Adozione internazionale

Flavio Astiggiano
19 Maggio 2022

L'adozione internazionale, disciplinata dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, riguarda il caso di un minore residente in uno Stato contraente (lo Stato di origine) che sia stato o debba essere trasferito, a scopo adozionale, in un altro Stato (lo Stato ricevente).
Inquadramento

L'adozione internazionale, disciplinata dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993, riguarda il caso di un minore residente in uno Stato contraente (lo Stato di origine) che sia stato o debba essere trasferito, a scopo adozionale, in un altro Stato (lo Stato ricevente). Perché si faccia luogo all'adozione è necessario che:

  • le competenti Autorità dello Stato diorigine abbiano dichiarato lo stato di adottabilità del minore che si trovi in stato di abbandono ed abbiano comunque preso in esame la possibilità di una sistemazione alternativa nello stesso Stato (di origine), giungendo alla conclusione che l'adozione internazionale realizzi il migliore interesse del bambino;
  • le stesse Autorità abbiano accertato che persone, istituzioni, Autorità, tenute a prestare il consenso ai fini dell'adozione, abbiano usufruito di adeguata consulenza, siano state informate pienamente sui concreti effetti del consenso e dell'adozione (specie nell'ipotesi dicessazione di ogni vincolo con la famiglia di origine), abbiano prestato liberamente il proprio assenso (e questo non dovrà in alcun modo essere stato indotto da pagamenti o compensi di qualsiasi tipo), consenso che deve essere manifestato per iscritto;
  • sia accertato che il consenso della madre sia prestato dopo la nascita del figlio, e che, se quello del minore sia richiesto, questi abbia usufruito di adeguata consulenza e sia stato informato degli effetti dell'adozione, siano stati presi in considerazione desideri ed opinioni di lui, fermo restando l'accertamento della libertà del consenso espresso dal minore che deve essere manifestato od attestato per iscritto (art. 4 Conv. de L'Aja 29 maggio 1993).

Accanto alla posizione del minore, la Convenzione prende in esame e regola quella degli aspiranti genitori: lo Stato ricevente deve stabilire previamente l'idoneità e la capacità educativa dei futuri adottanti, accertare che questi abbiano usufruito di una consulenza adeguata, autorizzare il minore ad entrare e risiedere nello Stato. Inoltre, l'art. 29 l. 31 dicembre 1998, n. 476 vieta qualsiasi contatto tra gli adottanti ed i genitori di origine od altre persone alle quali il bambino sia stato affidato.

In evidenza

L'adozione internazionale, normativamente disciplinata dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993 riguarda il caso di un minore residente in uno Stato contraente (lo Stato di origine) che sia stato o debba essere trasferito, a scopo adozionale, in un altro Stato (lo Stato ricevente). Essa è normativamente disciplinata dalla Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993. Il primo requisito necessario è lo stato di abbandono del minore

Orientamenti a confronto

Lo stato di abbandono

Orientamento minoritario: la presenza di carenze, anche notevoli, nell'adempimento dei doveri genitoriali, non sarebbe sufficiente per dichiarare un minore adottabile qualora non sia ravvisabile un comportamento volontario da parte dei genitori

Cass., sez. I, 4 luglio 1991, n. 7358

Orientamento risalente: il minore si trova in stato di abbandono quando viene privato delle cure, dell'assistenza e dell'aiuto psicologico ed affettivo, a prescindere dall'imputabilità ai genitori di tale privazione

Cass., sez. I, 13 maggio 1983, n. 3298

Orientamento successivo: Ai fini della dichiarazione di adottabilità non solo è necessario accertare l'irreparabile situazione di abbandono in cui versa il minore, ma anche che l'adozione non sia il mezzo per ovviare a carenze genitoriali

Cass., sez. I, 14 aprile 2006, n. 8877; Cass., sez. I, 21 settembre 2000, n. 12491

Disciplina su riconoscimento ed effetti dell'adozione

L'adozione, certificata conforme alle disposizioni della Convenzione dall'Autorità competente dello Stato ricevente, deve essere riconosciuta ad ogni effetto di legge negli altri Stati contraenti (art. 2, l. n. 476/1998). Il riconoscimento dell'adozione determina il riconoscimento del rapporto di parentela del bambino con i genitori adottivi e della conseguente responsabilità genitoriale di questi, nonché dello scioglimento del preesistente vincolo di parentela con i genitori di origine e con i parenti di questi ultimi (qualora nello Stato contraente l'adozione produca tale effetto) (art. 26, l. n. 476/1998). Inoltre, l'art. 27, l. n. 476/1998 precisa che se con l'adozione concessa nello Stato di origine non si prevede lo scioglimento del preesistente rapporto di parentela, essa nello Stato ricevente può essere convertita in una adozione che produca tale effetto, purché la legge interna di tale Stato lo consenta, ed i consensi relativi siano stati accordati.

Enti ed organi dell'adozione internazionale

La Convenzione de L'Aja individua un'Autorità centrale, che lo Stato contraente deve designare, e ad essa attribuisce le più diverse competenze.

Lo scopo dell'Autorità centrale è quello di collaborare e promuovere la cooperazione per la tutela di minori ed il conseguimento degli altri scopi della Convenzione, fornendo inoltre informazioni sul proprio ordinamento e sull'attuazione della Convenzione, promuovendo lo sviluppo di servizi di consulenza e di assistenza per l'adozione, preparando relazioni generali sull'esperienza maturata nel campo dell'adozione internazionale (art. 9, l. n. 476/1998).

All'Autorità centrale vengono altresì attribuiti compiti in relazione a singoli procedimenti, alcuni tipicamente «giudiziari», di vera e propria tutela dei diritti soggettivi: essa raccoglie, conserva e scambia informazioni relative alla situazione del bambino e dei futuri genitori (art. 9, l. n. 476/1998); redige relazioni concernenti gli aspiranti adottanti (idoneità, capacità, storia ed anamnesi familiare e personale, motivazioni all'adozione, ecc.) (art. 15, l. n. 476/1998) nonché lo stato di adattabilità del minore, la sua storia ed anamnesi personale e familiare (art.16, l. n. 476/1998). L'Autorità dello Stato di origine trasmette a quella dello Stato ricevente la relazione così redatta, nonché l'attestazione dei consensi richiesti e dei motivi che hanno determinato la dichiarazione di adottabilità (art.16, l. n. 476/1998).

L'Autorità centrale (art. 21, l. n. 476/1998) può revocare l'affidamento del bambino ai futuri genitori adottivi e provvedere per una collocazione temporanea, così come può disporre l'immediato inserimento del minore in un'altra famiglia, ovvero individuare un'altra soluzione e, solo come extrema ratio, rimpatriare il bambino. Tutti provvedimenti assunti, nel nostro ordinamento, dal Tribunale per i minorenni, e, secondo la Convenzione de L'Aja, dall'«Autorità centrale», che provvede in via amministrativa con decisioni apparentemente insuscettibili d'impugnazione (potrebbe, forse, essere valutata l'ammissibilità di un loro riesame innanzi ilessere riesaminate dal T.A.R.).

Inoltre, l'art. 40 l. n. 476/1998 esclude qualsiasi riserva da parte degli Stati contraenti, mentre l'art.39, l. n. 476/1998 consente agli Stati contraenti, sebbene entro determinati limiti, di stipulare accordi per una migliore applicazione delle disposizioni della Convenzione.

La legge di ratifica della Convenzione de L'Aja

La l. 31 dicembre 1998, n.476, ratifica e rende esecutiva la Convenzione de L'Aja e sostituisce integralmente il Capo I, Titolo III, della l. n. 184/1983 sull'adozione dei minori stranieri. Essa specifica, determina ed integra la Convenzione: prevede che i compiti dell'Autorità centrale siano distribuiti tra più organi (Tribunale per i minorenni; Commissione per le adozioni internazionali costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e composta da un presidente, un magistrato o un dirigente statale con specifica esperienza nel settore minorile, e da rappresentanti di vari ministeri e della Conferenza per i rapporti tra lo Stato e le regioni (art. 38, l. n. 184/1983). A tale Commissione sono inoltre attribuite funzioni amministrative con riferimento alle singole procedure per l'adozione).

La procedura di adozione internazionale

I coniugi richiedenti presentano una «dichiarazione di disponibilità» al Tribunale per ·i minorenni del distretto di residenza, e viene ampiamente valorizzato il duplice ruolo dei servizi locali, di informazione e supporto ai coniugi, e di acquisizione di elementi sulla loro situazione (personale, familiare, sanitaria).

Il giudice si pronuncia sulla sussistenza o meno dei requisiti per adottare, ed il decreto può essere revocato per cause sopravvenute. Tanto il decreto di idoneità che quello di revoca sono reclamabili (entro 10 giorni dalla comunicazione) presso la Corte d'appello, ma non sono ricorribili per cassazione.

Gli aspiranti all'adozione hanno l'obbligo di rivolgersi agli enti autorizzati dalla Commissione i quali devono controllare l'iter adozionale, curando i rapporti con i richiedenti e con lo Stato di origine del minore. La Commissione, cui già sarà stato trasmesso il decreto di idoneità degli aspiranti, autorizza l'ingresso del minore e la sua residenza in Italia. In mancanza di autorizzazione non è ammesso ingresso di minore a scopo adozionale, salvo ipotesi del tutto eccezionali (eventi bellici, calamità naturali, o altro grave oggettivo impedimento).

L'adozione di minori pronunciata all'estero scioglie ogni legame con la famiglia di origine ma non deve essere contraria ai principi fondamentali del diritto di famiglia e dei minori. Il Tribunale ordina la trascrizione nei registri dello stato civile del provvedimento straniero, ma la rifiuta quando:

  • gli adottanti non hanno i requisiti richiesti dalla legge italiana;
  • non sono state rispettate le condizioni contenute nella dichiarazione di idoneità;
  • non si sono realizzati adozione o affidamento tramite Autorità centrale ed ente autorizzato;
  • l'inserimento del minore nella famiglia adottiva appare contrario al suo interesse.

Per un anno dopo l'ingresso in Italia, i servizi locali e gli enti autorizzati assistono i genitori adottivi ed il minore; in ogni caso essi controllano l'andamento dell'inserimento (anche se è già “perfetto” e trascritto il provvedimento di adozione) e segnalano al Tribunale per i minorenni eventuali difficoltà (art. 34 l. n. 184/1983). Inoltre, siammette la possibilità di adozione pronunciata dall'Autorità centrale di un Paese straniero, su istanza di cittadini italiani, residenti in quello Stato, che verrà automaticamente riconosciuta in Italia, con provvedimento del Tribunale minorile di trascrizione nei registri dello stato civile, ma solo se i richiedenti dimostrino di aver soggiornato continuativamente nello Stato estero e di avervi la residenza da almeno 2 anni.

La richiesta di dichiarazione di idoneità

I coniugi che intendano adottare un minore straniero ne devono far richiesta al Tribunale del loro luogo di residenza (se le residenze fossero diverse è da ritenere che sussista competenza concorrente dell'uno e dell'altro Tribunale; se invece i richiedenti risiedano all'estero, è competente ilTribunale minorile del luogo dell'ultimo domicilio in Italia, o, in mancanza, quello di Roma). La domanda deve essere sottoscritta da entrambi gli aspiranti adottanti o da un loro procuratore speciale; non è necessaria una specifica richiesta di adozione, come è previsto per il minore italiano (e ciò si spiega agevolmente: l'abbinamento non viene effettuato dal giudice italiano e la scelta del fanciullo è controllata dagli enti autorizzati e dall'autorità straniera). Nella domanda di adozione nazionale può essere indicata la volontà di adottare un minore straniero e ·richiedersi la dichiarazione di idoneità, che non è specificamente prevista per l'adozione di minore italiano.

La domanda non richiede forme particolari, e sarà eventualmente corredata da documentazione ulteriore a quella richiesta dall'ufficio (certificato di residenza, cittadinanza, stato di famiglia, certificato penale, attestato medico di buona salute o certificato di eventuali infermità, ecc.), allegandosi ad esempio un parere tecnico circa l'idoneità della coppia.

Il Tribunale incarica poi i servizi sociali di adeguate indagini; ricevuta la relazione, sente gli aspiranti e può disporre eventuali ulteriori accertamenti circa la sussistenza dei requisiti degli adottanti.

Il provvedimento che dichiara l'idoneità o che la nega è emesso in camera di consiglio, sentito il PM, nella forma del decreto motivato.

Il decreto è impugnabile ai sensi degli artt. 739 e 740 c.p.c.: dunque con reclamo entro 10 giorni dalla comunicazione, sia per il PM che per i coniugi richiedenti, davanti alla sezione minorile della Corte d'appello. Ove il reclamo sia proposto da uno solo dei coniugi, deve necessariamente provvedersi all'integrazione del contraddittorio: l'idoneità all'adozione non può sussistere senza la concorde volontà di entrambi. Non pare ammissibile ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.: non si tratta, nella specie, di provvedimento «definitivo» (pur incidendo sicuramente sul diritto dei coniugi l'aspettativa di adottare un minore straniero) ed esso potrebbe essere sempre revocato o modificato, sulla base di nuovi elementi acquisiti. Così il PM potrebbe chiedere la revoca dell'autorizzazione (se gli constasse la sopravvenienza di elementi di idoneità) e all'opposto i coniugi dichiarati inidonei potrebbero presentare nuova domanda.

Gli enti autorizzati e la commissione per le adozioni internazionali

Al centro della procedura è posto l'ente “autorizzato”. Esso deve:

  • essere diretto e composto da persone di adeguata formazione e competenza;
  • avvalersi dell'apporto di professionisti in campo sociale, giuridico, psicologico, iscritti nel relativo albo;
  • disporre di un'adeguata struttura organizzativa;
  • non avere fini di lucro, assicurando in particolare una gestione contabile del tutto trasparente;
  • non porre discriminazioni verso gli aspiranti all'adozione;
  • impegnarsi in attività di promozione dei diritti dell'infanzia;
  • avere sede legale nel territorio nazionale.

L'autorizzazione è data dalla Commissione per le adozioni internazionali, presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Ministro per le politiche per la famiglia, e composta da un vice presidente nominato dal Presidente del Consiglio nella persona di un magistrato o dirigente dello Stato con esperienza nel settore minorile e di vari rappresentanti di ministeri e della conferenza Stato-regioni, che ha compiti ulteriori di collaborazione con gli altri Stati, di preparazione di accordi bilaterali in materia, di tenuta dell'albo degli Enti autorizzati, di promozione di iniziative di informazione, di autorizzazione all'ingresso del minore nello Stato, di certificazione della conformità dell'adozione alle disposizioni della Convenzione de L'Aja.

L'ente autorizzato svolge le pratiche di adozione nello Stato indicato dai coniugi aspiranti; raccoglie dall'autorità straniera la proposta di incontro, con la documentazione relativa al minore ed alla sua famiglia; informa i coniugi e li assiste in tutte le attività da svolgersi all'estero; riceve il consenso scritto all'incontro da parte dei coniugi con il minore e lo trasmette all'autorità straniera; riceve da quest'ultima l'attestazione della sussistenza dello stato di abbandono del minore e dell'impossibilità di procedere all'adozione interna; richiede alla Commissione l'autorizzazione per l'ingresso del minore nello Stato; vigila sull'effettivo trasferimento; svolge attività di sostegno al nucleo adottivo in collaborazione con i servizi sociali.

L'ingresso del minore in Italia

È la Commissione per le adozioni internazionali ad autorizzare l'ingresso e la residenza permanente del minore straniero in Italia, dopo aver valutato la documentazione trasmessale e le conclusioni dell'ente autorizzato: l'adozione deve rispondere al superiore interesse del minore. La norma (art. 32, l. n. 184/1983) precisa i casi in cui l'autorizzazione non è data (perché appunto l'adozione non risponde all'interesse del fanciullo):

  • quando dalla documentazione non emergeono la situazione di abbandono e l'impossibilità di un'adeguata sistemazione del minore nello Stato di origine;
  • se l'adozione non produce nel paese di origine effetti legittimanti, con lo scioglimento di ogni legame con la famiglia di origine, a meno che i genitori d'origine abbiano espressamente consentito a tale scioglimento.

La Commissione dà comunicazione dell'emessa autorizzazione agli uffici consolari del luogo, che rilasciano al minore il visto d'ingresso per adozione.

Al di là delle ipotesi suindicate (e salve le ipotesi ordinarie di ingresso a fini familiari, di studio, di cura, turistici), il divieto d'ingresso per i minori è totale. Unica eccezione l'impossibilità di espletare regolarmente la procedura adozionale a causa di eventi bellici, calamità naturali, ecc.: deve comunque sussistere l'interesse diretto ed esclusivo del minore all'ingresso nello Stato, e tale ingresso è dunque funzionale ad un provvedimento di adozione, che rappresenta, nella specie, l'unica via praticabile. In tal caso gli uffici di frontiera segnalano l'ingresso alla Commissione e al Tribunale per i minorenni. Se comunque il minore sia entrato nello Stato, al di fuori delle situazioni consentite, il Tribunale per i minorenni del luogo in cui egli si trova, assume i provvedimenti temporanei e può segnalare la situazione alla Commissione perché prenda contatto con il Paese di origine del minore stesso.

Il provvedimento straniero

L'adozione pronunciata all'estero da uno Stato contraente ha efficacia automatica nel nostro ordinamento, ma qualora l'adozione sia stata pronunciata nello Stato estero prima dell'ingresso del minore in Italia (e ciò accade nella maggior parte dei casi), il Tribunale minorile verifica la sussistenza delle condizioni di cui all'art. 4 della Convenzione, ed accerta che l'adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati comunque alla luce del preminente interesse del fanciullo. È possibile l'espletamento di un periodo di prova da svolgersi in Italia e sotto il controllo dell'autorità italiana: in tal caso il Tribunale riconosce il provvedimento straniero come affidamento preadottivo e ne stabilisce la durata in un anno dall'insediamento nella nuova famiglia.

Se l'affidamento avrà dato buona prova, il Tribunale pronuncerà l'adozione; in caso contrario potrebbe revocare l'affidamento, inserire il minore in un'altra famiglia ovvero provvederne al rimpatrio, se confacente ai suoi interessi; il minore ultraquattordicenne deve prestare il proprio consenso; quello ultradodicenne deve essere personalmente sentito; ma potrebbe essere sentito pure quello di età inferiore, se ritenuto capace di un sufficiente discernimento.

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Se invece non vi è necessità di “perfezionamento” dell'adozione, effettuati gli accertamenti suindicati, il Tribunale ancora verifica la presenza della certificazione della Commissione circa la conformità dell'adozione alla convenzione nonché l'autorizzazione all'ingresso nello Stato, e ordina quindi la trascrizione del provvedimento straniero sui registri dello stato civile. Tuttavia, il Tribunale non ordina la trascrizione quando:

  • gli adottandi non sono in possesso dei requisiti che la legge italiana sull'adozione prescrive;
  • non sono state rispettate le indicazioni contenute nella dichiarazione di idoneità;
  • adozione e affidamento stranieri non si sono realizzati con l'intervento dell'autorità centrale e di un ente autorizzato;
  • l'inserimento del minore nella famiglia adottiva è apparso contrario al suo interesse.

Competente a decidere è il Tribunale del luogo di residenza dei coniugi richiedenti, al momento dell'ingresso del minore in Italia. Nulla dice la norma sul regime delle impugnazioni: è da ritenere che il provvedimento possa essere reclamato presso la Corte d'appello, ed avverso esso non sembra ammissibile il ricorso ex art. 111 Cost..

Ipotesi «speciale» di adozione è quella pronunciata dall'autorità competente di un Paese straniero, ad istanza di cittadini italiani che dimostrino di avervi soggiornato continuativamente e di avervi avuto residenza da almeno due anni. Se sussistono tali presupposti, il provvedimento straniero, che viene evidentemente pronunciato in base al diritto locale, viene «riconosciuto» in Italia con provvedimento del Tribunale per i minorenni purché conforme ai principi della Convenzione de L'Aja.

Il minore entrato nello Stato a seguito di un provvedimento straniero di adozione, gode, dall'ingresso, di tutti i diritti attribuiti al minore italiano in affidamento.

Il minore straniero abbandonato in Italia

Presupposto fondamentale dell'intera disciplina sull'adozione internazionale è l'art. 37-bis, l. n. 184/1983 ove si precisa che al minore straniero in stato di abbandono, presente nel nostro Stato, si applica la legge italiana in materia di adozione, di affidamento e di provvedimenti necessari in caso di urgenza.

Il principio contenuto nell'art. 37-bis è di applicazione necessaria, stante l'esigenza di garantire sempre e comunque il preminente interesse del minore, indipendentemente dalla sua nazionalità. Sul punto sono intervenute alcune Convenzioni, tra le quali si ricorda la Convenzione europea de L'Aja per il rimpatrio dei minori, del 28 maggio 1970: essa tempera il principio del rimpatrio a richiesta dello Stato di origine, attribuendo notevole rilevanza, nell'interesse del fanciullo, alla posizione dello Stato ospitante.

Occorre pertanto equilibrare l'esigenza di rispetto verso lo Stato di appartenenza del minore, nella prospettiva di regolari e non conflittuali relazioni internazionali, senza tentazioni di eccessivo “nazionalismo giuridico”, e l'esigenza di proteggere il fanciullo straniero che si trovi in stato di abbandono in Italia.

Gli effetti dell'adozione internazionale

Il minore straniero con l'adozione acquista lo stato di figlio e diventa cittadino italiano con la trascrizione del provvedimento nei registri dello stato civile, in piena conformità con la vigente legge sulla cittadinanza (art. 3, l. 5 febbraio 1992, n. 191).

Se una coppia plurinazionale può adottare un minore straniero, questi potrebbe acquistare una doppia cittadinanza: quella italiana e quella del genitore straniero o addirittura avere una triplice cittadinanza; ne consegue la necessità di scelta entro un anno dal raggiungimento della maggiore età. Inoltre, il minore straniero adottato assume il cognome del padre, sostituendolo all'originario.

Minore italiano e adottanti stranieri

Gli artt. 40 ss., l. n. 184/1983 regolano i rapporti tra minore italiano in abbandono e presente nel territorio dello Stato, e coniugi richiedenti residenti all'estero, italiani o stranieri. Tali coniugi possono presentare domanda a più tribunali minorili, mentre la competenza residuale del Tribunale per i minorenni di Roma riguarderà esclusivamente il caso di minori che si trovino all'estero (e che mai abbiano avuto domicilio o residenza in Italia).

All'esito degli accertamenti il Tribunale procede all'abbinamento e all'affidamento preadottivo autorizzando l'espatrio del minore. La vigilanza sull'affidamento è effettuata dal console del luogo di residenza degli adottanti (nella sua veste di giudice tutelare) il quale può servirsi di organizzazioni assistenziali italiane e straniere.

La legge prende altresì in considerazione la posizione del minore italiano in stato di abbandono all'estero, e correttamente precisa che si applicano anche ai cittadini residenti all'estero le disposizioni dell'art. 9, commi 6, 7 e 8 l. n. 184/1983.

Quanto al minore straniero all'estero, per il quale l'autorità dello Stato di appartenenza abbia disposto adozione a favore di coniugi italiani, e il Tribunale ne abbia dichiarato l'efficacia, come affidamento preadottivo, potrebbe accadere che l'autorità straniera revochi il suo provvedimento e ne emetta un altro. In tal caso troverebbe applicazione l'art. 42, l. n. 184/1983: il secondo provvedimento non potrebbe essere dichiarato efficace, almeno fino alla revoca dell'affidamento preadottivo.

Riconoscimento in Italia di pronuncia di adozione all'estero del figlio di uno dei coniugi dello stesso sesso da parte dell'altro coniuge

Una recente pronuncia della Corte Costituzionale (C. Cost. 07 aprile 2016, n. 76) ha dichiarato l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della l. 4 maggio 1983, n. 184, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 30, 31 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, nella parte in cui, come interpretati secondo diritto vivente, non consentano al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all'interesse del minore adottato all'estero il riconoscimento della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge del genitore, a prescindere dal fatto che il matrimonio stesso abbia prodotto o meno effetti in Italia.

Casistica

Idoneità degli aspiranti adottanti

In tema di adozione internazionale, in virtù del rinvio, operato dall'art. 30, l. n. 184/1983 all'art. 6 della stessa legge, la declaratoria di idoneità degli aspiranti adottanti presuppone l'esame, da parte del giudice, della sussistenza dei requisiti posti dal predetto art. 6 e quindi anche della idoneità dei coniugi ad educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare (Cass., sez. I, 28 novembre 2011, n. 29424).

Il decreto di idoneità all'adozione pronunciato dal Tribunale per i minorenni ai sensi dell'art. 30, l. n. 184/1983 e successive modifiche non può essere emesso sulla base di riferimenti all'etnia dei minori adottandi, né può contenere indicazioni relative a tale etnia. Ove tali discriminazioni siano espresse dalla coppia di richiedenti, esse devono essere apprezzate dal giudice di merito nel quadro della valutazione della idoneità degli stessi alla adozione internazionale (Cass., S.U.,1 giugno 2010, n. 13332)

Requisiti fisici degli aspiranti adottanti

Fermo restando che la salute fisica degli aspiranti alla dichiarazione di idoneità all'adozione va valutata tenendo conto esclusivamente dell'interesse dell'adottando, che, già in stato di abbandono, e con le sofferenze psico-fisiche che tale stato comporta, ha diritto di essere inserito in un ambiente familiare efficiente, stabile, e di sicuro affidamento con riguardo anche alla salute dei genitori adottivi. Qualora uno di essi presenti malattie o handicap, o, comunque, menomazioni rilevanti, occorre valutare, caso per caso, se tali situazioni anomale siano tali da impedire all'adottante di adempiere compiutamente, con sufficiente efficienza fisica complessiva e con il necessario benessere psicologico, i compiti assistenziali ed educativi assunti con l'adozione di un minore, proveniente per di più da una condizione di abbandono: va valutato, di volta in volta, se il genitore possa, nonostante la propria limitazione fisica, svolgere le funzioni parentali anche con un'estensione fattuale e cronologica tale da consentire al minore di sviluppare integralmente ed in senso positivo la propria personalità e di raggiungere un soddisfacente grado di autonomia personale (App. Torino, 30 giugno 2001)

Idoneità all'adozione

Al fine di poter adottare un minore in uno dei Paesi aderenti alla Convenzione de L'Aja del 1993, occorre che i coniugi siano dichiarati idonei all'adozione internazionale dal Tribunale per i minorenni: la disapplicazione di tale disciplina, ai sensi dell'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983, è prevista solo nel caso in cui i due coniugi abbiano la residenza all'estero da almeno due anni (Trib. Min. Potenza, 11 giugno 2019).

Adozione internazionale da parte del singolo

E' inammissibile, in riferimento all'art. 8 CEDU, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 29-bis, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui non prevede che anche la persona non coniugata e residente in Italia possa presentare dichiarazione di disponibilità ad adottare un minore straniero e chiedere di essere dichiarata idonea all'adozione piena, poiché non è stato argomentato il dedotto difetto di chiarezza e la asserita frammentarietà della disciplina adozionale, né sono stati precisati i termini secondo cui ciò si risolverebbe nella violazione del principio del rispetto della vita privata (Corte cost., 23 dicembre 2021, n. 252).

L'art. 31, comma 2, l. n. 184/1983, è l'unica disposizione in cui si incrociano adozione particolare e adozione internazionale, dettando una procedura agevolata per l'adozione internazionale in uno dei quattro casi di adozione particolare, riconoscendo così implicitamente l'ammissibilità dell'adozione internazionale in casi particolari (Corte cost., ord., 15 luglio 2005, n. 347). In tema di adozione speciale, il provvedimento pronunciato sull'istanza volta alla preliminare verifica di sussistenza (o meno) di un diritto della persona singola a domandare l'adozione di un minore in (diretta) applicazione dell'art. 6 della Convenzione di Strasburgo 24 aprile 1967 (ratificata in Italia con l. 22 maggio 1974 n. 357) - risolvendosi nell'accertamento, esaustivo sulla base della ricognizione normativa, di un prerequisito, assolutamente dirimente, di capacità dell'aspirante adottante (che non richiede, come nel caso della previa delibazione, secondo invalsa prassi, di altri requisiti di idoneità all'adozione, successive verifiche e controlli nel prosieguo della procedura) - ha conseguentemente carattere decisorio e definitivo, per cui è ricorribile in cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., anche da parte del PM nell'interesse della corretta applicazione della legge (Cass., sez. I, 21 luglio 1995, n. 7950)

Riconoscimento di sentenza di adozione emessa all'estero

Il riconoscimento di una sentenza di adozione emessa all'estero può avvenire esclusivamente in applicazione della disciplina dell'adozione internazionale regolata dalle procedure richiamate dagli artt. 29 e 36 della l. n. 184/1983 (come modificata dalla l. n. 476/1998, di ratifica ed attuazione della Convenzione de L'Aja del 29 maggio 1993), con la conseguenza che, in tale ipotesi, non possono essere applicate le norme generali di diritto internazionale privato relative al riconoscimento dei provvedimenti stranieri, ma devono essere applicate le disposizioni speciali in materia di adozione ai sensi della l. n. 218/1995, art. 41, comma 2 (Cass., sez. VI, 22 settembre 2017, n. 22220).

Impugnazione avverso il decreto emesso dal Tribunale per i minorenni

In tema di adozione internazionale, il provvedimento camerale con cui la Corte di appello decide sul reclamo avverso il decreto del Tribunale per i minorenni, in tema di accertamento della sussistenza dei requisiti di idoneità all'adozione di minori stranieri, a norma dell'art. 30, l. n. 184/1983, non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., trattandosi di provvedimento non definitivo che, anche nel caso in cui abbia rigettato l'istanza (peraltro sempre riproponibile), non incide su diritti né su “status” dei richiedenti, e neppure risolve un conflitto tra contrapposti interessi, limitandosi a concludere un procedimento di volontaria giurisdizione, volto alla tutela dell'unico interesse preso in considerazione dalla legge, che è quello del minore (Cass., sez. I, 08 agosto 2013, n. 18978).

Adozione internazionale e congedo parentale

Nell'ipotesi di adozione internazionale, il congedo parentale da parte del padre adottivo di un minore straniero, ai sensi dell'art. 36, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, non può essere fruito prima dell'ingresso del minore nel territorio italiano, poiché soltanto dopo tale evento avviene il definitivo ingresso del minore in famiglia, cui lo stesso art. 36 ricollega la decorrenza del periodo temporale per la fruizione del congedo (Cass., sez. lav., 29 maggio 2019, n. 14678).

Adozione internazionale e indennità di maternità

Stante la natura auto-applicativa della pronuncia della Corte costituzionale n. 385 del 2005, il libero professionista che adotti un bambino (nella specie, nelle forme dell'adozione internazionale) ha diritto all'indennità di maternità ex art. 72 d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, in alternativa alla madre (Cass., sez. lav., 27 aprile 2018, n. 10282).

Riconoscimento in Italia di pronuncia straniera di adozione di figlio minore disposta da un provvedimento straniero

Può riconoscersi l'efficacia in Italia, ai sensi dell'art. 36, comma 4, l. n. 184/1983, dell'adozione piena di un bambino, ancora in tenera età, disposta da un provvedimento straniero (nella specie, del Benin), da parte di una donna non coniugata, cittadina italiana, già dichiarata idonea all'adozione internazionale, atteso che sono state osservate tutte le prescrizioni di legge e che tale situazione non contrasta: a) con i principi espressi dalla Convenzione de L'Aja sulle adozioni internazionali del 29 maggio 1983; b) con l'ordine pubblico internazionale, tenuto anche conto che l'art. 35, comma 3, l. cit., va interpretato alla stregua del principio di continuità transnazionale degli status familiari, espresso dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, derogabile soltanto a fronte di principi e valori largamente condivisi negli Stati del Consiglio d'Europa, non essendo tale la riserva dell'adozione piena alle sole coppie coniugate, prevista dall'ordinamento italiano ma non da quello di altri Paesi; né, infine, con il superiore interesse del minore, nella specie concretamente accertato dalle autorità locali (Trib. Min. Genova, 08 settembre 2017).

Paesi aderenti alla Convenzione de L'Aja

La disciplina dell'adozione internazionale, introdotta con legge n. 476/1998, distingue due situazioni del tutto diverse che concernono, rispettivamente, l'adozione disposta dai Paesi aderenti alla Convenzione de L'Aja del 1993 e da quelli che “nello spirito di tale convenzione” abbiano stipulato un accordo bilaterale con l'Italia; e, dall'altro, i Paesi non aderenti a tale Convenzione. Questa distinzione comporta, in concreto, che il riconoscimento del provvedimento adottivo straniero di cui alla prima ipotesi risulta, a differenza della seconda, pressoché automatico, con effetto immediato nel nostro ordinamento, pur permanendo la necessità di una mediazione giudiziale che risulta una pronuncia a carattere dichiarativo App. Brescia, 15 gennaio 2016).

Riconoscimento in Italia di adozione internazionale

In materia di adozione internazionale, non è necessario che vi sia coincidenza tra Paese straniero, in cui la coppia di genitori risiede da due anni, e quello in cui la competente autorità ha pronunciato l'adozione; ciò nell'ottica di tutelar ei cittadini italiani residenti all'estero per lavoro i quali, per ciò solo, non devono attenersi alla procedura di adozione stabilita in Italia, ma possono altresì attivare quella prevista dalla normativa locale (App. Milano, Sez. Famiglia, 16 maggio 2016).

Stato di abbandono

Il diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine rappresenta un diritto fondamentale riconosciuto come tale dalle convenzioni internazionali e dal diritto italiano. Ciò implica che se la funzione genitoriale non è irrecuperabilmente compromessa, l'adottabilità del minore non può essere pronunciata in assenza della preventiva verifica della possibilità del recupero di tale funzione, da compiere attraverso l'attuazione di un valido progetto programmato e posto in essere dalle autorità pubbliche competenti, progetto che il giudice ha il dovere di valutare e monitorare nella sua esecuzione sino alla decisione finale del procedimento (Cass., sez. I, 7 ottobre 2014, n. 21110).

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