La Consulta segna un punto di non ritorno: l'adozione in casi particolari assume effetti legittimanti

Margherita Tudisco
13 Luglio 2022

Con la sentenza n. 79/2022 la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 55, l. legge 4 maggio 1983 n. 184 nella parte in cui, mediante rinvio all'art. 300, comma 2, c.c., prevede che l'adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l'adottato e i parenti dell'adottante. La decisione della Corte costituzionale, da tempo attesa, estende gli effetti legittimanti anche all'adozione in casi particolari, eliminando in tal modo il trattamento discriminatorio dei minori adottati ex art. 44 l. 184/1983, in ossequio al principio di unicità dello status di figlio, di cui all'art. 315 c.c., così come riformato nel 2012. Questa decisione, invero, si pone nel solco di un dibattito giurisprudenziale in cui alcuni Tribunali di merito, rilevando come la tutela del minore adottato ex art. 44 l. adoz. non fosse soddisfacente, per supplire a tale carenza, avevano tentato delle interpretazioni innovative, in linea con l'intero assetto ordinamentale.
Inquadramento

La legge n. 184/83 prevede due tipi di adozione: quella legittimante, per così dire classica, volta a dare una famiglia ad un minore che ne è sprovvisto (artt. 1- 43), e quella in casi particolari che, a contrario, non presuppone lo stato di abbandono del minore (artt. 44 - 57).

L'adozione piena esige, ai fini del suo accoglimento, un procedimento complesso, giustificato sulla base della creazione ex novo di realtà familiari riparative per un bambino o una bambina abbandonati, fondato sulla ricerca e la selezione di una coppia, rigorosamente coniugata, che, all'esito di un lungo iter, venga dichiarata dal Tribunale idonea all'adozione.

L'adozione in casi particolari, invece, seppur disposta esclusivamente nei casi tassativamente previsti dal legislatore, pretende, requisiti meno rigidi e un procedimento più snello in quanto non sostituisce nuovi legami familiari a quelli preesistenti. Quest'ultima, infatti, costitutiva di un vincolo di filiazione giuridica a fronte di una domanda dell'adottante, rivolta ai sensi dell'art. 44 l. adoz. nei casi di cui alle lettere a), b), c) e d), non recide i rapporti tra l'adottato e la sua famiglia di origine, come avviene nell'adozione legittimante, bensì vi si aggiunge.

Orbene, gli effetti dell'introduzione di questa nuova figura all'interno del nucleo familiare del minore vengono disciplinati dall'art. 55 l. adoz. che rinvia ad alcune norme contenute nel codice civile in materia di adozione del maggiorenne.

Tra le disposizioni richiamate dalla summenzionata norma vi è l'art. 300, comma 2, c.c. che così prevede: “L'adozione non induce alcun rapporto civile tra l'adottante e la famiglia dell'adottato, né tra l'adottato e i parenti dell'adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge”.

La circoscrizione dei rapporti a queste due sole figure (adottato e adottante) deriva dallo scopo originario che, in passato, perseguiva l'istituto dell'adozione del maggiorenne, ossia consentire a chi non avesse avuto una discendenza legittima di tramandare il proprio nome nonché il patrimonio familiare, permettendo, al contempo, all'adottato di conservare i propri diritti e doveri verso la famiglia d'origine. L'art. 74 c.c., invero, coerentemente con l'intento del legislatore del 1983, ha espressamente previsto una deroga all'estensione della parentela per l'adottato maggiorenne.

Un segnale visibile di tale ratio è rinvenibile anche riguardo al cognome: l'art. 299 c.c. dispone, infatti, che il maggiorenne, una volta adottato, anteponga il cognome dell'adottante (considerato socialmente più importante) al proprio, esteriorizzando così l'adozione suddetta.

Il fatto che entrambi gli artt. 299 e 300 c.c. vengano richiamati dall'art. 55 della novella 184 ha contribuito a definire l'adozione in casi particolari come “adozione mite” o “adozione non legittimante” proprio per distinguerla, soprattutto in punto di effetti, da quella tradizionale (regolamentata dagli artt. 1 - 43 l. adoz.) che viene definita “legittimante” o “piena”.

Il rinvio alle norme in materia di adozione del maggiorenne, tuttavia, è risultato nel tempo anacronistico e inadeguato, soprattutto se calato nel contesto omogenitoriale ove le adozioni disposte ai sensi dell'art. 44 l. adoz., in particolare lett. d), sono le uniche finora idonee a riconoscere esistenza giuridica, seppur con una tutela minus plena, ai rapporti di filiazione all'interno di coppie same-sex.

Nel caso di un minore nato in una realtà omoaffettiva, infatti, non esiste un'altra famiglia originaria da tutelare e rispetto alla quale egli deve poter mantenere i rapporti, sicché viene completamente meno la ragione che giustificava in origine gli effetti limitati - o meglio: non legittimanti - dell'adozione ottenuta ex art. 44, così come perde di significato la disposizione in virtù della quale il cognome dell'adottante dovrebbe essere anteposto (perchè più importante) a quella dell'adottato.

Le soluzioni adottate dai Giudici prima dell'intervento della Corte costituzionale

L'evidente anacronismo di cui si è fatto cenno poc'anzi, che deriva dal rinvio alle norme in materia di adozione del maggiorenne, è stato più volte rilevato dai Giudici minorili i quali, investiti delle domande del partner di adozione del figlio biologico del proprio compagno, non potevano far altro che applicare, ben consapevoli dei suoi limiti ontologici, l'istituto di cui all'art. 44 l. 184/1983, nella previsione di cui alla lett. d).

Quindi, se è ben vero che la norma de qua permette il riconoscimento del rapporto di filiazione con il genitore sociale, avente con il minore un rapporto del tutto assimilabile a quello intrattenuto dal genitore biologico, è altrettanto indubbio e non trascurabile che tale operazione venga svolta dai giudici, mediante una lettura estensiva della lett. d) dell'art. 44 l. adoz., avvalorata dalla Suprema Corte, che, tuttavia, permane inidonea a garantire al minore una piena equiparazione rispetto alla filiazione biologica, alla luce dei limiti sopra esposti.

Infatti, è noto che l'adozione in casi particolari non induca alcun rapporto tra l'adottato e parenti dell'adottante, ivi ricomprendendosi non solo gli ascendenti ma anche e soprattutto i figli dello stesso, in quanto il legame giuridico che si crea è esclusivamente limitato al minore e al genitore sociale istante. Oltre alle evidenti discriminazioni sul piano giuridico, in quanto i figli adottati ex art. 44 si troverebbero ad avere un cognome differente rispetto agli altri figli inseriti nello stesso nucleo familiare, vi sono altresì dei problemi dal punto di vista squisitamente pratico, in merito alla disposizione che impone l'anteposizione del cognome dell'adottante (art. 299 c.c. come richiamato dall'art. 55 l. 184/83): questa operazione, per esempio, determina il cambiamento del codice fiscale dell'adottato dal momento che ad essere prese in considerazione sono le tre lettere del primo dei due cognomi. Detto mutamento procurava, evidentemente, una serie di difficoltà burocratiche che, invece, si sarebbero potute evitare derogando alla previsione normativa citata, posto che tale rigidità non appariva nemmeno più giustificata da un punto di vista sociale, ed era dunque preferibile consentire la scelta, caso per caso, sulla sequenza del nuovo cognome.

È accaduto, pertanto, che chi ricorreva a tale istituto chiedesse che il Tribunale per i minorenni, nell'accogliere la domanda ex art. 44 l. adoz., disponesse altresì che il cognome dell'adottante fosse posposto a quello del minore, in deroga alla disposizione normativa, anche al fine di salvaguardare l'identità dell'adottato, il quale si identificava già con il cognome d'origine.

Sul punto, le risposte dei giudici sono state diverse: alcuni hanno ritenuto che la domanda non rientrasse, ex art. 38 disp. att. c.c., nella loro competenza per materia, costringendo così la famiglia del minore ad adire, in seconda battuta, il Prefetto territorialmente competente allo scopo di invertire la sequenza dei due cognomi; altri hanno negato di poter assecondare l'istanza, in deroga a quanto previsto dall'art. 55 della legge adozioni; altri ancora hanno, invece, accolto la richiesta, sostenendo che il rinvio all'art. 299 c.c. fosse anacronistico e dovesse ritenersi tacitamente abrogato così assecondando la volontà dell'istante e del minore.

Quest'ultima soluzione, abbracciata da una giurisprudenza sempre più numerosa, ha contribuito affinchè qualche Tribunale per i minorenni, interpellato in materia di effetti dell'adozione in casi particolari, arrivasse, prima della Corte costituzionale, ad affermare che anche l'adozione ex art. 44 l. adoz. dovesse avere effetti legittimanti.

Il primo precedente di merito che, seppur timidamente, affronta l'argomento è stato il Tribunale per i minorenni di Genova con la sentenza del 13 giugno 2019.

Il Collegio genovese, decidendo su una stepchild adoption incrociata, in cui una donna (Tizia Rossi) aveva adottato il figlio della propria partner (Caia Bianchi) e viceversa, si è trovato ad esaminare anche un'altra domanda, ossia quella relativa alla sequenza dei cognomi dei minori adottati. Nel caso di specie, infatti, i due minori Tizietto Rossi e Caietto Bianchi, per legge, avrebbero dovuto anteporre il cognome della madre adottiva al proprio, diventando rispettivamente Tizietto Bianchi Rossi e Caietto Rossi Bianchi. Le ricorrenti, per evitare che i figli acquisissero dei cognomi in sequenza diversa tra loro, chiedevano al Tribunale che, in deroga a quanto disposto dall'art. 55 della l. adoz. laddove richiama l'art. 299 c.c., disponesse che entrambi diventassero “Rossi Bianchi”, dal momento che i due si reputavano tra loro fratelli.

Nell'accogliere la domanda sul cognome, il Tribunale per i minorenni di Genova ha motivato in questi termini “Nel caso di specie la pedissequa applicazione della norma (ossia dell'art. 55 l. 184/83) avrebbe l'effetto paradossale, ed incomprensibile per i due minori, di una pronuncia che da un lato riconosce la fratria e contestualmente li separa semanticamente con una diversa successione dei cognomi”.

Nella sentenza citata emerge, quindi, per la prima volta, il tema della fratria nonostante il limite di cui all'art. 55 l. adoz. Il Tribunale, tuttavia, non argomenta sul motivo per cui, implicitamente, ritenga che debba operare, in quel caso, l'estensione degli effetti legittimanti, semplicemente lascia intendere che non debba esserci alcun dubbio circa l'esistenza di un rapporto di parentela quanto meno tra i minori adottati, pur avendo madri diverse (senza alcun riferimento ad un eventuale identico donatore che li renda fratelli unilaterali).

Successivamente, nel luglio 2020, si è pronunciato il Tribunale per i minorenni di Bologna, con una decisione davvero coraggiosa.

Anche in questo caso si trattava di una richiesta di adozione incrociata di tre minori, di cui due gemelli, nati tutti all'estero in seguito a PMA, ove entrambe le partners chiedevano sia un riconoscimento giuridico del proprio rapporto di filiazione con la prole biologica della compagna, sia l'estensione dell'art. 74 c.c. ovvero dei rapporti giuridici con i parenti dell'adottante e, segnatamente, tra gli stessi adottati.

Il Collegio bolognese, fino a quel momento, si era rigidamente attenuto alla lettera della norma, che impediva, in questi casi, di estendere la parentela che avrebbe, se concessa, conferito effetti legittimanti all'adozione in casi particolari. Tuttavia, per quel caso sub iudice, anche alla luce della richiesta espressa delle istanti,il giudice minorile ha ritenuto opportuno operare un'interpretazione sistematica, assolutamente in linea con i principi ordinamentali nonché comunitari, riconoscendo non solo rilievo ai rapporti già instaurati con le madri sociali ma attribuendo altresì, per la prima volta, esistenza giuridica ai rapporti di parentela esistenti sul piano fattuale. Il Tribunale per i minorenni di Bologna, infatti, in una lunga motivazione che ha avuto il pregio di ricostruire l'evoluzione dell'istituto dell'adozione in casi particolari, muovendo dalla necessaria premessa dell'unicità dello stato di figlio, affermato dalla legge n. 219/2012 e d. lgs. n. 174/2013 (cd. Riforma della filiazione), ha finito per ritenere irragionevole una lettura restrittiva dell'art. 74 c.c. riconoscendo, per l'effetto, non solo il legame di fratria tra i fratelli, adottati in casi particolari, ma anche quello con i parenti delle reciproche compagne di vita, ovvero delle adottanti.

Invero, il Giudice ha rilevato come la norma de qua, dopo essere stata novellata dalla riforma sulla filiazione ad opera della l. 219/2012, ha lasciato alcune ombre sulla sua interpretazione: infatti, mentre da un lato essa dichiara di estendere la parentela, in quanto vincolo tra persone che discendono da uno stesso stipite, ai figli matrimoniali e adottivi, realizzando tra loro una piena equiparazione; dall'altro, evidenzia, all'ultimo capoverso dell'art. 74 c.c., come l'adozione del maggiorenne ne costituisca una deroga. L'Autorità giudicante, dunque, si è interrogata su quale dovesse essere il corretto inquadramento del minore adottato in casi particolari: se occorresse continuare a seguire rigidamente il dettato normativo, che impone di applicare ai casi di cui all'art. 44 l. adoz. la disciplina dell'adozione del maggiorenne con tutti i suoi limiti che derivano dalla sua ratio originaria, o se, invece, i minori nati all'interno di famiglie omogenitoriali dovessero essere parificati agli adottati in forma legittimante.

Giova evidenziare che i minori nati all'estero, attraverso il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita da parte di una coppia same-sex, non conoscono, come si è già argomentato, un nucleo familiare diverso da quello in cui sono inseriti, pertanto il Giudice non si trova, a differenza dalle adozioni in casi particolari tipizzate dalla legge e dall'adozione del maggiorenne, a dover tutelare i rapporti tra l'adottato e la propria famiglia d'origine perché in questi casi essi non preesistono. Ecco che, applicando il comma 2 dell'art. 74 c.c. si avrebbe l'effetto paradossale di lasciare un minore con una parentela claudicante, ovvero costituita dal solo ramo familiare del genitore biologico, realizzando così una tutela inferiore rispetto ai minori adottati in forma legittimante.

Alla luce di queste considerazioni, il Collegio bolognese, ha ritenuto di operare una lettura estensiva dell'art. 74 comma 1, ricomprendendo nel novero dei figli adottivianche quelli delle coppie omogenitoriali che ricorrono, necessariamente, all'adozione in casi particolari, ritenendo che “la l. 219/2012 abbia operato un'abrogazione tacita dell'art. 55 della legge n. 184/1983 nella parte in cui richiama l'art. 300, comma 2, c.c., ultimo periodo, soprattutto per ragioni di ordine sistematico e di armonia formale”.

In questo modo, superando l'apparente ed ingiustificata preclusione normativa, è stato applicato l'art. 74 c.c., in combinato disposto con gli artt. 38 disp. att. c.c. e 277 c.c., che consentono di adottare misure consequenziali alla pronuncia dichiarativa del rapporto di filiazione, creando il legame di fratria tra minori che giuridicamente sarebbero stati tra loro estranei pur percependosi, di fatto, fratelli vivendo da sempre nella stessa realtà familiare e non conoscendone una diversa.

Nel solco di tale rinnovamento, si è inserito il Tribunale per i minorenni di Venezia con la sentenza 130/2020 che, oltre a costituire il legame di filiazione adottiva, accogliendo l'istanza ex art. 44 lett. d) anche in punto di posposizione del cognome, ha statuito altresì sulla richiesta di estensione dell'art. 74 c.c., in particolare tra l'adottato e il fratello, già adottato dalla compagna.

Il Collegio, tuttavia, pur giungendo alla medesima conclusione del Tribunale bolognese, vi arriva mediante un iter giuridico differente e degno di nota: infatti, pur condividendo il punto di partenza dato dall'abrogazione tacita dell'art. 55 l. adoz. ad opera della nuova formulazione dell'art. 74 c.c., ritiene non necessario il rinvio all'art. 277 c.c. in quanto la costituzione dei legami di parentela latamente intesi, discende automaticamente, ad avviso dei giudici di Venezia, da una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 44 l. adoz.

Inoltre, richiamando il significato di parentela quale discendenza da uno stesso stipite, i giudici minorili hanno concluso che l'adottato e i figli dell'adottante, in quanto aventi un genitore comune, sono fratelli in fatto e in diritto e, pertanto, non è necessaria una pronuncia ad hoc sullo status, in particolar modo laddove esso non sia controverso.

Il terzo Tribunale per i minorenni a pronunciarsi in materia è stato quello di Roma, con le due sentenze del 20 gennaio 2021 e del 09 giugno 2021. In tali occasioni i giudici romani, senza parlare di abrogazione dell'art. 55 l. adoz., hanno riconosciuto che “l'esclusione del vincolo di parentela prevista dall'art. 300 c.c. deve ritenersi limitata ai soli casi di adozione di figli maggiori di età stante la diversa funzione di tale ultimo istituto ….” concludendo che ilrichiamo all'art. 300 c.c. deve essere riletto e reinterpretato in funzione della piena realizzazione del superiore interesse del minore. Una tale lettura, necessariamente, pone un limite all'operatività di quel rimando laddove l'applicazione dell'art. 300 c.c., pur formalmente richiamato dall'art. 55 citato, si ponga in contrasto con l'interesse concreto del minore. Il Tribunale per i minorenni di Roma ha ritenuto che, nel caso concreto, si dovesse valutare l'interesse del minore che “nel caso di adozione da parte di una coppia omosessuale l'esigenza di tutelare un nucleo familiare diverso da quello in cui il minore è stato inserito fin dalla nascita non sussiste, in quanto quest'ultimo riconosce come uniche figure genitoriali di riferimento il genitore biologico e l'adottante. D'altro canto, sussiste il nucleo familiare dell'adottante nel quale il minore adottato trova un punto di riferimento affettivo ed aggregante …”.

Le predette illuminanti e lungimiranti pronunce di merito, pur avendo tentato un superamento del dettato normativo, non più in linea con le necessità di tutela delle sempre più numerose realtà familiari omogenitoriali, hanno però messo in evidenza l'urgenza di un intervento normativo.

Infatti, le tutele apprestate nelle sedi giudiziarie non possono essere difformi a seconda della sensibilità di ciascun collegio giudicante ma devono essere uniformi per assicurare una piena uguaglianza e parità di trattamento per situazioni analoghe.

In tale contesto è accaduto, talvolta, che qualche Tribunale abbia sollevato dubbi circa la legittimità costituzionale degli effetti discendenti dall'art. 44 l. adoz., ma la Consulta, per l'errato inquadramento della questione giuridica o, da ultimo, rivolgendo un monito al legislatore affinché intervenisse, aveva, finora, sempre dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità.

Prendendo atto dei vuoti di tutela ed incertezze date dalla normativa interna, anche la Corte di Strasburgo non ha mancato, da ultimo con il parere del 10 aprile 2019, di sollecitare gli Stati affinché colmassero o meglio, adottassero una regolamentazione ad hoc, per i minori adottati in casi particolari, nati in famiglie omogenitoriali, richiamando il legislatore all'osservanza dei principi inerenti il rispetto della vita privata e familiare e quello di non discriminazione, posti rispettivamente dagli art. 8 e 14 CEDU.

Tuttavia, a fronte della perdurante inerzia del legislatore, di pronunce a macchia di leopardo che generavano discriminazioni e della persistente violazione dei parametri costituzionali e comunitari, la Corte Costituzionale è finalmente intervenuta, nel febbraio del 2022, con una declaratoria di incostituzionalità.

La soluzione della Corte costituzionale

Nel corso di un procedimento di riconoscimento di una stepchild adoption, il Tribunale per i minorenni di Bologna, con ordinanza del 26 luglio 2021, ha sollevato in riferimento agli artt. 3, 31 e 117 comma 1, Cost. una questione di legittimità costituzionale dell'art. 55 della legge 4 maggio 1983 n. 184 nella parte in cui, mediante rinvio all'art. 300, comma 2, c.c. prevede che l'adozione in casi particolari non induce alcun rapporto civile tra l'adottato e i parenti dell'adottante.

Infatti, benché il Tribunale bolognese avesse già operato, con la decisione sopra commentata, un superamento dei limiti normativi posti dall'art. 74 c.c. all'adozione in casi particolari, si è nuovamente palesato alla sua attenzione un caso che sollecitava, rendendo quantomai urgente e non più procrastinabile, un intervento chiarificatore.

La Consulta, prima di motivare sulla fondatezza delle questioni nel merito sollevate dal giudice a quo, ha avvertito la necessità di dover, preliminarmente, richiamare i tratti distintivi dell'adozione in casi particolari, alla luce dell'originario impianto legislativo e della sua evoluzione tracciata dalla giurisprudenza, per poi interrogarsi sul «se la condizione giuridica del minore adottato in casi particolari possa essere equiparata allo status di figlio minore e se sussistano o meno ragioni che giustifichino il mancato instaurarsi di rapporti civili tra l'adottato e i parenti dell'adottante sì da escludere la irragionevolezza della disparità di trattamento».

Tralasciando il dato normativo, benché puntualmente esaminato, poiché aderente a quello finora illustrato dalle corti di merito, merita attenzione la disamina del diritto vivente che, nel tempo, ha consentito di ampliare le maglie di applicazione dell'istituto che qui ci occupa, sino ad arrivare a contemplare i casi come quello del giudizio a quo, ossia della domanda di adozione ex art. 44 l. adoz. del minore presentata dal partner same sex del genitore biologico.

Analizzando l'adozione in casi particolari con le “lenti” del c.d. best interest of the child, su cui doverosamente si impernia l'intera motivazione, la Consulta osserva come la tutela offerta dall'istituto in esame non sia certo adeguata alla luce dei principi costituzionali e sovranazionali (cfr. sentenze Corte costituzionale n. 230/2020, n. 32/2021 e n. 33/2021): tra le varie criticità segnalate viene condivisa quella indicata dal Tribunale per i minorenni di Bologna nella questione sollevata, ossia il fatto che l'adozione in casi particolari non crei alcun rapporto di parentela tra l'adottato e la famiglia dell'adottante, stante il richiamo dell'art. 55 della l. 184/83 all'art. 300 c.c., atteso che è evidente come questa preclusione si traduca in un trattamento discriminatorio del minore adottato in casi particolari rispetto all'unicità dello status di figlio di cui all'art. 315 c.c. (norma che così prevede: Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico).

Tale norma, dice la Suprema Corte, «priva, in tal modo, il minore della rete di tutele personali e patrimoniali scaturenti dal riconoscimento giuridico dei legami parentali, che il legislatore della riforma della filiazione, in attuazione degli artt. 3, 30 e 31 Cost., ha voluto garantire a tutti i figli a parità di condizioni, perché tutti i minori possano crescere in un ambiente solido e protetto da vincoli familiari, a partire da quelli più vicini, con i fratelli e con i nonni».

La Consulta, tuttavia, esclude che sia possibile risolvere la questione ritenendo implicitamente abrogato l'art. 55, l. 184/83, per effetto della modifica dell'art. 74 c.c., ad opera della riforma introdotta dalla. 219/2021 in materia di filiazione, come invece aveva concluso il Tribunale per i minorenni Bologna nel luglio 2020. Le ragioni che, a mente dei giudici costituzionali, impediscono tale operazione ermeneutica si ravvisano, per tabulas, da un lato, nell'esistenza di norme che chiaramente limitano i rapporti tra adottante e adottato in casi particolari e, dall'altro, nella mancata inclusione dell'art. 55 della L. adoz. nell'art. 106 del d.lgs. 154/2013 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'art. 2 della L. 219/2012), che indica le disposizioni abrogate dalla riforma della filiazione.

Non si può tralasciare, infatti, che nelle adozioni omogenitoriali, come quella che fa da sfondo all'ordinanza con cui è stata sollevata la questione di costituzionalità in commento, non solo non vi è un nucleo parentale di origine, perché il minore da sempre vive e si percepisce come parte della famiglia composta dal proprio genitore biologico e l'adottante, i quali hanno ab origine condiviso il desiderio e il progetto genitoriale, ma egli trae unicamente da lì la propria identità. Ecco che, sulla scorta di tali considerazioni, acutamente svolte dai giudici costituzionali, occorre «evitare il contrasto tra due diverse verità (ndr. quella biologica e quella adottiva)» che svela solo il «retaggio di una logica di appartenenza in via esclusiva», ben lontana dai plurimi modelli familiari oggi diffusi.

Pertanto, disconoscere i legami che derivano da questa doppia appartenenza equivale, ad avviso della Corte, a negare non solo la realtà delle relazioni ma anche l'identità stessa del minore adottato, violando, non da ultimo, anche l'art. 8 Cedu.

La Consulta, quindi, conclude che solo attraverso la dichiarazione di incostituzionalità della norma può essere rimosso l'ostacolo alla costituzione dei rapporti civili, pertanto, affermando che il richiamo ad opera dell'art. 55 all'art. 300 comma 2 c.c. determini un contrasto con gli art. 3, 31, comma 2, e 117 comma 1 della Costituzione, relativo al rinvio all'art. 8 Cedu, ne ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale con la sentenza n. 79 del 23 febbraio 2022.

A tale declaratoria consegue, quindi, l'applicabilità totale ed indiscussa dell'art. 74 c.c. ai minori adottati in casi particolari, permettendo loro l'estensione della parentela tanto di quella in linea biologica quanto di quella adottiva che come detto fonda l'identità personale.

Si rileva, infine, come il Giudice rimettente abbia, ingiustificatamente, omesso di sollevare la questione altresì in riferimento all'art. 2 Cost., che impegna la Repubblica a garantire “i diritti inviolabili dell'uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” mentre il richiamo anche a questo parametro costituzionale era secondo alcuni doveroso.

Infatti, se si considera che tanto l'unione civile quanto la famiglia c.d. di fatto costituiscono delle specifiche formazioni sociali ex art. 2 Cost., in cui gli individui sviluppano importanti esperienze di scambio affettivo e di maturazione della personalità (termine mutuato dalla stessa Legge Cirinnà), si ritiene che la legittimità costituzionale relativa alla mancata costituzione del legame di parentela ex art. 74 c.c., per i minori accolti in famiglie omoaffettive, avrebbe dovuto trovare, anzitutto, la propria base giuridica nell'art. 2 Cost.

Ad ogni modo, la decisione della Corte costituzionale, pur carente di quest'ultimo profilo, soddisfa pienamente perché, finalmente, estende gli effetti legittimanti anche all'adozione in casi particolari, eliminando quel limite che, fino a poco tempo fa, creava figli di “serie A” e figli di “serie B”.

Con la pronuncia in esame la Consulta si allinea, dunque, all'indicazione socio-giuridica che emerge dalle ultime leggi in materia di filiazione e dall'evoluzione della giurisprudenza sia costituzionale che della Corte di Strasburgo, volta a preservare e tutelare la continuità affettiva, con ampia scelta degli strumenti giuridici, in tutti quei casi in cui vi sia un rapporto di fatto fra adulti e minori che sia significativo per lo sviluppo della persona del minore.

I nuovi effetti in ambito anagrafico e di stato civile

Ci si è interrogati poco sulle conseguenze pratiche di un'adozione in casi particolari, dando forse troppo per scontato che l'adottante ex art. 44 l. adoz., acquistasse lo status di genitore e l'adottato quello di figlio.

Secondo quanto previsto dall'art. 48 commi 1 e 2 della l. adoz., l'adottante assume la responsabilità genitoriale e ha l'obbligo di mantenere l'adottato, di istruirlo ed educarlo conformemente a quanto prescritto dall'art. 147 c.c., norma che contempla i doveri verso i figli; da un punto di vista strettamente anagrafico, però, l'adozione in casi particolari non conferiva all'adottante l'appellativo di “genitore”; qualora, infatti, quest'ultimo avesse chiesto un certificato anagrafico di stato di famiglia con indicazioni di parentela, avrebbe potuto constatare che il minore adottato sarebbe comparso non come “figlio”, bensì come “convivente (con vincoli adottivi)”.

Con la rimozione del limite posto dal richiamo all'art. 300, comma 2, c.c., l'adozione in casi particolari, da oggi, fa scaturire rapporti civili tra l'adottato e i parenti dell'adottante, per cui il minore avrà così anche fratelli, sorelle, nonni, ecc.,.

Questa novità, tuttavia, richiederà, forse, una norma di coordinamento con l'assetto attuale: se prima il minore orfano di entrambi i genitori veniva adottato ex art. 44 l. 184/1983 dalla zia e non si sentiva la necessità di identificare, anagraficamente, in modo diverso l'adottante, rispetto alla qualifica già posseduta (ossia la zia); oggi è evidente che non può più essere così, altrimenti si finirebbe col vanificare il senso della decisione della Consulta, discriminando, questa volta sul fronte anagrafico, il minore adottato rispetto, per esempio, ai figli della zia adottiva, che da cugini dovrebbero diventare fratelli.

In tal senso la sentenza della Corte costituzionale è innovativa, ma se la condivisione dei principi in essa affermati è semplice e pacifica, non altrettanto potrebbe esserlo l'applicazione pratica delle sue conseguenze in ambito anagrafico e di stato civile (circolare 8 aprile 2022, www.entionline.it).

Bisognerà, quindi, innanzitutto capire come indicare ora l'adottante: se ricorrere al titolo di “genitore” e soprattutto come associare i parenti dal lato dell'adottante al minore e viceversa.

In conclusione

La decisione della Corte costituzionale, da lungo tempo attesa, anche a fronte dell'inerzia del legislatore a più riprese messo in mora da quello europeo, piace e convince perché, estendendo gli effetti legittimanti anche all'adozione in casi particolari, elimina quel limite che, fino a poco tempo fa, creava un trattamento discriminatorio dei minori adottati ex art. 44 l. adoz. rispetto al principio di unicità dello status di figlio.

La crescente sensibilità sociale e giuridica sul tema hanno sicuramente agevolato il raggiungimento di questo traguardo giuridico, tuttavia, a fronte di una declaratoria, seppur parziale, di illegittimità costituzionale, viene da chiedersi se abbia ancora senso mantenere l'esistenza dei due diversi istituti.

Si è già detto delle principali differenze che caratterizzano l'adozione legittimante da quella in casi particolari, ma il discrimen più rilevante è da sempre stato costituito dagli effetti che discendono dai due istituti laddove, il primo, richiamando l'art. 27 l. 184/1983, attribuisce all'adottato lo stato di figlio nato nel matrimonio degli adottanti recidendo i vincoli di parentela con la famiglia d'origine, mentre, il secondo, affianca una figura genitoriale ulteriore ad un minore che si presume già inserito in un nucleo familiare con una propria rete parentale.

Le due adozioni, pur mantenendo la propria specificità rispetto ai requisiti di accesso, divengono ora pressoché omogenee, realizzando dunque una piena equiparazione tra tutti i figli, finora ingiustamente ostacolata da richiami normativi, retaggio di una società, quella del 1983, in cui era opportuno consentire ad un soggetto privo di successibili legittimi, di far entrare un minore all'interno della propria famiglia: esigenza oggi a tutti gli effetti superata.

Si rileva, infine, che in passato, una parte della dottrina, interrogata circa la possibilità o meno di applicare le norme sull'adozione del maggiorenne all'adozione in casi particolari, aveva affermato che l'esclusione della parentela disposta per i maggiorenni doveva essere attribuita estensivamente anche agli adottati ex art. 44 l. adoz. perché ragionando diversamente, l'istituto dell'adozione in casi particolari ne sarebbe uscito deformato nella sua ratio.

Orbene, facendo eco a tale considerazione, non si può non concludere affermando che l'adozione in casi particolari sia uscita - giustamente - claudicante dalla camera di consiglio della Corte Costituzionale, la quale, prendendo atto di una mutata realtà sociale e dell'evoluzione della famiglia stessa, non ha potuto volgere lo sguardo altrove, segnando così un punto di non ritorno.

L'adozione in casi particolari ne è infatti uscita rafforzata nelle tutele apprestate tanto all'adottante quanto all'adottato, il quale, da oggi, non sarà più inserito in due famiglie, «stravolgendo la natura stessa della società familiare, alla quale l'istituto dell'adozione è chiamato a conformarsi» (Sesta, L' unicità dello stato di filiazione e i nuovi assetti delle relazioni familiari, in FD, 2013, 236), bensì ad una sola, quella a cui ha sempre appartenuto.

L'istituto de quo dovrà senz'altro essere oggetto di un ripensamento, auspicabilmente, riguardante l'intero prisma dei rapporti familiari che diviene sempre più complesso e variegato ma cui il diritto non può negare tutele.

Riferimenti

M. Di Masi, L'interesse del minore. il principio e la clausola generale, Jovene editore, 2020.

A.Scalera, Stepchild adoption e dichiarazione del rapporto di fratria, in Famiglia e Diritto, n. 3, 1 marzo 2021, p. 318.

C. Trapuzzano, Adozione in casi particolari: illegittimo escludere il rapporto parentale con l'adottato, in Quotidiano giuridico.

Circolare 8 aprile 2022, Adozioni in casi particolari e nuove relazioni di parentela, in www.entionline.it

G. Ferrando, Adozione in casi particolari e rapporti di parentela. Cambia qualcosa per i figli nati da maternità surrogata?, in questionegiustizia.it

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