Le modifiche al concordato in continuità nel nuovo Codice della crisi alla luce del “decreto correttivo bis”

Paolo Bosticco
16 Giugno 2022

Con il nuovo decreto correttivo delle disposizioni del D.lgs. 14/2019 (il secondo in meno di due anni) il legislatore sembra voler ritoccare le norme che disciplinano in modo innovativo il concordato in continuità nel Codice della crisi; l'intento pare quello di ulteriormente favorire il ricorso a tale tipologia di procedura, riducendo il concordato liquidatorio a fattispecie residuale, con lo scopo di privilegiare soluzioni che comunque consentano la prosecuzione dell'attività anche solo parziale ovvero tramite trasferimento dell'azienda a terzi. Sempre al fine di favorire la soluzione in continuità, il legislatore recepisce - in parte, in quanto la deroga risulta limitata alla destinazione delle risorse ulteriori rispetto al “valore di liquidazione” - le indicazioni della Direttiva Insolvency in merito alla possibilità di derogare al rigoroso rispetto dell'ordine dei privilegi, utilizzando il criterio di “priorità relativa”, che non impone il soddisfo integrale dei privilegi poziori, essendo bastevole un trattamento non deteriore rispetto ai succedanei.
L'evoluzione del quadro normativo

Come è noto, l'entrata in vigore della Riforma concorsuale attuata dal D.Lgs. 14/2019 (denominato “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza”), già oggetto di un “primo correttivo” contenuto nel D.lgs. 147/2020 ed ivi fissata al 1° settembre 2021, è stata più volte rinviata: dapprima nell'ambito della legislazione d'urgenza (con il D.L. 23/2020, convertito con modificazioni in L. 40/2020) e successivamente, anche per ragioni di armonizzazione con le previsioni della Dir. UE 2019/1023 (la c.d. “Direttiva Insolvency”), con la promulgazione del D.L. 118/2021 (conv. in L. 147/2021), che ha differito al 16 maggio 2022 l'entrata in vigore delle norme del Codice della Crisi ed addirittura la vigenza del Titolo secondo in tema di procedure di allerta e strumenti di composizione della crisi sino al 31 dicembre 2023. Da ultimo, con il D.L. 34/2022, recante ulteriori misure urgenti per l'attuazione del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), l'entrata in vigore del Codice della Crisi è stata ulteriormente differita al 15 luglio 2022, a ridosso della scadenza del termine di recepimento della Dir. UE 1023/2019, in ossequio alla quale, peraltro, è stato invece soppresso il rinvio più ampio per l'entrata in vigore del Titolo II, evidentemente destinato ad assumere la nuova veste di cui diremo in appresso.

D'altro canto, come si accennava, il difficile cammino della nuova normativa è stato interrotto anche per la volontà di inserire nel testo originario i nuovi istituti introdotti dal D.L. 118/2021, nonché per un ulteriore sforzo di armonizzazione con la Dir. UE 1023/2019 che ha condotto allo schema di decreto legislativo del 17 marzo 2022, attualmente ancora in fase di esame da parte delle Commissioni parlamentari.

In tale ottica il nuovo testo del Codice della Crisi, di fatto, sostituisce il Titolo II (quello che disciplinava gli istituti di allerta) con una nuova disciplina che in buona parte riproduce, inserendole nel corpo del Codice, le disposizioni del D.L. 118/2021 ed introduce all'art. 64-bis il nuovo istituto del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, nell'ambito del quale è espressamente consentita la deroga ai principi di graduazione dei crediti di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c.

Per quel che concerne più specificamente il tema di questo scritto, il “correttivo-bis” interviene anche sulla procedura concordataria, modificando anzitutto gli artt. 47 e 48 che dettano disposizioni generali sull'ammissione al concordato ed indi temperando, come vedremo, il rigore dell'art. 84 (che viene interamente riscritto) ed inoltre imponendo all'art. 85 la formazione di classi nei concordati in continuità, nell'ambito dei quali viene ampliato (art. 86) il termine di moratoria e vengono meglio precisati (con una nuova stesura dell'art. 87) i contenuti prescritti per la redazione del piano, in particolare se strutturato sulla continuità aziendale

Il nuovo assetto della continuità aziendale nel CCI

Venendo al tema che ci riguarda più da vicino, occorre dare atto che già nella versione originaria il Codice della Crisi aveva tentato di recare ordine nell'istituto del concordato con continuità aziendale, in parte recependo i suggerimenti emersi dalla prassi giurisprudenziale e risolvendo questione sollevate in funzione della disciplina degli attuali artt. 186-bis ss. l.fall., ma più in generare proponendo un approccio innovativo alla procedura di concordato.

Ed invero, il Codice della Crisi segna se non il tramonto, quantomeno il ridimensionamento della figura del concordato liquidatorio, la cui ammissibilità è condizionata non solo a che vengano soddisfatti i debiti chirografari in misura di almeno il venti per cento (disposizione del resto già introdotta dal D.L. 83/2015 nell'art. 160 l.fall.), ma anche un apporto di risorse esterne (a fondo perduto) che incrementino l'attivo per almeno il dieci per cento.

Sempre nel testo originario del CCI veniva in sostanza recepito ed approfondito il criterio di “prevalenza”, elaborato nell'applicazione dell'art. 186-bis l.fall., in forza del quale - affinchè si possa configurare un concordato in continuità - il risultato di quest'ultima doveva superare quello della liquidazione di beni (compreso il magazzino, secondo una modifica apportata dal “primo correttivo” del 2020 che ha espunto una previsione che ricomprendeva - non senza ragione, in realtà, alla luce delle potenzialità migliorative di un realizzo in corso di attività - il ricavato della vendita delle rimanenze nell'apporto afferente alla continuità).

Permane, inoltre, nell'assetto voluto dal legislatore della riforma, un ulteriore elemento distintivo tra le due tipologie di concordato, laddove solo nel concordato in continuità sono ammessi - così come prevede l'attuale art. 182-quater l.fall. - pagamenti di debiti pregressi ed il ricorso a finanziamenti prededucibili (con prededucibilità che, peraltro, con le ultime previsioni normative espresse, viene meno in caso di frode nota al creditore; v. in sintesi A. TRON - L.F. FRANCESCHI, La finanza nella crisi reversibile di impresa, Milano, 2021, 214 ss.); pervero, occorre dare atto che gli artt. 99 e 100 del Codice dalla crisi consentono tali prerogative “quando è prevista la continuazione dell'attività aziendale”, con scelta terminologica che potrebbe essere interpretata in senso estensivo a ricomprendere tutti i casi di prosecuzione dell'attività, anche in capo a terzi, se non fosse che solo nell'art. 99 la norma aggiunge che il ricorso a finanziamenti è ammesso in caso di prosecuzione dell'attività “anche se unicamente in funzione della liquidazione”, scelta che conferma la lettura che consente un più ampio ricorso ai finanziamenti prededucibili, ma che evidentemente esclude che lo stesso valga per la possibilità di pagamento dei debiti pregressi, che sarà ammessa quindi solo nei concordati in continuità in senso stretto.

Per altro verso, il presupposto di ammissibilità del concordato in continuità resta pur sempre quello della sua vantaggiosità per il ceto creditorio ed, anzi, nel nuovo assetto di tale istituto è previsto all'art. 84 l'obbligo di individuare per ciascun creditore “un'utilità specificamente individuata”, il che non implica necessariamente che la prosecuzione dell'attività debba essere foriera di utili, quanto piuttosto che - nel raffronto con una soluzione meramente liquidatoria - si possa concludere che il soddisfo dei creditori possa essere migliore per effetto della continuità (come osserva F. D'ANGELO, Il concordato con continuità aziendale nel nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza, in DF, 2020, I, 22, non si tratta di trasferire in capo ai creditori il “rischio” di impresa, bensì all'opposto di tutelarne i diritti). Sul punto, l'apporto del Codice della Crisi al concetto di vantaggio per i creditori appare senz'altro innovativo, laddove - recependo istanze da sempre formulate da chi di concordati si occupa - lo stesso art. 84 precisa che l'utilità tratta dai creditori “può essere rappresentata dalla (o “può consistere anche nella” nella versione del correttivo) prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”, così sancendosi la rilevanza dei benefici indiretti derivanti dalla mantenuta presenza sul mercato (rectius del suo risanamento) di un'impresa in crisi.

A corollario di tale approccio alla soluzione concordataria è anche lecito chiedersi se ed in quali ipotesi sia effettivamente ammessa la possibilità non solo di proposte, ma anche di offerte concorrenti (v. R. RANALLI, Gli ostacoli, normativi e culturali, alle proposte concorrenti nel concordato preventivo in continuità, in Fallim., 2021, 5), se e nella misura in cui queste comportino modifiche al piano tali da stravolgerne la vocazione di risanamento; poiché, tuttavia, il legislatore ha ancora tenuto a sottolineare come la prima finalità della procedura sia il miglior soddisfo dei creditori, vien da pensare che anche la prospettiva di riequilibrio debba cedere il passo alla constatazione dell'esistenza di soluzioni che comportino un risultato più appagante per i creditori, salvo il limite dettato dall'art. 90 alle proposte concorrenti nel caso il soddisfo promesso risulti particolarmente elevato (il trenta per cento che scende al venti per cento in caso di concordato che segua al ricorso “virtuoso” a procedure atte a prevenire la crisi) e ferma restando la necessaria valutazione circa la compatibilità di offerte concorrenti con tipologie di soddisfo fondate su operazioni peculiari “non ripetibili” da parte di terzi (come nell'ipotesi di acquisizione dell'attivo mediante aumento di capitale che App. Venezia 21 novembre 2021 ha ritenuto incompatibile con l'applicazione dell'attuale art. 163-bis l.fall.).

(Segue): la qualificazione “estesa” della procedura come concordato in continuità nel codice della crisi

Forse proprio in relazione ai presupposti di convenienza che debbono sussistere perché l'impresa sia ammessa ad un concordato in continuità, nel commentare le norme del testo originario del Codice della Crisi qualche autore (A. ZORZI, Concordato con continuità e concordato liquidatorio: oltre le etichette, in DF, 2020, I, 58) aveva messo in dubbio che in realtà il legislatore avesse inteso favorire in senso oggettivo quell'istituto concordatario - essendo semmai solo evidente la preferenza per il tipo di procedura in continuità rispetto alla penalizzazione del concordato liquidatorio - e ciò in considerazione dei numerosi vincoli imposti all'impresa che voglia giovarsi di un concordato in continuità “pura” (vincoli che pervero, sotto il profilo dell'effettività del risanamento, parrebbero ulteriormente rafforzati nella nuova stesura dell'art. 87).

Ebbene, proprio con riguardo a tale ultimo rilievo, peraltro, si deve considerare che nel Codice della Crisi viene di fatto istituita dal legislatore una figura intermedia “atipica” di concordato caratterizzato dalla compresenza di profili liquidatori ed in continuità, essa sì favorita da una disciplina che prevede la qualificazione come in continuità di tutte le procedure nelle quali vi sia una prevalenza del soddisfo tratto dalla prosecuzione dell'attività rispetto a quello derivante dalla mera liquidazione di beni.

Vale pena, a questo punto, ricordare che già nella vigenza dell'attuale normativa - ma non senza subire l'influenza delle nuove disposizioni benchè ancora non in vigore - la giurisprudenza era giunta ad una accezione di continuità più ampia, laddove i giudici di legittimità hanno da ultimo concluso che si debba qualificare come concordato in continuità quello in cui comunque il soddisfo dei creditori discenda dalla prosecuzione dell'attività aziendale (v. Cass., Sez. I, 15 gennaio 2020, n. 734, in Fallim., 2020, 477, che supera il criterio di prevalenza, sancendo che “il concordato preventivo in cui alla liquidazione atomistica di una parte dei beni dell'impresa si accompagni una componente di qualsiasi consistenza di prosecuzione dell'attività aziendale rimane regolato nella sua interezza, salvi i casi di abuso, dalla disciplina speciale prevista dall'art. 186-bis L. Fall., che al primo comma espressamente contempla anche una simile ipotesi fra quelle ricomprese nel suo ambito. Tale norma non prevede alcun giudizio di prevalenza fra le porzioni di beni a cui sia assegnata una diversa destinazione, ma una valutazione di idoneità dei beni sottratti alla liquidazione ad essere organizzati in funzione della continuazione, totale o parziale, della pregressa attività di impresa e ad assicurare, attraverso una simile organizzazione, il miglior soddisfacimento dei creditori”).

D'altro canto, con l'art. 84 del Codice della Crisi il legislatore ha definitivamente posto fine alla - pervero già risolvibile alla luce della lettera stessa dell'art. 186-bis l.fall. - diatriba in merito alla qualificabilità come concordato in continuità della procedura nella quale la prosecuzione dell'attività di impresa avvenga con l'affidamento della gestione ad un terzo affittuario ed indi con la cessione dell'azienda in attività.

Con la doverosa precisazione che (come osserva V. PINTO, La fattispecie di continuità aziendale nel concordato nel Codice della crisi, in Gcomm, 2020, I, 386) l'approccio alla continuità aziendale nel Codice della Crisi segna, in realtà, una “rottura” rispetto all'attuale art. 186-bis l.fall. nella misura in cui l'attenzione viene posta non più solo sulla prosecuzione dell'attività, quanto piuttosto sulla prospettiva di “ripristino dell'equilibrio economico finanziario”, presupposto in origine inserito nell'art. 84, ma che viene confermato nel correttivo all'interno dell'art. 87; non si tratta di una modifica di poco conto, poiché si esplicita una finalità di risanamento che deve sussistere ab initio, lasciando intendere che non sarebbe sufficiente di per sé una continuità che migliori il soddisfo per i creditori; a conferma di ciò, la Relazione illustrativa all'art. 84 Codice della Crisi del 2019 precisa espressamente che nel concordato la continuità viene favorita “in quanto finalizzata al recupero della capacità dell'impresa di rientrare, ristrutturata e risanata”, non senza ribadire subito dopo che in tal caso “l'attività deve essere funzionale ad assicurare il ripristino dell'equilibrio economico finanziario in modo da assicurare che, una volta soddisfatti i creditori, l'impresa sia in grado di riposizionarsi adeguatamente nel mercato”.

La continuità aziendale, poi, viene disciplinata in modo peculiare nell'ambito dei concordati di gruppo, laddove l'art. 285 detta anche un criterio di prevalenza specifico, sancendo che si considera “in continuità” il concordato di gruppo se i flussi complessivi tratti dalla continuità diretta ed indiretta portano ad un “ricavato” prevalente per i creditori rispetto a quello che costoro trarranno dai flussi complessivi derivanti dalla liquidazione. L'interpretazione più logica ed aderente alla lettera della norma è che oggetto della valutazione comparativa sia la sommatoria dei risultati complessivi conseguiti rispettivamente con la soluzione in continuità o mediante quella liquidatoria per tutte le imprese del gruppo, senza che rilevi un giudizio ipotetico di prevalenza all'interno della singola impresa (v. P. BOSTICCO, I gruppi di società nel Codice della crisi di impresa, Milano, 2022 163 ss.). Al di là della valutazione di opportunità o meno della scelta normativa, anche la sua formulazione è stata giudicata non a torto poco felice, poiché non solo si fa riferimento in modo generico ai “flussi” (laddove invece dal contesto della norma si ricava che non saranno da considerare solo gli aspetti finanziari), ma non è chiaro anche e soprattutto il riferimento al “ricavato prodotto” dalla continuità, che in teoria potrebbe essere inteso come riferito alle sole voci attive dei ricavi del conto economico; pare logico ritenere che, in ogni caso, il senso della norma sia nel senso di considerare l'attivo destinato al soddisfo dei creditori, al netto dei costi prededotti derivanti dall'attività proseguita.

(Segue): la questione del computo e della distribuzione ai creditori degli apporti da continuità e da finanza esterna

Di fatto, nel sistema attuale, in presenza di privilegi generali mobiliari (per quelli speciali vige il legame con il valore di realizzo del bene su cui grava la prelazione, che rende più agevole una degradazione - parziale o anche totale - al chirografo in caso di incapienza) destinati a soddisfarsi su tutti i valori attivi diversi dagli immobili e dai loro frutti, la possibilità di soddisfo per il ceto chirografario restava unicamente legata alla possibilità di distribuzione - una volta coperti, evidentemente, i debiti assistiti da ipoteche o privilegi immobiliari - del ricavato dalla liquidazione degli immobili ovvero dall'esistenza di apporti di finanza esterna, questi ultimi liberamente distribuibili senza i vincoli previsti dagli artt. 2740 e 2741 c.c. (come precisato, per tutte, da Cass., Sez. I, 8 giugno 2020, n. 10884).

Con il corollario, peraltro, del problema di individuare il concetto di apporto esterno, che nella rigorosa accezione accolta dagli interpreti doveva consistere in un afflusso di liquidità a favore della procedura e non in apporti riconducibili al patrimonio dell'impresa in crisi, di modo che, ad esempio, non si potrebbe considerare mai un apporto esterno la dazione a fronte della quale il soggetto terzo che la effettua riceva una controprestazione (v. sul punto già Cass., Sez. I, 8 giugno 2012, n. 9373).

La questione più spinosa riguardava, d'altro canto, la qualificazione da attribuire al ricavato della prosecuzione dell'attività ai fini della sua (libera o meno) distribuibilità ai creditori: al riguardo, nel sistema attuale si era giunti a ritenere che i proventi della continuità aziendale non possano non essere distribuiti ai creditori nel rispetto della graduazione dei privilegi, salvo il caso - e nella misura - in cui i proventi derivanti dalla prosecuzione dell'attività siano precipuamente ricollegabili agli apporti di finanza esterna.

Sul punto, il Codice della Crisi nella sua versione originaria riconfermava il principio secondo il quale “il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione”, con l'unica eccezione - già presente nell'attuale l.fall. - della facoltà di abbattere il soddisfo dei creditori in funzione del valore dei beni su quali gravi il privilegio, laddove il pagamento potrà avvenire “in misura non inferiore a quella realizzabile sul ricavato, in caso di liquidazione, dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, avuto riguardo al loro valore di mercato”, parametro che potrebbe in effetti essere invocato ai fini di consentire una maggiore libertà per il debitore proprio nel caso di concordato in continuità, laddove si pone il problema di quantificare l'apporto da attribuire all'utilizzo “in continuità” di quei beni per i quali non sia prevista la liquidazione (apporto che secondo taluni dovrebbe essere comunque proporzionalmente destinato ai creditori che vantino privilegi su quei bene; arg. da Trib. Modena, 24 marzo 2020, in Fallim., 2021, 377) e considerato, di contro, che il valore di liquidazione atomistica di un cespite potrebbe essere inferiore a quello derivante dall'utilizzo di quel bene nell'ambito di un'opzione conservativa della continuità aziendale, anche se attuata in via indiretta.

Non vi era, tuttavia, una vera e propria distinzione tra le due tipologie di concordato quanto alla possibilità di deroga ai principi di graduazione, che doveva dunque essere limitata alle ipotesi di apporto di finanza esterna o, appunto, dell'esistenza di un surplus rispetto all'ipotesi liquidatoria. Anche se, a voler essere pignoli, un indiretto sovvertimento del principio di graduazione nei concordati in continuità è implicito nella possibilità - già concessa dall'art. 182-quinquies l.fall. - di pagamento integrale di crediti anteriori, che ha tuttavia come presupposto l'attestazione che tale alterazione comporterà poi un miglior soddisfo del ceto creditorio, con disposizione in cui è peraltro sancito che “l'attestazione del professionista non è necessaria per pagamenti effettuati fino a concorrenza dell'ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate al debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo di restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori”, a conferma della libera utilizzabilità della “nuova finanza”.

Le modifiche proposte dal decreto correttivo al concordato preventivo

Come si accennava, il secondo intervento correttivo del legislatore è intervenuto in una certa misura anche sull'istituto del concordato preventivo ed in particolare sulle disposizioni che definiscono e regolano il concordato in continuità aziendale.

Anzitutto, già all'art. 47 CCI viene ora meglio esplicitata la natura del controllo del Tribunale già nella fase di apertura del concordato preventivo a seconda della tipologia di procedura, laddove, oltre al verificare la “ritualità della proposta” si prevede che “la domanda di accesso al concordato in continuità aziendale è comunque inammissibile se il piano è manifestamente inidoneo alla soddisfazione dei creditori, come proposta dal debitore, e alla conservazione dei valori aziendali”.

Quello dell'idoneità del piano - rectius della non manifesta inidoneità - è un argomento sempre caro alla giurisprudenza (v. già Cass., Sez. I, 7 aprile 2017, n. 9061 e più di recente Cass., Sez. I, 17 maggio 2021, n. 13224): il superamento della distinzione tra fattibilità economica e giuridica che emerge chiaramente dalla soppressione nell'art. 47 del termine “giuridica” nel testo emendato dal primo correttivo (“il tribunale, verificata l'ammissibilità [giuridica] della proposta e la fattibilità economica del piano”), trova in tal senso il conforto “preventivo” della giurisprudenza; per citare una emblematica pronuncia recente (Cass., Sez. I, 23 luglio 2021, n. 21190) che riassume anche i precedenti arresti, “L'orientamento della giurisprudenza di questa Corte, così come si è venuto via via a precisare nel corso degli ultimi anni, ritiene che la "verifica di fattibilità comprende necessariamente anche un giudizio di idoneità, che va svolto rispetto all'assetto d'interessi ipotizzato dal proponente in rapporto ai fini pratici perseguiti dal concordato"; che la conseguente verifica di realizzabilità va svolta nei "limiti della verifica della sussistenza o meno di una manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati"; che la proposta concordataria deve dunque ritenersi sempre sindacabile, ove la stessa risulti implausibile ovvero manifestamente priva di una ragionevole chance di successo (cfr., così, di recente, Cass., 15 giugno 2020, n. 11522, ove pure la puntuale notazione dell'avvenuto superamento, nella giurisprudenza della Corte, di una "netta distinzione tra controllo dei fattibilità giuridica, sempre consentito, e controllo di fattibilità economica, sempre vietato")

Orbene, tale superamento della distinzione tra fattibilità giuridica ed economica - e, per certi versi, anche del postulato secondo il quale la verifica di convenienza è di esclusiva competenza del ceto creditorio - è stato ora condotto alla sua conclusione: il Tribunale ora esamina proprio l'aspetto dell'efficacia - rectius la non manifesta inidoneità - del piano ai fini del risultato che il debitore si è prefigurato, esame al quale, nell'ambito dei concordati in continuità, sembrerebbe propedeutica la prescrizione del deposito del “piano industriale con l'indicazione degli effetti sul piano finanziario e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria”.

D'altro canto, a conferma dell'assunzione di un ruolo di centralità del presupposto del recupero dell'attività risanata, anche nell'applicazione del D.L. 118/2021 una recente pronunzia (Trib. Viterbo, 14 febbraio 2022) ha revocato le misure protettive ad un'impresa il cui “piano” di composizione della crisi appariva meramente dilatorio ed inidoneo a consentire il risanamento prescritto dalla normativa che è stata poi trasfusa nel Codice della Crisi.

In particolare: le modifiche al concordato in continuità aziendale

All'interno dell'impianto normativo che parrebbe destinato ad entrare in vigore il prossimo luglio, quale contraltare (forse) del maggior rigore restrittivo delle ipotesi di concordato liquidatorio, il legislatore ha tentato di favorire ed ampliare ulteriormente l'istituto del concordato in continuità: l'art. 84 nella sua ultima formulazione prevede che “la continuità aziendale tutela l'interesse dei creditori e preserva nella misura possibile, i posti di lavoro. La continuità può essere diretta, con prosecuzione dell'attività d'impresa da parte dell'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, ovvero indiretta, se è prevista dal piano la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo” ed il comma successivo precisa che “Nel concordato in continuità aziendale i creditori vengono soddisfatti in misura anche non prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta. La proposta di concordato prevede per ciascun creditore un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa”.

In sostanza, onde favorire l'accesso ai concordati in continuità è stato, per un verso, soppresso il vincolo - presente nel testo originario dell'art. 84 CCI - della conservazione, in caso di trasferimento dell'azienda, della metà (della media) dei lavoratori per un anno dall'omologazione e, di contro, è stato eliminato il giudizio di prevalenza per recepire un'accezione di continuità che ricomprende ogni caso in cui al soddisfo dei creditori concorra il ricavato della prosecuzione dell'attività.

Sotto il primo profilo, la soppressione del limite alla conservazione dei posti di lavoro non deve ritenersi una scelta meno cautelativa dei lavoratori, bensì risponde all'esigenza di evitare che, per rispettare quel limite, possano essere presentati piani destinati all'insuccesso futuro (in ipotesi, nel lungo termine) perché fondati sul mantenimento “coattivo” di livelli occupazionali superiori a quelli necessari ai fini di una armonica prosecuzione dell'attività.

Per quel che concerne, invece, l'ampliamento del campo applicativo, si deve ritenere che si sia voluta favorire in ogni caso la continuazione dell'attività, considerando in continuità qualsiasi tipo di procedura che la consenta, sia in via diretta che indiretta, mediante soluzioni che prevedano il trasferimento di rami aziendali a terzi.

Anche gli artt. 85 ed 87 apportano modifiche rilevanti che influiscono sul contenuto del piano concordatario in continuità. La prima disposizione, infatti, rende il classamento obbligatorio per i concordati in continuità, così sovvertendo quello che - nonostante alcuni tentativi della giurisprudenza di merito mirati ad una “razionalizzazione” della distribuzione dell'attivo - era stato l'arresto delle corti superiori, che negava la obbligatorietà di una suddivisione in classi pur in presenza di disomogeneità palesi tra i creditori; la formazione di classi, peraltro, era già stata resa necessaria dal Codice della Crisi in talune ipotesi (ad esempio, a norma dello stesso art. 85 in relazione alla presenza di crediti garantiti da terzi o per poter inserire tra i crediti quelli di imprese del gruppo, come previsto dall'art. 109) ed ora diviene invece obbligatoria ed è prevista, in particolare, per i creditori privilegiati per i quali non sia previsto il pagamento nei termini di cui all'art. 109 ed altresì per i fornitori che siano imprese minori. Sul punto, pervero, la Relazione pare descrivere in modo non del tutto chiaro l'intento legislativo laddove si afferma che l'art. 85 “sancisce il principio generale della facoltatività della suddivisione in classi e del trattamento differenziato tra creditori appartenenti a classi diverse (…) ribadisce l'obbligatorietà delle classi in caso di pagamento non integrale dei creditori titolari di crediti tributari o previdenziali, prevista nel comma 5 dell'attuale articolo 85 (comma 2); istituisce, per il concordato in continuità aziendale, l'obbligatoria suddivisione in classi dei creditori privilegiati quando il loro pagamento è previsto oltre i termini previsti dall'articolo 109, comma 5”: peraltro, il tenore letterale della norma è ben più perentorio e si sviluppa su due concetti distinti, laddove dispone che “Nel concordato in continuità aziendale la suddivisione dei creditori in classi è in ogni caso obbligatoria“ e quindi non è limitata alla previsione del periodo successivo che impone di inserire in classi separate “i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, interessati dalla ristrutturazione perché non ricorrono le condizioni di cui all'articolo 109, comma 5”.

L'art. 87 che fissa il contenuto del piano concordatario è stato, poi, significativamente integrato sia per quel che concerne la disciplina “comune”, sia per quanto concerne specificamente le due grandi tipologie di concordato; al riguardo, si deve ritenere valga anche per il concordato in continuità - ed anzi assuma una peculiare rilevanza anche ai fini delle valutazioni comparative di cui si dirà in appresso - la prescrizione in forza della quale il piano deve indicare “il valore di liquidazione del patrimonio, alla data della domanda di concordato, in ipotesi di liquidazione giudiziale”, nonché, per la fattispecie in continuità non solo allegare il piano industriale e finanziario atto ad assicurare il risanamento, ma anche “l'analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi, del fabbisogno finanziario e delle relative modalità di copertura”, tenendo conto anche del rispetto delle norme in tema di sicurezza e tutela ambientale.

Quanto alla disciplina dell'accesso a finanziamenti prededucibili ed alla facoltà di pagamento dei debiti pregressi, il correttivo ha espunto dall'art. 99 la previsione che consente il mantenimento di linee di affidamento “autoliquidanti”, inserendo, peraltro, con il nuovo art. 94-bis una più generale previsione in forza della quale, nel concordato con continuità aziendale i creditori sono tenuti a rispettare i contratti pendenti, non potendo valersi di rimedi negoziali a causa del solo ricorso alla procedura concorsuale.

Inoltre, all'art. 100 è consentito il pagamento di debiti verso i dipendenti, senza più il limite alla mensilità precedente, bensì consentendolo in genere per “le retribuzioni dovute per le mensilità precedenti”, confermando il favor per un pronto soddisfo dei lavoratori, favore che si esplicita sotto altro profilo nella aggiunta (all'art. 87) di un obbligo informativo in merito a “gli effetti della ristrutturazione sui rapporti di lavoro, sulla loro organizzazione o sulle modalità di svolgimento delle prestazioni”.

SEGUE: LA (INCERTA) SOLUZIONE AI DUBBI SULLA DISTRIBUZIONE DELL'ATTIVO AI CREDITORI PRIVILEGIATI

Come già si accennava, il favor del legislatore per il concordato in continuità trova conferma anche nella disciplina del pagamento dei creditori e non solo per l'assenza del limite di soddisfo minimo previsto per il ceto chirografario e dell'imposizione di apporti esterni, ma anche per il trattamento dei crediti assistiti da privilegio.

Anzitutto, perché una delle peculiarità di questa tipologia di concordato è proprio la possibilità di differire il soddisfo dei privilegiati per un periodo che già era stato elevato a due anni con una modifica, dettata dal periodo emergenziale, introdotta dal D.L. 118/2021; la previsione dell'art. 86 modificata dal nuovo correttivo addirittura ammette genericamente che “il piano può prevedere una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca”, moratoria che, d'altro canto, resta collegata alla eventuale liquidazione dei beni gravati dal privilegio e con l'unica eccezione dei crediti di lavoro, che devono essere soddisfatti nei sei mesi.

D'altro canto, la severità del precetto sui limiti temporali alla dilazione era già stato scardinato dalla corrente (v. per tutte Cass., Sez. I, 18 giugno 2020, n. 11882) che aveva comunque ammesso la possibilità di una dilazione più ampia, compensata dal computo degli interessi e con ammissione al voto per il sacrificio imposto (v. anche Trib. Pistoia, 17 settembre 2020, in Fallim., 2021, 382 per la proposta di un metodo di calcolo della minusvalenza derivante dalla dilazione); il principio viene ribadito ed esplicitato nel Codice della Crisi, laddove all'art. 109 viene previsto il voto per i creditori privilegiati se non soddisfatti (con pagamento in danaro) entro centottanta giorni dall'omologazione, termine che si riduce a trenta giorni per i crediti di lavoro.

La perentorietà con cui viene fissato il termine per i pagamenti ai lavoratori, invece, potrebbe riaprire la diatriba sulla ammissibilità di proposte concordatarie che prevedano termini più ampi con riconoscimento degli interessi (e della rivalutazione?) e concessione del diritto di voto.

Di contro, la previsione che consente senza limitazioni il pagamento differito degli altri creditori privilegiati, evidentemente, costituisce una modifica dirompente e forse di dubbia legittimità, laddove ne possa derivare una compressione ad libitum dei diritti dei creditori al soddisfo; peraltro, resta pur sempre il limite dettato dalla comparazione con l'alternativa liquidatoria che potrebbe indurre a caducare ipotesi concordatarie che prevedano un soddisfo così dilatato da apparire figurativo o comunque non adeguatamente certo.

Oltre a ciò, una delle caratteristiche del “nuovo” concordato in continuità è anche quella di circoscrivere l'ambito dei beni sul cui realizzo andranno a soddisfarsi i creditori privilegiati, con l'abbandono del rigido criterio in forza del quale costituirebbe alterazione vietata della graduazione dei crediti ogni ipotesi di soddisfo di crediti di rango inferiore sino a che non sia garantito il pagamento integrale dei privilegi poziori (c.d. “priorità assoluta”) per giungere all'adozione di un principio di “priorità relativa” che consente un parziale cram-down anche a carico dei privilegiati a patto che il loro soddisfo sia migliore rispetto a quello della classe inferiore (sul punto, v. G.P. MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore di continuità, in dirittodellacrisi.it, 2022), in ciò adeguandosi la normativa nazionale al precetto che scaturisce dalla “Direttiva Insolvency” n. 1023/2019, che all'art. 11 sembra abbandonare il principio in forza del quale il pagamento di una classe di creditori di rango inferiore postula indefettibilmente il soddisfo integrale di quelle che la precedono, laddove prevede, invece, che “affinché il piano di ristrutturazione che non è approvato da tutte le parti interessate di cui all'articolo 9, paragrafo 6, in ciascuna classe di voto, possa essere omologato dall'autorità giudiziaria o amministrativa, su proposta del debitore o con l'accordo del debitore, e possa diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti” sia bastevole che “le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori” (sui principi della Direttiva Insolvency e sul recepimento di essa nel Codice della Crisi, v. G. ACCIARO - G. TURCHI, Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro, in Ilcaso.it, 2022).

Sotto tale profilo, il sesto comma del nuovo testo dell'art. 84 parrebbe destinato a risolvere in senso parzialmente recettivo delle indicazioni comunitarie la questione circa la distribuzione dell'attivo ai creditori, sancendo che “nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore” e forse proprio alla necessità di questo raffronto tra gruppi di creditori omogenei è dovuto l'obbligo di formazione delle classi imposto dall'art. 85 in tutti i casi di concordato in continuità.

Viene, dunque, ipotizzato un parametro per certi versi limitativo dell'impegno del debitore, costituito dal valore che i creditori possono attendersi di ricevere in base alla distribuzione - rispettosa della graduazione dei privilegi - del ricavato della liquidazione dell'attivo; se esiste un plusvalore, esso può essere distribuito liberamente, fatto salvo tuttavia il vincolo di non sovvertire l'ordine dei privilegi in modo da far conseguire al creditore con privilegio poziore un trattamento deteriore rispetto a quello degli altri soggetti nella sua stessa posizione ovvero non migliorativo rispetto a quello attribuito alle classi succedanee.

Con l'eccezione, peraltro, per i crediti di lavoro che, così dispone il settimo comma dell'art. 84 “sono soddisfatti, nel concordato in continuità aziendale, nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente il valore di liquidazione”: per tali crediti, in sostanza, il diritto al soddisfo prioritario grava anche sull'eventuale surplus rispetto al valore di liquidazione.

La nuova disposizione non chiarisce, tuttavia, espressamente cosa si intenda per “valore di liquidazione” laddove, anzitutto, ci si chiede se si voglia far riferimento al valore in concreto attribuito dal debitore all'attivo offerto ai creditori o se debba essere considerato il valore traibile dai beni nell'ipotesi alternativa di una procedura liquidatoria (in ipotesi inferiore in quanto avulso dal beneficio derivante dalla conservazione dell'attività); evidentemente, nel primo caso, il valore eccedente non potrebbe che essere quello derivante da apporti esterni ovvero dagli utili futuri tratti dalla prosecuzione dell'attività; accedendo alla seconda interpretazione, invece, si aprono scenari più variegati nei quali l'impresa in crisi potrebbe enfatizzare lo “svilimento” degli attivi derivante, ad esempio, da una liquidazione atomistica necessaria in alternativa alla continuità (v. D. GALLETTI, Regole di priorità e distribuzione del plusvalore concordatario: due passi indietro ed un'occasione importante perduta, in questo portale, 2022).

Non solo, ma non è chiaro neppure se il parametro di riferimento sia comunque l'intero attivo dell'impresa o quello messo a disposizione dei creditori; ci si chiede se sia cioè ammissibile un sacrificio per il ceto creditorio che derivi dal parziale mantenimento in capo all'imprenditore di parte dei beni in ipotesi gravati dal vincolo generale di cui all'art. 2740 c.c.; mi pare, tuttavia, che tale soluzione sia in qualche modo implicita nel concordato con continuità (v. D'ORSI, Il concordato parzialmente liquidatorio, in Giur. comm., 2021, I, 324). Con un corollario, a mio avviso, evidente: se il mantenimento dell'attivo in capo all'impresa è una opzione connaturata con la stessa natura del concordato in continuità diretta, lo stesso può dirsi per il caso di continuità indiretta con trasferimento dell'azienda terzi? In questo caso, infatti, è legittimo il dubbio sulla compatibilità con il precetto generale dell'art. 2740 c.c. di una proposta che consenta all'impresa di non distribuire ai suoi creditori l'intero ricavato di quella che, nella sostanza, diverrà una soluzione ad esito liquidatorio. Anche in questo caso, si tratta di stabilire se il parametro di riferimento sia un ipotetico valore di liquidazione rispetto al quale il realizzo dell'attivo in continuità potrebbe far conseguire un plusvalore che legittimi di contro il parziale trattenimento - o la libera disponibilità - di parte dell'attivo (in questo senso, M. CAMPOBASSO, Il concordato liquidatorio semplificato: ma perche ́ il concordato preventivo non trova pace?, in NLCC, 2022,112, giustamente si interroga sulla destinazione del “plusvalore concordatario”, inteso come “differenza fra il risultato atteso della liquidazione concordataria e quello della liquidazione fallimentare”) e, di contro, cosa si intenda per “valore eccedente” comunque destinato al soddisfo dei creditori: tale valore, infatti, potrebbe essere appunto dato dalla maggior utilità riveniente dal realizzo in continuità senza che la disciplina ne legittimi una parziale esclusione da quanto distribuito ai creditori (in sostanza, in questo senso l'art. 84 legittimerebbe solo una diversa distribuzione rispetto alla graduazione, ma non una distribuzione parziale). In questo ultimo senso depone la Relazione illustrativa laddove precisa che la ratio dell'art. 84 è che “il valore di liquidazione dell'impresa sia distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione e cioè secondo la regola della priorità assoluta (che impedisce la soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del credito di grado superiore) mentre il valore ricavato dalla prosecuzione dell'impresa, il c.d. plusvalore da continuità, può essere distribuito osservando il criterio della priorità relativa (secondo il quale è sufficiente che i crediti di una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggiore rispetto alla classe di rango inferiore)”.

Tra le opzioni consentite con la “liberazione” del surplus concordatario v'è da rimarcare la teorica possibilità che trovino in parte soddisfo i crediti - in ipotesi anche postergati a norma dell'art. 2467 c.c. ovvero dell'art. 2497-quinquies c.c. all'interno dei gruppi - vantati dai soci e ciò a prescindere dall'esenzione da postergazione per la nuova finanza apportata (cui è correlata la prededucibilità nei limiti dell'80% per i finanziamenti regolati dall'art. 102 del Codice della Crisi, ma che la legislazione emergenziale e l'art. 10 D.L. 118/2021, trasposto nell'art. 22 del “correttivo-bis”, sembra invece prevedere come integrale nella composizione negoziata; cfr. F. BRIOLINI, Note minime sulla sospensione del principio della postergazione dei prestiti dei soci e infragruppo (art. 8, d.l. 23/2020), in BBTC, 2020, I, 639; F. LAMANNA, Composizione negoziata e finanziamenti prededucibili e postergati, in questo portale, 2022), che si giustifica in quanto si tratta di interventi successivi all'apertura del concorso (v. L. MANDRIOLI, I finanziamenti soci “interinali” nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm., 2019, I, 615): quella che si vuole sottolineare è, invece, la possibilità teorica che la compagine sociale tragga un vantaggio residuo dalla conclusione della procedura concordataria, ipotesi che il legislatore non ha previsto, ma non ha neppure espressamente escluso e che si potrebbe anche inferire indirettamente dalla considerazione che anche la controllante e le altre società del gruppo possono essere ammesse al voto a norma dell'art. 109, se inserite in una classe autonoma, collocazione che di per sé non implica si tratti di una classe priva di soddisfo, anche se è altrettanto valida l'argomentazione opposta: la concessione del voto di per sé non implica anche la possibilità di superare gli effetti della postergazione ex lege.

(Segue): La (incerta) soluzione ai dubbi sulla distribuzione dell'attivo ai creditori privilegiati
Come già si accennava, il favor del legislatore per il concordato in continuità trova conferma anche nella disciplina del pagamento dei creditori e non solo per l'assenza del limite di soddisfo minimo previsto per il ceto chirografario e dell'imposizione di apporti esterni, ma anche per il trattamento dei crediti assistiti da privilegio.

Anzitutto, perché una delle peculiarità di questa tipologia di concordato è proprio la possibilità di differire il soddisfo dei privilegiati per un periodo che già era stato elevato a due anni con una modifica, dettata dal periodo emergenziale, introdotta dal D.L. 118/2021; la previsione dell'art. 86 modificata dal nuovo correttivo addirittura ammette genericamente che “il piano può prevedere una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca”, moratoria che, d'altro canto, resta collegata alla eventuale liquidazione dei beni gravati dal privilegio e con l'unica eccezione dei crediti di lavoro, che devono essere soddisfatti nei sei mesi.

D'altro canto, la severità del precetto sui limiti temporali alla dilazione era già stato scardinato dalla corrente (v. per tutte Cass., Sez. I, 18 giugno 2020, n. 11882) che aveva comunque ammesso la possibilità di una dilazione più ampia, compensata dal computo degli interessi e con ammissione al voto per il sacrificio imposto (v. anche Trib. Pistoia, 17 settembre 2020, in Fallim., 2021, 382 per la proposta di un metodo di calcolo della minusvalenza derivante dalla dilazione); il principio viene ribadito ed esplicitato nel Codice della Crisi, laddove all'art. 109 viene previsto il voto per i creditori privilegiati se non soddisfatti (con pagamento in danaro) entro centottanta giorni dall'omologazione, termine che si riduce a trenta giorni per i crediti di lavoro.

La perentorietà con cui viene fissato il termine per i pagamenti ai lavoratori, invece, potrebbe riaprire la diatriba sulla ammissibilità di proposte concordatarie che prevedano termini più ampi con riconoscimento degli interessi (e della rivalutazione?) e concessione del diritto di voto.

Di contro, la previsione che consente senza limitazioni il pagamento differito degli altri creditori privilegiati, evidentemente, costituisce una modifica dirompente e forse di dubbia legittimità, laddove ne possa derivare una compressione ad libitum dei diritti dei creditori al soddisfo; peraltro, resta pur sempre il limite dettato dalla comparazione con l'alternativa liquidatoria che potrebbe indurre a caducare ipotesi concordatarie che prevedano un soddisfo così dilatato da apparire figurativo o comunque non adeguatamente certo.

Oltre a ciò, una delle caratteristiche del “nuovo” concordato in continuità è anche quella di circoscrivere l'ambito dei beni sul cui realizzo andranno a soddisfarsi i creditori privilegiati, con l'abbandono del rigido criterio in forza del quale costituirebbe alterazione vietata della graduazione dei crediti ogni ipotesi di soddisfo di crediti di rango inferiore sino a che non sia garantito il pagamento integrale dei privilegi poziori (c.d. “priorità assoluta”) per giungere all'adozione di un principio di “priorità relativa” che consente un parziale cram-down anche a carico dei privilegiati a patto che il loro soddisfo sia migliore rispetto a quello della classe inferiore (sul punto, v. G.P. MACAGNO, La distribuzione di valore tra regole di priorità assoluta e relativa. Il plusvalore di continuità, in dirittodellacrisi.it, 2022), in ciò adeguandosi la normativa nazionale al precetto che scaturisce dalla “Direttiva Insolvency” n. 1023/2019, che all'art. 11 sembra abbandonare il principio in forza del quale il pagamento di una classe di creditori di rango inferiore postula indefettibilmente il soddisfo integrale di quelle che la precedono, laddove prevede, invece, che “affinché il piano di ristrutturazione che non è approvato da tutte le parti interessate di cui all'articolo 9, paragrafo 6, in ciascuna classe di voto, possa essere omologato dall'autorità giudiziaria o amministrativa, su proposta del debitore o con l'accordo del debitore, e possa diventare vincolante per le classi di voto dissenzienti” sia bastevole che “le classi di voto dissenzienti di creditori interessati ricevano un trattamento almeno tanto favorevole quanto quello delle altre classi dello stesso rango e più favorevole di quello delle classi inferiori” (sui principi della Direttiva Insolvency e sul recepimento di essa nel Codice della Crisi, v. G. ACCIARO - G. TURCHI, Le regole di distribuzione del patrimonio tra passato e futuro, in Ilcaso.it, 2022).

Sotto tale profilo, il sesto comma del nuovo testo dell'art. 84 parrebbe destinato a risolvere in senso parzialmente recettivo delle indicazioni comunitarie la questione circa la distribuzione dell'attivo ai creditori, sancendo che “nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore” e forse proprio alla necessità di questo raffronto tra gruppi di creditori omogenei è dovuto l'obbligo di formazione delle classi imposto dall'art. 85 in tutti i casi di concordato in continuità.

Viene, dunque, ipotizzato un parametro per certi versi limitativo dell'impegno del debitore, costituito dal valore che i creditori possono attendersi di ricevere in base alla distribuzione - rispettosa della graduazione dei privilegi - del ricavato della liquidazione dell'attivo; se esiste un plusvalore, esso può essere distribuito liberamente, fatto salvo tuttavia il vincolo di non sovvertire l'ordine dei privilegi in modo da far conseguire al creditore con privilegio poziore un trattamento deteriore rispetto a quello degli altri soggetti nella sua stessa posizione ovvero non migliorativo rispetto a quello attribuito alle classi succedanee.

Con l'eccezione, peraltro, per i crediti di lavoro che, così dispone il settimo comma dell'art. 84 “sono soddisfatti, nel concordato in continuità aziendale, nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente il valore di liquidazione”: per tali crediti, in sostanza, il diritto al soddisfo prioritario grava anche sull'eventuale surplus rispetto al valore di liquidazione.

La nuova disposizione non chiarisce, tuttavia, espressamente cosa si intenda per “valore di liquidazione” laddove, anzitutto, ci si chiede se si voglia far riferimento al valore in concreto attribuito dal debitore all'attivo offerto ai creditori o se debba essere considerato il valore traibile dai beni nell'ipotesi alternativa di una procedura liquidatoria (in ipotesi inferiore in quanto avulso dal beneficio derivante dalla conservazione dell'attività); evidentemente, nel primo caso, il valore eccedente non potrebbe che essere quello derivante da apporti esterni ovvero dagli utili futuri tratti dalla prosecuzione dell'attività; accedendo alla seconda interpretazione, invece, si aprono scenari più variegati nei quali l'impresa in crisi potrebbe enfatizzare lo “svilimento” degli attivi derivante, ad esempio, da una liquidazione atomistica necessaria in alternativa alla continuità (v. D. GALLETTI, Regole di priorità e distribuzione del plusvalore concordatario: due passi indietro ed un'occasione importante perduta, in questo portale, 2022).

Non solo, ma non è chiaro neppure se il parametro di riferimento sia comunque l'intero attivo dell'impresa o quello messo a disposizione dei creditori; ci si chiede se sia cioè ammissibile un sacrificio per il ceto creditorio che derivi dal parziale mantenimento in capo all'imprenditore di parte dei beni in ipotesi gravati dal vincolo generale di cui all'art. 2740 c.c.; mi pare, tuttavia, che tale soluzione sia in qualche modo implicita nel concordato con continuità (v. D'ORSI, Il concordato parzialmente liquidatorio, in Giur. comm., 2021, I, 324). Con un corollario, a mio avviso, evidente: se il mantenimento dell'attivo in capo all'impresa è una opzione connaturata con la stessa natura del concordato in continuità diretta, lo stesso può dirsi per il caso di continuità indiretta con trasferimento dell'azienda terzi? In questo caso, infatti, è legittimo il dubbio sulla compatibilità con il precetto generale dell'art. 2740 c.c. di una proposta che consenta all'impresa di non distribuire ai suoi creditori l'intero ricavato di quella che, nella sostanza, diverrà una soluzione ad esito liquidatorio. Anche in questo caso, si tratta di stabilire se il parametro di riferimento sia un ipotetico valore di liquidazione rispetto al quale il realizzo dell'attivo in continuità potrebbe far conseguire un plusvalore che legittimi di contro il parziale trattenimento - o la libera disponibilità - di parte dell'attivo (in questo senso, M. CAMPOBASSO, Il concordato liquidatorio semplificato: ma perche ́ il concordato preventivo non trova pace?, in NLCC, 2022,112, giustamente si interroga sulla destinazione del “plusvalore concordatario”, inteso come “differenza fra il risultato atteso della liquidazione concordataria e quello della liquidazione fallimentare”) e, di contro, cosa si intenda per “valore eccedente” comunque destinato al soddisfo dei creditori: tale valore, infatti, potrebbe essere appunto dato dalla maggior utilità riveniente dal realizzo in continuità senza che la disciplina ne legittimi una parziale esclusione da quanto distribuito ai creditori (in sostanza, in questo senso l'art. 84 legittimerebbe solo una diversa distribuzione rispetto alla graduazione, ma non una distribuzione parziale). In questo ultimo senso depone la Relazione illustrativa laddove precisa che la ratio dell'art. 84 è che “il valore di liquidazione dell'impresa sia distribuito nel pieno rispetto delle cause legittime di prelazione e cioè secondo la regola della priorità assoluta (che impedisce la soddisfazione del creditore di rango inferiore se non vi è stata la piena soddisfazione del credito di grado superiore) mentre il valore ricavato dalla prosecuzione dell'impresa, il c.d. plusvalore da continuità, può essere distribuito osservando il criterio della priorità relativa (secondo il quale è sufficiente che i crediti di una classe siano pagati in ugual misura rispetto alle classi di pari grado e in misura maggiore rispetto alla classe di rango inferiore)”.

Tra le opzioni consentite con la “liberazione” del surplus concordatario v'è da rimarcare la teorica possibilità che trovino in parte soddisfo i crediti - in ipotesi anche postergati a norma dell'art. 2467 c.c. ovvero dell'art. 2497-quinquies c.c. all'interno dei gruppi - vantati dai soci e ciò a prescindere dall'esenzione da postergazione per la nuova finanza apportata (cui è correlata la prededucibilità nei limiti dell'80% per i finanziamenti regolati dall'art. 102 del Codice della Crisi, ma che la legislazione emergenziale e l'art. 10 D.L. 118/2021, trasposto nell'art. 22 del “correttivo-bis”, sembra invece prevedere come integrale nella composizione negoziata; cfr. F. BRIOLINI, Note minime sulla sospensione del principio della postergazione dei prestiti dei soci e infragruppo (art. 8, d.l. 23/2020), in BBTC, 2020, I, 639; F. LAMANNA, Composizione negoziata e finanziamenti prededucibili e postergati, in questo portale, 2022), che si giustifica in quanto si tratta di interventi successivi all'apertura del concorso (v. L. MANDRIOLI, I finanziamenti soci “interinali” nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm., 2019, I, 615): quella che si vuole sottolineare è, invece, la possibilità teorica che la compagine sociale tragga un vantaggio residuo dalla conclusione della procedura concordataria, ipotesi che il legislatore non ha previsto, ma non ha neppure espressamente escluso e che si potrebbe anche inferire indirettamente dalla considerazione che anche la controllante e le altre società del gruppo possono essere ammesse al voto a norma dell'art. 109, se inserite in una classe autonoma, collocazione che di per sé non implica si tratti di una classe priva di soddisfo, anche se è altrettanto valida l'argomentazione opposta: la concessione del voto di per sé non implica anche la possibilità di superare gli effetti della postergazione ex lege.

In conclusione

Mi pare si possano riassumere le peculiarità della “nuova” disciplina del concordato preventivo nel rilevare come il legislatore abbia voluto enfatizzare anche per questa procedura la finalità di risanamento dell'impresa, favorendo il ricorso al concordato in continuità aziendale se e nella misura in cui si riveli effettivamente idoneo a conseguire l'obiettivo del risanamento dell'impresa in crisi ed invece limitando a casi residuali il ricorso al concordato liquidatorio.

Non solo, ma si è voluto privilegiare l'aspetto della prosecuzione dell'attività anche nelle mani di altro imprenditore, situazione che per certi versi potrebbe apparire in contrasto con l'esigenza di tutela del ceto creditorio, laddove non viene imposto per il concordato in continuità un limite di soddisfo minimo, ma nella realtà pare evidente che il legislatore ha voluto comunque garantire un miglior soddisfo dei creditori, seppure sogguardato sotto molteplici profili, nella convinzione che nella maggior parte dei casi il salvataggio del “bene-azienda” giovi non solo al debitore, ma più in generale a tutti gli stakeholders, ivi compresi i creditori che dalla prosecuzione dell'attività potranno trarre un vantaggio futuro che compensi la minusvalenza da falcidia concorsuale.

La novità principale, tuttavia, è che - una volta preservato l'obiettivo di consentire un soddisfo più appagante rispetto all'alternativa liquidatoria - si aprono nuovi scenari quanto alla possibilità di “regolare” il trattamento dei creditori con modalità che per certi versi superano i canonici dettami in tema di rispetto della graduazione.

Guida all'approfondimento

A causa della novità della materia non vi sono evidentemente ancora arresti giurisprudenziali; in dottrina sul concordato in continuità come disciplinato dalle nuove disposizioni del Codice della Crisi: M. ARATO, Il concordato con continuità nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Fallim., 2019, 855; R. BROGI, Il concordato con continuità aziendale nel codice della crisi, in Fallim., 2019, 845; F. D'ANGELO, Il concordato con continuità aziendale nel nuovo Codice della crisi e dell'insolvenza, in DF, 2020, I, 22; A. MAFFEI ALBERTI, Crisi dell'impresa e continuazione dell'attività, in Ilcaso.it, 2022; F. MAROTTA, Incertezze applicative in tema di concordato liquidatorio ed in continuità aziendale nel Codice della crisi d'impresa, in DF, 2019, I, 590; V. PINTO, La fattispecie di continuità aziendale nel concordato nel Codice della crisi, in Gcomm, 2020, I, 372; S. SANZO – D. BURRONI, Il nuovo Codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, Bologna, 2019, 124 ss.; P. VALLINO, Il concordato preventivo in continuità, in L. JEANTET (a cura di), Il concordato preventivo dalla legge fallimentare al codice della crisi di impresa, Milano, 2021, 423 ss..

In particolare, sulla disciplina sulle possibili soluzioni in continuità aziendale e sulla distinzione rispetto al concordato liquidatorio: M. ARATO, Il piano di concordato e la soddisfazione dei creditori concorsuali, in O. CAGNASSO - L. PANZANI (a cura di), Crisi di impresa e procedure concorsuali, vol. III, Torino, 2016, 3543 ss.; R. BROGI, Concordato con continuità e liquidazione dei beni: prevalenza qualitativa, prevalenza quantitativa o combinazione?, in Fallim., 2020, 480; ID, Il concordato con continuità aziendale nel codice della crisi, in Fallim., 2019, 845; R. MANDRIOLI, L'affitto d'azienda nel concordato preventivo, in Gcomm, 2019, I, 357, che esamina la questione della compatibilità dell'affitto con la qualifica di una procedura come concordato in continuità; A. ZORZI, Concordato con continuità e concordato liquidatorio: oltre le etichette, in DF, 2020, I, 58; A. ZULIANI, Continuità diretta e continuità indiretta: presupposti, regole, criticità, in DirCrisi, 2022. Sulla peculiare disciplina della “prevalenza” nei concordati di gruppo: G. D'ATTORRE, I concordati di gruppo nel codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Fallim., 2019, 285; F. GUERRERA, La regolazione negoziale della crisi e dell'insolvenza dei gruppi di imprese nel nuovo Codice della Crisi e dell'insolvenza, in DF, 2019, I, 1318; L. PANZANI, Il concordato di gruppo, in Fallim., 2020, 1350; C. TRENTINI, I concordati preventivi, Milano, 2014, 391 ss.; D. VATTERMOLI, I gruppi nel Codice della Crisi, Pisa, 2020, 40 ss.

Alcuni spunti sui temi affrontati dal legislatore, tuttavia, si possono già reperire nell'ambito della evoluzione giurisprudenziale in tema di concordato in continuità: in particolare, si vedano le pronunzie che hanno definito l'ambito dell'utilizzo della “nuova finanza” in deroga al rispetto della graduazione dei privilegi: in senso contrario al libero utilizzo dei flussi di cassa tratti dalla prosecuzione dell'attività, App. Venezia, 5 luglio 2021, in QG, 2021; Trib. Brescia, 14 giugno 2021, in QG, 2021; Trib. Monza, 23 settembre 2020, in Fallim., 2021, 278; App. Torino 31 agosto 2018, in Fallim., 2019, 377; Trib. Milano 5 dicembre 2018, in Fallim., 2019, 1087; v. anche Trib. Milano, 22 dicembre 2020 che esclude l'utilizzabilità come nuova finanza dei canoni ricavati dall'affitto di azienda; in senso contrario, per la libera utilizzabilità dei flussi da continuità, Trib. Verona, 22 gennaio 2021; App. Venezia, 19 luglio 2019, in Fallim., 2019, 1416; Trib. Massa 27 novembre 2018; Trib. Firenze, 2 novembre 2016, in Fallim., 2017, 313.

Più in generale sulla distinzione tra concordati in continuità e liquidatori e sulla ricomprensione nei concordati in continuità delle procedure fondate sul trasferimento dell'azienda a terzi (oltre alla già citata Cass., Sez. I, 15 gennaio 2020, n. 734), si vedano Cass., Sez. I, 4 giugno 2021, n. 15690; Trib. Milano 13 febbraio 2020, in Fallim., 2020, 713 (che invece applica anticipatamente in via interpretativa il criterio di prevalenza dettato dall'art. 84 Codice della Crisi in versione originaria); App. Firenze 23 dicembre 2019, in Fallim., 2020, 572; App. Venezia 28 settembre 2020 e Trib. Padova 9 luglio 2020 entrambe in Fallim., 2021, 995; Cass., Sez. I, 19 novembre 2018, n. 29742.

In dottrina, in generale sul concordato in continuità e sui suoi possibili contenuti, R. AMATORE - L. JEANTET, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 275 ss.; S. AMBROSINI, Il controllo giudiziale su domanda e piano concordatari e i compiti dell'attestatore, in Gcomm, 2017, I, 387; M. CAMPOBASSO, La disciplina dei finanziamenti dei soci postergati dopo il correttivo al codice della crisi, in BBTC, 2021, 171 (con riguardo all'eccezione alla postergazione dei crediti dei soci); G. CASALE, Affitto d´azienda e concordato preventivo. Tra passato, presente e futuro, in DF, 2020, I, 594; V. DI NICOLANTONIO, La continuità aziendale nella gestione dell'impresa in concordato, in DF, 2018, I, 360; L. MANDRIOLI, L'affitto d'azienda nel concordato preventivo, in Gcomm, 2019, I, 357; R. VIVALDI, La continuità aziendale al tempo dell'emergenza: un'illusione o una sfida?, in Fallim., 2020, 1215.

Sull'evoluzione dei limiti del sindacato di “fattibilità” concesso al Tribunale nell'ambito dei concordati, v. C. CAPOZZI, La verifica sulla fattibilità del piano nel concordato preventivo. Valutazione sistematica delle caratteristiche, dei costi e dei possibili risultati, in Ilcaso.it, 2021; F. CESARE, La parabola della distinzione tra fattibilità, in questa Rivista, 2021; C. COSTA, Il controllo di fattibilità del concordato preventivo tra vecchia disciplina e nuovo codice della crisi e dell'insolvenza, in DF, 2020, I, 331; A. MOSCARIELLO, Il controllo del tribunale sulla 'fattibilità economica' del piano di concordato preventivo con continuità aziendale, in DF, 2019, II, 213.

Con specifico riferimento ai limiti connessi con il necessario rispetto dell'ordine dei privilegi ed in merito alla destinazione degli apporti di “nuova finanza”, in particolare con riguardi ai flussi derivanti dalla continuità aziendale: A. AZARA, Responsabilità patrimoniale e concordato preventivo liquidatorio, in Riv.trim.dir.proc.civ., 2020, 239; G. BALLERINI, Art. 160, comma 2, l. fall. (art. 85 CCI), surplus concordatario e soddisfazione dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in NLCC, 2021, 625; D. BIANCHI, La Cassazione, la nuova finanza e l'alterazione dell'ordine dei privilegi, in Fallim., 2012, 1411; G. D'ATTORRE, La distribuzione del patrimonio del debitore tra absolute priority rule e relative priority rule, in Fallim., 2020, 1072; ID, Le utilità conseguite con l'esecuzione del concordato in continuità spettano solo ai creditori o anche al debitore?, in Fallim., 2017, 316; M. FABIANI, La struttura finanziaria del concordato preventivo, Bologna, 2019, 210 ss.; A. GUIOTTO, Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d'interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale, in Fallim., 2019, 1095; G. LENER, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in dirittodellacrisi.it, 2022; G.P. MACAGNO, Natura del concordato, destinazione dei flussi della continuità, sindacato sul soddisfacimento dei creditori: il Codice della crisi è ancora un sicuro riferimento interpretativo?, in Fallim., 2021, 1002; D. MANENTE, Due provvedimenti sulla destinazione dei flussi finanziari nel concordato preventivo con continuità aziendale: Tesi e antitesi, in DF, 2019, II, 875; A. MUNARI, Concordato preventivo e destinazione dei canoni di locazione di immobili ipotecati: un possibile percorso interpretativo, in Gcomm, 2017, I, 887 ss.; F. PLATANIA, L'ordine di pagamento dei creditori ipotecari e privilegiati nel concordato in continuità diretta, in Fallim., 2020, 1501; A. ROSSI, Le proposte “indecenti” nel concordato preventivo, in Gcomm, 2015, I, 331; R. TAROLLI - L. RIONDATO, Concordato con continuità aziendale: utili d'impresa e rispetto delle cause legittime di prelazione, in questo portale, 2021; M. TERENGHI, “Finanza esterna”, ordine delle cause di prelazione e flussi di cassa nel concordato con continuità, in Fallim., 2019, 380; G. TERRANOVA, I concordati in un'economia finanziaria, in DF, 2020, I, 11; D. VATTERMOLI, Concordato con continuità aziendale, Absolute priority rule e new value exception, in RdComm, 2014, II, 331.

Sull'enfatizzazione della continuità aziendale nell'approccio della legislazione comunitaria alla crisi d'impresa, v. S. PACCHI, La ristrutturazione dell'impresa come strumento per la continuità nella Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2019/1023, in DF, 2019, I, 1259; P. PIAZZA, La proposta di direttiva UE in materia di insolvenza e le forme di autotutela della controparte in bonis, in Gcomm, 2018, I, 691; N. SOLDATI, La Direttiva (UE) 2019/1023 e l'evoluzione delle procedure concorsuali nell'ottica della continuità aziendale e dell'emersione tempestiva della crisi d'impresa, in Dir.Comm.Int., 2020, 217; P. VELLA, La spinta innovativa dei quadri di ristrutturazione preventiva europei sull'istituto del concordato preventivo in continuità aziendale, in Ilcaso.it, 2022.

Sul contenuto del piano in continuità sotto il profilo del soddisfo differito dei creditori: P. BOSTICCO, Condizioni di derogabilità del termine per il pagamento dei creditori privilegiati nel concordato in continuità, in questo portale, 2020; M. MIRAMONDI, Il pagamento dilazionato dei creditori prelatizi: tra coerenza del sistema e autonomia privata, in Fallim., 2021, 384; E. PAGANI, Tempi di adempimento ed affitto d'azienda nel concordato con continuità, in Gcomm, 2015, II, 149; C. TRENTINI, Ammissibilità del pagamento dilazionato dei creditori privilegiati nel concordato preventivo, in Fallim., 2021, 353; v. anche per l'estensione del principio anche a procedure di altro tipo (ammessa da Cass., Sez. I, 3 luglio 2019, n. 17834) F. ROLFI, Sovraindebitamento e “moratoria” ultrannuale dei privilegiati tra regole attuali e future, in Fallim., 2020, 215.

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