Corte costituzionale n. 111 e l'incostituzionalità dell'art. 344-bis c.p.p.

31 Maggio 2022

Con la recente sentenza n. 111 la Corte costituzionale ha dischiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 568, comma 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, comma 2, e 111, comma 2, Cost., in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.

Con la recente sentenza n. 111 la Corte costituzionale ha dischiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 568, comma 4, c.p.p., per violazione degli artt. 24, comma 2, e 111, comma 2, Cost., in quanto interpretato nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza di appello che, in fase predibattimentale e senza alcuna forma di contraddittorio, abbia dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato.

Con questa decisione i giudici costituzionali hanno evidenziato l'illegittimità della sentenza delle Sezioni unite con la quale si era dichiarato che nell'ipotesi di sentenza predibattimentale d'appello, pronunciata in violazione del contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di condanna di primo grado, è stata dichiarata l'estinzione del reato per prescrizione, la causa estintiva del reato prevale sulla nullità assoluta ed insanabile della sentenza, sempreché non risulti evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui all'art. 129, comma 2, c.p.p.

Com'è noto, la sentenza era stata oggetto di una “spaccatura” all'interno del Collegio riunito che, infatti, aveva visto la sostituzione del relatore originario.

L'impostazione non era stata condivisa dalla prima sezione della Cassazione che – ai sensi dell'art. 618, comma 1-bis, c.p.p., aveva rimesso la questione alle Sezioni Unite.

Il presidente del Collegio riunito, ritenendo di confermare l'assunto della sentenza delle Sezioni Unite e ritenendo il ricorso inammissibile, aveva restituito gli atti alla prima sezione, che ha sollevato l'incidente di costituzionalità ora accolto dalla Corte costituzionale.

L'impostazione fatta propria dalle Sezioni Unite muoveva dalla premessa che a fronte di una nullità assoluta, connessa a difetto di contraddittorio, in relazione alla mancata applicazione dell'art. 129 c.p.p., l'invalidità e la regressione del processo soccombono di fronte all'ipotesi di estinzione del reato, in relazione al valore costituzionale della durata ragionevole del processo.

Anche a prescindere dalla rinuncia alla prescrizione, il rinvio per un nuovo giudizio dovrebbe escludersi in presenza dei necessari accertamenti di fatto finalizzati al riconoscimento dell'operatività dell'art. 129 c.p.p. mentre in presenza di una evidente prova di innocenza questa sarebbe stata applicabile dalla stessa Cassazione.

Diverso si è configurato dapprima l'approccio della sezione prima della Cassazione e poi della Corte costituzionale.

Invero, per il Supremo Collegio, la sentenza predibattimentale di cui all'art. 649 c.p.p. non può essere emessa nel giudizio d'appello, rendendosi necessaria la pienezza della giurisdizione ed il conseguente contraddittorio tra le parti, avviato dall'atto d'appello da loro proposto. La questione prospetta questioni, qui non affrontate in caso di appello del p.m. nei confronti di una sentenza di proscioglimento.

Mentre secondo la sentenza delle Sezioni Unite, la Cassazione valuta la necessità dell'annullamento o meno, alla luce dei suoi poteri, prescindendo dalla mancanza del contraddittorio in fase di atti preliminari il giudizio d'appello (e conseguentemente anche in limine al giudizio di secondo grado) ove il collegio non si sia pronunciato in fase preliminare stante l'inoperatività dell'art. 469 c.p.p., la prima sezione e la Corte ritengono necessario che in ordine all'operatività dell'art. 129 c.p.p. sia necessario comunque il contraddittorio.

Punto centrale delle riflessioni è il rapporto tra durata ragionevole del processo (e sottostante economia processuale) e diritto al processo giusto da parte dell'imputato, evidenziato anche dal fatto che alla difesa sarebbe sottratto un grado di giudizio.

Non possono non essere riprodotti alcuni passaggi della motivazione di C. cost. n. 111/2022.

La nozione di “ragionevole” durata del processo (in particolare penale) è sempre il frutto di un bilanciamento delicato tra i molteplici – e tra loro confliggenti – interessi pubblici e privati coinvolti dal processo medesimo, in maniera da coniugare l'obiettivo di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento del fatto e dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilità, nel pieno rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza pur essenziale di raggiungere tale obiettivo in un lasso di tempo non eccessivo. Conseguentemente, il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie, in quanto ciò che rileva è esclusivamente la durata del “giusto” processo, quale delineato proprio dall'art. 111 Cost.

Un processo non “giusto”, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale, quale che sia la sua durata. In realtà, non si tratterebbe di un vero bilanciamento, ma di un sacrificio puro e semplice, sia del diritto al contraddittorio sancito dal suddetto art. 111 Cost., sia del diritto di difesa, riconosciuto dall'art. 24, comma 2, Cost.: diritti garantiti da norme costituzionali che entrambe risentono dell'effetto espansivo dell'art. 6 Cedu e della corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

I principi dettati sia dall'art. 111, comma 2, Cost., sia dall'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (Cedu), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con l. 4 agosto 1955, n. 848, delineano, così, la ragionevole durata come canone oggettivo di efficienza dell'amministrazione della giustizia e come diritto delle parti, comunque correlati ad un processo che si svolge in contraddittorio davanti ad un giudice imparziale.

Verosimilmente, non potendo operare anche nel contraddittorio l'art. 469 c.p.p. sarà necessario aprire il dibattimento e verificare la situazione di operatività o meno dell'art. 129 cpv. c.p.p.

Queste affermazioni devono ora confrontarsi con le implicazioni della declaratoria di improcedibilità del giudizio di impugnazione e con quello d'appello in particolare, anche alla luce del mancato richiamo nella declaratoria di cui all'art. 344-bis c.p.p. dell'art. 129, commi 1 e 2, c.p.p.

E' opinione diffusa che la declaratoria di improcedibilità sia emessa de plano dal giudice per effetto del decorso infruttuoso del tempo nel quale per previsione normativa espressa debba essere assunta la decisione.

Invero, si ritiene che la citata pronuncia impedisca ogni decisione di segno diverso sotto vari profili, esclusa forse solo la confisca obbligatoria.

Sono note le questioni connesse al riconoscimento o meno di una causa di inammissibilità e degli effetti a fini civilistici regolati dal comma 1-bis dell'art. 578 c.p.p.

Ora è indubitabile che la decisione della Corte costituzionale apra scenari nuovi rispetto a queste questioni, soprattutto in relazione all'operatività dell'art. 129 c.p.p., suscettibili di superare le riferite conclusioni, rendendosi tuttavia necessaria la prospettazione di una questione di legittimità costituzionale non potendo la questione essere risolta solo per via interpretativa, dovendosi superare molti “passaggi” argomentativi.

Sembrerebbe che con la delega il legislatore voglia farsi carico di alcune di queste questioni, soprattutto quella relativa al cpv. dell'art. 129 c.p.p. riconoscendone l'operatività.

Tuttavia, è chiaro che una simile previsione aprirebbe il vaso di Pandora delle ricadute, degli effetti, delle implicazioni dell'art. 344-bis c.p.p. già prospettate per gli altri profili sotto il profilo della questione di costituzionalità.

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