L'individuazione attraverso le immagini delle telecamere. Antropometria e confronto antroposomatico
15 Novembre 2016
Abstract
Il riconoscimento da parte di testimoni come elemento di prova viene sovente messo in discussione, per via di numerosi problemi intrinseci, dovuti ai meccanismi della memoria. L'utilizzo di specifici software di elaborazione delle immagini, che consentono di estrapolare e migliorare i fotogrammi relativi a un determinato reato e mantenere allo stesso tempo l'integrità della prova, evitando che l'elaborazione vada a intaccare le caratteristiche somatiche del soggetto ripreso è oggi un utile strumento applicativo nei casi giudiziari e spesso addirittura risolutivo. L'antropometria forense e la comparazione delle caratteristiche somatiche del soggetto ripreso con un indagato/imputato ha ormai assunto un ruolo determinante nell'attività d'indagine, nel processo in fase dibattimentale e anche nella fase di revisione di un processo. Molto spesso il riconoscimento dei soggetti che hanno commesso una rapina o un furto avviene da parte di testimoni oppure attraverso il riconoscimento fotografico (individuazione fotografica). Tuttavia tali metodi come elementi di prova vengono sovente messi in discussione, per via di numerosi problemi intrinseci. Si tratta per lo più di fallacie dovute al funzionamento dei meccanismi della memoria o al possibile condizionamento del soggetto autore del riconoscimento, al contesto, alle modalità di esecuzione da parte degli operatori di polizia o del giudice e ai molti possibili difetti di percezione dell'osservatore. In più spesso il riconoscimento avviene dopo parecchio tempo dall'evento criminoso, cosa che inevitabilmente offusca i ricordi. Vi sono poi alcuni elementi che sono potenzialmente idonei ad inficiare in maniera importante l'attendibilità dell'individuazione fotografica, che vanno a sommarsi a quelli sopra accennati (comuni a tutte le ricognizioni di cose e persone) in quanto collegati ad essa per la stessa natura delle immagini che vengono poste all'attenzione di colui che è chiamato a riconoscere.
Quando un soggetto è chiamato ad operare un riconoscimento fotografico, egli rievoca i singoli aspetti del volto visto durante i fatti (occhi, forma del viso, forma del naso e delle orecchie, ecc.) e li paragona con quelli degli individui ritratti nelle foto. Tale meccanismo psicologico induce spesso l'osservatore a “riconoscere” non già l'individuo, bensì quella tra le foto che riporta il maggior numero di particolari simili (o meno difformi) rispetto a quelli ricordati. Inoltre, l'essere umano è programmato per riconoscere un volto nella sua completezza e non a descriverlo (Luisella de Cataldo Neuburger, 2008) ovvero a percepirlo non nei singoli particolari (che, come detto, tendiamo a rievocare per riconoscerlo eventualmente in fotografia) poiché diversamente, nella realtà quotidiana, perderemmo la possibilità di percepirlo e riconoscerlo nel suo insieme (si afferma, invero, che la memoria riconoscitiva è assai diversa da quella descrittiva dei singoli elementi percepiti. Molto spesso la persona che deve effettuare il riconoscimento viene sottoposta alla visione di centinaia di foto (mug-shots book), pertanto l'osservatore è sottoposto ad uno stress cognitivo che incide direttamente sulle sue capacità mnestiche (e quindi di rievocazione dell'immagine della persona da riconoscere), con danno diretto dei processi necessari per una individuazione attendibile. Alla luce di tali ineliminabili fragilità, di cui soffrono anche le ricognizioni di persone osservate in carne ed ossa, è facile intuire il limitato valore probante che dovrebbero possedere le individuazioni di persona effettuate in fase di indagini preliminari tramite l'esibizione di un album fotografico. Grazie alle migliorie apportate dalla tecnologia e all'utilizzo di software specifici, è spesso utilizzato sia nell'attività di indagine che nella fase del dibattimento, o ancora nei processi d'appello, la videofotografia forense e l'antropometria forense. Si chiede cioè il parere di un esperto per fornire un giudizio di compatibilità o incompatibilità tra le fotografie di un indagato/imputato e le immagini dell'autore del reato ripreso da telecamere a circuito chiuso collegate a sistemi di videosorveglianza. Nel momento in cui una persona viene tratta in arresto o viene fermata per identificazione, si attua una procedura standard che consta principalmente nella compilazione del cartellino fotosegnaletico. Le voci contenute all'interno del cartellino permettono di rappresentare l'individuo fornendo la descrizione dei caratteri morfologici come:
Vi è anche una sezione dedicata alle impronte digitali e dei riquadri dove trova posto la fotosegnaletica (fronte e profilo destro) del soggetto. Comunemente, queste due fotografie vengono utilizzate per la comparazione dell'indagato/imputato con le immagini che ritraggono l'autore del reato in esame ripreso dalle telecamere a circuito chiuso di un sistema di videosorveglianza. Anche se le immagini estrapolate dalle registrazioni sono di qualità accettabili e utilizzabili dopo un opportuno trattamento tramite software, il problema principale è costituito dalla posizione assunta dal volto dell'autore del reato durante le riprese. Infatti, raramente i sistemi di sorveglianza riprendono l'autore del reato di fronte o di profilo, rendendo così difficoltosa una comparazione diretta con le fotografie del cartellino segnaletico. Nell'eventualità che la persona sottoposta alle indagini sia disponibile a sottoporsi a degli accertamenti tecnici o qualora lo disponga il giudice, si può effettuare l'esperimento giudiziale che consiste in genere nel porre il soggetto di fronte alle telecamere che hanno ripreso il fatto delittuoso facendogli assumere la medesima posizione del reo. La prima operazione da compiere è il controllo delle telecamere presenti nei luoghi ove è stato consumato il reato, verificando se vi sono stati degli spostamenti o sostituzione delle stesse. Accertata la compatibilità del posizionamento, dell'orientamento e dell'angolazione delle telecamere, tramite mixer video si può procedere alla sovrapposizione delle immagini del sospettato a quelle dell'autore del reato. L'indagine comparativa potrà essere considerata conclusa con giudizio di esclusione ove, nel rispetto dei vincoli precedentemente citati, la corrispondenza somatica e fisica tra l'immagine della persona sottoposta alle indagini e quella dell'autore del reato non sia soddisfatta. Se invece sussiste una corrispondenza somatica si procederà alla sovrapposizione dei volti dei soggetti in esame, mediante fini movimenti passivi. La corrispondenza potrà considerarsi soddisfatta allorquando sussisterà una attendibile sovrapponibilità tra le due immagini visualizzate con un'opportuna azione di dissolvenza. L'esperimento giudiziale può comunque essere sostituito da una tecnica simile, effettuata con una telecamera di pari caratteristiche, posizionata su un cavalletto alla stessa altezza, distanza ed inclinazione di quella situata sul luogo del reato. Tale tecnica risulta molto più semplice da effettuare ed il controllo del posizionamento del soggetto viene compiuto in modo più preciso. Nei successivi paragrafi verranno descritte le tecniche fondamentali del trattamento digitale delle immagini e la modalità con cui vengono utilizzate nell'attività investigativa. Metodologia di analisi antropometrica e antropomorfica
La prima fase dell'indagine è costituita da un esame oggettivo dei filmati in reperto. Questa fase è fondamentale per decidere quali tecniche di ottimizzazione è necessario adottare. Dopo aver acquisito i fotogrammi, questi vengono ottimizzati, evitando però tutte quelle elaborazioni che ne possano modificare i contorni ed i particolari originali. L'analisi delle immagini è basata sull'utilizzo di particolari software di reconstruction, restoration ed enhancement i quali permettono, ove possibile, di migliorare le caratteristiche qualitative delle immagini. Le immagini dell'autore del reato oggetto d'indagine, sono attentamente osservate, al fine di ricercare ed evidenziare le caratteristiche fisionomiche di seguito riportate:
Il primo metodo scientifico d'identificazione biometrico fu sviluppato dal medico ed antropologo francese Alphonse Bertillon (1853 - 1914). Il metodo detto Bertillonage prevedeva una scheda dove veniva riportato il nome del detenuto, la fotosegnaletica (ripresa frontale e laterale), le descrizioni fisiche e di determinate parti del corpo del soggetto. Successivamente lo stesso Bertillon divenne critico nei riguardi del metodo antropometrico, avendo notato che le misure rilevate da un arrestato, corrispondevano esattamente a quelle di un soggetto già recluso. Nel 1903 nel penitenziario federale a Leavenworth nello stato di Washington, mentre si stava schedando un prigioniero di nome Will West, gli addetti si accorsero che le misure fisiche prese erano uguali a quelle di un altro detenuto William West schedato mesi prima. Solo quando le loro impronte digitali furono prese e confrontate si accertò che i due soggetti erano diversi. Nel 1971 V. A. Leonard motivò l'insuccesso con la possibilità di commettere errori nel rilevare le misure. Ciò era dovuto alle diverse posture del soggetto e/o a diverse interpretazioni delle misure oltre a possibili cambiamenti della struttura ossea. Questa osservazione pone l'accento sulla difficoltà di arrivare ad una identificazione positiva nell'accezione del termine dato dall'antropologia forense. La tesi fu sostenuta anche da M. Iscan (1988) il quale affermò che, nelle comparazioni fotografiche, le difficoltà sono cosi numerose che un giudizio definitivo, positivo o negativo, è precluso. Alcuni aspetti cardine includono: la qualità delle immagini, l'inclinazione del piano di Francoforte rispetto al corpo, i cambiamenti morfologici derivanti dalla crescita e dall'invecchiamento. C. Scott osservò invece nel 1991 l'importanza che l'esperto fosse qualificato, in quanto questi riesce a rilevare nelle immagini e nelle fotografie delle informazioni dettagliate, basate su conoscenze specifiche, rispetto all'ordinaria facoltà di osservazione di persone non specializzate. Quindi, pose l'accento sull'interpretazione degli aspetti peculiari (quali le dimensioni, la forma e la simmetria di occhi, sopracciglia, naso, bocca, orecchie, cicatrici, e caratteristiche morfologiche etniche …) di un singolo soggetto che non possono essere distinte, senza una specifica esperienza, da quelli che non sono considerati caratteristici dell'individuo. In conclusione, una identificazione positiva è comunque soggetta ad un'incertezza intrinseca al metodo utilizzato, anche se questa viene ridotta dall'esperienza dell'operatore fino ad annullarsi in presenza di caratteristiche univoche. Il rilevamento antropometrico
Il significato etimologico della parola antropometria è misura dell'uomo e raccoglie un insieme di conoscenze che hanno come fine la valutazione degli aspetti quantitativi del corpo umano. L'approccio antropometrico allo studio dell'individuo si presenta in almeno due stadi fondamentali:
Si utilizzano a questo fine i punti craniometrici atti per svolgere successivamente la misura di distanze ritenute rilevanti (fig. 1).
Le misure del capo nel vivente sono simili a quelle del cranio osseo. Le differenze, causa una minore precisione, sono ovviamente dovute allo spessore della cute, del sottocutaneo e della muscolatura. In questo caso si parla di punti di repere cefalometrici (o, semplicemente, punti cefalometrici) che corrispondono, nei limiti del possibile, agli equivalenti craniometrici, anche se la loro nomenclatura può essere differente (fig. 2).
Da puntualizzare che la variabilità di tali punti non dipende dall'età del soggetto e la loro individuazione non comporta l'introduzione di un errore di misura percentualmente rilevante ai fini dell'accertamento. La procedura per la comparazione di due volti tramite punti cefalometrici è la seguente:
I punti di repere devono essere significativi dal punto di vista anatomico e devono poter essere individuati con precisione. Si prosegue poi con una segmentazione delle immagini per determinare i rapporti distanziometrici o gli angoli tra più punti esaminati. Il trattamento metrico delle immagini si basa sulla definizione di punti di repere di identificazione certa e sulla misurazione delle distanze lineari tra questi. Successivamente si determinano per rapporto le proporzioni del volto e con esse la sua unicità. Lo scopo di queste operazioni è quello di derivare dalle misure metriche valori numerici puri, indipendenti dall'ingrandimento presente nelle differenti immagini. Nell'immagine dell'autore del reato la definizione dei punti può essere definita estemporaneamente, in funzione dell'orientamento del soggetto, della luminosità e del contrasto e delle particolarità ambientali dell'immagine. Inoltre è utile ricordare che la misura non è quella diretta del soggetto, bensì quella della sua immagine proiettata sulla superficie dello schermo (che può ben approssimarsi ad un piano). Occorre dunque considerare che la norma antroposcopica varia caso per caso ed il confronto tra immagini diverse richiede un esatto posizionamento parametrizzato del soggetto di confronto. Dopo aver classificato le caratteristiche fisionomiche dell'autore del reato in esame, si procede alla comparazione con i caratteri provenienti dall'analisi dell'imputato, al fine di evidenziare corrispondenze (compatibilità) o differenze significative (incompatibilità). Con riferimento alle differenti posture in cui i soggetti sono ripresi nelle immagini videoregistrate e nelle fotografie a disposizione, è possibile considerare tre complementari modalità di confronto:
La scelta di una o più metodologie di analisi da adottare dipende sia dalla qualità del materiale da analizzare che dalle condizioni ambientali delle riprese. La formulazione del giudizio finale si basa sulla globalità delle considerazioni emerse dalla comparazione antropomorfica e antropometrica, legate sia al numero dei riscontri evidenziati che al loro valore identificativo. È importante sottolineare che le valutazioni finali si avvalgono di criteri di compatibilità e mai di certezza (tranne in casi eccezionali). Il valore identificativo del confronto
Nella comparazione tra il volto dell'autore del reato e l'indagato/imputato, il valore identificativo complessivo dipende senz'altro dalla quantità dei caratteri comparati ma soprattutto dal valore identificativo dei singoli caratteri comparati. Questo valore dipende dalla frequenza con la quale il carattere compare nella popolazione (ossia un campione casuale di soggetti analoghi). Tuttavia tale campione casuale risulta difficilmente standardizzabile, poiché è difficile trovare soggetti che abbiano caratteristiche univoche e concomitanti, tanto da consentire di avere una popolazione omogenea. È altresì vero però che può bastare un solo carattere per conferire il valore di identità fra due soggetti, a patto che il carattere risultato identico sia raro (ad esempio una grossa cicatrice o un tatuaggio dal disegno particolare). Nel campo della identificazione personale attraverso le immagini, per esprimere il valore identificativo del confronto, si utilizza abitualmente la scala comparativa, che viene di seguito descritta, adottata dalla polizia scientifica nonché dal Ris dei Carabinieri. Indefinibilità: le immagini non sono utilizzabili o sono soggette a forti limitazioni e scarsa visibilità che non è possibile evidenziare i tratti caratteristici dei soggetti ripresi. Incompatibilità (esclusione): nelle immagini a confronto vi sono particolari (non posticci o alterabili) che permettono di escludere che si tratti dello stesso individuo. Compatibilità parziale: la scarsa definizione o visibilità di almeno una delle immagini a confronto non consente di rilevare caratteri antropologici che consentano di giungere ad un giudizio pienamente positivo di comparazione. Si riscontrano comunque alcuni caratteri antropologici simili in entrambi i soggetti a confronto. Compatibilità: gli elementi antropologici comparati mostrano numerosi connotati simili in entrambi gli individui. La qualità delle immagini (o la visibilità delle stesse) non permette di evidenziare contrassegni o connotati salienti, che possano condurre ad un giudizio di non compatibilità o di identità tra i soggetti a confronto. Identità:(compatibilità totale) Entrambi i soggetti messi a confronto hanno caratteri antropologici tipizzati simili tra loro. Inoltre sono presenti particolarità anatomiche univoche, riscontrabili in entrambi gli individui. Caratteristiche e limiti dei dispositivi video
Gli strumenti generalmente utilizzati per effettuare l'acquisizione delle immagini dal mondo reale sono le telecamere. Si possono distinguere due tipologie di dispositivi: le telecamere analogiche e quelle digitali. Il punto in comune tra queste due tipologie di telecamere è l'ottica, mentre la metodologia del trattamento dei segnali in uscita dei sensori differisce enormemente. Le telecamere analogiche, una volta acquisita l'immagine, tramite il sensore, rispondono in uscita con un segnale analogico (tipo segnale televisivo Pal); le digitali, invece, restituiscono in uscita una sequenza di bit, cioè un segnale digitale. I sistemi di ripresa sopraccitati presentano determinate problematiche, alcune dipendenti dalla loro natura tecnologica, altre dipendenti da anomalie costruttive. Il processo di fabbricazione di una telecamera è infatti affetto da errori. Alcuni riguardano le lenti, per cui esse non si comportano esattamente secondo il modello matematico descritto in precedenza. Ci sono poi gli errori di montaggio del CCD: per esempio quest'ultimo può non essere parallelo al piano focale dell'ottica oppure il suo centro non è allineato con il centro ottico. In un sistema ottico ideale tutti i raggi luminosi provenienti da un punto di un oggetto piano dovrebbero convergere in uno stesso punto nel piano immagine, formando un'immagine nitida. I difetti delle lenti che inducono i raggi provenienti da un punto a convergere in punti differenti sono chiamate aberrazioni, e sono classificate in sette classi:
Aberrazione sferica: difetto di una lente che produce un'immagine non nitida dovuta al fatto che i raggi che attraversano i bordi sono rifratti meno di quelli che passano nella zona centrale di un obiettivo. Non tutti i raggi di luce quindi sono messi a fuoco sullo stesso piano. Ne deriva una perdita di nitidezza generale.
Astigmatismo: l'effetto di questa aberrazione è una sfasatura della messa a fuoco delle linee ad andamento orizzontale rispetto a quelle ad andamento verticale (o viceversa). L'astigmatismo è più visibile alla periferia del campo di immagine di taluni binocoli grandangolari.
Coma o aberrazione comatica: si manifesta con la trasformazione di un punto luce in un effetto cometa (simile a una virgola). Dato che aumenta verso l'esterno della lente, questo tipo di aberrazione interessa soprattutto la periferia del campo visivo.
Aberrazione cromatica: è il risultato di una differenza di lunghezza d'onda. La lunghezza focale o ingrandimento di una lente, varia in base alla lunghezza d'onda dei vari tipi di luce incidente. Di conseguenza, se si osserva attraverso una lente affetta da aberrazione cromatica, l'immagine apparirà confusa e colorata ai margini. In genere, l'aberrazione cromatica diventa più importante con l'aumento dell'ingrandimento.
Curvatura di campo: un oggetto piano perpendicolare all'asse di un sistema ottico viene riprodotto come una superficie curva.
Distorsione: l'immagine differisce sotto l'aspetto geometrico dall'oggetto reale. Il modo più semplice per visualizzare gli effetti della distorsione è quello di riprendere un oggetto quadrato: potrebbe risultare "bombato" verso l'esterno o verso l'interno (effetto botte o cuscino).
Può essere positiva o negativa: entrambe sono provocate da una variazione di ingrandimento. Con l'aumento della distorsione, sebbene l'immagine appaia a fuoco su tutto il campo, la dimensione dell'immagine è diversa al centro rispetto alla periferia del campo visivo.
Vignettatura ottica: è l'attenuazione della luce inerente al progetto della lente ed è approssimato dalla legge cos4(θ) in cui l'attenuazione luminosa è approssimativamente proporzionale alla quarta potenza del coseno di θ, dove θ è l'angolo di scostamento dall'asse. Le lenti grandangolari, e le lenti usate nelle macchine fotografiche compatte sono più soggette alla vignettatura ottica delle lenti più lunghe e delle lenti retrofocus usate dalle macchine SLR perché queste configurazioni hanno θ più grandi. Questo tipo di vignettatura non è correggibile con l'apertura; per correggerla si può usare un filtro graduato o elaborando l'immagine. In fotografia e ottica, la vignettatura indica la riduzione della luminosità dell'immagine alla periferia rispetto al centro. È un difetto causato spesso da ottiche di non buona qualità o dall'uso di paraluce non idonei alla focale dell'obiettivo impiegato.
Un'immagine può essere definita come una rappresentazione visiva di un oggetto o di un gruppo di oggetti. L'elaborazione di immagini (image processing), manipola l'informazione all'interno di un'immagine per renderla più espressiva con lo scopo di:
È possibile ricostruire l'immagine a partire dai dati geometrici e fotometrici della scena e dal modello della telecamera, oppure ricostruire i dati geometrici della scena a partire dall'immagine, dai dati fotometrici e dal modello della telecamera (reverse projection). L'elaborazione digitale di immagini viene attuata tramite computer convertendole in un formato numerico, cioè digitalizzandole. L'elaborazione consiste nell'applicazione di algoritmi matematici, tipicamente mediante l'utilizzo di software dedicati, aventi un duplice fine: da un lato il miglioramento della "qualità visiva" dell'immagine stessa, dall'altro la correzione delle eventuali aberrazioni. In letteratura sono presenti molti lavori sulla valutazione e la modellizzazione degli effetti della distorsione. Il procedimento Single View Metrology (SVM) permette di effettuare delle misurazioni comparative da singole immagini. Metodi di fotogrammetria tradizionale necessitano di due rappresentazioni diverse della stessa scena tramite immagini calibrate per effettuare misurazioni nello spazio tridimensionale. Con l'SVM, invece, è sufficiente una singola immagine della scena per effettuare delle misurazioni. Non è necessario che il dispositivo di acquisizione sia calibrato dal punto di vista della corrispondenza dei punti dell'immagine nello spazio tridimensionale ma deve rispettare il modello della pin-hole camera, per cui l'immagine va calibrata, invece, rispetto alle distorsione geometriche causate dall'ottica (le quali sono visibili come curvature nell'immagine di linee che nella realtà sono rette). Per effettuare delle misurazioni con il metodo SVM è necessario avere delle linee di riferimento per determinare la prospettiva nell'immagine. Ciò è spesso facilmente fattibile in ambienti urbani o chiusi, mentre se tali linee non sono presenti non è possibile effettuare la misurazione. Per ogni direzione nello spazio tridimensionale (x, y, z) è necessario definire due o più rette che nel mondo reale sono parallele, ma nella rappresentazione dell'immagine, soggette alla prospettiva, appaiono generalmente come convergenti in un punto, detto punto di fuga. È possibile quindi effettuare delle misurazioni lungo le direzioni di uno degli assi, prendendo come riferimento una distanza conosciuta nella stessa direzione e sfruttando le proprietà geometriche della scena secondo quanto descritto in Single View Metrology, Criminisi et Al, 2000.
Nei casi pratici va considerato comunque che a questo vanno aggiunti diversi altri errori non dovuti all'SVM, quali ad esempio errori nell'acquisizione della misura di riferimento, difficoltà ad individuare nell'immagine con precisione i punti determinati la lunghezza di riferimento e quella da misurare, compatibilmente con la risoluzione dell'immagine e, nel caso di misurazione di altezze di individui, tutte le complessità derivanti dalla postura ed dall'abbigliamento come scarpe e cappelli. Tale metodo infatti è soventemente utilizzato per determinare l'altezza del soggetto ripreso che, a parte casi particolarmente difficili, è determinabile con un buon margine di approssimazione. Ciò che sfortunatamente nella realtà dei fatti si riscontra e che molto spesso le telecamere dei circuiti di videosorveglianza, siano essi di importanti istituti bancari piuttosto che di piccoli esercizi commerciali (gioiellerie, benzinai, ecc.) sono di scarsa qualità e non consentono di avere immagini nitide. Molto spesso infatti l'impianto di telecamere viene posizionato solo come deterrente nei confronti di eventuali malfattori e non con un reale scopo di sorveglianza e individuazione dell'autore del reato. In più con un'unica telecamera si vorrebbe sorvegliare più entrate o un'area decisamente vasta, cosa che chiaramente va a discapito della qualità delle immagini. Infatti nel momento in cui il soggetto viene ripreso da lontano e la telecamera non è ad alta risoluzione, quando si ingrandisce il fotogramma per evidenziare le caratteristiche somatiche del soggetto si ha un effetto di sgranatura e sfocamento che rende assolutamente non utilizzabili quelle immagini. A tale problemi naturalmente si aggiunge il fatto che spesso gli autori di una rapina o di un furto sono travisati, e questo naturalmente rende difficile se non impossibile l'applicazione dell'antropometria forense. Negli ultimi anni, con l'avvento di tecnologie digitali, si è potuto notare un netto miglioramento sia delle immagini che della loro qualità in termini di risoluzione e definizione. Tuttavia molto ancora sarà necessario fare, soprattutto in termini di investimenti economici, nell'approntare efficaci sistemi di videosorveglianza. Le tecniche di video forensic e soprattutto l'utilizzo di software sempre più sofisticati e specifici consentirà di avere informazioni investigative ed elementi di prova sempre più risolutivi. L'antropometria forense e la videofotografia forense verranno dunque sempre più utilizzate nelle aule di tribunale e di conseguenza al pari delle altre discipline scientifiche, assumeranno sempre di più un ruolo determinante nel processo penale, in tutte le sue fasi. Già adesso, attraverso l'utilizzo di specifici software, è possibile delineare da un'immagine sfocata o da un'immagine scura le caratteristiche somatiche del soggetto ripreso, evidenziare il numero di targa di autoveicoli o esaltare un particolare di una fotografia. |