La natura documentale del processo tributario
13 Giugno 2022
Il carattere documentale del processo tributario
La giurisdizione tributaria si caratterizza per l'assenza dell'oralità-immediatezza propria dei processi a carattere dibattimentale. La prova, invero, si forma mediante l'esibizione di una apposita documentazione dalla quale risultino i fatti indicativi di capacità contributiva.
È possibile, tuttavia, distinguere due tipologie di prove, l'una presuntiva addotta dall'Amministrazione Finanziaria e l'altra materiale posta a carico del contribuente. Quest'ultimo, infatti, per scardinare le presunzioni dell'Ufficio sarà chiamato a fornire delle prove documentali. Si pensi, ad esempio, al procedimento di accertamento redditometrico caratterizzato dalla istituzionalizzazione del contraddittorio endoprocedimentale. L'Amministrazione finanziaria, nella fattispecie procedimentale di cui sopra, è obbligata ad instaurare il contraddittorio con il contribuente, il quale potrà dimostrare che i beni di cui risulti proprietario non sono stati acquistati mediante fonti reddituali, ma derivano da un mero arricchimento.
In particolare, potrà presentare quale prova cd. liberatoria un contratto di donazione da cui risulti che il bene è entrato nella sfera giuridica dell'interessato per effetto di un atto di liberalità. Come è stato correttamente affermato da una certa giurisprudenza “con riferimento alla prova liberatoria necessaria in materia di accertamento sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata dipenda da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, (art. 38, comma 6, d.P.R. n. 600/1973), per consentire la riferibilità della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità ed alla durata del relativo possesso, quindi, sebbene non debba dimostrarne l'utilizzo per sostenere le spese contestate, sarà onerato di produrre documenti atti a provare che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” (Cass. civ. sez. VI, 10/09/2021, n. 24444, in Redazione Giuffrè 2022).
La natura “essenzialmente documentale” del processo tributario incontra un riconoscimento espresso all'art. 7, comma 4, D.Lgs. 546/1992 a tenore del quale “non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale” (sulla natura del processo tributario si rinvia a F. Pistolesi, Il processo tributario, Torino, 2021; S. Mogorovich, Processo tributario e processo tributario telematico, Santarcangelo di Romagna, 2021; F. Tesauro, Manuale del processo tributario, V Ed., Torino, 2020; A. Carinci, C. Rasia, Il processo tributario, Milano, 2020).
Il legislatore ha, dunque, provveduto ad indicare espressamente il divieto di prove orali e tale principio si pone sine dubio in linea con l'esigenza di snellimento del processo tributario, nonché dell'efficientamento della macchina giudiziaria. La natura indiziaria delle dichiarazioni verbali di terzi
Si è parlato di una natura “essenzialmente” documentale del processo tributario.
L'utilizzo dell'avverbio “essenzialmente” non è improprio, in quanto consente di lasciare spazio a dei profili di oralità che, purtuttavia, sono ammessi nel processo tributario. Il riferimento è alle dichiarazioni verbali di terzi, ovvero quelle dichiarazioni che l'Amministrazione acquisisce nel corso dei procedimenti di accertamento cd. in senso stretto e riproduce all'interno del processo verbale di constatazione. Tali dichiarazioni, tuttavia, rilevano quali elementi meramente indiziari, perché assunte in sede extraprocessuale, e possono concorrere a formare il convincimento del giudice, unitamente ad altri elementi. Il potere di acquisire dichiarazioni, in via extraprocessuale, da parte dei terzi è riconosciuto al contribuente in ossequio ad un principio di parità delle armi. Tali dichiarazioni, parimenti, hanno un valore molto limitato ovvero indiziario e non possono costituire da sole il fondamento della decisione del giudice.
L'attribuzione di una limitata efficacia diretta giurisdizionale trova guarentigia nell'art. 7 sopracitato, giacché si finirebbe per introdurre nel processo tributario un mezzo di prova equipollente a quello vietato.
Tali dichiarazioni non possono essere, tuttavia, considerate prove testimoniali atteso che la testimonianza è una prova costituenda che si forma all'interno del processo, richiede la formulazione di specifici capitoli, comporta il giuramento dei testi e riveste un particolare valore probatorio. Le dichiarazioni dei terzi, invece, vengono acquisite in fase extraprocessuale per poi essere utilizzate all'interno del processo. Da tali circostanze deriva la natura meramente indiziaria delle cd. dichiarazioni di terzi raccolte ed inserite nel processo verbale di constatazione, le quali sono mere informazioni acquisite nel corso delle indagini amministrative.
Ne consegue che il disposto di cui all'art. 7 del D. Lgs. n. 546/1992 rappresenta una linea di demarcazione dei poteri del giudice tributario ma non circoscrive i poteri degli organi di verifica, e pertanto la limitazione vale solo per la diretta assunzione, da parte del giudice, della narrazione dei fatti della controversia compiuta da un terzo, mentre le dichiarazioni dei terzi, riportate all'interno del processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative e con valore meramente indiziario. Per quanto riguarda la natura giuridica, allora, le dichiarazioni di terzi, hanno un valore meramente indiziario, atteso che, non possono da sole fondare il convincimento del giudice, ma possono soltanto “corroborare” la determinazione finale. Si tratterebbe, dunque, di dichiarazioni acquisite in fase amministrativa, produttive di effetti in sede giurisdizionale. Per quanto riguarda la natura giuridica, le dichiarazioni di terzi, hanno un valore meramente indiziario, atteso che, non possono da sole fondare il convincimento del giudice, ma possono soltanto “supportare” la determinazione finale.
La giurisprudenza di legittimità sul punto ha precisato che “le dichiarazioni rese da terzi nel corso della procedura di accertamento sono utilizzabili nel contenzioso tributario, pur caratterizzato dal divieto di prova testimoniale, quali indizi a supporto della pretesa dell'Ufficio, e la presunzione ha valore autonomo di prova della pretesa fiscale, senza necessità di riscontri documentali, se fondata - con criterio probabilistico e non di assoluta necessità - su indizi che, valutati singolarmente e nel complesso delle acquisizioni processuali, siano ritenuti dal giudice di merito gravi, precisi e concordanti, con giudizio non suscettibile di riesame in sede di legittimità se congruamente motivato. Tale presunzione sposta sul contribuente l'onere della prova contraria. Pertanto, il giudice di merito può trarre il suo libero convincimento dall'apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari considerati, ovviamente nel rispetto dei principi innanzi ricordati, e dandone adeguato conto in motivazione” (Cass. civ. Sez. V Ordinanza, 25/10/2017, n. 25291, in Fisco, 2017, 43, 4197).
Il diritto di presentare dichiarazioni di terzi spetta, in ossequio al principio della parità di armi, non soltanto all'Amministrazione Finanziaria, bensì al contribuente. Sul punto si è espressa la giurisprudenza di legittimità a tenore della quale “in tema di processo tributario, al contribuente, oltre che all'Amministrazione finanziaria, è riconosciuta - in attuazione del principio del giusto processo di cui all'art. 6 CEDU, a garanzia della parità delle armi e dell'attuazione del diritto di difesa - la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale aventi, anche per il contribuente, il valore probatorio proprio degli elementi indiziari” (CED Cassazione, 2020).
In ossequio al principio di parità delle armi deve essere riconosciuto anche al contribuente il diritto di inserire le dichiarazioni dei terzi (I. Buscema, Le dichiarazioni di terzi introdotte in giudizio dal contribuente assurgono a prove atipiche con valenza probatoria degli elementi indiziari in Diritto & Giustizia, 2017, 178, 1; Id. I. Buscema, Processo tributario: il contribuente può usare dichiarazioni di terzi poiché non si tratta di prove testimoniali vietate, in Diritto & Giustizia, 2019, 177, 15, Cassazione civile, 02 ottobre 2019, n.24531, sez. trib.). In tal caso, il giudice deve effettuare una verifica di attendibilità delle dichiarazioni dei terzi introdotte dal contribuente.
È pacifico, invece, che il contribuente può produrre in giudizio testimonianze scritte che non costituiscono prova, ma comunque il giudice deve tenerne conto come elemento indiziario, da valutare insieme ad altri elementi. In sintesi, il divieto di ammissione di prova testimoniale riguarderebbe solo il giudice tributario che non può assumere la narrazione dei fatti da parte di un terzo. Le dichiarazioni, invece, dei terzi raccolte dai verificatori, quand'anche nell'ambito di un procedimento penale, e inserite nel processo verbale di constatazione, hanno natura di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative e sono, pertanto, pienamente utilizzabili quali elementi di prova e di convincimento, sebbene esse non siano state assunte o verbalizzate in contraddittorio con il contribuente, da nessuna norma richiesto (F. Brandi, Processo tributario: utilizzabili le dichiarazioni rese da terzi alla Guardia di finanza, in Diritto & Giustizia, 2018, 166, 6; V. Pisani, L'utilizzo da parte del contribuente delle dichiarazioni di terzi nel processo tributario, in Iltributario.it, 4 novembre 2019, nota a Cassazione civile , 02 ottobre 2019, n. 24531, sez. trib.).
Il processo verbale di constatazione assume un valore probatorio (Cassazione civile sez. trib. 24 novembre 2017 n. 28060 in www.dejure.it) diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati:
Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, le dichiarazioni di terzi sono ammesse nel processo fiscale, non a titolo di fonti di prova in senso proprio, ma piuttosto a titolo di sussidio all'accertamento, che deve, comunque, essere sostenuto da ulteriori elementi (D. Di Giacomo, CT, ammessa dichiarazione del terzo in Diritto & Giustizia, 2016, 55, 16; L. Tosi, “Testimonianza orale” e “testimonianza scritta”nel processo tributario, in Riv. Dir. Trib., 20106, 0761). Il principio dispositivo con metodo acquisitivo
I fatti dedotti dalle parti rappresentano i confini del processo tributario, nell'ambito del quale il giudice tributario può muoversi autonomamente e discrezionalmente, potendo in casi eccezionali anche esercitare poteri istruttori. Ne consegue che l'onere della prova rileva sotto due distinti profili: per le parti che hanno l'onere di allegare tempestivamente i fatti posti a fondamento delle rispettive tesi; per i giudici che possono muoversi solo entro e non oltre i limiti dei fatti dedotti dalle parti (A. Leo - M.R. Silvestri, Onere della prova: un meccanicismo da superare?, in Dialoghi Tributari, 2013, 1, 78; C. C. Oliva, L'abuso del diritto tributario tra onere di allegazione e onere della prova, in Diritto e pratica tributaria, 2012, 5, 83, 929- 96, parte 1; G.M. Cipolla, La prova nel diritto tributario, in Dir. prat. Tribut., 2009, 3, 551 A. C. Vignarelli, I poteri istruttori delle Commissioni Tributarie, Bari, 2003, 38). Si tratterebbe di un vero e proprio onere di allegazione, perché i documenti allegati dalle parti rappresentano il punto di partenza.
Il principio dispositivo presenta quale tratto qualificante imprescindibile, l'affidamento esclusivo alla parte del potere di proporre la domanda e di allegare i fatti posti a fondamento della medesima per cui non appare sufficiente l'affermazione di un fatto generico, essendo necessaria l'indicazione di tutti gli elementi atti ad individuare il fatto specifico che si intende allegare. Il principio dispositivo comporta, dunque, un potere di intervento giudiziario particolarmente ridotto. La Commissione Tributaria, invero, non può ricercare elementi probatori non desumibili dai fatti dedotti dalle parti. Eccezionalmente, il giudice tributario può operare un “soccorso istruttorio”, laddove dai fatti allegati dalle parti risultino dei documenti di particolare rilevanza per la decisione della causa. In tal caso si tratterebbe di un metodo dispositivo-acquisitivo, sicché non si tratterebbe di una facoltà, ma di un vero e proprio dovere di acquisizione della documentazione.
Ne deriva che se il giudice decide senza aver acquisito tali documenti ritenuti indispensabili ai fini della decisione dovrà fornire un'adeguata motivazione. Il soccorso istruttorio, tuttavia, non può operare per sopperire a delle carenze istruttorie o all'inerzia della parte. Il principio che emerge dalla giurisprudenza sull'interpretazione del D.Lgs. n. 546/1992, art. 7, comma 1, è quello per cui il potere di indagine autonoma del Giudice Tributario è esercitabile, “nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, quando gli elementi di giudizio già in atti od acquisiti non siano sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata” (Cass. Civ. Sez. Trib. 31 luglio 2020, n. 16476).
In ogni caso, però, l'esercizio di detto potere discrezionale di soccorso istruttorio, costituendo una deroga al principio dispositivo, dev'essere compiutamente motivato, “previa deliberazione della Commissione Tributaria, non potendo comunque sopperire a carenze o inattività delle parti” (Cassazione civile sez. trib., 23/12/2019, n. 34393). Tali poteri istruttori sono, tuttavia, esercitabili solo in ipotesi eccezionali ovvero al fine di sopperire a carenze istruttorie delle parti con funzione meramente integrativa e qualora sussistano condizioni di obiettiva incertezza.
È, tuttavia, da escludersi che la Commissione Tributaria Regionale abbia poteri ex officio maggiori o diversi da quelli spettanti alla Commissione Tributaria Provinciale (Cass. civ. Sez. trib., Ordinanza, 19/04/2017, n. 9818 in Quotidiano Giuridico, 2017). Si può, dunque, affermare che il giudice non può andare al di là di quanto le parti abbiano chiesto ovvero allegato, che rappresenta il perimetro di operatività dell'azione giudiziaria.
Al principio dispositivo si affianca il principio di non contestazione secondo cui “i fatti non contestati sono considerati ammessi”. Tra i due principi si instaura uno stretto collegamento, in quanto entrambi rispondono al principio dell'efficientamento del giudizio tributario e comportano un onere a carico della parte di contestare i fatti, in caso contrario sono ritenuti ammessi. Tale principio è di derivazione civilistica, in risposta a quanto previsto all'art. 1, comma 2, D. Lgs. n. 546/1992 a tenore del quale al processo tributario si applicano le regole del processo civile “in quanto compatibili”. In conclusione
Il principio dispositivo rappresenta uno strumento di efficientamento processuale ed è espressione del principio di leale collaborazione tra le parti (art. 10, l. n. 212/2000), laddove impone a queste ultime di collaborare fino a circoscrivere la materia effettivamente controversa. Il perimetro dell'azione giudiziaria è, dunque, circoscritto a quanto le parti hanno allegato agli atti del processo. Il suddetto principio si pone in linea con l'obiettivo del legislatore tributario di responsabilizzare le parti e di favorire una compartecipazione alla determinazione della giusta imposta. Alle medesime esigenze di efficientamento processuale risponde anche la natura “essenzialmente” documentale del processo tributario che consente di tratteggiare la giurisdizione tributaria quale giurisdizione cd. speciale. |