L'altolà delle Sezioni Unite all'intervento del giudice sull'accordo delle parti nel patteggiamento

Angelo Salerno
Angelo Salerno
20 Giugno 2022

«Nel procedimento speciale di cui all'art. 444 c.p.p., l'accordo delle parti sulla applicazione di una pena detentiva di cui viene richiesta la sospensione condizionale deve estendersi anche agli obblighi ulteriori eventualmente connessi ex lege alla concessione del beneficio, indicandone, quando previsto, la durata, con la conseguenza che, in mancanza di pattuizione pure su tali elementi, la sospensione non può essere accordata e, qualora al suo riconoscimento sia stata subordinata l'efficacia stessa della richiesta di applicazione della pena, questa deve essere integralmente rigettata».

«La durata della prestazione di attività non retribuita a favore della collettività soggiace a due limiti massimi cumulativi: quello di sei mesi, previsto dal combinato disposto degli artt. 18-bis disp. coord. c.p. e 54, comma 2, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, e, se inferiore, quello stabilito dall'art. 165, comma 1, c.p. in relazione alla misura della pena sospesa».

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi su una duplice questione relativa al potere del giudice, a fronte della richiesta di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p., c.d. patteggiamento, di condizionare la sospensione della pena a prestazioni lavorative non retribuite che non siano state oggetto dell'accordo delle parti e di stabilire la durata di tale obbligo accessorio anche oltre il limite di sei mesi stabilito dall'art. 54 d.lgs. n. 274/2000, come richiamato dall'art. 18-bis disp. coord. c.p.

Nel rispondere ai quesiti, le Sezioni Unite, come già la Sezione rimettente, hanno ricostruito gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità in contrasto su ciascuna questione.

Con riferimento alla possibilità di subordinare la sospensione condizionale ad obblighi che esulino dall'accordo raggiunto dalle parti, la Corte evidenzia che l'orientamento maggioritario, basandosi su un precedente del 1993 delle Sezioni Unite (sentenza 11 maggio 1993, n. 10, imp. Zanlorenzi), esclude che il giudice possa integrare il contenuto del c.d. patteggiamento, specie a fronte di elementi non predeterminati per legge e suscettibili di una valutazione discrezionale, nell'an, nel quantum e nelle modalità di esecuzione.

Il contrapposto orientamento sostiene invece che il consenso delle parti sia implicito in caso di richiesta di applicazione della pena subordinata alla sospensione condizionale della stessa, quando risulti obbligatorio – ai sensi dell'art. 165, comma 2, c.p. – prescrivere l'adempimento di obblighi accessori.

Le Sezioni Unite hanno aderito al primo dei due orientamenti, precisando che l'accordo delle parti ex art. 444 c.p.p. deve intendersi esteso ad ogni conseguenza accessoria del reato, che non derivi obbligatoriamente dall'affermazione della responsabilità penale e non sia predeterminata dalla legge.

Pertanto, il giudice non può alterare l'oggetto dell'accordo tra le parti, che si estende ben oltre la pena, interessando ogni profilo sanzionatorio e normativo che non costituisca per legge una conseguenza obbligata. È infatti precluso, secondo le Sezioni Unite, ogni intervento correttivo e integrativo tale da pregiudicare la necessaria prevedibilità delle conseguenze dell'accesso al rito speciale del c.d. patteggiamento, in linea con quanto sancito dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (sentenza Natsvlishvili e altro contro Georgia, 29 aprile 2014). Quando la richiesta di applicazione della pena risulti subordinata alla sospensione condizionale della pena e non contempli alcun obbligo accessorio, il giudice dovrà pertanto rigettarla quando la legge prescriva tale condizione, senza poter intervenire sul suo contenuto.

Con riferimento invece alla questione relativa alla durata massima delle prestazioni lavorative accessorie, cui la pena può o deve essere subordinata, le Sezioni Unite hanno evidenziato che l'art. 18-bis delle disposizioni di coordinamento richiama, in quanto compatibile, la disciplina dell'art. 54, d.lgs. n. 274/2000. Tale disposizione, nel disciplinare lo svolgimento delle prestazioni lavorative non retribuite in favore della collettività, prevede un limite massimo di durata di sei mesi.

Secondo la Corte, la previsione di un limite di durata degli obblighi accessori, pari a quella della pena sospesa, di cui al comma primo dell'art. 165 c.p. non comporta alcuna incompatibilità con la disciplina dell'art. 54 cit.

Le Sezioni Unite hanno infatti affermato che i due limiti sono destinati a concorrere, cumulativamente, sicché le prestazioni lavorative non retribuite in favore della collettività potranno avere durata massima di sei mesi, a meno che non risulti più breve la durata della pena sospesa.

*Fonte: DirittoeGiustizia