L'approccio alla scena del crimine tramite la geofisica forense ed i cani da cadavere

Pier Matteo Barone
Rosa Maria Di Maggio
16 Giugno 2016

Studiare, conoscere ed interpretare l'ambiente ed il territorio nel quale il reato stesso ha avuto luogo è fondamentale per dare una corretta direzione alle indagini investigative. Questo perché bisogna essere in grado di cercare e raccogliere adeguate informazioni dall'ambiente per porle nello specifico contesto criminale e nella sua dinamica, effettiva e presunta. Tale approccio, in prima battuta, prevede l'impiego di diversi strumenti di analisi a differente scala e totalmente non invasivi. Di concerto con tali strumenti, i cani da cadaveri sono essenziali per completare il quadro investigativo primario, fornendo informazioni utili per avere un ulteriore riscontro della suddetta investigazione geofisica.
Abstract

A prescindere dalla tipologia di reato e dalle modalità di intervento sul luogo del delitto, recentemente l'approccio alla scena del crimine si è evoluto grazie all'aiuto delle geoscienze forensi. Studiare, conoscere ed interpretare l'ambiente ed il territorio nel quale il reato stesso ha avuto luogo è fondamentale per dare una corretta direzione alle indagini investigative. Questo perché bisogna essere in grado di cercare e raccogliere adeguate informazioni dall'ambiente per porle nello specifico contesto criminale e nella sua dinamica, effettiva e presunta.

In particolare, tale approccio, in prima battuta, prevede l'impiego di diversi strumenti di analisi a differente scala e totalmente non invasivi. La geofisica, a scala locale, permette sicuramente la localizzazione e la mappatura precisa di oggetti (ad es. fusti metallici o armi), corpi (ad es. sepolture) o cavità (ad es. bunker), di varia natura e dimensioni, obliterati sottoterra o sott'acqua (generalmente, in geofisica forense viene coinvolto l'utilizzo di strumentazioni elettromagnetiche, quali il georadar o il metal detector). Di concerto con tali strumenti, i cani da cadaveri sono essenziali per completare il quadro investigativo primario, fornendo informazioni utili per avere un ulteriore riscontro della suddetta investigazione geofisica.

Introduzione

Le indagini geofisiche si basano su tecniche di misura proprie della fisica sperimentale classica e moderna e nella scienze forensi possono essere utilizzate principalmente per la ricerca di oggetti e corpi sepolti nel sottosuolo o nei manufatti, di inquinanti dispersi nel terreno, di discariche abusive, di camere nascoste, di rifugi blindati, ecc.

Il corretto uso di tali metodi richiede, innanzitutto, una chiarezza terminologica che eviti ogni ambiguità nella definizione della tecnica investigativa. Nella letteratura italiana ed internazionale dedicata all'applicazione dei metodi fisici alle indagini investigative e giudiziarie esiste, infatti, una certa confusione nell'utilizzo dei termini remote sensing (in italiano telerilevamento) ed esplorazione geofisica. In senso lato, il termine inglese remote sensing si riferisce a metodi di misura che acquisiscono informazioni, a piccola o grande scala, relativamente ad un oggetto o ad un fenomeno, utilizzando appositi dispositivi che non si trovano in contatto fisico con l'oggetto in studio.

Con l'avvento di nuove discipline quali l'antropologia forense, che si occupa del recupero e dello studio di resti umani, è sempre più chiara la multidisciplinarietà di questo campo. Tale multidisciplinarietà emerge soprattutto quando si tratta di “trovare” la vittima. Come già detto sopra, uno degli strumenti per effettuare la ricerca è il cane da cadavere. La figura del cane da cadavere, fino a poco tempo fa inesistente in Italia, è da decenni una componente importantissima dei team di ricerca di resti umani nei paesi anglosassoni e del nord Europa.

La geofisica forense

La geofisica forense tratta la localizzazione e la mappatura di oggetti, corpi o cavità, di varia natura e dimensioni, obliterati sottoterra o sott'acqua, utilizzando strumenti propri della geofisica, per fini giudiziari. Nelle indagini forensi si applica una vasta gamma di tecniche geofisiche che hanno la potenzialità di verificare un contrasto delle proprietà fisiche tra un target ed il materiale in cui è sepolto. Generalmente, in geofisica forense viene coinvolto l'utilizzo di strumentazioni elettromagnetiche, quali il GPR (Ground Penetrating Radar o georadar) o il metal detector, attraverso i quali è possibile ottenere un'immagine approssimata della variazione della proprietà fisiche nei primi metri di terreno. Generalmente, anomalie delle variazioni dei parametri fisici possono risultare potenzialmente interpretabili come generate da materiali “estranei” sepolti. Con tali tecniche è quindi possibile individuare e delimitare precisamente il luogo di occultamento del target in questione, fino anche a riconoscere prove di occupazione umana o scavo del suolo, sia recente che a distanza di anni. Inoltre, i metodi geofisici hanno il potenziale di indagare rapidamente, in modo non invasivo, aree estese dove si è cercato di obliterare nel sottosuolo una sepoltura clandestina o, in generale, un target forense.

La geofisica forense non è solo efficace per la ricerca e la localizzazione di armi o fusti metallici, sepolture e bunker, elementi particolarmente “visibili” e distinguibili dal contesto più o meno omogeneo di sepoltura od occultamento, ma è anche molto utile per individuare aree con elevati tassi di inquinamento chimico, dove i contaminanti immessi nel terreno ne alterano le proprietà fisiche in funzione della loro concentrazione e distribuzione geometrica. Un discorso similare può essere fatto anche per le sepolture umane in quanto i corpi in decomposizione rilasciano liquami facilmente identificabili dalle tecniche geofisiche in quanto alterano le proprietà chimico-fisiche del terreno circostante. Ovviamente, come per ogni disciplina nel campo delle geoscienze forensi, le indagini di geofisica forense devono essere condotte da personale esperto, a conoscenza non solo dei principi fisici ma anche delle nozioni adatte al tipo di indagine da eseguire.

L'approccio geofisico richiede, dunque, specializzazione ed esperienza. Infatti la messa a punto degli strumenti, la conoscenza e la comprensione dei sottosuoli dell'area da indagare, la capacità di elaborazione e di interpretazione dei dati raccolti sono elementi fondamentali per la riuscita della campagna geofisica. I metodi geofisici sono molto sensibili a piccoli cambiamenti nelle proprietà del materiale della terra, mantenendo comunque un'alta risoluzione nel risultato.

I dati sul campo vengono acquisiti attraverso una serie di misure effettuate secondo profili regolari e tra loro paralleli seguendo una maglia molto fitta preventivamente stabilita, legati alle dimensioni del bersaglio da individuare.

Una volta completate le misure il geofisico elabora le informazioni tramite appositi software e dall'analisi di queste sarà in grado di produrre una mappa delle anomalie geofisiche rilevate.

L'anomalia principale che il geofisico devono ricercare durante le loro investigazioni è il cosiddetto taglio che è presente in qualsiasi materiale nel momento in cui viene effettuato uno scavo clandestino.

Tali tagli (siano essi nel terreno od in materiali rocciosi od artificiali come le rocce od il cemento) persistono per secoli fin dal momento in cui vengono effettuati. Tale taglio è ben evidente geofisicamente grazie alla differenza di proprietà chimico-fisiche e di compattezza tra il materiale circostante, il taglio ed il riempimento (sia esso eseguito con lo stesso tipo di materiale o con uno differente).

Questa anomalia, quindi, è l'anomalia per eccellenza, sempre presente in qualsiasi caso di sepolture clandestine, siano esse per seppellire corpi, armi, fusti o qualsiasi altro materiale, ed ogni bravo geofisico dovrebbe saper distinguerla nelle proprie prospezioni.

Ovviamente ogni investigazione ha le sue peculiarità per cui talvolta insieme al taglio è possibile riconoscere in un'analisi geofisica anomalie legate alla dispersione nel terreno di liquami o di oggetti metallici come bossoli e cartucce.

Il capire bene il contesto in cui si sta operando risulta, quindi, di assoluta importanza per ottimizzare non solo la scelta delle metodiche da utilizzare ma anche e soprattutto per focalizzare a pieno lo studio integrato delle tecniche finora menzionate

Mentre il metal detector è limitato alla sola ricerca di oggetti metallici sepolti a poca profondità, il georadar – il miglior metodo geofisico in campo di investigazione forense – permette di rilevare anomalie legate a differenti tipologie quali corpi sepolti, liquami di decomposizione, inquinanti, bunker, armi e qualsiasi oggetto sepolto che abbia una netta differenza con il background geologico naturale. Inoltre, il georadar ha ottimi risultati quando impiegato indoor, ovvero all'interno di abitazioni o capanni – costruiti od in costruzione – per cercare entrare segrete, bunker, intercapedini o ripostigli nascosti sotto il pavimento o dietro pareti di qualsiasi materiale (cemento – armato e non –, cartongesso, mattoni, etc.) (Fig. 1).

Dottrina e protocolli

Il georadar (noto in campo internazionale con il termine anglosassone di Ground Penetrating o Probing Radar – GPR), operativamente, consiste nell'invio nel terreno di impulsi elettromagnetici ad alta frequenza (10-3000 MHz) e nella misura del tempo impiegato dal segnale emesso dall'antenna trasmittente a ritornare a quella ricevente, dopo essere stato riflesso e/o diffratto da eventuali discontinuità presenti nel materiale investigato. Il tempo di andata e ritorno (TWT), espresso in nanosecondi – ns, permette di misurare la distanza in tempi tra le antenne ed il “bersaglio”; tale distanza può essere trasformata in profondità (metri) nel sottosuolo qualora si possa misurare la velocità di propagazione degli impulsi nel mezzo investigato.

L'attenuazione di questi impulsi nel sottosuolo è correlata a due elementi: la presenza di umidità nel terreno e la frequenza scelta. Per quanto riguarda la presenza di umidità, un livello elevato di acqua nel terreno può rischiare di non far penetrare (o penetrare solo parzialmente) il segnale elettromagnetico, rendendo il terreno molto conduttivo.

La scelta della frequenza da utilizzare dipende dal fatto che il trasmettitore è collegato ad un'antenna (Tx) che produce un impulso elettromagnetico molto breve (dell'ordine di 1 – 10 ns). La durata dell'impulso prescelto è, a sua volta, legata alla frequenza dell'antenna utilizzata ed alla risoluzione verticale richiesta, ovvero la capacità di distinguere fra due strati o oggetti vicini tra di loro. In altre parole, più è alta la frequenza dell'antenna, più corto è l'impulso, il che si traduce in una bassa penetrazione del segnale (poiché l'attenuazione dipende anche dalla frequenza) ma in una più elevata risoluzione verticale.

La strumentazione GPR si presenta con due possibili configurazioni: la cosiddetta configurazione bistatica, nella quale l'antenna trasmittente è fisicamente separata da quella ricevente; e la configurazione monostatica nella quale l'antenna trasmittente e ricevente coincidono.

La rappresentazione grafica dei dati georadar è un passo fondamentale per la comprensione e l'interpretazione dei risultati. Tali risultati riportano radargrammi (o stratigrafie) del sottosuolo in scala di grigi ed i moderni software permettono una risoluzione visiva ed una definizione molto alte. Inoltre, se le acquisizioni hanno previsto profili paralleli all'interno di un grigliato, si possono ottenere e, quindi, visualizzare mappe (ovvero planimetrie) della zona investigata che rappresentano, a varie profondità, non solo le geometrie degli oggetti sepolti ma anche le dimensioni, utilizzando normalmente un algoritmo di inviluppo medio, noto anche come average envelope amplitude (Fig. 2).

Per interpretare correttamente un radargramma, è necessario sapere come la sezione è stata acquisita. L'impulso trasmesso dall'antenna radar non si propaga nel terreno o nel materiale in maniera puntuale come un laser, bensì si comporta come un cosiddetto cono di radiazione, illuminando il bersaglio sepolto anche prima di trovarsi perpendicolarmente al di sopra del target stesso (come una lampada accesa nel buio di una stanza). Il diametro di questo cono aumenta all'aumentare della profondità d'indagine del segnale georadar. Inoltre, le sue dimensioni dipendono anche dalle condizioni della superficie di acquisizione e dalla frequenza delle antenne impiegate (per esempio, alte frequenze restringono il diametro del cono) (Fig. 3).

La presenza nel sottosuolo di un vuoto o di un qualsiasi oggetto più o meno puntuale produce una caratteristica risposta elettromagnetica: l'iperbole di diffrazione. L'anomalia iperbolica deriva dalla riflessione del punto-sorgente (target sepolto) e si verifica, come abbiamo visto, perché l'energia è emessa sotto forma di cono che ‘illumina' una porzione più ampia del target stesso. Di conseguenza, il segnale viene riflesso non solo dal bersaglio direttamente perpendicolare al di sotto delle antenne, ma anche poco prima e poco dopo, grazie anche alla trasmissione di onde oblique. Solo l'apice dell'iperbole corrisponde alla posizione reale della sorgente (Fig. 4).

La risoluzione massima orizzontale è circa l'impronta (footprint) del cono di radiazione (o area di illuminazione). Il tempo di andata e ritorno del segnale, e di conseguenza la stima delle profondità, può essere calcolato mediante la cosiddetta calibrazione delle code iperboliche derivanti da una anomalia. Importante sottolineare, però, che è possibile determinare la profondità di un target solo se la velocità di penetrazione del segnale nel materiale o nei materiali è noto.

Con l'eccezione dei materiali conduttori sepolti (ad esempio, il metallo, che ha un'alta conducibilità e pemittività magnetica), le onde elettromagnetiche passano attraverso il target sepolto continuando la loro penetrazione e producendo differenti riflessioni a differenti profondità. In alcuni casi, tale effetto permette di stimare non solo la profondità della parte superiore (top) dell'oggetto, ma anche le sue dimensioni verticali (ad esempio, in presenza di un tunnel sotterraneo, è possibile individuare non solo il top del tunnel, ma anche il fondo dello stesso).

Case Report

It's about creating a more efficient search

(Si tratta di creare una ricerca più efficiente)

Così Jon Dittmar (ERA Technology) commenta una delle recenti investigazioni che ha visto una stretta collaborazione tra geofisica (georadar nello specifico) e geo-archeologia forense.

Novembre 2007: nel giardino di una casa ad Irvine Drive, Margate nel Kent inglese, una lunga indagine sembra essere giunta al termine. Fondamentale per la ricerca è stato un sistema georadar che ha scoperto i corpi di due adolescenti, Vicky Hamilton e Dinah McNicol, scomparsi dal 1991. Il sistema geofisico, infatti, ha aiutato gli investigatori forensi e la polizia ad individuare i corpi delle due ragazze.

Jon Dittmar è un ingegnere di ERA Technology, l'azienda che per la prima volta aiutò nel 1994 gli investigatori forensi e la polizia nella ricerca dei corpi nella casa di Fred e Rose West a Cromwell Road, Gloucester. Conosce bene non solo le potenzialità e la duttilità del georadar ma soprattutto l'assoluta efficacia risolutiva della collaborazione stretta tra la geofisica e le altre geoscienze forensi.

Ma come può un esperto geofisico capire, analizzare ed interpretare un'anomalia come una possibile sepoltura clandestina?

Se così vogliamo, il georadar, in tempo reale, ottiene una risposta elettromagnetica che si configura come quanto mostrato in figura 5. Ovviamente ogni caso ed ogni terreno ha le sue caratteristiche, ma generalmente la presenza di un evento iperbolico, un riflettore orizzontale ed un altro evento iperbolico è indice di uno scasso, un taglio effettuato nel terreno e successivamente riempito, segno indelebile e duraturo nel tempo anche a distanza di secoli (l'archeologia ce lo insegna).

Case Report

Le investigazioni scientifiche sulla scena del crimine hanno portato alla ribalta le doti della geofisica (con particolare attenzione al georadar) per la localizzazione e l'individuazione di persone scomparse e sepolte nel terreno e non solo. Recentemente, infatti, tale metodo è stato testato per capire con quanta accuratezza potesse risolvere un oggetto, anche di piccole dimensioni, sepolto nel sottosuolo.

La figura 6 mostra i risultati a seguito di un'indagine di investigazione scientifica alla ricerca di una pistola obliterata clandestinamente a poca profondità nel terreno, ed un barile di plastica con droga e soldi. Si nota come, nonostante la pistola fosse seppellita da sola, di piccole dimensioni ed arrotolata in una busta di plastica, la risposta finale in termini di mappa georadar permetta non solo la chiara localizzazione dell'oggetto, ma anche la sua geometria. Per quanto riguarda il barile, date le sue dimensioni e la presenza parziale di aria all'interno (elemento che risalta molto in una risposta elettromagnetica), la sua posizione e le sue dimensioni sono molto chiare.

I cani da cadavere

I cani da cadavere (o con il termine internazionale K9. Sigla legata all'assonanza tra la pronuncia anglosassone della lettera ‘K' ed il numero ‘9' e la pronuncia inglese della parola caninecanino ) hanno il precipuo compito di localizzazione dei resti di una persona scomparsa. Nonostante lunghe ricerche nel campo tecnologico non si riesce a trovare un degno sostituto del cane che viene impiegato dal 1974 in queste operazioni. In questa data infatti fu addestrato il primo cane adoperato per la ricerca di cadaveri da parte del dipartimento di polizia di New York. Dopo aver accertato che il cane poteva essere un ottimo strumento, anche l'F.B.I. ha iniziato ad addestrane i cani per questo tipo di lavoro, compresi alcuni volontari della National Search and Rescue Association.

L'utilizzo dei cani da cadavere si basa sul sensibilissimo olfatto di tali animali: in un cane di media taglia la superficie totale della mucosa olfattiva è di 150 cm2, contro i soli 5 cm2 di un uomo adulto, ed è spessa un decimo di millimetro contro i 5 millesimi di millimetro dell'uomo. Le cellule olfattive canine sono circa 225 milioni, contro i 15 milioni di un essere umano; come conseguenza, il cane ha una capacità 500/700 volte superiore di percepire odori. Il cane può percepire infatti l'odore di 2mg di siero di sangue od anche di 5mg di urina, e percepisce l'acido acetico in soluzione acquosa in rapporto di 1 parte su 1 milione.

In pratica questi animali, grazie al loro fiuto particolarmente sviluppato e ad un programma specifico di addestramento, riescono a riconoscere quelle che sono le sostanze chimiche tipiche (un centinaio circa) rilasciate da un cadavere.

Perché tuttavia l'odore possa essere rilevato, e pertanto comunicato, è necessario che superi una determinata soglia e che permanga nell'attenzione del cane per un periodo di tempo sufficiente: in altri termini è necessario che l'odore superi la soglia di stimolo ed abbia un elevato tempo di attenzione, ovvero sia sufficientemente intenso da innescare un riconoscimento, e permanga per un periodo di tempo sufficiente perché il cane vi presti attenzione e lo comunichi. Su tali funzioni si basa l'addestramento dei cani, che prevede l'utilizzo di esche di materiale odoroso: tale materiale può essere costituito da carne di maiale, pezze imbevute di sangue, denti umani, o sostituti chimici quali la cadaverina e la putrescina.

La ricerca di un cadavere si configura per il cane come una battuta di caccia ove il cane si comporta da gregario e l'operatore è il capobranco; il rinvenimento del cadavere viene pertanto inteso come la cattura della preda, la cui spartizione viene riprodotta dall'utilizzo di un gioco preferito da parte dell'operatore. È chiaro che tale attività richiede un rapporto consolidato negli anni fra l'uomo e l'animale; già da cuccioli, l'operatore può iniziare un primo addestramento alla ricerca nascondendo i giocattoli del cane o abituando il cane a cercare cose od oggetti. Il training di base si basa su carne di maiale sepolta, tramite l'esecuzione di piccoli fori nel terreno di circa 3cm di diametro ad una profondità di una decina di metri, a distanza di circa 30 cm l'uno dall'altro, in linea retta per 10m e su più file sfasate fra loro di 15 cm.

Il tipo di segnalazione richiede anch'esso un tipo speciale di addestramento: la maggior parte dei cani viene addestrata a segnalare fermandosi e sedendosi di fronte alla sorgente di odore aspettando la gratificazione; tale comportamento costituisce l'attesa per il salto del coniglio, ovvero per l'uscita dalla tana della preda localizzata. Il conduttore, senza farsi vedere dal cane, fa comparire il suo giocattolo nel punto fissato dal cane instaurando la gratificazione. In alternativa, il cane può grattare nel terreno, comportamento focalizzato a verificare se l'odore incrementa con l'asportazione del terreno. In altri cani maggiormente comunicativi si instaura un comportamento finalizzato a portare il conduttore sul luogo attraverso dei viaggi fra il luogo di segnalazione e la posizione dell'operatore. In alcuni casi è possibile effettuare dei sondaggi tramite T-bar nel terreno allo scopo di permettere una maggiore fuoriuscita dell'odore ed una sua maggiore identificazione.

Le T-bar sono aste a forma di T della lunghezza di circa 100 cm, del diametro di cm 2.5, cave all'interno con apertura di 40 cm sul lato, utilizzate anche in ambito archeologico per verificare la consistenza del terreno in profondità per la ricerca di anomalie

Da ciò si evince come il cane da solo non può risolvere tutti i problemi: occorre grande collaborazione e comunicazione tra i reparti di investigazione e una specifica preparazione del conduttore.

Nel condurre una ricerca, per esempio, va tenuto conto che il tempo di concentrazione del cane in un esercizio mirato si riduce a 10/15 minuti. Pertanto l'area di ricerca va limitata alle reali possibilità che il cane incontri la fonte dell'odore perché questa possa essere minuziosamente ispezionata dall'animale. Su terreno scoperto l'area viene suddivisa in corridoi di circa 500 m2 disponendosi perpendicolarmente alla direzione del vento. Ognuno di questi corridoi verrà considerato un settore e classificato con numeri o lettere.

In alcuni, molto rari e particolari casi il cane da cadavere è talmente addestrato ed ha raggiunto un livello tale di sofisticazione da percepire la differenza tra sostanza organica umana ed animale. Grazie al metodo del condizionamento usato nell'addestramento dei cani, questi siano in grado di riconoscere qualsiasi sostanza chimica venga fissata nella loro memoria olfattiva dal proprio addestratore (è il caso, per esempio, dei cani addestrati dall'Unità Cinofila della Polizia di Stato di Milano Malpensa).

Infine, è da sottolineare come tali cani siano in grado di fiutare la presenza di un corpo anche sommerso in acqua. I cani non si immergono, basta solo il contatto con il pelo dell'acqua perché siano sufficientemente vicini alla fonte. Dall'imbarcazione sono già in grado di cogliere queste particelle volatili rilasciate dal corpo umano in decomposizione. Magari stanno in stand-by per tutto il tempo, addirittura sonnecchiano, ma nel momento in cui entrano nel cono di odore e percepiscono la possibilità di identificazione delle sostanze chimiche che sono addestrati a riconoscere danno immediatamente il segnale che qualcosa in quel punto c'è.

Nella maggior parte delle occasioni, i cani sono la più efficace ed efficiente risorsa. In combinazione con altre risorse tecniche, il cane può dare l'esatta indicazione di dove iniziare gli scavi salvaguardando così l'integrità dei reperti da recuperare.

Case Report

Sempre più numerosi sono i casi in Italia e all'estero in cui i cani da cadavere vengono affiancate nelle indagini forensi dal georadar. Famosi sono il caso internazionale di Madeleine McCann ed il caso italiano di Marina Arduini. Ma tale azione di concerto potrebbe essere maggiore se gli esperti coinvolti in tali indagini avessero una preparazione d'eccellenza ed indiscussa.

Due anni fai il team Geoscienze Forensi Italia (una piattaforma di vari esperti nei differenti campi delle geoscienze forensi che offre un servizio di aiuto alle investigazioni scientifiche in ambito forense) è stato coinvolto nella riapertura di un cold case in località Marcianise (CE): la scomparsa di Pasqualino Porfidia. Tale caso suscitò parecchio scalpore a suo tempo (1990) tanto da coinvolgere anche noti programmi televisivi come “Chi l'ha visto”. La riapertura del caso, basato su nuovi indizi, ha richiesto l'utilizzo congiunto di georadar e cani da cadavere in una fase preliminare per cercare in maniera non distruttiva e puntuale anomalie riconducibili a sepolture od occultamenti di cadavere, per poi permettere una ricerca più dettagliata mediante un eventuale scavo archeologico. Tale indagine integrata ha permesso di localizzare un'area specifica in cui sia il georadar che il cane da cadavere, indipendentemente, hanno dato un responso positivo. Il successivo scavo archeologico ha poi solo parzialmente confermato tale positività.

Criticità dell'indagine

L'approccio geofisico richiede specializzazione ed esperienza. Infatti la messa a punto degli strumenti, la conoscenza e la comprensione dei sottosuoli dell'area da indagare, la capacità di elaborazione e di interpretazione dei dati raccolti sono elementi fondamentali per la riuscita della campagna geofisica, in particolare in ambito forense. Se l'acquisizione del dato georadar potrebbe sembrare cosa banale (in realtà è complessa e delicata anch'essa), la sua interpretazione richiede anni di esperienza e innumerevoli studi.

Inoltre, bisogna che chi commissiona tale indagine geofisica (sia esso il giudice, la polizia, il pubblico ministero o l'avvocato) conosca non solo le potenzialità dello strumento ma anche i suoi limiti. Non si tratta di una bacchetta magica ma di uno strumento scientifico che in quanto tale ha delle incertezze nella misurazione che devono essere tenute in considerazione al momento dell'acquisizione ed interpretazione del dato.

Ugualmente, i cani da cadavere, pur essendo una valida risorsa, sono esseri viventi ed in quanto tali talvolta inclini ad errare se utilizzati nel modo sbagliato. Inoltre, la loro piena potenzialità è ancora da esplorare: tuttavia, è da ricordare che il successo delle operazioni di ricerca dipende anche dall'organizzazione dell'attività, che deve tenere conto della fatica e delle possibili distrazioni del cane. Di fondamentale importanza risulta pertanto la coordinazione fra diversi cani e la pianificazione dell'attività con le altre figure presenti sul posto, come il geofisico, il geologo, l'archeologo forense od il medico legale.

Guida all'approfondimento

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Affiliation

Pier Matteo Barone, Adjunct Professor – The American University of Rome e GeoscienzeForensi Italia

Rosa Maria Di Maggio, Geologoforense – GeoscienzeForensi Italia, Team Geo Forense

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