Sequestro preventivo finalizzato alla confisca, la Cassazione precisa la nozione di profitto
23 Maggio 2022
Con la sentenza in esame, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla validità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaro nella disponibilità dell'imputato, costituenti il profitto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale da quest'ultimo commesso in relazione al fallimento di una s.p.a. Nello specifico, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 240 c.p. e 321 c.p.p., in quanto difetterebbe il nesso pertinenziale tra il delitto di bancarotta fraudolenta e la somma oggetto di sequestro, non derivando essa in via diretta ed immediata da tale delitto.
La doglianza è infondata. La Corte di cassazione, infatti, ha chiarito che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca costituisce profitto del reato anche il bene acquistato con somme di denaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo (Cass. pen., sez. un., n. 10280/2007).
In particolare, i Giudici precisano che nel concetto di prodotto o provento di reato vanno compresi non soltanto i beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che lo stesso realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa.
Pertanto, «qualsiasi trasformazione che il denaro illecitamente conseguito subisca per effetto di investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia causalmente collegata al reato stesso ed al profitto immediato - il denaro - conseguito e sia soggettivamente attribuibile all'autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto». Ne consegue che il bene costituente profitto del reato è suscettibile di confisca diretta ogni qualvolta esso sia ricollegabile causalmente in modo preciso all'attività criminosa posta in essere dall'agente.
Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
*Fonte: DirittoeGiustizia |