutelare l'interesse della prole a conservare l'habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare.

L'obiettivo dell'assegnazione è, infatti, solo quello di tutelare la prole e rendere meno traumatico il cambiamento della loro vita causato dalla cessazione del rapporto tra i genitori.

L'assegnazione della casa familiare, come noto, spetta al genitore affidatario e/o collocatario dei figli (ossia il genitore che vivrà prevalentemente con i figli minori) e può essere disposta pacificamente anche a seguito della separazione di genitori non uniti in matrimonio (Cfr. Cass. civ. 13 dicembre 2018, n. 32231 e Cass. civ. sent. n. 10102/2004).

L'applicabilità della misura dell'assegnazione, anche in caso di interruzione di convivenza more uxorio tra genitori con figli minori era, già stata riconosciuta con la sentenza della Corte Costituzionale n. 166/1998, che aveva esteso ai figli “naturali” le regole sull'assegnazione della casa familiare previste per i figli “legittimi”. Ha poi trovato ulteriore conferma per effetto della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli) il cui art. 4 aveva unificato la nuova disciplina per tutte le situazioni di disgregazione del nucleo genitoriale sia nella famiglia matrimoniale (separazione, nullità, divorzio) sia nella famiglia non matrimoniale.

Vi è quindi oggi una norma giuridica - in materia di assegnazione della casa familiare - che disciplina in modo identico ed esclusivo l'assegnazione in caso di disgregazione della coppia genitoriale (a seguito di separazione, divorzio, annullamento del matrimonio, cessazione della convivenza fuori dal matrimonio).

Non solo, quindi, in caso di separazione personale dei coniugi o di divorzio, ma anche nel caso di cessazione della convivenza more uxorio, è riconosciuto a favore del coniuge o del convivente presso il quale sono prevalentemente collocati o affidati i figli minori o convivono i figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti o portatori di handicap il diritto di continuare ad abitare la casa familiare, anche se questa è in comproprietà o di proprietà esclusiva dell'altro coniuge o convivente o di terzi.

Nell'ipotesi in cui i conviventi abbiano figli minori (come nel caso di specie) e siano entrambi comproprietari della casa familiare e cointestatari del mutuo stipulato per l'acquisto, la proposta del genitore di vendere l'immobile, utilizzare il ricavato per estinguere il mutuo e ripartire la rimanenza al 50% potrà essere assecondata solo si vi è un accordo espresso tra gli stessi (non potendo neppure essere disposta dal Giudice della famiglia).

In mancanza di accordo troveranno quindi certamente prevalente applicazione le norme sull'assegnazione volte a tutelare la prole minorenne in caso di disgregazione del nucleo familiare e il diritto della stessa a continuare ad abitare nell'abitazione familiare.

Pertanto la madre, laddove non sia favorevole ad alienare l'abitazione di cui è comproprietaria, ben può rivendicare in un eventuale giudizio incardinato per la regolamentazione dell'affidamento e del mantenimento della figlia minore l'assegnazione della casa familiare, tenuto conto che convive stabilmente con una figlia minorenne e il padre è uscito di casa.

È irrilevante che la proprietà del bene immobile sia di uno, dell'altro o di entrambi gli ex conviventi. In assenza di intese differenti tra i genitori, prevale sempre e comunque l'esigenza di garantire alla prole minore la conservazione dell'habitat domestico.

Si precisa altresì che il diritto di assegnazione è un diritto personale atipico di godimento, trascrivibile e opponibile a terzi ai sensi dell'articolo 2643 c.c. (Cass. civ., 3 marzo 2006, n. 4719; Cass. civ., 9 settembre 2016, n. 17843.

Trattandosi di diritto di godimentosui generis" si estingue soltanto per il venir meno dei presupposti che hanno giustificato il relativo provvedimento o a seguito dell'accertamento delle circostanze di cui all'art. 337-sexies c.c. legittimanti una sua revoca giudiziale (possibile nel caso in cui l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio).

Pertanto, il genitore non assegnatario, comproprietario dell'immobile assegnato, conserva sempre la titolarità giuridica dello stesso ma non ne ha (per un certo periodo di tempo) la materiale disponibilità.

Il genitore non assegnatario dovrà comunque farsi carico pro quota del pagamento delle rate del mutuo. Le sorti del pagamento delle rate del mutuo non sono, infatti, influenzate dalla interruzione della convivenza ma dipendono esclusivamente dall'intestazione del medesimo. Se è cointestato continueranno entrambi i genitori a pagare le rate nella misura del 50% ciascuno, salvo eventuali diversi accorsi da formalizzare.

Se è intestato ad uno solo dei genitori, continuerà l'intestatario a pagarlo.

Si ricorda da ultimo che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al genitore, convivente con i figli non autosufficienti, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente, per nove anni dalla data dell'assegnazione, ovvero - ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto - anche oltre i nove anni (Cfr. Cass. civ. n. 377 /2020).

Infatti, la funzione della trascrizione del provvedimento o dell'accordo di assegnazione della casa coniugale è quella di rendere opponibile ai terzi l'esistenza di tale vincolo sull'immobile.

Una volta pubblicizzato tale provvedimento presso la conservatoria immobiliare di competenza, il genitore assegnatario potrà, infatti, far valere il proprio diritto abitativo nei confronti di terzi che, successivamente, abbiano acquistato quell'immobile, perché venduto dal coniuge non assegnatario.

In questo modo, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare sarà opponibile al terzo successivo acquirente del bene, atteggiandosi a vincolo di destinazione, estraneo alla categoria degli obblighi di mantenimento e collegato all'interesse superiore dei figli a conservare il proprio “habitat” domestico.

Il provvedimento di assegnazione non è invece opponibile al terzo che abbia acquistato i suoi diritti sull'immobile in base ad un atto trascritto in data anteriore al provvedimento di assegnazione.

Ne discende in conclusione che l'immobile oggetto della assegnazione stabilita con provvedimento giudiziale può ben essere venduto ma all'acquirente sarà sempre opponibile il diritto dell'assegnatario ad utilizzare il bene finché ne sussistano i presupposti previsti dalla legge.

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