La riforma della Giustizia tributaria: il supergiudice e la forbice del tempo
30 Giugno 2022
Premessa
Con il disegno di legge approvato dal Consiglio dei Ministri n. 78 del 17 maggio 2022 la riforma del contenzioso tributario compie un ulteriore passo e si prepara ai necessari – e, da quanto si vocifera, tutt'altro che scontati – passaggi parlamentari. Lo scopo dichiarato dell'intervento è lo snellimento e l'efficientamento del contenzioso tributario; obiettivo, che, insieme a quello dello smaltimento del gigantesco arretrato, fa parte del più ambizioso piano di riforma della giustizia previsto nel PNRR per migliorare il sistema Italia. La tecnica legislativa è quella della modifica, tramite innesti e abrogazioni, delle norme già esistenti (in particolare i decreti legislativi n. 545 e 546 del 1992).
Creazione di un corpo professionale di giudici tributari
Fra le modifiche, due attirano l'attenzione: la principale è senz'altro quella della creazione di un corpo professionale di giudici tributari. Tuttavia, l'enfasi con la quale questa novità è stata salutata (su alcune riviste specializzate) appare alquanto eccessiva: non è infatti corretto – come invece è stato pur autorevolmente scritto – che con questa riforma si sia attuato il definitivo passaggio ai giudici professionali in luogo di quelli onorari ai quali è stata fin qui affidata la funzione giurisdizionale sulle liti tributarie, né tampoco che si sia ridotto il numero dei giudici tributari.
A ben leggere (art. 1–bis), si scopre che i magistrati tributari, che saranno selezionati in gran parte tramite concorso, si aggiungono e non sostituiscono affatto i giudici tributari che attualmente compongono le Commissioni tributarie. L'istituzione anche nella giustizia tributaria di un giudice professionale (“di carriera”) è stata sollecitata da lustri perché, in una materia, quale quella, appunto, tributaria – connotata da complessità che impongono alta specializzazione, preparazione multidisciplinare e costante aggiornamento – non si può prescindere da un corpo giudicante che sia esclusivamente dedito a questa funzione e che, per tale funzione, venga remunerato adeguatamente.
La riforma, dunque, resta – sia consentito dire “more solito” – una rivoluzione a metà: per un lasso temporale che il disegno di legge non precisa, nelle Commissioni si verificherà un mix tra giudici tributari onorari (cioè quelli attuali, “prestati” alla funzione giudicante da altre attività, in quanto magistrati penali o civili oppure liberi professionisti quali, soprattutto, avvocati e comercialisti) e magistrati tributari, scelti mediante concorso; da un lato, giudici a tal punto sottopagati da doversi considerare alla stregua di operatori del volontariato (ricordiamo che, oggi, un giudice tributario – al quale possono venire affidate sentenze su controversie di valore di centinaia se non milioni di euro – percepisce, all'incirca, un compenso di 240€ netti mensili oltre a 29€ per ogni ricorso deciso); dall'altro, i “supergiudici”, a tempo pieno e perciò ricompensati con un adeguato trattamento economico. Quale il senso di questo “impasto” istituzionale il disegno di legge non lo dice né è chiaro se a questa differenza di “rango” corrisponderà una differenziazione di funzioni (ai magistrati le questioni più importanti o complesse?).
Insomma: non sembra proprio che questa ennesima “rivoluzione a metà” soddisfi le aspettative di maggiore efficienza ed equità ( = giustizia).
Meglio sarebbe stato – seppur, invero, più complicato – procedere lungo un'unica direttrice, prevedendo un percorso di professionalizzazione entro un arco temporale di 2 o 3 anni. Diversamente, si avranno controversie affidate a giudici onorari “volontari” e controversie affidate nelle mani del supergiudice, con evidenti dubbi di costituzionalità. Estinzione dei giudizi di cassazione pendenti
La seconda novità è tagliente e si annida nella parte finale del disegno di legge – in cauda venenum – laddove il legislatore, sempre pervaso dalla brama di diminuire il numero dei contenziosi pendenti, introduce una norma che prevede l'estinzione dei giudizi di cassazione pendenti se non sarà fatta istanza di trattazione dal difensore e dalla parte personalmente entro sessanta (!) giorni dall'entrata in vigore della legge per i giudizi pendenti; istanza, che deve essere presentata ogni tre anni dal deposito del ricorso e che è riedizione di norme analoghe (come l'art. 26 della legge n. 183/2011) poi soppresse per manifesta ingiustizia/incostituzionalità e che ricorda un po' quella forbice che è l'estinzione dei libretti di risparmio postale che non vengono movimentati per anni. Insomma, qualcosa – poco – si è mosso finalmente nel verso di un miglioramento della qualità della giustizia tributaria.
A parte la lettura di quello che sarà il testo (eventualmente) approvato dal Parlamento, un giudizio definitivo lo fornirà – come al solito – la quotidiana, pratica attuazione degli istituti oggetto di ortopedia legislativa. Tuttavia, la speranza è che non sfugga al legislatore che nessuna riforma della giustizia tributaria – nemmeno la più radicale e innovativa – sarà in grado di centrare gli obiettivi se non verrà accompagnata da un profondo ripensamento dell'istituto dell'autotutela tributaria, dei poteri (e delle responsabilità) dell'amministrazione finanziaria e del contraddittorio endoprocedimentale.
Solo così il ricorso al (super) giudice potrà tornare a essere considerato come extrema ratio del rapporto fisco – contribuente, anziché una via d'uscita per quelle parti che intendono evitare di adempiere ai doveri pubblici e, rispettivamente, tributari. |