Adozione internazionaleFonte: L. 31 dicembre 1998 n. 476
19 Maggio 2022
Inquadramento
L'adozione internazionale, disciplinata dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, riguarda il caso di un minore residente in uno Stato contraente (lo Stato di origine) che sia stato o debba essere trasferito, a scopo adozionale, in un altro Stato (lo Stato ricevente). Perché si faccia luogo all'adozione è necessario che:
Accanto alla posizione del minore, la Convenzione prende in esame e regola quella degli aspiranti genitori: lo Stato ricevente deve stabilire previamente l'idoneità e la capacità educativa dei futuri adottanti, accertare che questi abbiano usufruito di una consulenza adeguata, autorizzare il minore ad entrare e risiedere nello Stato. Inoltre, l'art. 29 l. 31 dicembre 1998, n. 476 vieta qualsiasi contatto tra gli adottanti ed i genitori di origine od altre persone alle quali il bambino sia stato affidato.
Orientamenti a confronto
L'adozione, certificata conforme alle disposizioni della Convenzione dall'Autorità competente dello Stato ricevente, deve essere riconosciuta ad ogni effetto di legge negli altri Stati contraenti (art. 2, l. n. 476/1998). Il riconoscimento dell'adozione determina il riconoscimento del rapporto di parentela del bambino con i genitori adottivi e della conseguente responsabilità genitoriale di questi, nonché dello scioglimento del preesistente vincolo di parentela con i genitori di origine e con i parenti di questi ultimi (qualora nello Stato contraente l'adozione produca tale effetto) (art. 26, l. n. 476/1998). Inoltre, l'art. 27, l. n. 476/1998 precisa che se con l'adozione concessa nello Stato di origine non si prevede lo scioglimento del preesistente rapporto di parentela, essa nello Stato ricevente può essere convertita in una adozione che produca tale effetto, purché la legge interna di tale Stato lo consenta, ed i consensi relativi siano stati accordati. La Convenzione de L'Aja individua un'Autorità centrale, che lo Stato contraente deve designare, e ad essa attribuisce le più diverse competenze. Lo scopo dell'Autorità centrale è quello di collaborare e promuovere la cooperazione per la tutela di minori ed il conseguimento degli altri scopi della Convenzione, fornendo inoltre informazioni sul proprio ordinamento e sull'attuazione della Convenzione, promuovendo lo sviluppo di servizi di consulenza e di assistenza per l'adozione, preparando relazioni generali sull'esperienza maturata nel campo dell'adozione internazionale (art. 9, l. n. 476/1998). All'Autorità centrale vengono altresì attribuiti compiti in relazione a singoli procedimenti, alcuni tipicamente «giudiziari», di vera e propria tutela dei diritti soggettivi: essa raccoglie, conserva e scambia informazioni relative alla situazione del bambino e dei futuri genitori (art. 9, l. n. 476/1998); redige relazioni concernenti gli aspiranti adottanti (idoneità, capacità, storia ed anamnesi familiare e personale, motivazioni all'adozione, ecc.) (art. 15, l. n. 476/1998) nonché lo stato di adattabilità del minore, la sua storia ed anamnesi personale e familiare (art.16, l. n. 476/1998). L'Autorità dello Stato di origine trasmette a quella dello Stato ricevente la relazione così redatta, nonché l'attestazione dei consensi richiesti e dei motivi che hanno determinato la dichiarazione di adottabilità (art.16, l. n. 476/1998). L'Autorità centrale (art. 21, l. n. 476/1998) può revocare l'affidamento del bambino ai futuri genitori adottivi e provvedere per una collocazione temporanea, così come può disporre l'immediato inserimento del minore in un'altra famiglia, ovvero individuare un'altra soluzione e, solo come extrema ratio, rimpatriare il bambino. Tutti provvedimenti assunti, nel nostro ordinamento, dal Tribunale per i minorenni, e, secondo la Convenzione de L'Aja, dall'«Autorità centrale», che provvede in via amministrativa con decisioni apparentemente insuscettibili d'impugnazione (potrebbe, forse, essere valutata l'ammissibilità di un loro riesame innanzi ilessere riesaminate dal T.A.R.). Inoltre, l'art. 40 l. n. 476/1998 esclude qualsiasi riserva da parte degli Stati contraenti, mentre l'art.39, l. n. 476/1998 consente agli Stati contraenti, sebbene entro determinati limiti, di stipulare accordi per una migliore applicazione delle disposizioni della Convenzione. La l. 31 dicembre 1998, n.476, ratifica e rende esecutiva la Convenzione de L'Aja e sostituisce integralmente il Capo I, Titolo III, della l. n. 184/1983 sull'adozione dei minori stranieri. Essa specifica, determina ed integra la Convenzione: prevede che i compiti dell'Autorità centrale siano distribuiti tra più organi (Tribunale per i minorenni; Commissione per le adozioni internazionali costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e composta da un presidente, un magistrato o un dirigente statale con specifica esperienza nel settore minorile, e da rappresentanti di vari ministeri e della Conferenza per i rapporti tra lo Stato e le regioni (art. 38, l. n. 184/1983). A tale Commissione sono inoltre attribuite funzioni amministrative con riferimento alle singole procedure per l'adozione).
La procedura di adozione internazionale
I coniugi richiedenti presentano una «dichiarazione di disponibilità» al Tribunale per ·i minorenni del distretto di residenza, e viene ampiamente valorizzato il duplice ruolo dei servizi locali, di informazione e supporto ai coniugi, e di acquisizione di elementi sulla loro situazione (personale, familiare, sanitaria). Il giudice si pronuncia sulla sussistenza o meno dei requisiti per adottare, ed il decreto può essere revocato per cause sopravvenute. Tanto il decreto di idoneità che quello di revoca sono reclamabili (entro 10 giorni dalla comunicazione) presso la Corte d'appello, ma non sono ricorribili per cassazione. Gli aspiranti all'adozione hanno l'obbligo di rivolgersi agli enti autorizzati dalla Commissione i quali devono controllare l'iter adozionale, curando i rapporti con i richiedenti e con lo Stato di origine del minore. La Commissione, cui già sarà stato trasmesso il decreto di idoneità degli aspiranti, autorizza l'ingresso del minore e la sua residenza in Italia. In mancanza di autorizzazione non è ammesso ingresso di minore a scopo adozionale, salvo ipotesi del tutto eccezionali (eventi bellici, calamità naturali, o altro grave oggettivo impedimento). L'adozione di minori pronunciata all'estero scioglie ogni legame con la famiglia di origine ma non deve essere contraria ai principi fondamentali del diritto di famiglia e dei minori. Il Tribunale ordina la trascrizione nei registri dello stato civile del provvedimento straniero, ma la rifiuta quando:
Per un anno dopo l'ingresso in Italia, i servizi locali e gli enti autorizzati assistono i genitori adottivi ed il minore; in ogni caso essi controllano l'andamento dell'inserimento (anche se è già “perfetto” e trascritto il provvedimento di adozione) e segnalano al Tribunale per i minorenni eventuali difficoltà (art. 34 l. n. 184/1983). Inoltre, siammette la possibilità di adozione pronunciata dall'Autorità centrale di un Paese straniero, su istanza di cittadini italiani, residenti in quello Stato, che verrà automaticamente riconosciuta in Italia, con provvedimento del Tribunale minorile di trascrizione nei registri dello stato civile, ma solo se i richiedenti dimostrino di aver soggiornato continuativamente nello Stato estero e di avervi la residenza da almeno 2 anni. I coniugi che intendano adottare un minore straniero ne devono far richiesta al Tribunale del loro luogo di residenza (se le residenze fossero diverse è da ritenere che sussista competenza concorrente dell'uno e dell'altro Tribunale; se invece i richiedenti risiedano all'estero, è competente ilTribunale minorile del luogo dell'ultimo domicilio in Italia, o, in mancanza, quello di Roma). La domanda deve essere sottoscritta da entrambi gli aspiranti adottanti o da un loro procuratore speciale; non è necessaria una specifica richiesta di adozione, come è previsto per il minore italiano (e ciò si spiega agevolmente: l'abbinamento non viene effettuato dal giudice italiano e la scelta del fanciullo è controllata dagli enti autorizzati e dall'autorità straniera). Nella domanda di adozione nazionale può essere indicata la volontà di adottare un minore straniero e ·richiedersi la dichiarazione di idoneità, che non è specificamente prevista per l'adozione di minore italiano. La domanda non richiede forme particolari, e sarà eventualmente corredata da documentazione ulteriore a quella richiesta dall'ufficio (certificato di residenza, cittadinanza, stato di famiglia, certificato penale, attestato medico di buona salute o certificato di eventuali infermità, ecc.), allegandosi ad esempio un parere tecnico circa l'idoneità della coppia. Il Tribunale incarica poi i servizi sociali di adeguate indagini; ricevuta la relazione, sente gli aspiranti e può disporre eventuali ulteriori accertamenti circa la sussistenza dei requisiti degli adottanti. Il provvedimento che dichiara l'idoneità o che la nega è emesso in camera di consiglio, sentito il PM, nella forma del decreto motivato. Il decreto è impugnabile ai sensi degli artt. 739 e 740 c.p.c.: dunque con reclamo entro 10 giorni dalla comunicazione, sia per il PM che per i coniugi richiedenti, davanti alla sezione minorile della Corte d'appello. Ove il reclamo sia proposto da uno solo dei coniugi, deve necessariamente provvedersi all'integrazione del contraddittorio: l'idoneità all'adozione non può sussistere senza la concorde volontà di entrambi. Non pare ammissibile ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.: non si tratta, nella specie, di provvedimento «definitivo» (pur incidendo sicuramente sul diritto dei coniugi l'aspettativa di adottare un minore straniero) ed esso potrebbe essere sempre revocato o modificato, sulla base di nuovi elementi acquisiti. Così il PM potrebbe chiedere la revoca dell'autorizzazione (se gli constasse la sopravvenienza di elementi di idoneità) e all'opposto i coniugi dichiarati inidonei potrebbero presentare nuova domanda. Gli enti autorizzati e la commissione per le adozioni internazionali
Al centro della procedura è posto l'ente “autorizzato”. Esso deve:
L'autorizzazione è data dalla Commissione per le adozioni internazionali, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche per la famiglia, e composta da un vice presidente nominato dal Presidente del Consiglio nella persona di un magistrato o dirigente dello Stato con esperienza nel settore minorile e di vari rappresentanti di ministeri e della conferenza Stato-regioni, che ha compiti ulteriori di collaborazione con gli altri Stati, di preparazione di accordi bilaterali in materia, di tenuta dell'albo degli Enti autorizzati, di promozione di iniziative di informazione, di autorizzazione all'ingresso del minore nello Stato, di certificazione della conformità dell'adozione alle disposizioni della Convenzione de L'Aja. L'ente autorizzato svolge le pratiche di adozione nello Stato indicato dai coniugi aspiranti; raccoglie dall'autorità straniera la proposta di incontro, con la documentazione relativa al minore ed alla sua famiglia; informa i coniugi e li assiste in tutte le attività da svolgersi all'estero; riceve il consenso scritto all'incontro da parte dei coniugi con il minore e lo trasmette all'autorità straniera; riceve da quest'ultima l'attestazione della sussistenza dello stato di abbandono del minore e dell'impossibilità di procedere all'adozione interna; richiede alla Commissione l'autorizzazione per l'ingresso del minore nello Stato; vigila sull'effettivo trasferimento; svolge attività di sostegno al nucleo adottivo in collaborazione con i servizi sociali. È la Commissione per le adozioni internazionali ad autorizzare l'ingresso e la residenza permanente del minore straniero in Italia, dopo aver valutato la documentazione trasmessale e le conclusioni dell'ente autorizzato: l'adozione deve rispondere al superiore interesse del minore. La norma (art. 32, l. n. 184/1983) precisa i casi in cui l'autorizzazione non è data (perché appunto l'adozione non risponde all'interesse del fanciullo):
La Commissione dà comunicazione dell'emessa autorizzazione agli uffici consolari del luogo, che rilasciano al minore il visto d'ingresso per adozione. Al di là delle ipotesi suindicate (e salve le ipotesi ordinarie di ingresso a fini familiari, di studio, di cura, turistici), il divieto d'ingresso per i minori è totale. Unica eccezione l'impossibilità di espletare regolarmente la procedura adozionale a causa di eventi bellici, calamità naturali, ecc.: deve comunque sussistere l'interesse diretto ed esclusivo del minore all'ingresso nello Stato, e tale ingresso è dunque funzionale ad un provvedimento di adozione, che rappresenta, nella specie, l'unica via praticabile. In tal caso gli uffici di frontiera segnalano l'ingresso alla Commissione e al Tribunale per i minorenni. Se comunque il minore sia entrato nello Stato, al di fuori delle situazioni consentite, il Tribunale per i minorenni del luogo in cui egli si trova, assume i provvedimenti temporanei e può segnalare la situazione alla Commissione perché prenda contatto con il Paese di origine del minore stesso. Il provvedimento straniero
L'adozione pronunciata all'estero da uno Stato contraente ha efficacia automatica nel nostro ordinamento, ma qualora l'adozione sia stata pronunciata nello Stato estero prima dell'ingresso del minore in Italia (e ciò accade nella maggior parte dei casi), il Tribunale minorile verifica la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 4 della Convenzione, ed accerta che l'adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati comunque alla luce del preminente interesse del fanciullo. È possibile l'espletamento di un periodo di prova da svolgersi in Italia e sotto il controllo dell'autorità italiana: in tal caso il Tribunale riconosce il provvedimento straniero come affidamento preadottivo e ne stabilisce la durata in un anno dall'insediamento nella nuova famiglia. Se l'affidamento avrà dato buona prova, il Tribunale pronuncerà l'adozione; in caso contrario potrebbe revocare l'affidamento, inserire il minore in un'altra famiglia ovvero provvederne al rimpatrio, se confacente ai suoi interessi; il minore ultraquattordicenne deve prestare il proprio consenso; quello ultradodicenne deve essere personalmente sentito; ma potrebbe essere sentito pure quello di età inferiore, se ritenuto capace di un sufficiente discernimento. . Se invece non vi è necessità di “perfezionamento” dell'adozione, effettuati gli accertamenti suindicati, il Tribunale ancora verifica la presenza della certificazione della Commissione circa la conformità dell'adozione alla convenzione nonché l'autorizzazione all'ingresso nello Stato, e ordina quindi la trascrizione del provvedimento straniero sui registri dello stato civile. Tuttavia, il Tribunale non ordina la trascrizione quando:
Competente a decidere è il Tribunale del luogo di residenza dei coniugi richiedenti, al momento dell'ingresso del minore in Italia. Nulla dice la norma sul regime delle impugnazioni: è da ritenere che il provvedimento possa essere reclamato presso la Corte d'appello, ed avverso esso non sembra ammissibile il ricorso ex art. 111 Cost.. Ipotesi «speciale» di adozione è quella pronunciata dall'autorità competente di un Paese straniero, ad istanza di cittadini italiani che dimostrino di avervi soggiornato continuativamente e di avervi avuto residenza da almeno due anni. Se sussistono tali presupposti, il provvedimento straniero, che viene evidentemente pronunciato in base al diritto locale, viene «riconosciuto» in Italia con provvedimento del Tribunale per i minorenni purché conforme ai principi della Convenzione de L'Aja. Il minore entrato nello Stato a seguito di un provvedimento straniero di adozione, gode, dall'ingresso, di tutti i diritti attribuiti al minore italiano in affidamento. Il minore straniero abbandonato in Italia
Presupposto fondamentale dell'intera disciplina sull'adozione internazionale è l'art. 37-bis, l. n. 184/1983 ove si precisa che al minore straniero in stato di abbandono, presente nel nostro Stato, si applica la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza. Il principio contenuto nell'art. 37-bis è di applicazione necessaria, stante l'esigenza di garantire sempre e comunque il preminente interesse del minore, indipendentemente dalla sua nazionalità. Sul punto sono intervenute alcune Convenzioni, tra le quali si ricorda la Convenzione europea de L'Aja per il rimpatrio dei minori, del 28 maggio 1970: essa tempera il principio del rimpatrio a richiesta dello Stato di origine, attribuendo notevole rilevanza, nell'interesse del fanciullo, alla posizione dello Stato ospitante. Occorre pertanto equilibrare l'esigenza di rispetto verso lo Stato di appartenenza del minore, nella prospettiva di regolari e non conflittuali relazioni internazionali, senza tentazioni di eccessivo “nazionalismo giuridico”, e l'esigenza di proteggere il fanciullo straniero che si trovi in stato di abbandono in Italia. Il minore straniero con l'adozione acquista lo stato di figlio e diventa cittadino italiano con la trascrizione del provvedimento nei registri dello stato civile, in piena conformità con la vigente legge sulla cittadinanza (art. 3, l. 5 febbraio 1992, n. 191). Se una coppia plurinazionale può adottare un minore straniero, questi potrebbe acquistare una doppia cittadinanza: quella italiana e quella del genitore straniero o addirittura avere una triplice cittadinanza; ne consegue la necessità di scelta entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. Inoltre, il minore straniero adottato assume il cognome del padre, sostituendolo all'originario. Minore italiano e adottanti stranieri
Gli artt. 40 ss., l. n. 184/1983 regolano i rapporti tra minore italiano in abbandono e presente nel territorio dello Stato, e coniugi richiedenti residenti all'estero, italiani o stranieri. Tali coniugi possono presentare domanda a più tribunali minorili, mentre la competenza residuale del Tribunale per i minorenni di Roma riguarderà esclusivamente il caso di minori che si trovino all'estero (e che mai abbiano avuto domicilio o residenza in Italia). All'esito degli accertamenti il Tribunale procede all'abbinamento e all'affidamento preadottivo autorizzando l'espatrio del minore. La vigilanza sull'affidamento è effettuata dal console del luogo di residenza degli adottanti (nella sua veste di giudice tutelare) il quale può servirsi di organizzazioni assistenziali italiane e straniere. La legge prende altresì in considerazione la posizione del minore italiano in stato di abbandono all'estero, e correttamente precisa che si applicano anche ai cittadini residenti all'estero le disposizioni dell'art. 9, commi 6, 7 e 8 l. n. 184/1983. Quanto al minore straniero all'estero, per il quale l'autorità dello Stato di appartenenza abbia disposto adozione a favore di coniugi italiani, e il Tribunale ne abbia dichiarato l'efficacia, come affidamento preadottivo, potrebbe accadere che l'autorità straniera revochi il suo provvedimento e ne emetta un altro. In tal caso troverebbe applicazione l'art. 42, l. n. 184/1983: il secondo provvedimento non potrebbe essere dichiarato efficace, almeno fino alla revoca dell'affidamento preadottivo. Riconoscimento in Italia di pronuncia di adozione all'estero del figlio di uno dei coniugi dello stesso sesso da parte dell'altro coniuge
Una recente pronuncia della Corte Costituzionale (C. Cost. 07 aprile 2016, n. 76) ha dichiarato l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della l. 4 maggio 1983, n. 184, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui, come interpretati secondo diritto vivente, non consentano al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all'interesse del minore adottato all'estero il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto o meno effetti in Italia. Casistica
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