La sindrome di Munchausen per procura ovvero la patologia dell'ipercura

Alessandra Bramante
30 Maggio 2018

Anche se nella nostra società i diritti dei minori sembrano trovare maggior attenzione da parte dei tribunali rispetto al passato, l'abuso nei loro confronti rimane comunque una costante; e se in passato si concretizzava in abbandoni e incuria, oggi paradossalmente si può manifestare con eccessive cure ed attenzioni. La sindrome di Munchausen per procura (MBP) è una forma di maltrattamento che ...
Abstract

Anche se nella nostra società i diritti dei minori sembrano trovare maggior attenzione da parte dei tribunali rispetto al passato, l'abuso nei loro confronti rimane comunque una costante; e se in passato si concretizzava in abbandoni e incuria, oggi paradossalmente si può manifestare con eccessive cure e attenzioni. La sindrome di Munchausen per procura (MBP) è una forma di maltrattamento che deriva dalla troppa sollecitudine della madre e che è possibile in culture aventi validi e sviluppati sistemi sanitari. È una moderna forma di “figlicidio” resa possibile dalla disponibilità di strumenti diagnostici e terapeutici ed è un paradosso che proprio questi strumenti, creati per garantire la salute, finiscano per diventare un'arma nociva o mortale.

La storia della sindrome

Il nome della sindrome si rifà al barone di Munchausen, Gerolamo Carlo Federico, che visse in Bodenweder, Germania, nel XVIII secolo (1720-1790) e divenne famoso vagabondando di città in città narrando storie fantastiche e incredibili avventure, “ricche di menzogne” tra cui la più famosa riguardava un viaggio sulla Luna compiuto servendosi di una piantina di fagiolo cresciuta in modo prodigioso. Ma la notorietà del barone giunge nel 1785 con la pubblicazione, a Londra, di un libro che narra dei suoi incredibili viaggi e delle campagne di guerra, pubblicato da un tedesco R.E. Raspe e intitolato Racconti del Barone di Munchausen sui suoi viaggi meravigliosi e la sua campagna in Russia. Tali racconti che all'epoca causarono al vero protagonista un po' di imbarazzo, sono tuttora disponibili come storie per bambini in Europa Occidentale e nel Nord America avendo anche ispirato almeno tre film.

Quasi due secoli dopo, il barone si trova nuovamente a prestare il suo nome, questa volta ad Asher, nel 1951, per definire una strana sindrome morbosa che riguarda un singolo gruppo di pazienti che si recano da un ospedale all'altro per il trattamento di una varietà di sintomi o segni di una malattia acuta o che si procurano lesioni volontarie e ripetute e di conseguenza vengono sottoposti ad accertamenti diagnostici e procedure terapeutiche spesso invasive e pericolose, dalle quali sembra loro derivare una particolare soddisfazione. Si tratta di soggetti di ambo i sessi che durante il ricovero forniscono storie false e informazioni fantasiose sul loro quadro clinico ma anche sociale, dimostrando un'ottima conoscenza della loro malattia, di padroneggiare il linguaggio tecnico medico e presentando stranezze di comportamento tali da fare ipotizzare la presenza di un disturbo psichiatrico. A destare sospetti oltre alla storia “fiorita” può essere l'esistenza di reali segni organici solitamente congeniti o di natura cronica che fanno insospettire il medico che impegna molte energie nel curare questi pazienti rendendosi conto, solo in un secondo tempo, di essere stato ingannato. Com'è facilmente intuibile si tratta di pazienti che suscitano spesso sentimenti di forte ostilità nel medico.

Caratteristiche e tipologie della sindrome

Vediamo in breve quali sono le caratteristiche essenziali per porre diagnosi di Sindrome di Munchhausen (MS):

  • molteplicità di cicatrici con prevalenza di quelle addominali, provocate dai ripetuti interventi chirurgici;
  • storia immediata acuta e a volte straziante, nella quale però è sempre osservabile “qualcosa” non del tutto convincente;
  • ricchezza di certificati o cartelle cliniche di pregressi ricoveri, prescrizioni mediche o numerosi interventi chirurgici;
  • prepotenza ed evasività nel contegno.

Asher ha tentato anche di classificare la sindrome di Munchhausen in tre tipologie a seconda dell'apparato sul quale i soggetti elaborano maggiormente i loro sintomi:

  1. tipo addominale acuto (Laparotomophilia Migrans) è il tipo più comune e certi pazienti sono stati sottoposti ad operazioni chirurgiche così numerose da avere complicanze dovute a processi aderenziali;
  2. tipo emorragico (Haemorragica Histrionica) che vede coinvolti soprattutto organi quali lo stomaco (Haematemesis Merchants) oppure i polmoni (Haemoptisis Merchants);
  3. tipo neurologico (Nerologia Diabolica) in cui i pazienti avvertono cefalea, spesso parossistica, perdita di coscienza ed episodi pseudo-convulsivi.

Nel 1957 Chapman aggiunge una quarta categoria a seguito di osservazione personale, il tipo cutaneo (Dermatitis Autogenetica). L'autore riferisce il caso di un giovane minatore che strofinava deliberatamente il corpo con una sostanza cui sapeva di essere allergico, la merthiolate, causando così una dermatite esfoliativa molto grave e dolorosa.

Sembra dunque che tali soggetti esplorino avidamente il loro corpo al fine di selezionare un apparato o un organo sul quale scaricare la propria autodistruttività e che l'utilizzo della malattia e dell'ospedalizzazione sia per gli stessi non solo un modo di vivere ma anche l'unica possibilità di essere nel mondo.

Alla triste applicazione della sindrome ai bambini si giunge poi nel 1977 con Meadow che conia l'espressione Sindrome di Munchausen per procura, pubblicando su Lancet un articolo dal titolo Munchausen Syndrome by proxy – the hinterland of child abuse che attira l'attenzione su una “nuova” e grave forma di maltrattamento all'infanzia.

La sindrome di Munchausen per procura

Con il termine sindrome di Munchausen per procura si intende infatti una situazione in cui uno o entrambi i genitori (solitamente la madre) procurando o inventando sintomi o disturbi che i loro figli non hanno, li espongono a continue visite mediche, accertamenti ed esami, fino ad interventi chirurgici che possono ledere gravemente o, in casi estremi, uccidere il bambino.

Solitamente la vittima è un bambino piccolo e l'autore la madre, cioè la persona cui sono affidate le cure del bambino e questo ruolo fa in modo che la stessa si trovi nella posizione migliore per simulare la malattia. Contrariamente a quanto di potrebbe pensare, si tratta di mamme premurose e sollecite, costantemente presenti e particolarmente attente, forse troppo, nel prendersi cura della salute del bambino.

Esse hanno infatti un comportamento esemplare agli occhi di tutti che certamente non possono immaginare che un così grande eccesso di amore cada nella perversione. Il comportameto di queste donne con i medici è esemplare, sono amichevoli, cordiali, collaboranti e riconoscenti nei loro confronti, e tali atteggiamenti, uniti ad ansia e insistenza, incoraggiano i medici a eseguire gli accertamenti senza poter immaginare di avere di fronte madri che maltrattano i loro bambini.

I padri sono solitamente descritti come persone deboli e passive, poco interessati alla famiglia, assenti fisicamente ed emotivamente, distanti e negligenti. Il loro non intervento nel prevenire l'abuso da parte dell'altro genitore sembra incoraggiare le azioni pericolose di abuso da parte della madre ai danni del bambino.

Libow e Schreirer distinguono in decrescente gravità:

  • induttore attivo (Active Inducer) che procura una qualche malattia al bambino con la somministrazione di sostanze o comunque mettendo in atto un comportamento attivamente maltrattante;
  • medico-dipendente( Doctor Addict) e cercatore d'aiuto(Help Seeker) i quali propongono al medico un sintomo fisico del bambino che a un più attento esame si rivelerà un pretesto inconsapevole o meno per coprire una propria sofferenza psichica, un appiglio per chiedere aiuto per sé (fenomeno già osservato e descritto nel 1950 da Balint). Vi sono casi di madri che cominciano simulando ma poi diventano degli induttori attivi.

Il DSM-5 parla di Disturbo fittizio provocato ad altri, nella categoria Disturbo da sintomi somatici e disturbi correlati, i cui criteri diagnostici sono caratterizzati dalla falsificazione di segni o sintomi fisici o psicologici, o induzione di un infortunio o di una malattia in un altro individuo, associato a un inganno accertato. La vittima viene presentata dall'individuo come malata, menomata o ferita. Il comportamento ingannevole è palese anche in assenza di evidenti vantaggi e non è meglio spiegato da un altro disturbo mentale, come il disturbo delirante o un altro disturbo psicotico.

Il DSM 5 afferma, inoltre, che la presenza del disturbo è di circa l'1% in ambito ospedaliero e che l'esordio avviene nella prima età adulta, solitamente dopo il ricovero di un figlio, e come esempi descrive lo sviluppo di falsi sintomi neurologici, l'alterazione dei test di laboratorio, la falsificazione di cartelle cliniche e l'assunzione di sostanze utili a simulare una malattia (come insulina e warfarin), con un netto miglioramento del quadro clinico nel momento in cui il bambino viene allontanato dal genitore abusante.

Le caratteristiche della vittima possono essere le più varie e non sembra esistere un fattore predisponente alla sindrome di Munchausen per procura, a parte la condizione di figlio, anche adottivo, e la giovane età dello stesso. Si tratta di maschi o femmine, dai pochi giorni di vita fino all'adolescenza.

La Sindrome di Munchausen per procura può essere considerata a tutti gli effetti una vera e propria forma di maltrattamento, in quanto sembrerebbe nascere dal bisogno di utilizzare l'altro per compiacere i propri bisogni emozionali.

Nel nostro paese la percentuale è di 2,2 casi su 100.000, e quindi sono circa 1.500 le persone che soffrono di questa patologia e che creano volutamente una o più patologie nei loro bambini. Nonostante si tratti di una patologia ampiamente riconosciuta dalla comunità scientifica, in alcuni paesi, come l'Italia, rappresenta un fenomeno ancora troppo sottostimato e infatti in molti casi possono trascorrere anni prima di riconoscere la presenza del disturbo, con inevitabili conseguenze sulla salute del bambino.

I sintomi principali

I sintomi più frequentemente segnalati sono:

manifestazioni respiratorie: apnea e soffocamento premeditato, asma e displasia broncopolmonare, fibrosi cistica, emorragia delle vie respiratorie superiori, dolore al torace.

Manifestazioni gastrointestinali: vomito indotto, emorragia gastrointestinale, diarrea cronica.

Manifestazioni ematiche: emorragia artificiale (simulata o reale).

Infezione e febbre.

Manifestazioni dermatologiche: ecchimosi, eritema e vesciche da ustione, graffi, lacerazioni, punture e colorazioni.

Manifestazioni allergiche: allergia alimentare.

Manifestazioni renali:ematuria, proteinuria, batteriuria, calcoli, disturbi renali tubolari, insufficienza renale.

Manifestazioni otorinolaringoiatriche: problemi alle orecchie, problemi a bocca e gola.

Manifestazioni otorinolaringoiatriche: crisi convulsive, disturbi della coscienza, apnea ed eventi apparenti pericolosi per la vita, atassia, sincope e vertigini, tremore, disturbi del movimento, vomito ciclico, sindromi emicraniche, nistagmo, ipotonia.

Disturbi dello sviluppo e deficienza nella crescita.

Le patologie simulatepiù frequentemente sono:

  • emorragie (epistassi, emottisi, ematuria) per aggiunta di sangue al campione biologico da esaminare;
  • disturbi del comportamento o delle funzioni neurosensoriali (alterazioni dell'attenzione, comportamento ipercinetico, dislessia);
  • disturbi funzionali del tipo della cefalea o emicrania.

Ricorrono spesso le intossicazioni utilizzando sostanze quali ipecacuana, cloruro di sodio, acqua, lattulosio, barbiturici, fentoina, prometazina, amitriptilina, imipramina, lorazepam, diazepan, aspirina, fenotiazina, arsenico, ecc.

L'esteso utilizzo di farmaci quali le benzodiazepine fa pensare al loro uso, per problemi di effettiva patologia, da parte di qualche soggetto della famiglia.

Se gravi possono essere le conseguenze fisiche sul bambino in seguito ad accertamenti, cure ed interventi, sicuramente non si possono trascurare le conseguenze psicologiche di questa particolare forma di maltrattamento.

La sindrome di Munchausen per procura è, secondo gli autori che di essa si sono occupati, una patologia tipica delle madri che però si presentano diverse dalla classica figura della “madre maltrattante”. Esse appaiono infatti sollecite, premurose, ansiose per la salute del loro bambino.

Rosen et al. parlano di comportamento esemplare, di madri definite dai mariti come estremamente devote ai figli.

Meadow segnala le analogie delle personalità di queste madri: sono persone piacevoli, collaboranti che apprezzano l'opera dei medici e li incoraggiano a eseguire il maggior numero di accertamenti.

Anche Waring parla di madri ansiose, sollecite, insistenti che finiscono per essere manipolatorie nei confronti dei medici. McGuire e Feldam descrivono una delle madri da loro studiata come «costantemente presente, attenta nel prendersi cura della figlia, amichevole e cordiale con il personale infermieristico».

La letteratura è sostanzialmente unanime nel negare che queste madri siano affette da grave patologia psichiatrica, mentre più spesso sono portatrici di un disturbo di personalità (borderline, istrionico, paranoide). Nei casi in cui la struttura di personalità vira verso la paranoia, la madre si convince che il figlio sia malato, e per avvalorare la propria tesi non esita a falsificare le cartelle cliniche o a inventare sintomi fittizi come reazioni allergiche o convulsioni.

Nel campione di Meadow troviamo due madri definite “bugiarde compulsive”, due affette da disturbo fittizio, una madre con precedenti di autolesionismo ed abuso di sostanze ed è stata persino ipotizzata la presenza in alcune di esse della c.d. doppia personalità (disturbo dissociativo dell'identità).

Le madri del campione studiato da Alexander et al. invece erano portatrici di gravi quadri psichiatrici quali ad esempio la depressione in alcuni casi con ricoveri e ripetuti tentativi di suicidio. Davis nel 1987 elenca quelle che possono essere considerate le caratteristiche salienti del genitore con MBP: tendenza a drammatizzare, desiderio di attirare costantemente l'attenzione su di sé, desiderio intenso di emozioni, reazioni smisurate ed eccessive verso eventi minori, limitate relazioni interpersonali, frequenti cambiamenti d'umore, difficoltà nel gestire la rabbia, poco interesse per gli altri e molto verso di sé, un passato di minacce o gesti suicidi manipolativi, malattie artificiali, difficoltà coniugali o problemi economici.

Un altro dato ricorrente in queste madri è l'ombra di maltrattamenti o abusi subiti durante l'infanzia all'interno o all'esterno della famiglia.

Merzagora afferma rispetto a ciò che: «è la vecchia storia della violenza che genera violenza». Meadow afferma che il 70% delle madri del suo campione sono state vittime di abuso o trascuratezza, associato a violenza fisica o sessuale nell'infanzia. Schreirer e Libow ci dicono invece che, sulla base della loro esperienza con questi pazienti, un elevato numero di queste donne si è sentita abbandonata oppure non accettata dai genitori, in modo particolare dal padre.

Buzzi e Bortolotti Carraro parlano del chemical abuse inteso come la somministrazione al bambino di sostanze chimiche e farmacologiche, tenendolo distinto dalla MBP che ricorrerebbe solo nel caso in cui l'adulto attribuisce sintomi inesistenti al bambino ad esempio introducendo sostanze nelle urine.

Quali possono essere i danni causati dalla sindrome di Munchausen per procura?

Sicuramente i danni derivano dalle azioni della madre e dalla patologia che colpisce il bambino in seguito ad esse. Gli atti della madre non solo solamente quelli che commette ma vi sono anche atti omissivi, in quanto il tempo che di norma una madre dedica alla crescita del proprio figlio, nel caso in questione è utilizzato al fine di danneggiarlo. Solitamente si tratta di bambini che soffrono di una malattia cronica come asma o allergie cui non vengono somministrate medicine o cure necessarie per la sua malattia. In questi casi «la MBP viene perpetrata non attraverso la contraffazione di una patologia ma attraverso la finta osservanza del trattamento». La gravità della MBP dipende dal danno inferto al bambino, la patologia indotta è sicuramente più grave rispetto a quella simulata ma tuttavia anche quest'ultima può avere gravi conseguenze. La sofferenza e la paura patite dal bambino che ad esempio viene costantemente sottoposto ad esami anche molto invasivi, sono già una forma di danno. Questi bambini a volte vengono sottoposti ad operazioni chirurgiche non necessarie che possono anche causarne il decesso.

Un aggettivo spesso usato per definire la MBP è subdola, proprio per mettere in luce l'estrema difficoltà che si incontra nel riconoscerla e diagnosticarla.

Se è già difficile poter ammettere anche a se stessi che una mamma faccia del male al proprio figlio, ancor più difficile è accettare che a fare ciò sia una madre apparentemente tanto premurosa ed amorevole nei confronti del figlio. Vi sono, secondo gli autori che hanno studiato tale fenomeno, alcuni importanti indici che possono far sospettare la presenza della MBP. Il dubbio dovrebbe nascere in presenza dei seguenti fattori:

  • sintomi strani e bizzarri che non sono propri di alcuna malattia conosciuta o che sono incongrui a quadri patologici conosciuti;
  • il trattamento risulta inefficace;
  • i sintomi compaiono solo nei momenti in cui il bambino si trova solo con la madre o il genitore autore di MBP;
  • il genitore dimostra di possedere conoscenze di medicina o comunque la esibisce;
  • il genitore appare troppo controllato di fronte ad una situazione grave per il bambino;
  • il genitore dà troppa confidenza allo staff medico ed infermieristico;
  • il figlio non è mai lasciato solo dal genitore durante la degenza;
  • sono presenti casi strani di malattie o morti sospette all'interno del nucleo familiare.

Quando il bambino è ricoverato, è più semplice tenere la situazione sotto controllo prestando attenzione ad esempio a che la madre non alteri i dati, le cartelle o i liquidi biologici da analizzare. Molte volte si ricorre alla ripresa video per cogliere sul fatto le sollecite madri.

La strategia difensiva migliore è quella di impedire ai genitori da fare visita al bambino, per vedere se i sintomi si manifestano comunque. Di fronte alla conferma del sospetto di MBP richiede particolare sensibilità ed è cosa assai ardua far prendere coscienza di ciò alla madre.

Il comportamento di queste madri è infatti variabile da una situazione all'altra: alcune messe alle strette ammettono mentre altre al contrario continuano a negare anche di fronte a schiaccianti accuse. In alcuni casi la scoperta ha portato le colpevoli a tentativi di suicidio, ecco perché sarebbe importante in questi casi fornire alle madri un sostegno psicologico per permettere loro di sopportare il peso della gravosa situazione.

Così come accade spesso nei casi di figlicidio, anche per la MBP, secondo Levin e Sheridan, esiste una curiosa, ma forse preoccupante, differenza di trattamento tra autori femmine ed autori maschi da parte della Polizia e dei Tribunali.

Il padre, se pur meno rappresentato nel campione di 300 casi considerati dagli autori (5%), sembra essere considerato un criminale pericoloso per la società, “come se potesse distruggere il vicinato ammazzando i bambini”. I padri devono scontare spesso lunghe pene detentive, mentre le madri raramente vengono portate in giudizio o condannate a pene severe.

Sono documentati anche casi di MBP multipla, che coinvolge più bambini, che può anche sfociare nel caso estremo del serial killing (uccisioni a catena) come nella storia di Paola esposta infra (v. report case). Altro esempio giunge dall'America dove, nel 1993, un'infermiera di 24 anni fu condannata perché colpevole di avere causato la morte di 4 bambini della stessa unità pediatrica, di aver tentato di uccidere altri 3 bambini e feriti 6. La stessa autrice era affetta da MS.

Secondo Alexander ed i suoi collaboratori, circa nel 30% dei casi di MBP sono coinvolti anche i fratelli o le sorelle della vittima ed è altamente probabile che anche la madre stessa abbia la MS. Nei casi di MBP multipla è molto importante sottoporre queste donne a cure psichiatriche repentine e mirate in quanto sembra essere molto alto il rischio di suicidio.

Report case. L'importanza dell'individuazione delle cause

La storia di Paola. Paola è accusata di avere ucciso i suoi due bambini, avere tentato di uccidere il marito e di avere provocato alla figlia ultimogenita lesioni gravi. La triste vicenda inizia con il ricovero di Andrea, 3 anni secondogenito di Paola, che presenta un quadro clinico ambiguo, al momento interpretato dai medici come dovuto a cause naturali ma poi successivamente attribuito a intossicazione da barbiturici (compresse di Gardenale prescritte dal medico ad Andrea da quando aveva 3 anni perché epilettico, ma somministrate dalla madre in dosi massicce quindi tossiche).

La sintomatologia si risolve in pochi giorni, Andrea viene dimesso ma nuovamente ricoverato dopo soli 20 giorni, nello stesso ospedale e con la medesima sintomatologia soporosa anche questa volta attribuita ad avvelenamento da barbiturici e risolta in pochi giorni.

Il terzo episodio di malore con conseguente ricovero non si fa attendere, 10 giorni dopo la seconda dimissione Andrea rientra in ospedale ma questa volta sarà l'ultima perché il bambino muore dopo soli due giorni. La morte non è dovuta, come credevano i medici, in un primo momento, a encefalite acuta bensì ad avvelenamento da barbiturici. Dopo 3 giorni dalla morte di Andrea, Bruno, primogenito di 5 anni che qualche mese prima della morte del fratello era ospite di un istituto, viene colto da un malore improvviso dopo aver bevuto una bevanda offertagli dalla madre durante una visita, bevanda che, come si stabilì in seguito, conteneva barbiturici. Bruno si riprende in breve tempo ma dopo soli due giorni si sente ancora male sempre in concomitanza con la visita della madre. Ricoverato il bambino muore il giorno stesso.

Anche la morte di Bruno, attribuita in un primo momento dai medici a cause naturali, viene in seguito attribuita dalla perizia medico-legale alla somministrazione di Gardenale, farmaco derivato dall'acido barbiturico, posseduto dalla madre per ragioni di cura del piccolo Andrea deceduto in precedenza. Dopo circa 10 giorni dalla morte di Bruno, viene ricoverato il marito di Paola presentando una sintomatologia di tipo comatoso attribuita dai medici, vista la pseudo-epidemia familiare, a sospetta infezione cerebro-virale. L'uomo si riprende dal malore in breve tempo ma viene comunque trattenuto prudenzialmente in ospedale per un mese. Dopo la dimissione rimane a casa solo cinque giorni dopo di che viene nuovamente ricoverato per un malore. Non essendo più possibile sospettare l'eziologia virale del male, perché escluso dagli esami fatti durante il ricovero precedente, viene richiesta una indagine tossicologica che rileva la presenza di barbiturici e più specificatamente del solito Gardenale. Passano due anni di tranquillità forse solo “apparente”, durante i quali nasce Carla, la figlia femmina della coppia che appena compiuto l'anno d'età viene ricoverata presso una clinica dermatologica ove i medici le diagnosticano una dermatite bollosa, ritenuta di natura esogena cioè provocata mediante l'applicazione di un mezzo lesivo comunque non identificato. Il referto viene inviato dai sanitari all'Autorità Giudiziaria che dispone perizia medico-legale al fine di valutare le lesioni della piccola Carla.

I periti segnalano il ricorso di numerosi episodi di dermatite di ugual natura verificatosi in precedenza non solo a Carla ma anche ai fratellini defunti. L'ipotesi della causa naturale viene subito esclusa e l'evento attribuito a causa esterna, verosimilmente calore, ma forse anche agenti chimici, fisici o attinici. Le manifestazioni cutanee si accompagnavano anche ad episodi di otorragia anch'essi difficilmente inquadrabili in ipotesi di eziologia naturale.

Ma chi è Paola e qual è la sua storia? Ha 30 anni, proviene da una famiglia che lei stessa definisce «coesa […] un ambiente normalmente sano» dove riceve affetto e che non le fa mancare nulla neanche dal punto di vista materiale. Frequenta la scuola elementare non distinguendosi per il profitto ma senza disturbi della condotta o problemi relazionali. Inizia a collaborare in famiglia nei lavori domestici, lavora come cameriera nella trattoria dei genitori, come apprendista sarta e infine lavora stabilmente come operaia presso una fabbrica del suo paese. A 21 anni si sposa con un uomo di 25 anni e cessa di lavorare per dedicarsi alla famiglia ma fin da subito iniziano i problemi perché Paola si rende conto che il marito è impotente. Dopo un periodo di separazione consigliato dal medico, la coppia si riunisce, «mio marito si sbloccò», commenta, e il problema scompare.

Le disgrazie di Paola cominciano però con le gravidanze e con la nascita dei figli: due anni dopo il matrimonio ha il primo figlio, morto poche ore dopo il parto che avvenne come tutti i successivi con parto cesareo. La seconda gravidanza si interrompe abortivamente nei primi mesi.

Dopo circa un anno rimane nuovamente incinta e dà alla luce Bruno, bambino “gracile” e fin dai primi mesi di vita sempre malato e spesso ricoverato (quando muore, a 5 anni, pesa Kg.7 e a causa del ritardato sviluppo psico-fisico riesce a pronunciare solo poche parole).

A partire dai 5 mesi in poi iniziano a comparire quelle forme cutanee bollose che si manifestavano, come del resto per gli altri bambini, solo quando il piccolo era a casa e scomparivano quando era in ospedale. Le “eruzioni” cutanee erano sempre precedute da fuoriuscita di sangue da un orecchio e quindi da fuoriuscita di pus. Quando Bruno compie due anni nasce il fratellino Andrea, anche lui in seguito a una gravidanza poco felice. Anche questo bambino dall'età di 8 mesi inizia a presentare quelle forme misteriose che iniziano con il sangue all'orecchio e quindi con le bolle cutanee nelle stesse sedi in cui le aveva il fratello: alle regioni oculari, al naso, alla bocca e ai genitali. Anche per Andrea vi fu una serie ininterrotta di ricoveri ospedalieri, l'ultimo dei quali si conclude con la morte del bambino. Ad un anno di distanza dalla duplice morte dei due figli e dalla “malattia” del marito Paola partorisce Carla ed anch'essa, dal secondo mese di vita, inizia a manifestare la stessa sintomatologia presentata dai fratellini defunti. Viene più volte ricoverata e, come accadeva con i fratelli precedentemente, le bolle e l'otorragia compaiono quando la bambina è in casa, recedono rapidamente in ospedale e ricompaiono quando ritorna in famiglia. Paola racconta di avere avuto lei stessa un passato costellato da molti guai con la salute, fin da bambina affronta molte operazioni chirurgiche (tonsillectomia, polipi nasali, calcoli alla colecisti, varici e cisti mammarie) e frequenti episodi di allergia cutanea con macchie che le comparivano sul volto.

Paola è stata sottoposta a perizia psichiatrica dalla quale emerge il seguente profilo psicologico: spicca una certa fragilità dell'Io unita ad una organizzazione povera dei processi cognitivi, entrambe espressione della modesta debilità intellettiva (Q.I. 79), mentre sul piano emotivo Paola presenta, secondo i periti, incapacità di empatizzare con l'altro, una vita affettiva povera, meccanismi di identificazione con il prossimo e freddezza dei sentimenti.

I periti parlano di un'affettività connotata in senso schizotimico che spiegherebbe la povertà delle reazioni emotive di Paola durante i colloqui, l'atteggiamento freddo, il torpore e la freddezza dei sentimenti. In sostanza sia dal colloquio che dall'esame psicodiagnostico non sono emerse grossolane patologie psichiatriche in grado di scemare grandemente oppure escludere la capacità di intendere e di volere di Paola che, secondo i periti era al momento dei fatti pienamente capace e non è da ritenersi, sotto il profilo psicopatologico, persona socialmente pericolosa. Paola non esprime nessun tipo di ribellione nei confronti della condanna, sembra aderire pienamente alle dinamiche istituzionali e si comporta in carcere come se dovesse viverci sempre, conferendo assoluta importanza alle piccole vicende della vita penitenziaria nella quale sembra essersi completamente calata.

Criticità

Concludendo sembra di poter affermare l'importanza di affrontare la MBP, sindrome che devasta il bambino e la sua famiglia, attraverso un approccio “di squadra”, in cui si combinano molte abilità per formare una rete di sicurezza multiprofessionale che protegge la designata vittima

Da quanto sopra descritto appare evidente la necessità di una particolare attenzione da parte degli operatori sanitari nei casi in cui, in particolare un minore, risulti affetto da strane ed incongrue patologie, valutando quindi con attenzione anche il quadro familiare, le dinamiche interne ad esso e quelle intervenienti nel momento in cui il contesto si allarga a quello medico-ospedaliero.

Come evidenziato anche storicamente, la difficoltà di far emergere tale modalità di maltrattamento risulta essere correlata alla difficoltà dell'operatore nel “vedere” nei comportamenti apparentemente di cura e sollecitudine di una madre la possibilità di manipolare tali terapie al fine di danneggiare il bambino sino persino alla morte. La possibilità inoltre che il genitore possa facilmente approfittarsi dell'organizzazione di specialisti e ospedali, decentrando gli interventi e coinvolgendo più professionisti contemporaneamente in modo dispersivo, sfruttando spesso le difficoltà degli stessi di informarsi e coordinarsi tra loro in modo proficuo, appare essere un ulteriore fattore negativo nel far emergere il quadro effettivo della situazione.

Infine, forse il fattore più importante, l'apparente normalità del genitore (della madre), la sua capacità di manipolare l'empatia degli operatori ricercandone il supporto, l'idea di base che una madre maltrattante abbia delle connotazioni legate più ad aspetti di violenza o di incuria che non di ipercura, crea abilmente quel “velo” che non permette di vedere in modo critico e oggettivo le modalità di relazione tra genitore (madre)-figlio.

Guida all'approfondimento

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