Violenza sessuale su soggetti adulti in condizione di inferiorità psichica

24 Novembre 2016

Nei casi di violenza sessuale a danno di soggetti adulti con deficit mentale il giudice è chiamato a stabilire una verità processuale in cui la persona offesa potrebbe aver avuto un comportamento attivo e partecipe nella dimensione del reato. Risulta, perciò, uno tra i temi più complessi della psicologia forense dove il ruolo del perito diviene fondamentale per compiere un'attività istruttoria in cui appare determinante la valutazione dell'inferiorità psichica del soggetto che versa in condizioni di particolare vulnerabilità.
Abstract

Nei casi di violenza sessuale a danno di soggetti adulti con deficit mentale il giudice è chiamato a stabilire una verità processuale in cui la persona offesa potrebbe aver avuto un comportamento attivo e partecipe nella dimensione del reato. Risulta, perciò, uno tra i temi più complessi della psicologia forense dove il ruolo del perito diviene fondamentale per compiere un'attività istruttoria in cui appare determinante la valutazione dell'inferiorità psichica del soggetto che versa in condizioni di particolare vulnerabilità.

Il quesito

Partiamo dal quesito che il magistrato formula al proprio consulente o perito:

Tenuto conto della dinamica del reato per cui è processo, dica il perito se la vittima, al momento del fatto, si trovava o meno in condizioni di inferiorità psichica e se questa fosse riconoscibile da parte dell'indagato/imputato. Valuti altresì la capacità a rendere testimonianza sui fatti per cui si procede.

Sulla valutazione della capacità testimoniale si rimanda, per il momento, ad altro nostro articolo dedicato alla periziasui soggetti minorenni (La perizia sull'idoneità a testimoniare del minorenne nei casi di presunta violenza sessuale) la cui metodologia scientifica è simile nella sostanza. In questo articolo ci soffermeremo sull'attività peritale relativa alla prima parte del quesito.

La giurisprudenza

A nostro avviso, due recenti sentenze della Cassazione (21752/2014 e 18513/2015) ben chiariscono il concetto di inferiorità psichica e quali aspetti indagare in questo genere di casi. Nella prima sentenza (2014), la Corte stabilisce che:

L'abuso consiste in un doloso sfruttamento della menomazione della vittima e si verifica quando le condizioni di inferiorità sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in uno stato di difficoltà, viene ridotta ad un mezzo per l'altrui soddisfacimento sessuale.

In sostanza, il rapporto con persone che si trovano in condizione di inferiorità fisica o psichica è penalmente rilevante solo quando è connotato da induzione da parte del soggetto forte e abuso dello stato di inferiorità del soggetto debole: in tale caso, la vittima presta un consenso che è viziato – pertanto, giuridicamente irrilevante – in considerazione del differenziale di maturità sessuale rispetto al partner.

Consegue che il Giudice deve espletare una indagine adeguata per verificare se l'agente avesse avuto la consapevolezza non soltanto delle minorate condizioni del soggetto passivo, ma anche di approfittarne per fini sessuali.

Mentre la seconda (2015) sancisce due importanti concetti:

Il solo fatto che una donna si trovi in una condizione di ritardo mentale, non basta per affermare che non c'è stato un valido consenso all'atto sessuale.

Il ritardo mentale, sia pur di grado medio, non inibisce di per sé un valido consenso all'atto sessuale.

Le indagini peritali

Alla luce di quanto affermato dai giudici di legittimità, le indagini che il perito dovrebbe espletare possono essere sintetizzate nei seguenti tre punti:

  • valutazione e verifica della presenza di un vizio di mente nella persona offesa al momento del presunto reato;
  • possibilità che tale vizio mentale procuri una condizione di inferiorità psichica;
  • possibilità che tale inferiorità psichica sia riconoscibile da terzi.

Appare importante precisare che, così come l'indagine sull'idoneità a testimoniare, la valutazione peritale per cui si procede sull'inferiorità psichica e la sua riconoscibilità deve essere espletata sui fatti e non in astratto. Ad esempio, il perito dovrà esprimersi sulla inferiorità psichica della p.o. relativamente alla dinamica relazionale con il presunto abusante e non in generale.

Che cos'è un vizio di mente?

Consideriamo dapprima la definizione che propone il DSM-5 per il disturbo mentale (p. 22):

Un disturbo mentale è una sindrome caratterizzata da un'alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale. I disturbi mentali sono solitamente associati a un livello significativo di disagio o disabilità in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti. Una reazione prevedibile o culturalmente approvata a un fattore stressante o a una perdita comuni, come la morte di una persona cara, non è un disturbo mentale. Comportamenti socialmente devianti (per es., politici, religiosi o sessuali) e conflitti che insorgono primariamente tra l'individuo e la società non sono disturbi mentali, a meno che la devianza o il conflitto non sia il risultato di una disfunzione a carico dell'individuo, come descritto precedentemente.

Il perito è tenuto a verificare la presenza o meno di un deficit mentale attraverso colloqui clinici e la somministrazione di eventuali test psicologici standardizzati.

In presenza di eventuale documentazione sanitaria pregressa accertante la menomazione mentale della vittima è preferibile che il perito compia ex novo tali accertamenti nel contesto peritale per garantire il principio del contraddittorio.

È bene precisare che la presenza di un disturbo mentale non è di per se ritenuta sufficiente a sostenere il concetto di inferiorità psichica.

Che cos'è l'inferiorità psichica?

Il disturbo mentale contiene ma non esaurisce il concetto di inferiorità psichica nel momento in cui il funzionamento psichico e la capacità di decidere risultano inficiate provocando un consenso all'atto sessuale viziato, non libero, condizionato. Non è però possibile effettuare alcun parallelismo tra malattia mentale e inferiorità psichica il cui nesso va tutto dimostrato. È, infatti, facilmente intuibile come un soggetto scevro da qualunque disturbo mentale, possa venire a trovarsi in una condizione di inferiorità laddove, ad esempio, versi sotto l'effetto di sostanze psicotrope oppure sia soggiogato da un ricatto o da una minaccia.

Così FORNARI (2015, p. 201) spiega il concetto di inferiorità psichica: sotto tale accezione vanno comprese tutte quelle condizioni psichiche transuenti o permanenti, accidentali o non, le quali pongono il soggetto passivo rispetto a quello attivo in condizioni di mente tali da offrire una partecipazione funzionalmente viziata all'atto sessuale, che di conseguenza diventa atto di violenza sessuale.

In altre parole capita spesso che la vittima presti in un primo momento un apparente consenso all'atto sessuale e successivamente ne effettui una rivisitazione in termini di violenza e di costrizione tale da poter ipotizzare induzione, persuasione e incitamento da parte dell'agente, approfittando della vulnerabilità psicologica della persona offesa.

Appare superata la concezione di una violenza sessuale “passiva” da parte della vittima di fronte alla possibilità di un suo ruolo più attivo nonostante la sua posizione down rispetto a quella up dell'indagato/imputato.

Non di rado può capitare di imbattersi in processi in cui la persona offesa sia un soggetto di sesso maschile che dichiara di aver consumato, in una condizione attiva, rapporti sessuali con altri soggetti dello stesso sesso.

D'altro canto, accade che i soggetti con disturbo mentale conclamato e con funzioni cognitive debilitate, quali ad esempio quelli affetti da handicap psichici, provino attrazione e desiderio sessuale stimolando analoghe reazioni in soggetti normodotati con i quali giungono a consumare rapporti dei quali, tuttavia, non sono in grado di valutare le possibili conseguenze né immediate né future. E cosa dire di quei casi in cui viene sporta denuncia per una presunta violenza sessuale a danno di un soggetto con handicap mentale il cui presunto violentatore presenta a sua volta una debolezza mentale?

L'argomento è evidentemente denso di insidie per la sua ambiguità poiché non esistono indicatori specifici di inferiorità psichica la cui valutazione è affidata alla esperienza del perito, più che a criteri diagnostici ben definiti. Il confine tra consenso e costrizione è molto sottile e labile. La valutazione peritale risulta necessariamente soggettiva e opinabile, dovendo il perito districarsi tra nozioni quali maturità e immaturità della vittima e posizione up e down della vittima e dell'agente (PINGITORE, 2015).

Nelle perizie con i minori è caldamente sconsigliato rievocare i fatti di denuncia all'interno del contesto peritale per evitare possibili contaminazioni e anche perché compito del perito è quello di ipotizzare o meno l'idoneità a testimoniare e non la veridicità dei fatti. Nell'ambito qui trattato, invece, appare opportuno chiedere informazioni al periziando sulla relazione intercorsa tra lui e l'agente sia per comprendere le condizioni di mente, in termini di inferiorità psichica, della persona offesa al momento dei fatti (ai sensi dell'art. 228, comma 3, c.p.p.) ma anche per comprendere la natura della relazione tra le due parti.

È chiaro che il giudizio di colpevolezza costituisce un giudizio psicologico che dovrebbe restare di competenza del giudice. In casi come questi, allorquando il giudice delega al perito un parere circa la capacità di prestare consenso da parte della vittima, non si può comunque prescindere dal considerare le caratteristiche della relazione intercorsa tra i due, occorrendo parametrare il consenso rispetto all'atteggiamento psicologico dell'agente consapevolmente intenzionato ad approfittare di una condizione di superiorità. Come giustamente scrivono Catanesi e Carabellese (2010) […] in questi casi, la cui delicatezza è evidente, nel lavoro dello psichiatra forense sempre minor peso ha la valutazione del puro dato clinico a vantaggio di una ricostruzione degli eventi più dinamica, relazionale, che tenga conto degli effetti dell'interazione fra i due soggetti, delle spinte motivazionali.

Che cosa significa “riconoscibile a terzi”?

Valutata e accertata l'inferiorità psichica al momento dei fatti, il perito è spesso chiamato ad esprimersi anche sulla sua riconoscibilità: l'inferiorità psichica della persona offesa poteva essere riconosciuta da terzi, nello specifico dal soggetto agente?; premessa l'inferiorità, è possibile ipotizzare che l'indagato/imputato abbia potuto approfittarne per indurre la vittima all'atto sessuale?.

Anche in questo caso la valutazione risulta affidata alla sensibilità clinico-forense del perito che dovrebbe ipotizzare se un soggetto terzo avrebbe potuto accorgersi delle condizioni vulnerabili della vittima per approfittarne. A tal proposito sempre FORNARI (ibidem, p. 210) chiarisce:

È superfluo ricordare che, a questo livello, non vengono richieste all'autore particolari nozioni di psicologia o di psichiatria clinica o forense. In diritto e in giurisprudenza si sostiene essere sufficiente che il quadro presente nella vittima rivesta caratteristiche di generica, ma sensibile e palpabile suggestionabilità, fragilità e labilità abnormi, tali da poter essere recepite facilmente e comunemente dalla maggior parte degli individui, al punto che “a colpo d'occhio” si può percepire che “qualcosa non va”.

Pertanto è pleonastica la riconoscibilità pressoché immeditata dell'inferiorità psichica espressa da un soggetto con ritardo mentale di grado medio-grave o grave, così come un soggetto in posizione up non può non essere consapevole dello stato di soggezione psicologica che incute in un soggetto in posizione down che sta ricattando o minacciando. Meno immediatamente riconoscibile è, invece, l'inferiorità psichica di un soggetto con ritardo mentale lieve o l'alterazione di coscienza di una giovanissima prostituta che mostra euforia sessuale a seguito dell'assunzione di sostanze psicotrope indotta con forza dallo sfruttatore.

Criticità dell'indagine

Sono molte le criticità presenti in questo genere di casi, a cominciare dal consenso agli atti sessuali da parte della vittima. Gli autori si chiedono quale sia il confine tra consenso valido e viziato all'atto sessuale e quale sia la libertà di scelta della persona offesa che, considerato in diritto, paradossalmente non sarebbe libera di congiungersi carnalmente con un qualsiasi soggetto senza che si corra il rischio di considerare tale rapporto come violento. Il rischio concreto è anche una stigmatizzazione della libertà sessuale del disabile mentale che nella maggioranza dei casi potrebbe essere scambiata come condizionata e indotta.

Il gioco erotico tra due soggetti “normali” è basato anche su induzioni, suggestioni e, soprattutto, seduzioni che non troverebbero medesimo valore nei casi oggetto di questa disamina.

L'effettuare regali da un partner ad un altro è considerato “normale” nell'immaginario collettivo, trasformandosi in induzione e coercizione nei casi in cui uno dei due fosse un soggetto con deficit mentale. Il regalo ricevuto diventerebbe l'ipotesi di induzione da parte del soggetto agente che, il più delle volte, non corrisponde al denunciante.

Un'altra criticità, infatti, corrisponde alla denuncia che spesso viene sporta non direttamente dalla persona offesa, magari minorenne o con ritardo mentale, ma da un familiare che rifiuta nettamente l'ipotesi di un valido consenso all'atto sessuale da parte del familiare in questione. Quindi la violenza sessuale risulta ipotizzata non dalla persona offesa ma dal familiare e l'ipotesi di violenza spesso permane anche laddove la presunta parte offesa dichiari di aver prestato consenso all'atto venendo tale consenso considerato viziato a priori in virtù della debolezza mentale.

Pensiamo, ad esempio, ai casi in cui la vittima intrattenga rapporti di natura sessuale con un soggetto dello stesso sesso, consapevolmente e in una condizione attiva, in seguito ridefiniti dal genitore denunciante in termini di violenza sessuale poiché alla base potrebbe esserci un'incapacità di accettare la (ipotetica) omosessualità del figlio: nel caso in cui il figlio (disabile mentale) avesse avuto rapporti sessuali con un soggetto femminile “normale”, il genitore avrebbe ugualmente denunciato i fatti?

Inoltre, bisogna considerare che il desiderio e l'eccitazione sessuale non sono mediati dalla parte cosciente e razionale del cervello, la corteccia cerebrale, bensì da aree subcorticali più “primitive” e specificamente dall'amigdala, che svolge un ruolo fondamentale nella regolazione emotiva degli esseri umani e di molti altri animali superiori. In sostanza, il coinvolgimento in un rapporto sessuale occasionale ed estemporaneo in nessun caso può dirsi frutto di una ponderata valutazione cosciente che ne abbia valutato motivazioni e conseguenze, essendo esso elicitato prevalentemente da un moto pulsionale prima ancora che razionale.

Ultima criticità è l'effettiva riconoscibilità della inferiorità psichica della vittima.

Come anticipato, possiamo ipotizzare la presenza di un lieve ritardo mentale della vittima che produce una condizione di “anormalità” percepita dalla persona comune solo come “strana”. È possibile considerare l'agente come consapevole della condizione di inferiorità della vittima? Come è possibile accorgersi di una inferiorità psichica non palesemente e facilmente percepibile “a colpo d'occhio”? Spesso le malattie mentali non producono condizioni abnormi di fragilità, suggestionabilità e labilità tali da essere di immediata intuizione da parte di terzi che potrebbero, invece, percepire semplicemente che “qualcosa non va” in quella persona. E in tal caso, allora, bisognerebbe ipotizzare che una persona comune abbia la sensibilità di un clinico nel valutare come quel “qualcosa non va” sia indice di disturbo mentale, evitando ad ogni modo un approccio di natura sessuale con la vittima che, magari, mostra un ruolo attivo nella dinamica relazionale.

A complicare il quadro può capitare (e capita non di rado) l'eventualità che lo stesso perpetratore sia affetto da una qualche forma di disabilità.

Probabilmente la soluzione a tali criticità sarebbe delegare al perito la sola idoneità a testimoniare del soggetto disabile mentale, restringendo così la valutazione alle sole sue competenze generiche e specifiche, evitando di addentrarsi nei meandri soggettivi e arbitrari delle condizioni di inferiorità psichica del soggetto e della sua riconoscibilità, le quali devono peraltro tener conto del diritto alla sessualità delle persone disabili.

Capita, non di rado, che la denuncia venga sporta anche molto tempo dopo i presunti fatti portando ad una ristrutturazione del giudizio da parte della vittima (con ruolo attivo o passivo) e/o del familiare che denuncia. In tali casi il perito si troverebbe ad effettuare una valutazione in termini troppo astratti e generici dovendosi necessariamente basare anche sulle dinamiche dei fatti, debordando dai limiti dell'accertamento di competenza del perito.

A tal proposito, ancora FORNARI (ibidem, p. 211):

Serie ed attendibili pertanto sono le riserve che da più parti vengono fatte nei confronti del fondamento stesso dell'inferiorità psichica, della sua riconoscibilità, dell'oggetto e fondamento dell'induzione e, soprattutto, sulla liceità di stabilire un parallelismo tra la “sensibilità” del perito e quella dell'abusante, come se, posto che il tecnico abbia accertato le premesse per l'abuso, altrettanto possa o debba aver fatto l'indagato o l'imputato di violenza sessuale che certamente ha agito in un contesto psicologico e ambientale ben diverso da quello in cui opera il perito, il quale deve ricostruire le caratteristiche di un incontro soggetto a facili fraintendimenti come quello della sessualità, dove interagiscono aspetti individuali, culturali, relazionali e sociali i più vari ed eterogenei.

Sintetizzando, in fase di incidente probatorio la perizia (antecedente all'audizione del testimone) dovrebbe avere come oggetto solo la valutazione dell'idoneità a rendere testimonianza.

Se ritenuta idonea, la vittima dovrebbe essere escussa ai sensi dell'art. 498 c.p.p. da esperto differente dal perito.

È proprio durante l'audizione che il giudice potrebbe essere in grado di valutare anche l'inferiorità psichica e la sua riconoscibilità, considerato che l'esperto raccoglierebbe la testimonianza della vittima oltre sui presunti fatti anche sulle sue dinamiche relazionali con l'indagato.

Di seguito uno schema riassuntivo.

Perizia (ex art. 196 c.p.p.)

Audizione (ex art. 498 c.p.p.)

Il perito valuta idoneità a rendere testimonianza della vittima ed eventuale presenza di disturbo mentale.

Se ritenuto idoneo, l'esperto raccoglie la testimonianza sui presunti abusi, approfondendo le dinamiche relazionali tra vittima e agente (inferiorità psichica e riconoscibilità)

Guida all'approfondimento

CATENESI, CARABELLESE, 2010, Inferiorità e violenza sessuale, in Volterra (a cura di), Psichiatria forense, criminologia ed etica psichiatrica, Trattato Italiano di psichiatria, Vol. 4, mILANO, 2010;

FORNANI, Trattato di psichiatria forense, Padova, 2015;

PINGITORE, Inferiorità psichica e violenza sessuale, Psicologia Contemporanea, 247, 36-43, 2015.

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