Luci ed ombre nel DdL sulla riforma tributaria

Massimo Scuffi
01 Giugno 2022

La relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della giustizia tributaria aveva individuato come obbiettivi primari tra le azioni direttrici il rafforzamento della specializzazione dei giudici tributari con abbandono del regime part time e l'affermazione della loro indipendenza. Lo schema di disegno di legge sulle disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario solo in parte ha raggiunto il primo obbiettivo mentre il secondo è stato pretermesso.
Specializzazione ed indipendenza del giudice tributario

Va premesso che lo schema di disegno di legge governativo sulle disposizioni in materia di giustizia e di processo tributario (approvato dal Consiglio dei Ministri il 17 maggio 2022) è intervenuto con il metodo dell'interpolazione del testi base (d.lgs 545 e 546/92) inserendo una serie di norme più o meno condivisibili che meritano - almeno quelle più rilevanti - un breve commento.

Tra gli obbiettivi primari individuati nella relazione finale della Commissione interministeriale per la riforma della Giustizia Tributaria del 31 giugno 2021 erano ricompresi il rafforzamento della specializzazione dei giudici tributari con abbandono del regime part time e l'affermazione dello loro indipendenza.

Ebbene solo in parte é stato raggiunto il primo obbiettivo mentre il secondo è stato pretermesso.

Va sicuramente apprezzato l'abbandono definitivo del “mantenimento conservativo” dell'attuale magistratura onoraria e la scelta strategica di fondo per una magistratura professionale a tempo pieno con “esclusività di funzioni” reclutata per pubblico concorso (come prescritto dall'art. 97 della Costituzione).

L'affidabilità di una giurisdizione transita dalla “professionalita'” di chi è chiamato ad esercitarla e dunque si basa sulla “specializzazione” tecnico/scientifica del giudice: connotato questo strettamente legato al modello del giusto processo.

È vero che anche il giudice part time può essere professionale per scrupolosità, adeguata preparazione, costanza nell'impegno ma solo la esclusività della funzione ne garantisce la reale “specializzazione” che richiede studio e approfondimento continuativo delle tematiche fiscali nonché reiterazione delle decisioni sulle varie casistiche: compiti che mal si conciliano con l'esercizio congiunto di altre professioni o con i gravosi incombenti derivati dall'appartenenza ad altri settori giurisdizionali.

L'esperienza del giudice a tempo pieno è dunque scelta obbligata ed andrà alimentata con sistemi adeguati di formazione predisposti - non solo nella fase iniziale - ma nel corso di tutta la vita professionale mediante previsione di un obbligo di “formazione continua” dispensata da un organismo didattico permanente quale, ad esempio, una Scuola superiore di formazione della magistratura tributaria.

Altrettanto dicasi per l'aggiornamento tecnologico visto che la giustizia tributaria è ormai in buona parte gestita on line con modalità di udienze “da remoto” ed è stata definitivamente avviata l'organizzazione del processo tributario telematico (PTT) con passaggio dall'analogico al digitale. E non a caso tra le future materie di esame è stata giustamente inserita l'informatica giuridica.

Inutile ricordare che il giudice deve essere non solo preparato sul piano giuridico e scientifico ma anche perfettamente aduso alle moderne tecnologie che concorrono all'efficienza e velocizzazione del sistema.

Destano invece perplessità i criteri di riorganizzazione prefigurati nella bozza del testo legislativo.

La questione più spinosa certamente riguarda la riduzione dell'età per la cessazione dal servizio (destinata ad essere portata da 75 a 70 anni) al fine evidente di sfoltire incisivamente l'organico della magistratura tributaria: misura forse necessaria per il forte calo di contenzioso che ha caratterizzato questi ultimi anni ma che finirà per azzerare la maggior parte delle posizioni apicali non sostituibili nell'immediato con i nuovi ingressi di giudici privi di anzianità e grado occorrente per raggiungere le posizioni vacanti (si parla di eliminazione di 700 giudici, 30 presidenti di commissione e 110 presidenti di sezione).

Anche la formazione del nuovo organico soggiace a complicati meccanismi di reclutamento in mancanza di una chiara disciplina transitoria.

È mantenuta la permanenza in Commissione (fino a 70 anni) degli attuali giudici tributari (part time) ricompresi nel ruolo unico all'1.1.2022 che saranno destinati a coesistere con i magistrati tributari (full time) reclutati per concorso con laurea minima in giurisprudenza (c.d. doppio binario), con quelli delle magistrature ordinarie già in carico che abbiano optato per il definitivo transito nella giurisdizione tributaria (per un max. di 100 unità), con gli altri giudici tributari presenti in Commissione con 6 anni di anzianità che abbiano optato per il concorso (per i primi due bandi) e siano in possesso di laurea in giurisprudenza od economia e commercio (con una riserva di posti del 15%).

Manca - come si vede - un riconoscimento effettivo delle professionalità acquisite (che hanno un valore ben superiore al possesso di titoli di laurea) che avrebbero dovuto essere quanto meno previlegiate con un concorso “riservato” per titoli [Il concorso per titoli non rappresenta una mera formalità in quanto l'attribuzione dei punteggi di graduatoria passa attraverso i parametri dell'esperienza (durata e cariche rivestite nel servizio) diligenza (tempestività dei depositi) laboriosità (produttivita) attitudine (qualità dei provvedimenti ed attività didattica o scientifica)] laddove gli attuali giudici laici intendessero optare per l'esclusività delle funzioni.

Invero, sottoporre i giudici laici a prove di esame significa presupporre una sorta di inadeguatezza dei servizi resi fino ad ora.

Va ricordato, peraltro, che il requisito legittimante per costoro annovera anche la laurea in economia e commercio.

Appare dunque irrazionale escludere analoga condizione per nuovi ingressi.

L'accesso negato al concorso ai laureati in economia contrasta con il patrocinio “ampio” tuttora riservato in giudizio anche ai commercialisti cui è riconosciuta l'abilitazione alla difesa dall'art. 12 del d.lgs. n. 546/1992 (norma che andrà comunque ridimensionata nel novero tuttora amplissimo dei soggetti qualificati per l'assistenza tecnica).

Non vi è dubbio - del resto - che la materia fiscale presuppone conoscenze contabili ed aziendali che sono appannaggio più del commercialista che del giurista (tra le prove di esame sono stati inseriti anche elementi di contabilità e bilancio) per cui non sembra logico espungere questa categoria dall'accesso concorsuale.

È rimasta invece lettera morta la “consacrazione” di indipendenza dei giudici tributari.

Invero l'organizzazione degli organi di giurisdizione tributaria, con l'inquadramento e l'amministrazione del personale giudicante - pur nel rispetto delle prerogative del Consiglio di Presidenza - avrebbe dovuto essere trasferita alla Presidenza del Consiglio dei ministri (come tutte le giurisdizioni speciali) ed invece continuerà a rimanere sotto il controllo e l'indirizzo del Ministero dell'Economia e delle Finanze (MEF) al pari delle Agenzie fiscali che sono parti del giudizio tributario, con grave vulnus dei principi di autonomia e terzietà che costituiscono l'essenza stessa della giurisdizione.

Di conseguenza - nonostante le contrarie indicazioni provenienti da quasi tutti i precedenti progetti di legge - è stata mantenuta l'originaria denominazione di Commissioni tributarie (valorizzante più la funzione amministrativa che quella giurisdizionale) anzichè quella più appropriata di Tribunali e Corti di appello tributarie.

Meccanismi deflattivi e nomofilachia

Molteplici sono gli strumenti prospettati dal DdL per deflazionare il contenzioso contenendone la crescita ed abbattendo quello pendente soprattutto nella sede di legittimità.

L'introduzione del regime della monocraticità per il contenzioso minore (controversie di valore fino ad € 3.000) determinerà la perdita delle maggiori garanzie offerte dal dibattito collegiale ma potrà effettivamente servire a sfoltire con agilità ed immediatezza un contenzioso bagatellare per il quale non è neppure prevista l'obbligatorietà della assistenza tecnica (art. 12 d.lgs. n. 546/1992)

I limitati motivi di impugnabilità (violazione di norme procedimentali, costituzionali ed unionali) dovrebbero poi stabilizzare le decisioni e costituire un efficace sbarramento al prosieguo delle liti.

Quanto ai due rimedi prefigurati per conseguire orientamenti giurisprudenziali uniformi potenziando la nomifilachia desta qualche perplessità - non tanto il ricorso nell'interesse della legge promosso autonomamente del Procuratore Generale per provocare la formulazione del principio di diritto(sulla falsariga dell'art. 363 c.p.c.) - quanto piuttosto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione da parte del giudice del merito(sul modello della rimessione alla Corte di Giustizia) alle tassative condizioni previste dalla norma: questione esclusivamente di diritto, nuova e rilevante sull'oggetto del contendere, di difficile interpretazione od oggetto di pronunzie contrastanti, suscettibile di ripresentarsi (questione seriale).

La individuazione delle condizioni di rinvio (che andranno di volta in volta rinvenute con ricerche di segreteria, selezione del materiale raccolto presso il costituendo Ufficio del Massimario nazionale, tramite le segnalazioni contenute negli scritti difensivi delle parti), il filtro di ammissibilità dell'organo ricevente (primo Presidente della Corte),la sospensione obbligatoria del processo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sono fattori che rendono francamente incerta l'operatività di un istituto finalizzato a prevenire la moltiplicazione dei conflitti con l'enunciazione anticipata del principio di diritto - ma che -anche al prescindere da abusi per eccesso di rinvii -finirebbe per influire negativamente sulla speditezza dei giudizi.

Meglio sarebbe stato, invece, prevedere la istituzione ex lege di un organismo di vertice affidatario di una giurisdizione tributaria esclusiva con propria dotazione di organico in regime di “permanenza” (agevolmente gestibile per l'indipendenza dell'organo dalla struttura centrale), sezioni tematiche interne, camere di discussione congiunte (sul modello delle sezioni unite)al fine di garantire dall'interno l'unità e la coerenza degli indirizzi giurisprudenziali evitando gli attuali -spesso inconsapevoli -conflitti che tanto nuocciono alla certezza del diritto*.

* In evidenza

Il modello proposto rimanda al Bundesfinanzhof che costituisce in Germania una delle cinque giurisdizioni di legittimità e si occupa solo di materia fiscale.

È composto da 11 sezioni con 60 giudici. I collegi giudicano con la presenza di 5 membri ed è prevista una adunanza a Sezioni Unite cui partecipa il Presidente della Corte ed un giudice per sezione (in totale 11) per questioni di fondamentale importanza o quando una sezione intenda discostarsi dalla giurisprudenza delle altre.

Comunque nell'attuale momento storico - stante l'enorme arretrato accumulato in Cassazione - si dovrebbe innanzitutto promuovere un rafforzamento deciso dell'organico esistente (che non sembra possa essere ovviato dagli addetti all'“ufficio del processo”) introducendo, al contempo, meccanismi interni di estinzione automatica delle liti (diversi da quelli di definizione agevolata): lo schema di DdL sul punto prevede appunto l'estinzione di diritto dei processi quando si presuma venuto meno l‘interesse a coltivarli e cioè quando siano pendenti da almeno tre anni e non sia stata presentata istanza di trattazione per proseguirli.

Allo scopo di trovare rimedi alternativi è stato giustamente ampliato l'istituto della conciliazione facultando la Commissione a formulare essa stessa una proposta conciliativa alle parti (per questioni di facile e pronta soluzione) sul modello processual civilistico dell'art. 185-bis c.p.c. (che ben avrebbe potuto essere esteso anche al grado di legittimità).

Non si è ritenuto invece modificare l'assetto del reclamo - mediazione (art. 17-bis d.lgs 546/92) nonostante da più parti si fosse suggerito di affidarlo ad un organo terzo anzichè lasciarlo in appannaggio delle Agenzie fiscali che - ancorchè rappresentate da strutture diverse ed autonome dagli uffici impositori - rimangono pur sempre portatrici degli interessi della PA.

Occorre peraltro tener presente le difficoltà di una conversione del genere considerato che l'istituto trainante è il reclamo, cioè il ricorso amministrativo (che non può che essere rivolto allo stesso organo che ha emesso l'atto) entro cui si innesta il potere di autotutela dell'Amministrazione attraverso la forma della mediazione.

Non esiste del resto ordinamento nei principali paesi europei che affidi l'attività di riesame e definizione anticipatoria della lite ad organismi terzi privi di qualsiasi vincolo gerarchico con la PA.

Piuttosto questa funzione avrebbe potuto essere implementata con un sistema autonomo operativo sia in via preventiva sia in forma “delegata” tramite istituzione d un “centro di mediazione” indipendente quale organo collegiale non giurisdizionale (costituito da un giudice tributario cessato dal servizio in funzione di Presidente, da un incaricato dell'Agenzia fiscale, da un avvocato tributarista o dottore commercialista) affidatario delle composizione amichevole della controversia su istanza delle parti o quando il giudice suggerisca di farvi ricorso ravvisando motivi di transigibilità della lite.

Le difese processuali

Il d.lgs. 564/92 rappresenta un impianto compiuto modellato sul codice di procedura civile per cui la riforma - per parificare il ruolo del processo tributario alle altre giurisdizioni - è intervenuta, innanzitutto, sul piano procedimentale abolendo l'anacronistico divieto di prova testimoniale (art. 7 d.lgs. 546/92).

Da tempo si erano pronunziati a favore della ammissibilità della prova orale nel processo tributario sia la Corte Europea dei diritti dell'uomo (CEDU 23 novembre 2006 Jussila c.Finlandia) sia la stessa Corte di Cassazione (ancorchè in particolari circostanze) nonostante le pronunzie contrarie della Corte Costituzionale (Corte Cost. 18/2000) che avevano piuttosto valorizzato l'utilizzabilità in sede processuale delle dichiarazioni di terzi per ristabilire la c.d parità delle armi.

In ogni modo i mezzi di prova orale sono ammessi a pieno titolo nel processo amministrativo che ha gli stessi connotati “cartolari” del processo tributario per cui non v'è ragione per escluderli in esso.

La soluzione proposta nello schema legislativo supera il divieto assoluto di prova orale ma persegue una via intermedia che rischia di rendere il mezzo istruttorio di scarsa utilità per le limitazioni che impone.

È stato infatti circoscritto il raggio di azione della prova testimoniale entro confini oggettivi ben precisi e con adozione di particolari cautele per il suo espletamento.

In pratica la prova testimoniale - che ritengono richieda comunque una previa valutazione di ammissibilità e rilevanza da parte della Commissione presupporrà, in primo luogo, che la pretesa tributaria sia fondata su verbale od atti della PA fidefacenti; in secondo luogo che la prova verta su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal PU (altrimenti per contrastarle occorrendo proporre querela di falso).

Inoltre, la prova andrà assunta in forma scritta con le modalità stabilite dal richiamato art. 257-bis del c.p.c.: acquisizione delle risposte rilasciate su apposito “modello” notificato al testimone contenente le domande formulate dalla parte richiedente e successiva restituzione alla segreteria del giudice.

Si tratta, a ben vedere, di una timida apertura istruttoria non sufficiente neppure ad assegnare piena “autorità” alle decisioni irrevocabili penali continuando quelle sentenze a rimanere soggette alla libera valutazione del giudice stante le limitazioni probatorie che sembrano ancora contrassegnare - per quanto detto - il rito tributario (art. 654 c.p.p.).

Sempre sul piano istruttorio merita infine segnalare che l'art. 7 d.lgs. 546/92 aveva già visto ridotta la sua portata ad opera dalla L. 148/2005 con rafforzamento del carattere “dispositivo” mediante espunzione della disposizione che assegnava alla Commissione la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia.

Per contro rimane vigente la libera produzione di documenti in appello (art. 58 d.lgs. 546/92) diversamente da quanto avviene nel procedimento civilistico dove opera il divieto di ius novorum salvo che la produzione del nuovo documento si sia rivelata “impossibile” nel 1° grado (art. 345 c.p.c.).

Si tratta di una regola permissiva che andrebbe anche essa abolita, mal conciliandosi con il principio dispositivo e di ragionevole durata del processo.

In conclusione

Vi è dunque da auspicare che nel corso dell'iter parlamentare vengano effettuate le appropriate correzioni e/o integrazioni al disegno di legge prendendo spunto anche dalle numerose sollecitazioni provenienti dall'Accademia, dagli Ordini professionali, dalle Associazioni di categoria, al fine di pervenire ad un assetto definitivo che assicuri un reale '”efficientamento” e “modernizzazione” della giustizia tributaria nel rispetto delle direttive del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

(Fonte: Il Tributario)