I telefoni cellulari in carcere: le novità introdotte dal decreto immigrazione-sicurezza

Leonardo Degl'Innocenti
Francesco Faldi
19 Luglio 2022

Prime questioni interpretative.
Le modifiche apportate all'art. 391-bis c.p.

La rubrica dell'art. 391-bis c.p. così recitava “Agevolazione ai detenuti e internati sottoposti a particolari restrizioni delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario”.

L'art. 8, comma 1, lett. a), del decreto legge 22 ottobre 2020, n. 130 (c.d. decreto “immigrazione-sicurezza”), convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 173, ha sostituito la predetta rubrica con la seguente “Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all'art. 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. Comunicazioni in elusione delle prescrizioni”.

In proposito deve essere subito evidenziato come sia stato eliminato il riferimento agli internati contenuto, peraltro, soltanto nella rubrica originaria ma non nel testo dell'articolo.

Ancora, deve essere evidenziato come la nuova rubrica faccia riferimento alle restrizioni previste dall'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario là dove il corpo della norma continua, invece, a contenere un generico riferimento «alla elusione delle prescrizioni all'uopo imposte».

La fattispecie di reato in esame non è, pertanto, certamente più configurabile a carico dell'internato sottoposto al regime detentivo di cui all'art. 41-bis ord. penit.

A questo riguardo deve essere ricordato come la Corte costituzionale con sentenza n. 197/2021, abbia dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale del menzionato art. 41-bis, commi 2 e 2-quater, ord. penit., sollevate dalla Prima Sezione della Corte di cassazione con ordinanza 2.11.2020, n. 304081, in riferimento agli articoli 3, 25, 27, 111 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 7 e 4, prot. n. 7, CEDU, nella parte in cui le evocate disposizioni penitenziarie prevedono la facoltà di sospendere l'applicazione delle ordinarie regole di trattamento e degli istituti previsti dalla stessa legge, con adozione obbligatoria delle misure enunciate nel comma 2-quater, anche nei confronti degli internati, assoggettati a misura di sicurezza detentiva.

Il menzionato articolo 8, comma 1, lett. b) e c), ha, poi, inasprito il trattamento sanzionatorio previsto dall'art. 391-bis c.p.

Sono state, infatti, innalzate le pene previste per chiunque consente a un detenuto, sottoposto alle restrizioni di cui all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario, di comunicare con altri in elusione delle relative prescrizioni, da 1 a 4 anni a da 2 a 6 anni di reclusione.

Analogo intervento è stato operato in relazione all'ipotesi aggravata, ricorrente nel caso in cui la condotta elusiva sia stata posta in essere da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio o da un esercente la professione forense, innalzando le pene da 2 a 6 anni a da 3 a 7 anni di reclusione.

Il più volte citato art. 8, comma 1, lett. d), ha, infine, aggiunto un terzo comma all'art. 391-bis c.p. in forza del quale è punito con la pena da 2 a 5 anni di reclusione anche il detenuto sottoposto alle restrizioni di cui all'art. 41-bis ord. penit. il quale comunica con altri in elusione delle prescrizioni impostegli.

L'estensione della punibilità al detenuto la cui attività comunicativa viene agevolata ha trasformato l'incriminazione, anche giuridicamente, in reato a concorso necessario proprio ove entrambi gli autori sono ugualmente puniti (cfr., in questo senso, la Relazione 22.12.2020 dell'Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione avente ad oggetto le disposizioni normative in esame).

Il reato è procedibile d'ufficio ed è di competenza del Tribunale in composizione monocratica.

Per lo stesso è consentito l'arresto facoltativo in flagranza ed il fermo di indiziato di delitto soltanto nell'ipotesi aggravata contemplata dal secondo comma.

È sempre consentita l'adozione di misure cautelari personali, coercitive ed interdittive.

Con riferimento al reato in esame, nella formulazione antecedente alle modifiche apportate con il decreto legge 130/2020, convertito nella legge 173/2020, sopra sinteticamente descritte, è stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prevede che la pena sia diminuita quando il colpevole sia prossimo congiunto del detenuto (o internato) come invece previsto dagli artt. 386 (procurata evasione), 390 (procurata inosservanza di pena) e 391 (procurata inosservanza di misure di sicurezza detentive) c.p. in quanto, essendo la relativa fattispecie finalizzata ad evitare i collegamenti tra il soggetto detenuto e sottoposto al regime penitenziario di cui all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario e altri membri di un medesimo sodalizio criminoso ancora in libertà o a propria volta ristretti, le condotte dei prossimi congiunti non sono rivolte a esclusivo vantaggio del congiunto ristretto, come appunto nei casi dei citati artt. 386, 390 e 391 c.p. (ciascuno invocato quale possibile tertium comparationis), circostanza che giustifica la prevista attenuazione della pena edittale, ma anche a beneficio del suo sodalizio di appartenenza (così Cass. pen., sez. II, 20 luglio 2018, n. 55948, in CED Cassazione n. 276281).

L'introduzione del reato di cui all'art. 391-ter c.p.

L'art. 9 del decreto legge n. 130/2020, convertito con modificazioni nella legge n. 173/2020, ha, inoltre, introdotto nel codice penale l'art. 391-ter avente a oggetto il contrasto all'introduzione e all'utilizzo di dispositivi di comunicazione in carcere e la cui rubrica recita “Accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti”.

La norma di nuovo conio prevede che, fuori dei casi previsti dall'articolo 391-bis c.p., chiunque indebitamente procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni o comunque consente a costui l'uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno di tali strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni.

Si applica la pena della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dal primo comma si applica anche al detenuto che indebitamente riceve o utilizza un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni.

Deve, innanzitutto, essere evidenziato come il reato in esame non sia configurabile, al pari della fattispecie di cui all'art. 391-bis c.p., nel caso di accesso indebito a dispositivi idonei da parte di soggetti internati in quanto sottoposti a misura di sicurezza detentiva.

Tanto premesso, occorre ricordare come l'art. 14, comma 1, d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 (Regolamento di esecuzione) preveda che il regolamento interno dell'istituto penitenziario stabilisce, nei confronti di tutti i detenuti o internati dell'istituto stesso, i generi e gli oggetti di cui è consentito il possesso, l'acquisto e la ricezione, finalizzati alla cura della persona e all'espletamento delle attività trattamentali, culturali, ricreative e sportive disponendo che nella individuazione dei generi e oggetti ammessi si terrà anche conto delle nuove strumentazioni tecnologiche.

Ciò rilevato, deve essere aggiunto come la maggior parte dei regolamenti interni di istituto vietano l'introduzione di telefoni cellulari con la conseguenza che il possesso o il traffico da parte di un detenuto di un telefono cellulare o di un altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni costituisce, giusto il disposto del ricordato regolamento di esecuzione, illecito disciplinare con applicabilità di una delle sanzioni previste dall'art. 39 comma 1 ord. penit.

Per completezza, occorre sottolineare come la maggior parte dei regolamenti interni delle R.E.M.S., e cioè delle residenze per l'esecuzione delle misure sicurezze detentive del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e custodia, prevedano parimenti il divieto per i soggetti ivi internati di possedere o utilizzare un telefono cellulare o altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni che viene, infatti, ritirato al momento dell'ingresso nella struttura.

Antecedentemente all'introduzione del delitto di cui all'art. 391-ter c.p. era stata ipotizzata la configurabilità, nel caso in cui un detenuto fosse stato trovato in possesso di un telefono cellulare o altro idoneo dispositivo, della contravvenzione p. e p. dall'art. 650 c.p.

Alla predetta questione pare doversi dare risposta negativa in quanto la fattispecie prevista dall'art. 650 c.p. è, per costante giurisprudenza, applicabile soltanto agli atti amministrativi destinati a soggetti previamente individuati o individuabili mentre il regolamento interno di istituto costituisce, come ritenuto anche dal Ministero di grazia e giustizia con la circolare n. 3505/5955 del 13.8.1999, un atto normativo vero e proprio, previsto dall'ordinamento penitenziario e dal relativo regolamento di esecuzione nonché da altre norme, dotato di assoluta genericità.

A questo riguardo è interessante rilevare come anche il Tribunale di Siena, in composizione monocratica, abbia con sentenza 11.3.2022 abbia affermato che antecedentemente all'introduzione del reato di cui all'art. 391-ter c.p. le ipotesi ivi contemplate erano punite soltanto da un punto di vista disciplinare.

Tanto premesso si pone, però, la questione del concorso tra la nuova fattispecie penale prevista dall'art. 391-ter c.p. e il ricordato illecito disciplinare.

Analoga questione si pone, poi, anche per il concorso tra la fattispecie di cui all'art. 391-bis c.p. e il predetto illecito disciplinare.

A questo proposito deve essere evidenziato come la Corte di cassazione abbia ripetutamente avuto modo di affermare, tanto con riferimento ai reati di resistenza od oltraggio a pubblico ufficiale (artt. 337 e 341-bis c.p.) quanto al reato di danneggiamento aggravato (art. 635 cpv. c.p.), che non costituisce una violazione del principio del ne bis in idem di cui all'art. 649 c.p.p. e cioè del divieto di un secondo giudizio l'irrogazione, per lo stesso fatto sanzionato penalmente, anche di una sanzione disciplinare in quanto tale ultima sanzione non può essere equiparata, per qualificazione giuridica, natura o grado di severità, a quella penale secondo l'interpretazione data dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo nella causa “Grande Stevens contro Italia” del 4.3.2014 (cfr., per quanto attiene rispettivamente al reato di resistenza a pubblico ufficiale e al reato di oltraggio a pubblico ufficiale, Cass. pen., sez. VI, 12 novembre 2019, n. 1645, in CED Cassazione n. 278099 e Cass. Sez. VI, 9.5.2017, n. 31873, in CED Cassazione n. 270852; cfr. inoltre, per ciò che riguarda il reato di danneggiamento aggravato di beni dell'amministrazione, Cass. pen., sez. II, 16 febbraio 2018, n. 23043, inedita, nonché Cass. Sez. II, 20.6.2017, n. 43435, inedita, ove si afferma che «il divieto di bis idem tra procedimento disciplinare e procedimento penale non è stato fin qui affermato dalla Corte EDU, che anzi lo ha espressamente escluso … come peraltro già chiarito nel Rapporto esplicativo al Protocollo 7 e, comunque, alla sanzione disciplinare de qua, in applicazione dei cc.dd. “criteri Engel”, non può essere attribuita natura penale»).

Più in generale è stato di recente affermato che non sussiste violazione del principio del ne bis in idem convenzionale ai sensi dell'art. 4 Paragrafo 1 Protocollo n. 7 CEDU, come interpretato dalla ricordata sentenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, nel caso in cui per uno stesso fatto per il quale sia intervenuta condanna a una sanzione penale definitiva venga irrogata una sanzione formalmente amministrativa della quale venga però riconosciuta la natura sostanzialmente penale quando tra il procedimento amministrativo e quello penale sussista una connessione sostanziale e temporale tale che le due sanzioni costituiscano parte di un unico sistema sanzionatorio secondo il criterio dettato dalla predetta Corte nella causa “A. e B contro Norvegia” del 15.11.2016 (così, in termini, Cass. pen., sez. II, 9 dicembre 2020, n. 5048, in CED Cassazione n. 280570, con riferimento ad una sanzione amministrativa irrogata in ambito assicurativo - ISVASS - a seguito di un procedimento disciplinare relativo agli stessi fatti oggetto di un procedimento penale; nello stesso senso cfr. anche Cass. pen., sez. V, 15 aprile 2021 n. 31507, in CED Cassazione n. 282038, in materia di abuso di informazioni privilegiate, con la quale la Corte ha affermato che devono, in ogni caso, essere salvaguardate le garanzie procedurali dirette ad assicurare la pienezza del contraddittorio precisando che la necessaria connessione temporale tra i due procedimenti deve essere riferita al momento di avvio dei procedimenti e di svolgimento degli stessi e non ai tempi di definizione, che possono anche non coincidere).

Per completezza, deve essere ricordato che con la recentissima sentenza n. 149 del 10.5.2022, depositata il 16.6.2022, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. per violazione del ricordato principio del ne bis in idem convenzionale nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall'art. 171-ter legge 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d'autore e di altri diritti connessi al suo esercizio), il quale in relazione al medesimo fatto sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l'illecito amministrativo di cui all'art. 174-bis l. n. 633/1941.

La Consulta ha riconosciuto la natura sostanzialmente penale delle sanzioni amministrative pecuniarie previste in materia di diritto d'autore ma ha escluso che tra queste e le pene previste per gli stessi fatti sussista una connessione sufficientemente stretta da fare apparire i due apparati sanzionatori come una risposta coerente e sostanzialmente unitaria a questa tipologia di illeciti.

La conclusione che precede non appare, però, applicabile all'ipotesi del concorso tra le fattispecie penali previste dall'art. 391-bis c.p. o dall'art. 391-ter c.p. e il più volte menzionato illecito disciplinare non apparendo quest'ultimo rivestire natura penale e risultando comunque una connessione, nei termini sopra descritti, sostanziale oltre che temporale tra i due procedimenti sanzionatori.

Le due distinte ipotesi di reato previste dall'art. 391-ter c.p.

Come già anticipato, l'art. 391-ter c.p. prevede, rispettivamente al comma 1 e al comma 3, due distinte ipotesi di reato, comune il primo e proprio il secondo, mentre il comma 2 contempla una circostanza aggravante del primo comma.

Il reato è procedibile, in entrambe le ipotesi, d'ufficio ed è di competenza del Tribunale in composizione monocratica.

Per lo stesso è consentito l'arresto facoltativo in flagranza ma non il fermo di indiziato di delitto.

È sempre consentita l'adozione di misure cautelari personali, coercitive ed interdittive.

I commi 1 e 3 del menzionato articolo si presentano come norme a più fattispecie posto che entrambe prevedono condotte tra loro alternative.

Il comma 1 in particolare prevede tre condotte tra loro alternative punendo con la pena della reclusione da uno a quattro anni chiunque indebitamente:

  • procura a un detenuto un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni;
  • consente al detenuto l'uso indebito dei predetti strumenti;
  • introduce in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine di renderlo disponibile al detenuto.

Il comma 3, invece, contempla due condotte tra loro alternative punendo con la stessa pena sopra indicata il detenuto che indebitamente:

  • riceve un apparecchio telefonico o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni;
  • utilizza uno dei predetti strumenti.

È stato osservato dalla giurisprudenza di merito che «A ben vedere, primo e terzo comma incriminano due soggetti che partecipano ad un unico delitto a “concorso necessario proprio” il cui elemento materiale è costituito dalle condotte convergenti e speculari di colui che procura il telefonino o ne consente l'utilizzo e dell'intraneus detenuto che lo riceve, le quali si saldano e si completano a vicenda. L'esistenza di tale delitto è strettamente collegata alla sussistenza di entrambe le condotte, tra le quali v'è una connessione indissolubile, stante il perfetto sincronismo tra il “procurare” e il “consentire l'uso” e il “ricevere”» (cfr. Tribunale di Siena, in composizione monocratica, 11.3.2022 cit., ove si aggiunge «Del resto, esattamente come avviene per la corruzione - esempio di reato a concorso necessario per eccellenza - non è necessario che i concorrenti necessari del delitto siano individuati e puniti dalla medesima norma: ciò che importa e rileva è, invece, che nell'ambito di uno “scambio” giudicato illecito dal legislatore quest'ultimo sanzioni penalmente sia colui che dà che colui che riceve una res che non potrebbe essere procurata»).

La stessa citata sentenza osserva, però, come tra le condotte punite dall'art. 391-ter c.p. ve ne siano due che non appaiono costituire fattispecie di reato a concorso necessario e cioè:

  • quella di colui che introduce in un istituto penitenziario il dispositivo e che potrebbe essere persona diversa da quella che materialmente lo procura al detenuto o consente al medesimo di utilizzarlo;
  • quella del detenuto che si limita ad utilizzare l'apparecchio senza sapere chi materialmente glielo ha fatto ricevere conoscendo solo l'identità del mittente.

Entrambi i due più volte citati commi contemplano una clausola di riserva posto che le ipotesi previste dal comma 1 sono configurabili, secondo quanto già ricordato, fuori dei casi previsti dall'art. 391-bis c.p. mentre le ipotesi descritte nel comma 3 sono configurabili salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Le norme dell'art. 391-bis c.p. e dell'art. 391-ter, comma 1, c.p. si pongono dunque in rapporto di specialità reciproca e, per scelta del legislatore, il detenuto sottoposto alle restrizioni di cui all'art. 41-bis dell'ordinamento penitenziario che accede indebitamente a un telefono cellulare o altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni è punito ai sensi dell'art. 391-bis c.p.

Come già evidenziato il legislatore ha introdotto una c.d. clausola di antigiuridicità (o illiceità) speciale posto che presupposto di applicabilità dei reati in questione è che l'accesso allo strumento tecnologico sia avvenuto in modo indebito.

Brevi conclusioni

L'intervento legislativo sopra sinteticamente descritto è stato oggetto di forti critiche in dottrina essendo stato osservato come il fenomeno dell'uso abusivo in carcere di telefoni cellulari od altri apparati appaia efficacemente contrastabile, oltre che a mezzo delle sanzioni disciplinari già previste, attraverso il sequestro amministrativo obbligatorio dell'apparato e l'esclusione di taluni benefici penitenziari quali, ad esempio, la liberazione anticipata, il permesso premio e il lavoro all'esterno di cui agli artt. 54, 30-ter e 21 ord. penit. oltre che delle misure alternative (cfr. il parere reso alla I Commissione giustizia della Camera dei deputati nella seduta, in sede di audizione, del 5.11.2020, dal Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, in www.dirittifondamentali.it).

Tanto premesso e senza pretesa di esaustività deve, però, essere osservato che le modifiche apportate all'art. 391-bis c.p. sembrano trovare la loro giustificazione, come evidenziato nella Relazione illustrativa della legge di conversione del decreto-immigrazione, nella necessità di impedire o interrompere il flusso di comunicazione con l'esterno del detenuto sottoposto al regime di cui all'art. 41-bis ord. penit., mentre l'introduzione della nuova fattispecie di reato di cui all'art. 391-ter c.p. risulta giustificata dalla necessità di contrastare l'inquietante e diffuso fenomeno della introduzione in carcere con i metodi più svariati (ad esempio anche utilizzando droni) e nonostante il ricordato divieto, di telefoni cellulari e altri apparati (1761 nel 2020, 1209 nel 2019 e 394 nel 2018), fenomeno che non è stato possibile contrastare in modo efficace attraverso la prevista sanzione disciplinare e la possibilità di incidere in senso negativo sui benefici penitenziari.

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