Secondo la Corte di appello dell'Aquila il cram-down fiscale non è applicabile al concordato fallimentare

12 Luglio 2022

La Corte d'Appello dell'Aquila afferma che Il cram down fiscale-contributivo non è applicabile in via analogica al concordato fallimentare in quanto le norme che disciplinano tale procedimento non lasciano vuoti normativi tali da rendere necessaria un'estensione di disposizioni pensate dal legislatore per procedure concorsuali aventi presupposti diversi, dalla natura eminentemente ristrutturatoria.
La massima

Il cram down fiscale-contributivo ex artt. 180, comma 4, e 182-bis, comma 4, l. fall. non è applicabile in via analogica al concordato fallimentare in quanto le norme che disciplinano tale procedimento non lasciano vuoti normativi tali da rendere necessaria un'estensione di disposizioni pensate dal legislatore per procedure concorsuali aventi presupposti diversi, dalla natura eminentemente ristrutturatoria.

Il caso

Il Tribunale di Teramo omologava una proposta di concordato fallimentare previa conversione in adesione del (determinante) voto contrario espresso dall'Amministrazione finanziaria, ritenendo applicabile al concordato fallimentare le norme sul cram down fiscale-contributivo previste per il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti.

L'ente erariale proponeva reclamo avverso il decreto di omologazione del concordato fallimentare avanti alla Corte di Appello dell'Aquila, ex art. 131 l. fall., contestando l'applicabilità a tale procedimento delle norme sulla ristrutturazione “forzosa” dei crediti fiscali-contributivi previste dagli artt. 180, comma 4, e 182-bis, comma 4, l. fall., come modificati dal D.L. n. 125/2020.

Secondo l'ufficio reclamante, con riferimento al concordato fallimentare esiste già, in base al vigente diritto positivo, un rimedio finalizzato a superare i possibili ritardi da parte dell'ente pubblico nell'esprimere il proprio parere circa il merito della proposta concordataria.

Si tratta della disposizione prevista dall'art. 128, comma 2, l. fall.: la mancanza dell'espressione di voto da parte del creditore - chiunque esso sia - comporta, per l'effetto, l'accettazione della proposta di concordato fallimentare (cd. silenzio-assenso).

La ratio sottesa alla novella legislativa che ha introdotto il cram down fiscale-contributivo (evitare che l'ente pubblico non si esprima sulla proposta di trattamento o lo faccia con immotivato ritardo) sarebbe dunque già “tutelata” dal vigente ordinamento giuridico.

Ne consegue, secondo la tesi erariale, che non vi sarebbe necessità di applicare in via interpretativa disposizioni di legge pensate nella prospettiva di procedure concorsuali diverse, aventi cioè natura eminentemente “ristrutturatoria”, siccome finalizzate “alla tempestiva gestione della crisi d'impresa, nell'ottica di favorire la conservazione dei presidi produttivi e la salvaguardia dei livelli occupazionali, finalità non più conseguibili nel concordato fallimentare”.

Le questioni giuridiche

La Corte di Appello dell'Aquila, nel riformare il decreto di omologazione emesso dal Tribunale di Teramo, ha accolto il reclamo proposto dall'Amministrazione finanziaria.

I giudici di seconde cure hanno rilevato, in primo luogo, come nel contesto del concordato fallimentare non siano ravvisabili vuoti normativi tali da legittimare un'applicazione analogica di norme dettate con riferimento a procedure fondate su presupposti diversi, in un'ottica di continuità aziendale e di conservazione dei valori di funzionamento.

La Corte abruzzese ha quindi sottolineato come il procedimento di concordato fallimentare sia definito e regolato, sotto il profilo normativo, in modo autonomo e compiuto dalle disposizioni previste dall'art. 128 l. fall.

Il primo comma di tale norma dispone che il concordato fallimentare è approvato dai creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti ammessi al voto; in presenza di più classi di creditori, la proposta di concordato è approvata ove vi sia la maggioranza nel maggior numero di classi.

Il secondo comma del citato art. 128 l. fall. prevede che per i creditori che non facciano pervenire il proprio dissenso in ordine alla proposta concordataria nel termine assegnato dal GD, si assume che gli stessi acconsentano all'approvazione del concordato fallimentare.

Tale norma, nel sancire la regola del cd. silenzio-assenso - valevole peraltro per tutti i creditori - si pone in contrasto con le norme sul cram down fiscale-contributivo, esse presupponendo il mancato esercizio del voto da parte dell'ente pubblico.

Secondo la Corte, le disposizioni sul cram down in ambito di concordato preventivo e di ADR sono infatti applicabili al solo caso in cui l'ente pubblico non manifesti alcun intendimento sulla proposta formulata dal debitore, e non anche in caso di diniego espresso (tesi restrittiva della “mancanza di voto”).

La Corte di Appello dell'Aquila ha infine condiviso la tesi erariale secondo cui le norme sulla transazione fiscale ex art. 180-ter l. fall., nel cui ambito si innestano le disposizioni sul cram down fiscale-contributivo, hanno una valenza autonoma, siccome “speciale”, in funzione delle finalità ristrutturatorie del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, attesa la strumentalità di tali ultime procedure rispetto alla soluzione delle varie situazioni di crisi aziendale, prima che l'autorità giudiziaria accerti lo stato d'insolvenza dell'imprenditore, dichiarandone il fallimento.

Osservazioni ed approfondimenti

Come rilevato dalla Corte di Appello dell'Aquila, non esiste alcuna disposizione di legge che preveda l'applicazione al concordato fallimentare della transazione fiscale-contributiva.

Le norme previste dall'art. 182-ter l. fall. fanno infatti riferimento alle sole procedure di concordato preventivo e di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis l. fall.

Sotto un profilo generale, nell'ambito del concordato fallimentare il debitore può proporre pagamenti falcidiati ai creditori privilegiati, nei termini fissati dall'art. 124, comma 3, l. fall.

Secondo tale norma, la proposta può prevedere il soddisfacimento parziale dei creditori privilegiati purché il relativo trattamento non sia peggiorativo rispetto a quanto realizzabile in sede di liquidazione degli assets su cui sussista la prelazione, previa attestazione dell'esperto.

Quanto sopra, sempreché il trattamento proposto a ciascuna classe di creditori privilegiati non determini l'effetto di alterare l'ordine delle cause di prelazione previsto dalla legge.

Nello stesso tempo, nel contesto del concordato fallimentare non vi è alcuna norma che sancisca un divieto generalizzato di pagamento falcidiato dei crediti privilegiati di titolarità dell'ente fiscale e/o contributivo.

Anche per tali crediti è pertanto applicabile - quantomeno - la norma generale prevista dal ricordato art. 124, comma 3, l. fall. (falcidiabilità dei crediti privilegiati).

D'altra parte, ritenere che sussista un divieto di falcidia dei crediti fiscali-contributivi contrasterebbe con il ricordato precetto di non alterazione delle legittime cause di prelazione, ponendosi in contrasto con la consolidata giurisprudenza nazionale e comunitaria.

Si pone, allora, la domanda se la falcidia dei crediti fiscali-contributivi nel concordato fallimentare possa operare in forma “libera”, al di fuori, cioè, dell'istituto della transazione fiscale, ovvero in modo sostanziale e rigoroso, secondo quanto previsto dall'art. 182-ter l. fall.

Chi scrive ritiene che la falcidia dei crediti privilegiati di titolarità degli enti pubblici debba seguire, anche in sede di concordato fallimentare, le regole che disciplinano la proposta di trattamento ex art. 182-ter l. fall.

Tale norma è posta a tutela del creditore pubblico, prevedendo, fra l'altro, per la parte del credito avente natura chirografaria, che il trattamento non possa essere diverso rispetto a quello proposto agli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di formazione di classi, a coloro nei cui confronti sia previsto un trattamento più favorevole.

In modo coerente, l'art. 182-ter, comma 1, ultimo periodo, l. fall. prevede che la parte del credito privilegiato soggetto a falcidia sia inserita in un'apposita classe chirografaria, la quale non può ricevere trattamenti deteriori rispetto al trattamento proposto alle altre classi di chirografari.

Il legislatore, con la transazione fiscale-contributiva, ha inteso regolare la posizione degli enti “istituzionali” chiamandoli ad esprimersi, all'interno di un set di norme conformato all'interesse pubblicistico, secondo criteri correlati a strette valutazioni di natura tecnica in ordine ai profili di convenienza della proposta “transattiva”.

Per tale motivo, si ritiene che il trattamento dei crediti tributari-contributivi dovrebbe seguire, anche nel contesto del concordato fallimentare, le previsioni di cui all'art. 182-ter l. fall.

Non pare invero ostativo a tale soluzione - e, dunque, alla possibilità di applicare il cram-down al concordato fallimentare - la circostanza che le norme previste dall'art. 124 e ss. l.fall. non richiamino l'art. 182-ter l. fall.

La ratio dell'intervento che ha introdotto il cram down fiscale-contributivo (D.L. n. 125/2020), peraltro anticipando quanto previsto sul tema dal Codice della crisi, ha portata generale e strutturale, mirando ad evitare non solo che l'ente pubblico ometta di esprimersi sulla proposta di trattamento, ma anche che lo stesso si esprima in senso contrario alla medesima, per quanto conveniente.

D'altra parte, le nuove disposizioni prevedono, con riferimento al sovraindebitamento (D.L. n. 137/2020), che l'autorità giudiziaria possa applicare il cram down fiscale-contributivo pur vigendo - come nel caso del concordato fallimentare - il meccanismo del silenzio-assenso ai fini della formazione del consenso (aspetto tecnico e non sostanziale).

Si veda, al riguardo, l'art. 11, comma 1, ultimo periodo, L. n. 3/2012: in mancanza della dichiarazione di voto da parte del creditore, lo stesso si assume che abbia prestato il proprio consenso alla proposta di composizione della crisi.

Sotto questo profilo, pertanto, la differenza sottolineata dalla Corte di Appello dell'Aquila tra la disciplina del voto nel concordato fallimentare e la disciplina del voto nel concordato preventivo, pare assumere una rilevanza invero non decisiva.

Oltretutto, non sarebbe condivisibile l'assunto secondo il quale le disposizioni sul cram down fiscale-contributivo operino solo con riferimento al caso in cui l'ente pubblico non manifesti alcun intendimento sulla proposta di trattamento, e non anche in caso di diniego espresso.

Se, infatti, nel sovraindebitamento il silenzio del creditore (mancanza di voto) equivale, ope legis,ad accettazione della proposta, un'interpretazione che circoscrivesse l'ambito di applicazione del cram down alla sola “mancanza di voto” di fatto finirebbe con il rendere inutile la norma stessa.

Sotto altro, conclusivo profilo, un differente trattamento dei crediti pubblici nel concordato fallimentare rispetto al concordato preventivo non pare poter essere giustificato dal fatto che solo quest'ultima procedura sarebbe funzionale al mantenimento degli assetti produttivi, dato che, da un lato, il cram down fiscale-contributivo opera anche in caso di concordato preventivo liquidatorio, dall'altro, il concordato fallimentare ben può soddisfare finalità tanto ristrutturatorie, quanto di conservazione dei valori d'impresa, quando in particolare intervenga previo autorizzato esercizio provvisorio ovvero affitto aziendale.