La revisione dei prezzi negli appalti pubblici

Sebastiano Santarelli
01 Luglio 2022

L'inserimento nel contratto d'appalto di una apposita clausola di revisione periodica dei prezzi non comporta il diritto all'automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale ma determina soltanto il dovere dell'amministrazione a procedere, su istanza di parte, all'attivazione del relativo procedimento di verifica dei presupposti di legge. La situazione soggettiva azionata è infatti di interesse legittimo in quanto volta ad ottenere l'esercizio di un potere amministrativo in senso favorevole all'impresa ricorrente che non vanta, viceversa, un diritto soggettivo perfetto ad una prestazione patrimoniale già spettante.

Il caso. Il Ministero della Difesa bandiva una procedura di gara informale per l'affidamento di un contratto misto avente ad oggetto lo svolgimento di lavori, servizi e forniture inerenti sistemi di simulazione per l'addestramento terrestre dell'esercito. A valle della suddetta procedura, nel 2016, veniva stipulato il contratto di appalto che risulta tutt'ora in corso di esecuzione per effetto di diverse proroghe e atti aggiuntivi. In ragione del notevole prolungamento dei tempi contrattuali originariamente pattuiti l'impresa affidataria avanzava due istanze finalizzate all'attivazione del procedimento di revisione dei prezzi ai sensi dell'art. 115 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163. Tali istanze venivano tuttavia respinte dal Ministero secondo cui, nel caso di specie, non ricorrevano i presupposti per procedere alla revisione dei prezzi del contratto.

Per conseguenza l'impresa affidataria proponeva ricorso innanzi al Tar Lazio al fine di ottenere, previo annullamento del provvedimento di diniego, la dichiarazione dell'obbligo dell'amministrazione di avviare l'iter di revisione dei prezzi con determinazione del relativo importo dovuto.

Il Collegio respingeva tuttavia il ricorso presentato sulla base delle argomentazioni che seguono.

La decisione. In via preliminare il Tar ha richiamato il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai sensi dell'art. 133, lett. e), n. 2 del c.p.a., sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie “relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo procedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata e periodica (…) nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell'adeguamento prezzi” (TAR Lombardia, Brescia, I, Sentenza 10 marzo 2022, n. 239).

Ciò chiarito, il Collegio ha rammentato che, a mente del menzionato art. 115, “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell'acquisizione di beni e servizi (…)”. La disposizione limita quindi l'ambito applicativo del procedimento di revisione dei prezzi ai contratti qualificabili “ad esecuzione continuata o periodica” per tali dovendosi intendere quelli le cui prestazioni sono “tipologicamente prefissate, standardizzate e omogenee e, sebbene considerate unitariamente nell'ambito di un certo orizzonte temporale finale sono idonee, ad ogni singola erogazione, a soddisfare l'interesse dell'altro contraente che non è unitario ma frazionato ed è soddisfatto di volta in volta”.

Ebbene, secondo il Tar, nel caso in esame il rapporto giuridico in essere tra l'impresa affidataria e il Ministero non è riconducibile ad un contratto “ad esecuzione continuata o periodica”, attesa in particolare la palese eterogeneità delle prestazioni dedotte in contratto. Deve pertanto ritenersi mancante di uno dei presupposti applicativi dell'art. 115 del d.lgs.12 aprile 2006, n. 163.

In aggiunta il Collegio ha osservato che l'inserzione di una clausola di revisione periodica del prezzo non comporta il diritto all'automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto il dovere dell'amministrazione di procedere – su istanza di parte – all'attivazione del procedimento di verifica dei relativi presupposti. Anche sotto tale aspetto deve quindi rilevarsi la piena legittimità del comportamento tenuto dal Ministero che non è rimasto inerte rispetto alla richiesta avanzata dall'impresa affidataria ma ha fornito esaustivo riscontro all'istanza avanzata eccependone, come detto, la carenza di un essenziale presupposto richiesto ai fini dell'accoglimento.

In ragione di tutto quanto sopra esposto, il Collegio ha giudicato il ricorso infondato.