Rigetto dell'istanza di messa alla prova presentata o rinnovata nel dibattimento. Impugnazione autonoma?

Letizia Galati
13 Settembre 2016

Alla luce del principio generale di non autonoma impugnabilità delle ordinanze emesse nel corso del dibattimento, come deve interpretarsi la norma di cui al comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p., che prevede la ricorribilità per cassazione, da parte dell'imputato o del pubblico ministero, dell'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova.
1.

La questione oggetto del contrasto giurisprudenziale in atto attiene alla interpretazione, alla luce del principio generale di non autonoma impugnabilità delle ordinanze emesse nel corso del dibattimento, dettato dall'art. 586 c.p.p., della norma contenuta nel comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p., che prevede la ricorribilità per Cassazione, da parte dell'imputato o del pubblico ministero, dell'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova.

Il principio della non impugnabilità autonoma delle ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento, sancito dall'art. 586 c.p.p., rappresenta, per dottrina e giurisprudenza, un fenomeno di differimento dell'impugnazione, la cui ratio consiste nella necessità di evitare l'impugnazione immediata di tutte quelle ordinanze che non hanno influito in alcun modo sulla decisione finale ed evitare che lo svolgimento di un processo venga spezzettato dall'apertura di una serie continua di procedimenti di impugnazione che, in via incidentale, potrebbero riguardare le singole ordinanze interlocutorie.Il codice prevede due eccezioni: a) le ordinanze che la stessa legge, caso per caso, dichiara immediatamente impugnabili (come ad esempio l'art. 479 c.p.p. ma dovrebbe rientrare in questa categoria anche l'art. 464-quater, comma 7, c.p.p.) e b) le ordinanze in materia di libertà personale. Tra le eccezioni rientrano senza alcun dubbio anche le ordinanze abnormi.Il comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p. prevede che contro l'ordinanza che decide sulla istanza di messa alla prova possono ricorrere per Cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente secondo le modalità tipiche del rito camerale descritte dagli articoli 127, comma 5, e 409, comma 6, c.p.p., ovvero soltanto per omesso avviso dell'udienza o perché, pur essendo comparsa, non è stata sentita ai sensi del comma 1. L'impugnazione, da chiunque proposta, non sospende il procedimento.Diversamente da quanto è accaduto nel rito minorile per l'omologo istituto, laddove l'art. 28, comma 3, del d.P.R. 448 del 1988 si riferisce genericamente alla impugnazione dell'ordinanza, prevedendone la impugnazione autonoma, la nuova legge sulla messa alla prova per gli adulti si riferisce genericamente all'ordinanza che decide sulla istanza di messa alla prova, lasciando intendere, almeno apparentemente, che il ricorso per cassazione sia proponibile avverso qualsiasi decisione del giudice sulla messa alla prova:
  • ordinanza di ammissione alla messa alla prova (art. 464-quater c.p.p.);
  • ordinanza di rigetto della istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-quater cit.);
  • ordinanza di modifica delle prescrizioni originarie (art. 464-quinquies, comma 3, c.p.p.);
  • ordinanza di revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova (art. 464-octies c.p.p. ma in questo ultimo caso, come previsto dalla norma, il ricorso per Cassazione può essere proposto esclusivamente per violazione di legge).
Ancora una volta, però, la poca chiarezza del legislatore ha costretto gli interpreti – almeno per le prime applicazioni della legge de qua – ad affrontare alcune questioni problematiche ricorrendo all'ausilio della giurisprudenza per istituti similari o ai principi generali che regolano il sistema delle impugnazioni. La questione più spinosa concerne le modalità di impugnazione dell'ordinanza con la quale il giudice decide sull'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova. Per evidenti ragioni legate all'interesse ad impugnare, le pronunce della giurisprudenza sinora intervenute hanno sempre avuto ad oggetto l'impugnazione dell'ordinanza che dispone il rigetto dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova. Sul punto, le diverse Sezioni della Corte di cassazione hanno assunto posizioni differenti in merito alla possibilità di impugnare autonomamente l'ordinanza de qua o, invece, alla luce del principio della non autonoma impugnabilità delle ordinanze emesse nel corso del dibattimento, dettato dall'art. 586 c.p.p. solo congiuntamente alla sentenza conclusiva. Secondo una parte della giurisprudenza (Cass. pen., Sez. V, 15 dicembre 2014 - 6 febbraio 2015, n. 5673, vedi Non impugnabilità autonoma dell'ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato?) l'ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova non è autonomamente ricorribile per Cassazione. La Corte, in particolare, richiamando il principio generale dettato dall'art. 586 c.p.p., ribadisce che, quando non è diversamente stabilito, le ordinanze emesse nel corso del dibattimento o degli atti preliminari possono essere impugnate, a pena di inammissibilità, solo unitamente alla sentenza.In tal caso entrambe le impugnazioni sono valutate congiuntamente dal giudice sovraordinato, così come avviene nel caso di impugnazione dell'ordinanza di accoglimento o di rigetto dell'istanza di sospensione del dibattimento proposta dall'imputato ex art. 5 l. 134/2003 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di applicazione della pena su richiesta delle parti). Né – ad avviso della Corte – l'ordinanza impugnata presenta i caratteri dell'atto abnorme (in quanto tale autonomamente ricorribile per Cassazione). La stessa, dunque, deve essere impugnata congiuntamente alla sentenza. Per tali motivi, ha dichiarato inammissibile la predetta impugnazione. Di analogo orientamento anche Cass. pen., Sez. II, 12 giugno 2015, n. 40397 e Cass. pen., Sez. V, 14 novembre 2014, n. 5656. Del medesimo tenore anche Cass. pen., Sez. V, 3 giugno 2015, n. 25566, che precisa che l'impugnazione diretta prevista dal settimo comma dell'art. 464-quater c.p.p. ha ad oggetto esclusivamente il provvedimento con il quale, in accoglimento dell'istanza dell'imputato, il giudice abbia disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova. Un diverso orientamento della Corte di cassazione, invece ha statuito in più di una decisione che l'ordinanza di rigetto in esame è autonomamente impugnabile dall'imputato con ricorso per cassazione, in quanto il tenore letterale dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p., che include nella disciplina dell'autonoma ricorribilità qualsiasi provvedimento decisorio, sia esso ammissivo o reiettivo della richiesta in questione, lo sottrae alla previsione generale dell'art. 586 c.p.p. (Cass. pen., Sez. VI, 30 giugno 2015 - 10 settembre 2015, n. 36687; Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2015 - 4 giugno 2015, n. 24011; Cass. pen., Sez. II, 6 maggio 2015 - 19 maggio 2015, n. 20602; Cass. pen., Sez. III, 24 maggio 2015 - 26 giugno 2015, n. 27071). Si segnala, sul punto, anche Cass. pen., Sez. II, 4 novembre 2015, n. 45338 che ha sancito l'ammissibilità del ricorso avverso l'ordinanza reiettiva pronunciata in udienza preliminare e che, in alternativa, l'interessato può rinnovare la richiesta prima dell'apertura del dibattimento, ma non nel prosieguo dell'udienza preliminare. Questo, dunque, allo stato appare l'orientamento della giurisprudenza.
2.

Chiamata a decidere su un ricorso proposto dal difensore di un imputato del reato di cui all'art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990, avverso l'ordinanza del giudice di primo grado di rigetto per inammissibilità dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, la VI Sezione della Corte di cassazione (ordinanza n. 50278 del 19 novembre 2015, illustra l'insanabile divergenza delle posizioni assunte sul punto dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e di conseguenza decide di rimettere la questione alle Sezioni unite.

L'ordinanza della Corte è di particolare interesse, innanzitutto perché, rimettendo il ricorso alle Sezioni unite, tenta finalmente di risolvere il contrasto sulla lettura dell'art. 464-quater c.p.p., ormai divenuto importante, tanto da verificarsi perfino all'interno delle medesime Sezioni ma anche perché introduce una soluzione mediata tra i due opposti filoni sopra indicati, finora mai proposta dai giudici di legittimità.

La Corte parte dall'analisi del meccanismo previsto dal legislatore nell'art. 464-ter c.p.p., ossia il caso in cui la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova sia proposta nel corso delle indagini preliminari: in tal caso il P.M. deve esprimere un consenso motivato e formulare l'imputazione, dopo di che il giudice provvede ai sensi dell'art. 464-quater c.p.p.; in caso di dissenso il P.M. ne enuncia le ragioni. La norma prevede che in caso di rigetto l'imputato può rinnovare la richiesta prima dell'apertura del dibattimento di primo grado e il giudice, se ritiene la richiesta fondata, provvede ai sensi dell'art. 464-quater c.p.p. L'ordinanza con la quale, dunque, il giudice decide sulla sospensione del procedimento è quella indicata nel comma 3 dell'art. 464-quater c.p.p.

Questa ordinanza, ai sensi del successivo comma 7, è ricorribile per cassazione dall'imputato o dal p.m. Il comma 9 dell'articolo in esame prevede, poi, che in caso di reiezione dell'istanza questa può essere riproposta in giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. La lettura parallela dell'art. 464-quater, comma 7, c.p.p. e dell'art. 464-quater comma 9, c.p.p., sembrerebbe suggerire che per le ordinanze di rigetto dell'istanza, l'unico rimedio previsto dal legislatore sarebbe solo la possibilità di rinnovazione.

Seguendo lo schema appena proposto, la Corte suggerisce una interpretazione mediata: posto che il comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p. si riferisce testualmente solo all'ordinanza che decide sull'istanza di messa alla prova e che, invece, il comma 9, si occupa dell'ordinanza reiettiva e dell'eventuale rinnovo prima dell'apertura del dibattimento, senza prevedere alcun mezzo di impugnazione specifico, potrebbe ritenersi che la possibilità di ricorso immediato in Cassazione sia esclusa per l'ordinanza reiettiva, qualora si pervenga alla fase del giudizio. In quest'ultimo caso la parte interessata non resterebbe comunque sprovvista di tutela atteso che è sempre esperibile lo strumento offerto dall'art. 586 c.p.p.

In tal modo si ricomporrebbe un sistema incentrato sulla ricorribilità della sola ordinanza di sospensione con messa alla prova, destinata ad impedire lo sviluppo del giudizio dibattimentale, e sulla impugnabilità dell'ordinanza reiettiva solo unitamente alla sentenza, secondo i principi generali dettati dall'art. 586 c.p.p. Il sistema così delineato appare - secondo la Corte – coerente con la ratio e con la struttura dell'istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, finalizzato ad estinguere il reato e, al tempo stesso, nuovo rito alternativo al dibattimento: l'immediata ricorribilità per Cassazione delle (sole) ordinanze applicative della m.a.p. è infatti aderente alla logica deflattiva sottesa al nuovo istituto, dato che la necessità di attendere l'esito del giudizio paralizzerebbe eccessivamente il processo. Anche per la parte civile, nei cui confronti non opera, in caso di sospensione del procedimento con messa alla prova, l'art. 578 c.p.p., potrebbe risultare oneroso attendere l'impugnazione contro la sentenza.

Considerazioni conclusive. Contrariamente a quanto può apparire dopo una prima, veloce, lettura della norma contenuta nel comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p., la soluzione della immediata ricorribilità per cassazione di tutte le ordinanze in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova appare forse frettolosa e generica, anche e soprattutto alla luce di quanto è previsto nel successivo comma 9 della medesima norma, come bene argomentato nell'ordinanza in commento.

3.

L'udienza per la trattazione della questione è stata fissata, dal Primo presidente della Corte suprema, per il 31 marzo p.v. dinanzi alle Sezioni unite della Corte

4.

All'udienza del 31 marzo 2016 le Sezioni unite penali hanno deciso che:

L'ordinanza con cui il giudice del dibattimento rigetta la richiesta dell'imputato di ammissione al procedimento con messa alla prova è impugnabile solo congiuntamente alla sentenza a norma dell'art. 586 cod. proc. pen. (e non autonomamente ricorribile per cassazione), sicché il ricorso immediato e autonomo per cassazione avverso l'ordinanza è inammissibile.

5.

Il comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p. prevede che contro l'ordinanza che decide sulla istanza di messa alla prova possano ricorrere per cassazione l'imputato e il pubblico ministero, anche su istanza della persona offesa. La persona offesa può impugnare autonomamente secondo le modalità tipiche del rito camerale descritte dagli articoli 127, comma 5, e 409, comma 6, c.p.p., ovvero soltanto per omesso avviso dell'udienza o perché, pur essendo comparsa, non è statasentita ai sensi del comma 1. L'impugnazione, da chiunque proposta, non sospende il procedimento.

Ancora una volta, la poca chiarezza del Legislatore ha costretto gli interpreti ad affrontare alcune questioni problematiche ricorrendo all'ausilio della giurisprudenza per istituti similari o ai principi generali che regolano il sistema delle impugnazioni e della interpretazione delle leggi. Per evidenti ragioni legate all'interesse ad impugnare, le pronunce della giurisprudenza sinora intervenute hanno sempre avuto ad oggetto l'impugnazione dell'ordinanza che dispone il rigetto dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova. Ed è proprio su queste ordinanze che le Sezioni unite si sono pronunciate.

Con la sentenza n. 33216 del 31 marzo 2016, depositata il 29 luglio 2016, le Sezioni unite penali della Corte di cassazione, risolvendo il contrasto giurisprudenziale, hanno affermato che l'ordinanza di rigetto dell'istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova non è autonomamente impugnabile ma è appellabile unitamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell'art. 586 c.p.p., in quanto l'art. 464- quater, comma 7, c.p.p., nel prevedere il ricorso per cassazione, si riferisce esclusivamente al provvedimento con cui il giudice, in accoglimento della richiesta dell'imputato, abbia disposto la sospensione del procedimento con la messa alla prova.

Ad avviso delle Sezioni unite l'ordinanza del giudice del dibattimento che respinge la richiesta di messa alla prova presentata dall'imputato deve essere impugnata, ai sensi dell'art. 586 c.p.p., solo con la sentenza di primo grado.

Il sistema dei rimedi offerti all'imputato avverso le ordinanze che decidono sulla istanza di sospensione con messa alla prova risulta così strutturato dai giudici del supremo Consesso:

a) ricorso per cassazione in via autonoma ed immediata dell'ordinanza di accoglimento;

b) non impugnabilità del provvedimento negativo fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento in quanto l'imputato può rinnovare la richiesta sino a quella fase;

c) impugnabilità del provvedimento di rigetto predibattimentale soltanto con la sentenza di primo grado, secondo la regola generale fissata dall'art. 586 c.p.p.

A tale conclusione le Sezioni unite sono pervenute sia attraverso l'interpretazione del dato letterale della norma, sia in base a profili di carattere sistematico, anche interni alla disciplina dell'istituto della messa alla prova.

Precisa, innanzitutto la Corte che il comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p. consente senza alcun dubbio l'impugnazione diretta ed autonoma del solo provvedimento con il quale, in accoglimento dell'istanza dell'imputato, il giudice abbia disposto la sospensione del procedimento. Dalla struttura complessiva dell'art. 464-quaterc.p.p. – si legge in sentenza – non si desume affatto che il richiamo all'ordinanza contenuto nel comma 7 sia riferito sia al provvedimento ammissivo che a quello reiettivo, atteso che dell'ordinanza di rigetto si occupa il comma 9 del medesimo articolo, che prevede la possibilità, per l'imputato, di riproporre l'istanza respinta fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, senza riferimento alcuno alla impugnazione del provvedimento.

A sostegno della non autonoma impugnabilità dell'ordinanza di rigetto della messa alla prova le Sezioni unite richiamano altresì la locuzione contenuta nel comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p., laddove è stabilito che l'impugnazione non sospende il procedimento: tale previsione – sostengono gli Ermellini – nonostante l'oggettiva ambiguità della disciplina processuale della messa alla prova, in cui i termini processo e procedimento sono spesso utilizzati in modo improprio, si riferirebbe al procedimento di messa alla prova e non al processo su cui si innesta la richiesta dell'imputato. Se così non fosse, sarebbe irragionevole la previsione della impugnabilità immediata dell'ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova in presenza della espressa esclusione della sospensione del processo, in attesa della pronuncia della Corte di cassazione, dato che essa potrebbe provocare effetti dirompenti nel caso in cui la Cassazione dovesse annullare con rinvio l'ordinanza negativa, provocando situazioni paradossali all'interno del processo, che nel frattempo potrebbe essersi concluso.

La previsione di non sospensione del procedimento (di messa alla prova) di cui al comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p. cit. opera, dunque, solo per l'impugnazione delle ordinanze ammissive. In quest'ultimo caso – sottolineano le Sezioni unite – in caso di impugnazione da parte del P.M. e di accoglimento da parte della Cassazione, con conseguente annullamento della stessa, la non sospendibilità potrebbe avere ripercussioni sul procedimento ma si tratterebbe di una scelta del Legislatore che privilegia sempre la posizione dell'imputato ammesso alla probation.

Altro argomento indicato nella decisione in commento è di ordine sistematico. Infatti, sia nel corso delle indagini preliminari che nel corso dell'udienza preliminare non è prevista alcuna impugnabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza di messa alla prova, in quanto in entrambi i casi è previsto un meccanismo di recupero della richiesta attraverso la riproposizione nella fase successiva, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento (art. 464-ter, comma 4 e art. 464-quater, comma 9, c.p.p.).

Ad avviso delle Sezioni Unite, la conclusione è in linea anche con il sistema vigente in materia di impugnazione delle ordinanze sulla messa alla prova per i minorenni, laddove l'art. 28 comma 3 d.P.R. 448 del 1988 è ormai unanimemente interpretato nel senso di ritenere l'impugnabilità in via diretta ed autonoma del solo provvedimento ammissivo, mentre l'ordinanza di rigetto rimane impugnabile soltanto con la sentenza.

Ancora, si legge in sentenza, un'ulteriore ragione per escludere l'immediata impugnabilità dell'ordinanza che rigetta la messa alla prova è costituita dai limiti del sindacato di legittimità: il ricorso per cassazione cui si riferisce il comma 7 dell'art. 464-quater c.p.p. è limitato ai soli vizi indicati nell'art. 606 c.p.p., con esclusione delle questioni di merito. Limitazione, questa, che dequoterebbe la difesa dell'imputato, non consentendogli di contestare il merito della decisione ogniqualvolta essa si fondi su una valutazione di inidoneità del programma, dei suoi contenuti o delle sue prescrizioni. Il rimedio che consente di rivedere il contenuto decisorio è, senza alcun dubbio, l'appello.

Il sistema così delineato – ad avviso dei Decidenti – è in grado di superare anche due obiezioni:

1) che in tal modo vi sia un doppio regime di controllo sui provvedimenti in materia di messa alla prova, a seconda che si tratti di ammissione o di rigetto;

2) che le limitazioni di tutela appena segnalate permangano in caso di impugnazione delle ordinanze ammissive, per le quali sarebbe ammesso solo un sindacato di legittimità. In merito alla prima questione è invocato il doppio regime già esistente in materia di messa alla prova per i minori, in cui finora non si sono segnalati problemi.
In merito alla seconda obiezione – si legge nella motivazione – si tratterebbe di un falso problema atteso che esso non riguarderebbe l'imputato (che non avrebbe alcun motivo di sindacare nel merito le questioni di ammissione al programma/prescrizioni dato che ha prestato il consenso) ma, semmai, P.M. e persona offesa, la cui tutela limitata ai soli motivi di legittimità è giustificata dalla necessità di garantire il massimo favore all'istituto della messa alla prova.

Di particolare interesse la conclusione alla quale pervengono le Sezioni unite in merito ai poteri del giudice di appello in caso di annullamento dell'ordinanza di rigetto della richiesta di messa alla prova, impugnata congiuntamente alla sentenza di primo grado. L'accoglimento dell'appello contro la citata ordinanza, in particolare, non rientra in alcuna delle ipotesi (tassative) di annullamento indicate nell'art. 604 c.p.p., sicché, dovendo escludersi che il processo si scinda in una fase rescindente e in una rescissoria, il giudice di appello, in base al principio di conservazione degli atti e di economia processuale, si dovrà sostituire a quello di primo grado per sospendere il processo e disporre la messa alla prova dell'imputato.