Composizione negoziata: responsabilità dell'imprenditore per la gestione dell'impresa e il controllo dell'esperto

03 Giugno 2022

La procedura di composizione negoziata non sottrae all'imprenditore la gestione della sua impresa, che deve essere orientata alla continuità aziendale. Tuttavia egli è sottoposto al controllo dell'esperto che potrà segnalare la capacità di tali atti di arrecare pregiudizio. Resta in ogni caso ferma la responsabilità dell'imprenditore per le operazioni effettuate e dell'organo di controllo per la vigilanza.
Premessa

Nessuno spossessamento, neppure attenuato, per l'imprenditore che ricorre alla composizione negoziata per la soluzione della crisi della sua impresa. Egli continuerà a gestirla durante la procedura, così come quando prepara un piano attestato di risanamento oppure un accordo di ristrutturazione, ma sono previste cautele al fine di evitare condotte abusive. La ratio del nuovo strumento è infatti quella di preservare la continuità ed il valore dell'impresa che abbia concrete possibilità di risanamento, intercettando situazioni di crisi sul nascere al fine di evitare che si trasformino in insolvenza e distruzione del valore aziendale. La gestione della impresa durante la procedura dovrà quindi essere improntata, ex art. 9 D.L. 118/21: (i) nel caso di crisi, ad evitare il pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria, (ii) in caso di insolvenza, al prevalente interesse dei creditori. A garantire che questi target vengano perseguiti con il massimo sforzo e senza condotte abusive, vi è l'esperto che, terzo e indipendente, sarà a fianco dell'imprenditore per tutta la procedura e, in un costante flusso informativo, segnalerà gli atti che possono arrecare pregiudizio ai creditori e alle prospettive di risanamento e archivierà la procedura se non sussistono più concrete possibilità di risanamento.

In sintesi, la procedura di composizione negoziata funziona se vengono istituiti adeguati assetti organizzativi e sistemi di allerta interna che intercettino precocemente i primissimi segnali di crisi, anche attraverso le segnalazioni da parte dell'organo di controllo, consentendo l'attivazione precoce di tale nuovo strumento.

La gestione dell'impresa tra continuità aziendale e controllo dell'esperto

Continuità aziendale

A mente dell'art. 3 CCII e del nuovo comma 2 dell'art. 2086 c.c. “l'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Sarà da qui che si snoderà per lo più la responsabilità degli amministratori e di coloro che sono chiamati a vigilare costantemente sulla corretta amministrazione e sull'esistenza delle condizioni di squilibrio patrimoniale, economico o finanziario (in tal senso R. RORDORF, Gli assetti organizzativi dell'impresa ed i doveri degli amministratori di società delineati dal novellato art. 2086, comma 2, c.c., Società, 2021, 1325).

Centrale diviene la conservazione della continuità aziendale, intesa come la capacità dell'impresa di produrre risultati positivi e generare correlati flussi finanziari nel tempo (in tal senso cfr. M. IRRERA, Adeguatezza degli assetti organizzativi tra correttezza e business judgment rule, in A.A.V.V., Crisi di impresa. Prevenzione e gestione dei rischi: nuovo codice e nuova cultura, Atti del Convegno Courmayeur, 20-21 settembre 2019, a cura di P. MONTALENTI E M. NOTARI, Milano, 2021, 81 ss.): tale postulato, in base al quale viene di norma redatto il bilancio di esercizio ai sensi dell'art. 2423-bis c.c., deve essere valutato ora con particolare attenzione, in quanto errate valutazioni in merito alla continuità aziendale sono fonte di responsabilità sia per chi redige il bilancio che per i soggetti che sulla base di tali bilanci effettuano valutazioni di performance dell'impresa (cfr. Quaderno SAF n. 47 – il rischio di continuità aziendale nel bilancio IAS e in quello OIC). Il Documento n. 570 – La continuità aziendale elaborato dal CNDCEC ha elencato alcuni esempi di eventi o circostanze che possono comportare rischi per l'impresa e che possono far sorgere dubbi in merito al presupposto della continuità aziendale. Si tratta di indicatori finanziari (quali deficit patrimoniale o di capitale circolante, prestiti a scadenza fissa e prossimi alla scadenza senza verosimili prospettive di rinnovo o rimborso; incapacità di saldare i debiti a scadenza), indicatori gestionali (quali la perdita di amministratori) e altri (ad esempio il capitale ridotto sotto il minimo legale), che devono servire da campanelli di allarme per la direzione dell'impresa, responsabile di tale valutazione.

Ai sensi della nuova disciplina in materia di crisi di impresa, l'imprenditore deve quindi istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile idoneo a monitorare costantemente lo stato di continuità aziendale e rilevare prontamente lo stato di crisi (intercettando eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario), consentendo di assumere tempestivamente le idonee iniziative di rimedio. A tale riguardo, tra le varie opportunità previste dal CCII, l'imprenditore che si trova in situazione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario può proporre istanza per la nomina di un esperto che agevoli le trattative per il superamento di tale situazione, iniziando così la procedura di composizione negoziata.

Conformemente alla Dir. (UE) 2019/1023 che mira alla conservazione dei posti di lavoro e a massimizzare il valore aziendale a favore dei creditori, il nuovo quadro normativo è finalizzato all'emersione anticipata della crisi e a favorire soluzioni negoziate dalle crisi che la superino, recuperando la continuità aziendale in modo da ricorrere alle procedure liquidatorie solo in casi residuali dove null'altro è possibile.

Atti di ordinaria e atti di straordinaria amministrazione, atti autorizzati dal Tribunale

Nel corso della composizione negoziata della crisi, ai sensi dell'art. 9 D.L. 118/21, l'imprenditore mantiene la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa, compiendo tutti gli atti che siano coerenti con la continuità aziendale. L'intervento dell'esperto e del Tribunale sono, come si vedrà, riservati ad ipotesi peculiari, per operazioni decisive per la prosecuzione e conservazione dell'azienda e che potenzialmente incidono sui diritti dei creditori o dei terzi.

Egli potrà quindi: (i) compiere atti di ordinaria amministrazione liberamente, evitando il pregiudizio alla sostenibilità economico-finanziaria nel caso di crisi e nel prevalente interesse dei creditori in caso di insolvenza; (ii) provvedere ai pagamenti strategici, necessari per mantenere la continuità aziendale, senza pregiudicare gli interessi degli altri creditori. Inoltre, egli potrà compiere atti di straordinaria amministrazione o pagamenti non coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento, ma dovrà previamente informarne l'esperto per iscritto ai sensi dell'art. 9, comma 2, D.L. 118/2021: l'esperto, qualora ritenga che l'atto possa effettivamente arrecare pregiudizio ai creditori, alle trattative o alle prospettive di risanamento, procederà a segnalare tale circostanza all'imprenditore e all'organo di controllo. Se, ciò nonostante, l'imprenditore decide di procedere al compimento dell'atto, ne informa l'esperto che nei successivi 10 giorni potrà decidere di iscrivere il proprio dissenso nel registro delle imprese se l'atto pregiudica le trattative o le prospettive di risanamento (facoltà di iscrizione che si trasforma in un dovere qualora l'atto pregiudica l'interesse dei creditori). Tale iscrizione non è senza conseguenze: l'atto sarà valido ed efficace ma, oltre alla pubblicità verso i creditori e i terzi che esso riceve mediante l'iscrizione del dissenso nel registro delle imprese, nel caso siano state concesse misure protettive e cautelari l'esperto procede ad effettuare la segnalazione anche al giudice che le aveva concesse, il quale potrà decidere di revocarle a seguito del compimento dell'atto pregiudizievole per i creditori, e potrà, nei casi più gravi, archiviare l'istanza di composizione negoziata.

Il Protocollo di conduzione della composizione negoziata, nel precisare che per gli atti compiuti restano ferme le responsabilità civili e penali dell'imprenditore, fornisce un elenco esemplificativo di atti che eccedono l'ordinaria amministrazione e di pagamenti coerenti rispetto alle trattative o alle prospettive di risanamento, segnalando di prestare attenzione a tutti i pagamenti diversi da quelli elencati, consistenti in quelli di normale amministrazione.

Vi sono poi atti di straordinaria amministrazione che l'imprenditore potrà compiere al fine del risanamento della propria impresa per i quali non basta la segnalazione all'esperto, ma occorre l'autorizzazione da parte del Tribunale.

La normativa (art. 10, comma 1, lett. d), D.L. 118/21) consente infatti all'imprenditore, successivamente alla nomina dell'esperto, di chiedere al Tribunale l'autorizzazione per effettuare trasferimenti di rami di azienda (o dell'intera azienda) non più produttivi, o che in ogni caso ritiene di dismettere, mantenendo tuttavia l'obbligo di pagare i debiti anteriori inerenti all'azienda e risultanti dai libri contabili (e mantenendo ovviamente i rapporti di lavoro ai sensi dell'art. 2112 c.c.). In deroga alla disciplina di cui all'art. 2560, comma 2, c.c., può escludersi la responsabilità solidale dell'acquirente. La norma tende a favorire i trasferimenti nell'ambito della procedura di composizione negoziata, ottenendo migliori condizioni di vendita per il ramo o l'azienda privi di debiti, ma pur sempre senza pregiudizio dei creditori, tutelati mediante il vaglio del Tribunale, che, acquisito il parere dell'esperto e verificata la funzionalità dell'atto alla continuità aziendale (si tratta infatti di un caso di continuità indiretta) e alla migliore soddisfazione dei creditori (la vendita avviene preferibilmente mediante procedure competitive), autorizza il trasferimento della azienda o del ramo senza gli effetti di cui all'art. 2560, comma 2, c.c. dettando le misure che ritiene opportune considerate le istanze formulate dalle parti interessate (i creditori potrebbero, infatti, vedere pregiudicata la garanzia patrimoniale offerta dal ramo d'azienda ceduto ai sensi dell'art. 2740 c.c.). Ovviamente dovrà essere stato già predisposto un piano di risanamento, affinché il giudice possa valutare l'effettiva convenienza della vendita e il miglior soddisfacimento dei creditori e a tale riguardo non mancano le voci che vorrebbero anche la predisposizione di una bozza di piano di riparto delle somme ricavate dalla vendita che ne assicuri il loro riparto tra i creditori risultanti dalle scritture contabili (in tal senso cfr. R. BROGI, Le autorizzazioni e la rideterminazione delle condizioni contrattuali, in Fallimento, 2021, 1548). Si precisa che ovviamente tale autorizzazione non serve nel caso di trasferimento di azienda senza deroghe all'art. 2560, comma 2, c.c. e per l'affitto di azienda, casi di atti di straordinaria amministrazione soggetti invece alla segnalazione all'esperto (in tal senso cfr. S. MANSOLDO, Trasferimento di azienda e rinegoziazione di contratti, in A.A.V.V. La crisi di impresa e le nuove misure di risanamento diretto da IRRERA e CERRATO, Torino, 2022, 180).

Nello stesso modo l'imprenditore potrà chiedere al Tribunale, ai sensi dell'art. 10 comma 1 lett. a), b) e c) D.L. 118/21, l'autorizzazione a contrarre finanziamenti prededucibili ai sensi dell'art. 111 l.fall. in caso di successiva apertura di una procedura di insolvenza, erogati da terzi, dai soci, da società appartenenti al gruppo. Si tratta di finanziamenti destinati a sostenere la continuità aziendale evitando che lo squilibrio economico finanziario ne cagioni un danno grave e irreparabile e porti all'insolvenza. L'autorizzazione verrà concessa dal Tribunale, previo parere dell'esperto, anche in tal caso a seguito di una prognosi sulla funzionalità dell'atto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori, nell'esigenza di contemperare l'interesse dei creditori a non vedere l'ingresso di un nuovo creditore a loro preferito, l'interesse degli stessi a che l'impresa non venga liquidata con evidente minore soddisfazione dei loro crediti, nel favor generale verso la concessione di finanza nel momento in cui lo stato dell'impresa osta all'accesso al credito bancario.

Infine, ai sensi dell'art. 10, comma 2, D.L. 118/21, l'imprenditore può ottenere la rideterminazione del contenuto dei contratti ad esecuzione continuata o periodica o a esecuzione differita (esclusi i contratti di lavoro dipendente), qualora la prestazione sia divenuta eccessivamente onerosa a causa della pandemia da COVID-19 (lo schema di decreto ha eliminato tale limitazione dell'intervento dell'esperto alle sopravvenienze determinate dagli effetti della pandemia). In tale caso l'esperto può invitare le parti ad operare in buona fede una equa modifica del contratto per riequilibrarlo e, in caso di mancato raggiungimento di un accordo, è stato originariamente previsto un intervento del Tribunale a riguardo, intervento che tuttavia, alla luce delle resistenze e delle voci critiche su tale possibilità di determinazione esterna del contenuto contrattuale ben al di là della autonomia negoziale se pur nel solco della integrazione del contratto secondo equità ai sensi dell'art. 1374 c.c., oltre che delle indicazioni dello stesso Protocollo che suggerisce il ricorso al tribunale il via del tutto estrema, non sembra verrà trasfuso nel CCII, che accoglierà il procedimento di composizione negoziata al suo interno (lo schema di D.Lgs. non contempla più tale possibilità). La rideterminazione delle condizioni di contratti inerenti all'attività di impresa e che se risolti determinerebbero l'impedimento alla sua operatività e continuità (si pensi a contratti di fornitura periodica di materie prime indispensabili per la produzione), è una grande opportunità per l'imprenditore che è entrato in crisi a causa del rialzo dei prezzi delle materie prime, dell'energia, dei beni necessari per la produzione a causa della pandemia. Senza tale previsione, infatti, l'imprenditore non avrebbe altra scelta se non la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi dell'art. 1463 c.c. in forza della sua incapacità a far fronte alle sue obbligazioni per eventi straordinari non prevedibili al momento della stipula del contratto. Manca infatti nel nostro ordinamento una previsione generale che consenta alla parte la cui prestazione è divenuta eccessivamente onerosa a causa di un evento sopravvenuto non imputabile, il diritto di ottenere la rinegoziazione delle condizioni contrattuali, dovere che in ogni caso trova la sua traccia nel dovere delle parti di eseguire il contratto secondo buonafede e correttezza ai sensi degli artt. 1175 e 1375 c.c. (in tal senso cfr. anche S. MANSOLDO, op. cit., 188). Tutto ciò nell'ambito della condotta collaborativa che deve ispirare le parti nel procedimento di composizione negoziata, proprio per la sua ratio di solidarietà sociale che impone di cercare di salvare una impresa, senza pregiudizio per i creditori, evitandone la perdita di valore e di posti di lavoro.

Garanzie a tutela della continuità aziendale

Al fine di poter agevolare l'imprenditore nel risanamento della azienda e nel recupero della continuità aziendale, il legislatore ha previsto, nell'ambito della composizione negoziata, la possibilità per l'imprenditore di godere di alcuni benefici.

Come sopra detto, durante le trattative per raggiungere una composizione negoziata con i creditori, la gestione dell'impresa deve essere orientata, in caso di crisi, in modo da evitare il pregiudizio alla sostenibilità economico finanziaria, mentre, nel caso di insolvenza, al prevalente interesse dei creditori: una gestione così improntata consente di avere taluni vantaggi. Innanzitutto, come sopra riassunto, l'imprenditore può effettuare pagamenti di creditori strategici e coerenti con le trattative e il piano di risanamento senza rischio di revocatorie in caso di successiva liquidazione giudiziale, e, qualora, come si vedrà tra poco, siano concesse misure protettive, vedrà proseguire i contratti pendenti anche se non effettuerà i relativi pagamenti.

Inoltre, vige il principio di conservazione degli effetti per gli atti autorizzati dal tribunale, che mantengono la loro efficacia e opponibilità ai terzi anche in caso di ingresso in una delle procedure concorsuali. Pertanto, sia gli atti autorizzati dal tribunale sia gli atti compiuti dall'imprenditore successivamente alla nomina dell'esperto e in coerenza con l'andamento e lo stato delle trattative e con le prospettive di risanamento esistenti al momento in cui tali atti sono stati compiuti, godono della esenzione dalla azione revocatoria fallimentare e dai reati di bancarotta semplice e preferenziale, in caso di successiva declaratoria di fallimento (art. 12 D.L. 118/21). Di contro, quindi, un atto per il quale il tribunale ha negato la autorizzazione oppure un atto di straordinaria amministrazione o un pagamento effettuato nel periodo successivo alla nomina dell'esperto e per il quale l'esperto ha espresso il proprio dissenso non sarà al riparo da revocatorie e da reati di bancarotta: in ciò si esplica la funzione del giudice e dell'esperto dissuasiva dal compimento di atti di mala gestio da parte dell'imprenditore.

Per altro aspetto, l'imprenditore, al fine di poter proseguire le trattative con i creditori in un contesto tranquillo e protetto, ha anche la facoltà ai sensi dell'art. 8 D.L. 118/21 di sospendere, con l'istanza di nomina dell'esperto e sino alla conclusione delle trattative o all'archiviazione dell'istanza di composizione negoziata, gli obblighi di ricapitalizzazione ai sensi degli artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4, 5 e 6, 2482-ter c.c. e la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale ai sensi degli artt. 2484, comma 1, n. 4) e 2545-duodecies c.c..

In conformità alla Dir. (UE) 2019/1023 che vuole consentire all'imprenditore di continuare ad operare modificando la composizione, le condizioni o la struttura della sua attività e delle passività, il legislatore, all'art. 6 D.L. 118/21, consente inoltre all'imprenditore di chiedere al Tribunale, al fine di cristallizzare gli asset dell'impresa e proteggerli dalle esecuzioni individuali nel corso delle trattative per la composizione della crisi, l'applicazione di misure protettive del patrimonio con l'istanza di nomina dell'esperto o successivamente, con effetto automatico dal giorno di pubblicazione della istanza di applicazione delle misure stesse. Tali misure protettive sono state tipizzate dal legislatore e risultano consistere – in sintesi – nella impossibilità per i creditori di acquisire titoli di prelazione ed iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari sul suo patrimonio, sui beni e sui diritti con i quali viene esercitata l'attività di impresa; in un blocco dei procedimenti per la dichiarazione di fallimento o di accertamento dello stato di insolvenza (secondo la recente giurisprudenza, Trib. Roma 3 febbraio 2022 e Trib. Palermo 29 novembre 2021, solo se sono state chieste le misure protettive); nella impossibilità per i creditori interessati dalle misure protettive di rifiutare l'adempimento dei contratti pendenti, provocarne la risoluzione, anticiparne la scadenza, modificarli in danno al debitore per il solo fatto del mancato pagamento dei debiti anteriori (c.d. continuità contrattuale).

In sintesi, non essendo questa la sede per l'esame del procedimento di concessione delle misure protettive, tali misure protettive hanno natura provvisoria e devono poi essere confermate, modificate o revocate dal Tribunale a seguito di specifico ricorso dell'imprenditore, nel quale egli potrà altresì chiedere l'adozione dei provvedimenti cautelari necessari per condurre a termine le trattative (essi non sono tipizzati, ma devono essere strumentali rispetto alle trattative in corso, ad esempio potrà essere chiesto di inibire la segnalazione dell'inadempimento alla Centrale Rischi della Banca di Italia in quanto tale segnalazione potrebbe pregiudicare la trattativa con gli altri creditori finanziari).

La ratio di tale disciplina è da rintracciare nel fine di agevolare la continuità aziendale, consentendo all'imprenditore di scegliere come preferisce agire: si tratta di una sorta di moratoria unilaterale nella quale, a differenza del concordato preventivo dove l'imprenditore non può fare quasi nulla senza l'autorizzazione del tribunale, l'imprenditore può scegliere liberamente se pagare i creditori anteriori alla presentazione dell'istanza al fine di evitare pregiudizi a cascata per i creditori durante le trattative per la composizione negoziata, mentre essi nulla possono fare per sollecitare coattivamente il loro pagamento. Restano fermi solo i diritti di credito dei lavoratori, che non possono venir compressi o pregiudicati dalla procedura in corso: d'altronde l'idea è quella di preservare il valore aziendale e la forza lavoro dell'impresa.

La libertà di manovra concessa all'imprenditore non è in ogni caso senza limiti: eventuali condotte opportunistiche saranno scongiurate dalla pubblicazione della richiesta di applicazione delle misure nel registro delle imprese, con ciò sia mettendo in moto il “procedimento di controllo” da parte del giudice che verificherà la proporzionalità dello strumento rispetto alla condizione in cui si trova l'imprenditore, sia preallertando i creditori che potranno fare istanza affinché il giudice revochi o abbrevi le misure oppure proporre istanza di fallimento (che potrà essere istruita se pur non arrivare alla sentenza dichiarativa). Le misure devono, infatti, consentire che manovre dei creditori non pregiudichino il buon esito delle trattative, ma occorre anche garantire la tutela dei creditori che potrebbero venir pregiudicati qualora la situazione in cui versa l'impresa è di conclamata crisi o perfino di insolvenza.

A garanzia della continuità aziendale si aggiungono, infine, ma vi si accenna soltanto non essendo questa la sede per svolgere tali approfondimenti, l'inibizione della revoca degli affidamenti bancari concessi all'imprenditore per causa del mero accesso alla composizione negoziata nel quadro di generale favore per la concessione del credito all'imprenditore in crisi ma con ragionevoli prospettive di risanamento, e alcune misure premiali di natura fiscale.

La responsabilità dell'imprenditore

Composizione negoziata strumento utile, ma da maneggiare con cura. Lo strumento può di fatto essere utilizzato in modo distorto dall'imprenditore, che potrebbe ricorrervi solo per ritardare l'accesso alle procedure concorsuali.

L'imprenditore deve utilizzare la composizione negoziata con trasparenza, buonafede e autoconsapevolezza. Trasparenza nei confronti dell'esperto e dei creditori, mettendo sul tavolo la situazione reale della sua impresa, buonafede nei confronti di tutti gli stakeholders nella consapevolezza che il ritardo nell'emersione della sua insolvenza causa un grave pregiudizio, nella coscienza che se la propria impresa non ha chances oggettive di risanamento attraverso le trattative con i creditori con l'ausilio di un terzo imparziale quale è l'esperto, è meglio che non intraprenda questo percorso. Proprio a tale fine è infatti posto sia il test di praticabilità dello strumento che la check-list con l'allegato schema di proposte da poter formulare ai creditori (in tal senso anche R. RANALLI, Dall'allerta alla composizione negoziata. Flessibilità, semplificazione e trasparenza del nuovo strumento, in dirittodellacrisi.it, 24 febbraio 2022).

Ma ancor prima del test e della check-list si deve considerare l'obbligo dell'imprenditore, precedentemente illustrato, di istituire adeguati assetti organizzativi e sistemi di allerta interna idonei ad intercettare precocemente i primi segnali di crisi ai sensi dell'art. 2086 c.c.. Tale obbligo di creazione di adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili grava sull'organo amministrativo, che dovrà poi vigilare su come gli organi delegati (qualora esistenti) implementino tali assetti, restando pur sempre in capo all'organo amministrativo il dovere di valutare costantemente ai sensi dell'art. 2381 c.c., sulla base dei flussi informativi ricevuti dagli organi delegati, l'adeguatezza di tali assetti anche ai fini della tempestiva rilevazione della crisi e della perdita della continuità aziendale e della conseguente adozione degli strumenti necessari a superarla. Per quanto l'imprenditore abbia pur sempre la possibilità di scegliere a sua discrezione come organizzare adeguatamente la propria impresa, la violazione di tale dovere espone gli amministratori alla azione di responsabilità sia da parte della società che da parte dei creditori, sempre che ne sia derivato un danno (in tal senso R. RORDORF, op. cit.). Le nuove previsioni aggravano la responsabilità di amministratori, sindaci e revisori nei confronti della società e dei creditori: come autorevolmente sostenuto la crisi diventa parte fisiologica della vita dell'impresa, un rischio da prevenire e gestire in base alla natura e alla dimensione dell'impresa (in tal senso Assonime, Le nuove regole societarie sull'emersione anticipata della crisi di impresa e gli strumenti di allerta, Circ. n. 19/2019 e S. Fortunato, Codice della Crisi e Codice Civile: impresa, assetti organizzativi e responsabilità, in Riv. Società, 2019, 983 ss.).

A tale proposito, occorre valutare l'applicabilità della business judgment rule (ovvero della regola della insindacabilità degli atti e delle scelte gestorie degli amministratori nel merito e in termini di opportunità e convenienza, fermo restando il sindacato di legittimità sul processo decisionale che ha condotto al compimento di quegli atti in forza del dovere degli amministratori di agire informati ai sensi dell'art. 2381 c.c.) sia alla scelta circa gli assetti organizzativi, sia, successivamente in caso di pre-crisi, crisi o insolvenza, alla scelta dello strumento di risoluzione della crisi.

Gli amministratori devono, infatti, prima di tutto adottare assetti capaci di intercettare l'insorgenza di situazioni di squilibrio, adeguati alla natura e alle dimensioni dell'impresa, e, in seconda battuta, valutare sapientemente la situazione della impresa ricorrendo a strumenti che ne consentano la conservazione e solo in ultima ratio la dichiarazione di insolvenza, pur evitando tentativi di salvataggio azzardati che hanno l'unico effetto di ritardare l'emersione della insolvenza e la liquidazione giudiziale o aggravare il dissesto e implicare conseguentemente la loro responsabilità penale per bancarotta (in tal senso anche M. RIVERDITI, Gli effetti del d.l. 118/2021 sul “rischio penale di impresa”: uno sguardo di insieme, in A.A.V.V., La crisi di impresa e le nuove misure di risanamento, op. cit., 446 ss.). Vi sono due tesi contrapposte in dottrina sulla distinzione tra atti di gestione e atti di organizzazione ai fini dell'applicabilità della business judgment rule e sulla classificazione delle scelte in questione nell'una o nell'altra categoria:

  1. l'una (sostenuta soprattutto da V. Calandra Buonaura), ritiene che la discrezionalità delle scelte amministrative si esprime anche nel modo in cui realizzare gli obiettivi e quindi nella definizione delle strutture organizzative con cui svolgere l'attività economica, con la conseguenza che anche per le decisioni circa l'adeguata organizzazione occorre applicare i criteri della business judgment rule e pertanto esse, se assunte in assenza di conflitti di interesse e a seguito di cautele e informazioni, non sono sindacabili salvo il caso della palese irragionevolezza; tale tesi evidenzia la necessità di distinguere tra assetti organizzativi funzionali all'adempimento di un dovere specifico imposto dalla legge (quali le misure organizzative richieste per la rilevazione tempestiva dello stato di crisi), per i quali vi è in ogni caso un limite alla discrezionalità degli amministratori la cui scelta tra i diversi modelli organizzativi è condizionata dal contenuto della regola dell'adeguatezza rispetto all'obbligo di cui si chiede l'adempimento, e le misure organizzative anche relative alla gestione dei rischi per cui non esiste un vincolo di risultato ma solo la necessità, come per qualunque scelta di gestione, che sia rispettato il dovere di diligenza e per le quali quindi vige il principio di insindacabilità ferma restando la ragionevolezza del processo decisionale (V. CALANDRA BUONAURA, Amministratori e gestione dell'impresa nel codice della crisi, in A.A.V.V., Crisi di impresa, prevenzione e gestione dei rischi: nuovo codice e nuova lettura, a cura di P. MONTALENTI e M. NOTARI, Milano, 2021, 35; V. CALANDRA BUONAURA, Corretta amministrazione e adeguatezza degli assetti organizzativi nelle società per azioni, in Giur. Comm., 2020, 439);
  2. l'altra tesi (sostenuta soprattutto da P. MONTALENTI, di cui cfr., tra gli altri, Diritto dell'impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi, in Giur. Comm., 2018, 76), ritiene che il sindacato giudiziale deve essere più penetrante ed entrare all'interno del contenuto delle decisioni in materia di organizzazione interna alla luce di parametri di correttezza da individuare sulla base di best practice e valutazioni tecniche condivise, ma non assimilabili al giudizio sulle decisioni di merito e quindi escluse dal regime di insindacabilità tipico delle scelte gestorie; tale tesi distingue quindi tra assetti organizzativi sindacabili in caso di violazione dei parametri di correttezza e le scelte di gestione sindacabili solo se in caso di manifesta irrazionalità (per una panoramica sulle varie tesi in materia cfr. A. JORIO, Note minime su assetti organizzativi, responsabilità e quantificazione del danno risarcibile, in Giur. Comm., 2021, 812).

In tal senso si osserva che, per quanto sussista un obbligo di istituire adeguati assetti organizzativi, la natura di organizzazione della scelta non comporta che essa non sia di fatto anche una scelta gestoria, connotata da una certa discrezionalità, se pur probabilmente minore rispetto ad un atto gestorio puro e semplice. Nella scelta sugli assetti organizzativi da adottare la discrezionalità è, infatti, da considerare maggiormente limitata rispetto ad un atto di gestione in quanto la scelta, che integra uno specifico obbligo degli amministratori, deve essere orientata all'adeguatezza dell'assetto organizzativo con riferimento sia alla capacità di intercettare i sintomi della crisi e di perdita della continuità aziendale sia come proporzionalità rispetto alla natura e alle dimensioni dell'impresa, per espressa previsione della norma stessa. Si tratta di fatto di una scelta di allocazione delle risorse dell'impresa, pur sempre limitate, ma che deve essere connotata da ragionevolezza, coerenza e completezza del processo decisionale intrapreso. Analogamente anche per la scelta del rimedio alla crisi da attuare rilevata la situazione di difficoltà, laddove l'agire degli amministratori, pur non essendo caratterizzato da un obbligo di perseguire la continuità aziendale qualora le condizioni economico-patrimoniali della impresa non lo giustificano, deve essere connotato da ragionevolezza e pur sempre orientato alla tutela dell'interesse dei creditori nella consapevolezza che operazioni poste in essere per ritardare la liquidazione giudiziale e che aggravano il dissesto sono fonte di responsabilità penale per bancarotta. In tale senso e portata la business judgment rule deve ritenersi caratterizzare tutte le scelte degli amministratori, nella fase di vita normale della impresa, nello stato di pre-crisi, crisi, fino all'insolvenza, ferma la sindacabilità della correttezza del processo decisionale adottato al fine di realizzare gli scopi previsti dalla legge (in tal senso anche S. FORTUNATO, op. cit., 986 ss.; R. RORDORF, I doveri dei soggetti coinvolti nella regolazione della crisi nell'ambito dei principi generali del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Fallimento, 2021, 594; in senso critico P. MONTALENTI, Il Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza: assetti organizzativi adeguati, rilevazione della crisi, procedure di allerta nel quadro generale della riforma, in A.A.V.V., Crisi di impresa. Prevenzione e gestione dei rischi: nuovo codice e nuova cultura, Atti del convegno Courmayeur, 20-21 settembre 2019, a cura di P. MONTALENTI e M. NOTARI, Milano, 2021, 24 ss., il quale ritiene che il tema degli adeguati assetti organizzativi rientri invero nel dovere di correttezza, precisando che - pur essendo ampio il margine della discrezionalità tecnica - la giurisprudenza dovrà valutare l'adeguatezza degli assetti sulla base della situazione concreta della impresa, non relegando la materia nello spazio libero della business judgment rule e con ciò vanificando di fatto l'obiettivo nella riforma: mentre le scelte di organizzazione sono scelte di merito strettamente connesse alle operazioni di mercato e coperte dalla business judgment rule, gli assetti organizzativi sono procedure di efficiente funzionamento aziendale di gestione amministrativa in senso stretto, di processi contabili e informatici che non sono affidati alla discrezionalità, ma devono raggiungere la soglia della adeguatezza, ovvero dell'appropriatezza mezzo-fine, appunto il principio di correttezza).

Ne consegue che gli amministratori che hanno scelto di intraprendere il procedimento di composizione negoziata che si concluda poi con una archiviazione in quanto non sussistono i presupposti di risanabilità dell'impresa e nella successiva liquidazione giudiziale, potranno essere soggetti ad azione di responsabilità ai sensi dell'art. 2476 c.c.: la eventuale evidente carenza di assetti organizzativi adeguati (come sopra evidenziato, nel senso ad esempio della loro contrarietà a criteri noti e consolidati di buona organizzazione aziendale alla luce della specifica tipologia dell'impresa, secondo i parametri della correttezza) potrebbe essere considerata prova del loro colpevole comportamento nel non aver percepito tempestivamente la situazione di crisi, nell'aver condotto imprudentemente l'impresa allo stato di insolvenza e nell'averla aggravata con un tentativo irragionevole, tardivo a quello stato avanzato, di risanarla (ovviamente sussistono poi tutte le sfumature intermedie nel caso di pre-crisi o di crisi, laddove non vi è un obbligo di gestione conservativa dell'impresa, ma sussiste pur sempre un obbligo di agire in modo più prudente).

Infine la responsabilità degli amministratori deve essere considerata anche con riferimento agli atti gestori compiuti nel corso della procedura di risoluzione della crisi, o meglio, per quel che in questa sede ci occupa, nel corso della composizione negoziata: se pur la gestione dell'impresa resta in capo all'imprenditore che, come sopra esposto, non subisce alcun spossessamento e può compiere autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione e, con alcune cautele, quelli di straordinaria amministrazione, la normativa precisa che restano in ogni caso ferme la sue responsabilità. La gestione dell'impresa, infatti, non è ristretta ad una gestione meramente conservativa secondo i parametri di cui all'art. 2486 c.c. in caso di scioglimento della società, ma, come sopra riassunto, deve essere trasparente, improntata, in caso di crisi, alla conservazione della sostenibilità economico finanziaria e alla continuità aziendale senza pregiudizio dei creditori e, in caso di insolvenza, ai prevalenti interessi dei creditori: il baricentro degli interessi da tutelare e dei conseguenti doveri degli amministratori cambia dallo stato di crisi allo stato di insolvenza, passando dalla gestione, in caso di situazione di pre-crisi e di crisi, finalizzata all'interesse della proprietà della azienda (pur sempre senza pregiudizio dei creditori) ad una gestione, in caso di insolvenza, orientata al solo interesse dei creditori (in tal senso MICHELOTTI, La gestione dell'impresa e il ruolo dell'esperto, in Fallimento, 2021, 1261). Ogni atto (o pagamento o garanzia posti in essere successivamente alla nomina dell'esperto) deve essere coerente con le trattative in corso e con la prospettiva concreta di risanamento: se è tale allora gode della stabilità e del beneficio della esenzione da revocatoria e dai reati di bancarotta in caso di fallimento, come sopra esposto; diversamente, in caso di condotte pregiudizievoli, oltre al mancato godimento di tali vantaggi, restano le “sanzioni” ordinarie. Peraltro, proprio in forza della possibilità per l'imprenditore di sospendere durante la procedura gli obblighi di ricapitalizzazione, può accadere che egli continui a operare nonostante abbia un patrimonio netto negativo se pur sempre con l'obbligo di non arrecare danno ai creditori. Se pur la disciplina delle responsabilità degli organi sociali durante la fase della composizione negoziata dovrà essere declinata ed approfondita (in tal senso R. GUIDOTTI, La sospensione degli obblighi relativi al capitale e della causa di scioglimento collegata, in A.A.V.V., La crisi di impresa e le nuove misure di risanamento, op. cit., 174 ss. ), si può affermare al momento, in termini generali, che resta ferma la responsabilità civile e penale in capo all'imprenditore e la garanzia costituita dal suo patrimonio, con le conseguenze che essa normalmente comporta: dai mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale ex artt. 2900 ss. c.c., quali l'azione revocatoria ordinaria e il sequestro conservativo, all'azione di responsabilità verso i creditori sociali per violazione dei doveri di conservazione della garanzia patrimoniale di cui all'art. 2394 c.c., fino, in caso di insufficienza dell'attivo, allo spossessamento totale e all'impedimento di ogni atto di gestione in caso di insolvenza e di apertura della liquidazione giudiziale.

Oltre alla responsabilità civile vi sarà poi anche la responsabilità penale per l'imprenditore, in quanto l'esenzione dai reati di bancarotta fraudolenta preferenziale e semplice non opera per gli atti e i pagamenti incoerenti con le finalità delle trattative.

Il tema sorge con maggiore vigore qualora l'imprenditore non abbia chiesto misure protettive o cautelari, nel qual caso non è previsto un regime di pubblicità per i terzi e se non vi sarà richiesta di finanza o il trasferimento dell'azienda o di un ramo di essa non vi sarà nemmeno l'intervento del Tribunale. A tale riguardo si osserva che il compimento di atti di mala gestio pone probabilmente fine al tentativo di composizione negoziata, in quanto in primo luogo allerta subito l'esperto, che provvede alla relativa segnalazione nel Registro delle imprese e potrà anche procedere all'archiviazione della procedura e, in seconda battuta, pone in stato di allerta i creditori che potranno attivarsi con i mezzi ordinari di tutela della garanzia patrimoniale fino a proporre istanza di fallimento, e per altro aspetto sia i terzi che i creditori stessi che, alla luce di tali comportamenti pregiudizievoli da parte degli amministratori, potranno decidere di non intraprendere più alcuna nuova operazione con l'impresa e/o chiedere maggiori garanzie per la prosecuzione dei rapporti in essere.

Profili di responsabilità per l'organo di controllo (cenni)

Se già prima del codice della crisi la posizione dell'organo di controllo interno era centrale, esso viene ora chiamato a svolgere uno specifico e accentuato ruolo di vigilanza sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile e sul suo funzionamento anche ai fini delle tempestiva rilevazione della crisi, nonché di garanzia e di indirizzo nella fase della premonizione, dell'intercettazione e dell'accertamento del possibile rischio di una discontinuità nell'equilibrio finanziario economico o patrimoniale (in tal senso P. BENAZZO, Crisi di impresa, prevenzione e gestione dei rischi, in A.A.V.V., Crisi di impresa. Prevenzione e gestione dei rischi: nuovo codice e nuova cultura, Atti del convegno Courmayeur, 20-21 settembre 2019, a cura di P. MONTALENTI e M. NOTARI, Milano, 2021, 97 ss.; M. Riverditi, op. cit., 452). Ai sensi dell'art. 15 D.L. 118/2021, infatti, l'organo di controllo deve segnalare per iscritto all'organo amministrativo la sussistenza dei presupposti per l'avvio della composizione negoziata, a seguito della quale l'organo amministrativo deve indicare, entro massimo 30 giorni, le iniziative intraprese e deve vigilare, mediante un continuo flusso informativo, sull'andamento delle trattative: l'adempimento di tali doveri è valutate ai fini dell'esonero o dell'attenuazione della responsabilità ai sensi dell'art. 2407 c.c. (in tal senso L. SICURO, Il ruolo dell'organo di controllo alla luce del D.L. n. 118/2021, in questo portale, 5 novembre 2021). L'organo di controllo dovrà svolgere tale ruolo di “vigilante” anche a seguito delle segnalazioni che riceverà (in forza delle disposizioni del CCII) dai creditori pubblici qualificati e dalle banche. Si rafforza quindi il ruolo del collegio sindacale di “sentinella” della continuità aziendale con una conseguente grave responsabilità in caso di inerzia o di inadeguatezza della valutazione della situazione aziendale.

Resta poi il suo potere/dovere di vigilanza ai sensi dell'art. 2403 c.c. sulla corretta gestione dell'impresa nella pendenza delle trattative con i creditori, sulla regolarità formale della procedura e sull'esistenza di segnali circa il venir meno delle concrete prospettive di risanamento, ciò ovviamente anche ai fini della responsabilità ex art. 2409 c.c. (in tal senso M. RIVERDITI, op. cit., 454) soprattutto in caso di successiva apertura della liquidazione giudiziale. L'operato degli amministratori viene valutato dall'organo di controllo interno sotto un duplice profilo: (i) per verificare l'adeguatezza degli assetti organizzativi scelti e implementati e (ii) per valutare la tempestività con cui gli amministratori hanno reagito alle segnalazioni ricevute per intervenire prontamente. Mentre all'amministratore spetta la scelta di strumenti adeguati sulla base della business judgment rule, nella portata precedentemente illustrata, all'organo di vigilanza compete valutarne la congruità: qualora gli strumenti adottati non siano quelli suggeriti dagli standard e dalla best practice invalsa in materia o non sono giunti a buon fine per mancanza dei presupposti procurando un ulteriore pregiudizio per la società e i creditori in termini di aggravamento del dissesto o di peggioramento delle condizioni patrimoniali, si configura, oltre alla responsabilità del consiglio di amministrazione nella misura sopra descritta, la responsabilità solidale del collegio sindacale per inerzia e omesso controllo sull'operato degli amministratori (in tal senso S. PACCHI, Procedure di allerta e di composizione assistita della crisi – OCRI – Profili giuridici, in A.A.V.V., Evoluzione degli organi della crisi di impresa a cura di M. MONTELEONE, Milano, 2021, 12 ss.; O. LAURI, A.I. BARATTA, G.M., CIAMPAGLIA, Crisi e risanamento di impresa, Milano, 2021; C. BAUCO, Il ruolo dell'organo di controllo nella composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa, in dirittodellacrisi.it, 9 marzo 2022).

Se è vero che l'esperto resta solo un facilitatore delle trattative e che non può sindacare il merito delle scelte di gestione, è anche vero che egli è da ritenere un garante della sussistenza delle concrete possibilità di risanamento e che esse non vengano pregiudicate da atti non coerenti. Ne consegue un prevedibile continuo flusso informativo dall'imprenditore all'esperto in ottemperanza dei doveri di trasparenza imposti dalla normativa e dall'esperto all'organo amministrativo e all'organo di controllo per le operazioni potenzialmente pregiudizievoli per l'interesse dei creditori, flusso che attiva e consente all'organo di controllo di svolgere quel compito di vigilanza che l'ordinamento gli assegna e che gli consente di sollecitare l'adozione di rimedi da parte degli amministratori, anche a discarico della propria responsabilità.

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