Donazione con onere a carico del donatarioFonte: Cod. Civ. Articolo 793
29 Luglio 2022
Inquadramento
Al contratto di donazione può accedere un modus, ovvero un peso od onere imposto dal donante al donatario (art 793 c.c.). La clausola in esame comporta, da un lato, l'insorgere in capo al donatario di una vera e propria obbligazione (artt. 1173 ss. c.c.); dall'altro lato consiste in una limitazione quantitativa e/o qualitativa della liberalità ricevuta. L'onere è considerato un elemento accidentale della donazione, che non penetra nel tessuto causale del contratto: pertanto l'atto resta in tutto e per tutto una liberalità (G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, 925) e non si tramuta, per il solo inserimento del modus, in un contratto a prestazioni corrispettive (Cass. civ.,sez. II, 4 gennaio 2011, n. 95; Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2005, n. 13876). Di recente Cass. sez. II, 19 ottobre 2021, n. 28857 ha nuovamente preso posizione sul punto differenziando tra l'ipotesi in cui il peso incide sulla causa del contratto, così rendendolo oneroso e fuoriuscendo dalla fattispecie donativa, da quello in cui, risolvendosi in una mera modalità del beneficio, non inficia lo spirito di liberalità che lo sorregge (come anche Trib. Foggia 13 gennaio 2021 n.80,secondo cui l'onere è una vera e propria obbligazione imposta al donatario, in quanto tale – ferma restando la natura donativa del negozio cui accede – soggetta alla disciplina in tema di rapporti obbligatori).
Natura giuridica
Come si è detto, la tesi dominante in dottrina e in giurisprudenza (ut supra) qualifica il modus come elemento accidentale del contratto liberale, e afferma che la causa donativa resta immutata: l'onere comporterebbe solo una limitazione della liberalità; non si potrebbe mai affermare l'insorgenza di un sinallagma. Si deve ricordare che l'onere può gravare sul donatario nei limiti del valore del bene o del diritto donato: ciò significa che se l'obbligazione scaturita dall'onere impegnasse economicamente il donatario in misura superiore al valore dei beni donati questi potrebbe sempre rifiutarsi di adempiere oltre quanto ricevuto e acquisito. Ragionando proprio su tale fattispecie, e sul rilievo che l'onere può costituire l'unico motivo determinante dell'attribuzione, altra parte della dottrina ha negato la natura accessoria dell'onere (C. Grassetti, Donazione modale e fiduciaria, 1941, 20) ed ha concluso che, nel caso di “svuotamento” della liberalità a causa dell'onere, il negozio assumerebbe la veste di contratto a prestazioni corrispettive (U. Carnevali, La donazione modale, 1969, 124). Di contro la giurisprudenza ha affermato che l'adempimento dell'onere non assurge mai a controprestazione, neanche qualora esso assorba tutta l'utilità economica della donazione (Cass. civ., 18 febbraio 1977, n. 793). La soluzione, a parere di chi scrive, risiede nella volontà e nella rappresentazione dei fatti che compiono le parti. In particolare rileva il momento nel quale viene in considerazione il rapporto tra il valore della donazione e peso economico dell'onere imposto. Se le parti sono, sin dal momento della stipulazione del contratto, consapevoli del fatto che l'importo del bene o del diritto trasferito è economicamente equivalente o parificabile all'obbligazione assunta, l'atto dev'essere qualificato come do ut facias, e quindi come contratto commutativo e sinallagmatico. Qualora, invece, risulti solo successivamente il fatto che l'onere ha assorbito l'intero valore della donazione, ci si trova in presenza di una donazione cum onere: le parti non si sono rappresentate con certezza e fin dal principio la perfetta parificazione tra prestazione principale (donazione) e peso dell'elemento accidentale (onere). Questa riflessione comporta la soluzione di un altro problema tradizionale: il momento in cui debba avvenire la valutazione comparativa tra valore del donatum e costo dell'esecuzione del modus. Se si tratta di vera e propria donazione, è corretto affermare che il confronto debba farsi al momento dell'esecuzione del modus (F. Tringalio, La donazione, Torino, 2004, 345). Se si tratta invece di un contratto sinallagmatico, la comparazione dev'essere anteriore, e coincidere con la stipulazione del contratto. Una terza tesi (A. Palazzo, Le donazioni, Art. 769-809, 1991, 351 ss) afferma la natura autonoma e non accessoria dell'onere: ciò si desumerebbe dalla regola prevista in tema di accrescimento dall'art. 773, comma 2, c.c.: se il donante proponga di donare cum onere a Tizio e Caio un determinato bene con clausola di accrescimento, qualora Tizio rifiuti e Caio accetti, quest'ultimo dovrà adempiere l'intero onere. Quanto detto porta la dottrina in esame ad argomentare che l'onere ha sempre un carattere “ambulatorio” e pertanto non è accessorio al negozio, ma negozio autonomo. Sul tema si tornerà trattando dei beneficiari dell'onere. Differenza con la condizione risolutiva
L'accettazione della donazione modale comporta l'insorgere di un'obbligazione nel patrimonio del donatario. Ciò comporta che il comportamento (dare, facere, pati) imposto al donatario deve essere connotato da patrimonialità, e quindi essere suscettibile di valutazione economica. Ad esempio: se nel contratto di donazione Tizio impone al donatario Caio di costruire una statua in sua perenne memoria, si tratta di donazione con onere: il comportamento richiesto è la prestazione di un'opera (facere) suscettibile di valutazione economica. Importa rimarcare la differenza tra i due elementi accidentali: l'onere è fonte di un'obbligazione, mentre nel caso di donazione condizionata il donatario non è soggetto ad alcun obbligo, e non è responsabile di alcun inadempimento. Sul rapporto tra onere e condizione risolutiva si è espressa anche la Cassazione a Sezioni Unite (Cass. sez. un., 11 aprile 2012, n. 5702) La Corte, in particolare, ha sottolineato l'importanza della distinzione tra le due fattispecie con specifico riferimento alle conseguenze dell'imputabilità al donatario del mancato verificarsi dell'evento: si è infatti detto supra che l'onere si considera quale autonoma obbligazione soggetta alla relativa disciplina (a differenza della condizione che non produce alcun effetto obbligatorio, limitandosi ad incidere su quelli già prodotti dalla donazione), di conseguenza solo qualificando la donazione come modale potrà assumere rilevanza un eventuale inadempimento del beneficiario rispetto all'obbligo assunto La tecnica più diffusa nella prassi notarile prevede che l'onere sia una clausola contenuta nel contratto di donazione. Così si ottiene una piena certezza giuridica sia sull'attribuzione, che sul contenuto dell'obbligazione dell'onerato e quindi, infine, anche sul contenuto economico dell'operazione. La giurisprudenza in passato è stata meno rigorosa: Cass. civ., 18 febbraio 1977, n. 739 ha affermato che, essendo l'onere un elemento accessorio del contratto, può essere convenuto anche con una scrittura privata a margine dell'atto pubblico di donazione.
Beneficiari del modus
Uno dei temi più dibattuti in dottrina concerne l'individuazione di eventuali “beneficiari” dell'onere, e le conseguenze giuridiche di tale operazione. Una prima ipotesi è che l'onere sia volto a vantaggio del donante. In tal caso non si pongono particolari complessità, né, si ribadisce, emerge alcuna sinallagmaticità tra donazione e obbligazione dell'onerato. La seconda ipotesi è quella del beneficiario determinato. Ad esempio: Tizio dona a Caio l'immobile Alfa con l'onere di ristrutturare l'immobile Beta, di proprietà di Sempronio. In tal caso si discute sulla struttura giuridica dell'operazione. Parte della dottrina (U. Carnevali, La donazione modale, 1969, 110) afferma in tal caso la sussistenza di un contratto a favore del terzo, ex art. 1411 c.c.: il beneficiario dell'onere acquista il diritto verso il donatario per effetto della stipulazione, ed in base a un interesse dello stipulante/donante. La ricostruzione descrive correttamente la realtà di fatto, ma genera un vulnus dal punto di vista giuridico/ sistematico: l'onere in tale ricostruzione non sarebbe elemento accidentale, ma entrerebbe nella struttura del negozio. La soluzione proposta da altra parte della dottrina è ricostruire la fattispecie quale donazione pura e semplice alla quale viene accostata una donazione indiretta, dove il negozio-fine (liberalità) è realizzato attraverso il negozio-mezzo accessorio dell'onere, che mantiene così la sua autonomia causale e funzionale. La terza ipotesi è che il modus abbia un beneficiario generico o indeterminato. Anche qui non emergono particolari complessità, a meno che il beneficiario sia non determinato ma determinabile: allora la liberalità indiretta e l'adempimento dell'onere potrà realizzarsi solo dal momento in cui avviene l'individuazione del terzo.
Effetti del modus in tema di collazione e riduzione
Le considerazioni concernenti i beneficiari del modus influiscono anche, necessariamente, sul rapporto intercorrente tra la donazione modale e l'azione di riduzione, considerato che, assunto che la apposizione di un onere non snatura l'atto di donazione, anche la donazione modale è soggetta a riduzione (Trib. Catania sez. lav., 7 aprile 2020, n. 1246). Qualora la quota riservata di un legittimario del donante sia lesa da una donazione modale, ci si chiede chi sia il legittimato passivo, dell'azione di riduzione. Se il beneficiario dell'onere è donante stesso, e se il beneficiario è indeterminato, la giurisprudenza (Cass., 18 febbraio 1977, n. 739; Cass., 7 aprile 2015, n. 6925) ritiene che il peso economico dell'onere debba essere sottratto dal valore della donazione per determinare la misura della riunione fittizia e della donazione. Più controverso è il tema quando la donazione contenga un onere con un beneficiario determinato. Una prima ricostruzione afferma che unico legittimato passivo sia il comunque il donatario: la donazione verrebbe riunita fittiziamente alla massa per intero, e sarebbe soggetta a riduzione per il suo intero ammontare – senza che ciò coinvolga il terzo beneficiario dell'onere. ll donatario avrà solo il diritto di opporre al beneficiario dell'onere le regole imposte dall'art. 793 c.c., in base al quale l'onerato è tenuto all'adempimento dell'onere nei limiti del valore della cosa donata. Egli potrebbe, dunque, rifiutare il pagamento nella misura in cui il modus eccede il valore della disposizione ridotta o eventualmente ripetere l'eccedenza. Sembra di potere condividere la tesi opposta che, ragionando a partire dalla giurisprudenza citata, afferma che il donatario possa patire la riduzione solo nei limiti del suo effettivo arricchimento. Pertanto si conclude che la riunione fittizia in questo caso avrebbe ad oggetto l'intero valore della donazione, ma la riduzione dovrebbe essere esperita su due fronti, avverso due legittimati passivi: il donatario, da un lato, nei limiti del suo effettivo arricchimento; il terzo beneficiario dell'onere dall'altro lato, che ha ricevuto, come si è detto, una liberalità indiretta attraverso la donazione modale. Legittimazione ad agire
L'art. 793, comma 3, c.c. prevede che per l'adempimento possa agire, oltre al donante, qualsiasi interessato anche durante la vita del donante stesso. Ci si è quindi interrogati se il terzo possa agire per l'adempimento dell'onere anche se spinto da un interesse di carattere morale, oppure se sia necessario un interesse ad agire più qualificato, tale da comportare un beneficio sostanziale per l'attore. La risposta discende, caso per caso, dal tipo di onere: se l'onere è diretto a favore di soggetti indeterminati chiunque può agire per l'adempimento, anche spinto da un mero interesse morale. Qualora i beneficiari fossero determinati, secondo la giurisprudenza (Trib. Asti, 14 gennaio 1985: «tra il donatario modale e i terzi beneficiari sorge un rapporto obbligatorio in forza del quale questi ultimi sono titolari di un diritto soggettivo azionabile in giudizio per ottenere l'adempimento del modus o il risarcimento del danno)» in favore di costoro sorge un diritto soggettivo all'adempimento, e pertanto saranno essi soli (o i loro creditori in via surrogatoria) a poter agire a tutela di tale diritto.
La norma dell'art. 793 c.c. è chiara, e la giurisprudenza è conforme, nel dire che a fronte della mancata esecuzione del modo, dovuta a fatto imputabile al donatario, la risoluzione per inadempimento può essere concessa solo se espressamente prevista nell'atto di donazione. Non è rilevante, cioè, che l'adempimento del modo sia stato il motivo unico e determinante della liberalità (Cass. civ.,sez. II, 26 maggio 1999, n. 5122): in assenza di una clausola che espliciti gli effetti dell'accertamento dell'inadempimento l'attribuzione al donatario resta ferma, salvo il risarcimento dei danni da inadempimento e, ove possibile, l'esecuzione in forma specifica dell'obbligazione. Di recente si è anche correttamente affermato che la trascrizione della domanda di risoluzione per inadempimento dell'onere non pregiudica il diritto acquistato dal terzo con atto trascritto anteriormente, a prescindere dalla sua buona fede (Cass. civ. sez. II, 9 giugno 2014, n. 12959). La Cassazione ha anche deciso che unici legittimati attivi siano il donante e i suoi eredi, «unici in grado di apprezzare le ragioni dell'inadempimento con riguardo allo spirito di liberalità» (Cass. civ.,sez. II, 29 gennaio 2000, n. 1036) – ciò secondo la dottrina comporta che si debba escludere la legittimazione surrogatoria dei creditori del donante (A. Palazzo, Le donazioni, in Comm. Schlesinger, 2002, 414). È infine discusso se, in deroga alle regole del contratto in generale, possa essere proposta istanza di adempimento anche dopo la proposizione della domanda di risoluzione art. 1453 c.c., e se sia sempre necessaria la valutazione della gravità dell'inadempimento art. 1455 c.c. (U. Carnevali, La donazione modale, 2009, 864). Si ritiene di poter rispondere negativamente ad entrambe le domande:
È discusso se in una donazione modale possa essere inserita una clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., in forza della quale in caso di inadempimento dell'onere si può ottenere la risoluzione del contratto senza ricorso al giudice, per mero effetto della dichiarazione, da parte del donante o dei suoi eredi, di volersi avvalere della clausola stessa. La tesi positiva, sostenuta da una pronunzia di Cassazione (Cass. civ.,sez. II, 26 aprile 2011, n. 9330) afferma che la donazione è un contratto, e come tale, non essendo altrimenti previsto dal legislatore, risultano applicabili tutti gli strumenti e i rimedi dettati per il contratto in generale. La tesi negativa, prevalente, sostenuta dalla giurisprudenza maggioritaria (da ultimo Cass. civ.,sez. II, 20 giugno 2014, n. 14120, Cass. sez. II, 17 dicembre 2020, n. 2899) afferma invece che la clausola risolutiva espressa è incompatibile con la donazione. La conclusione è motivabile per due ordini di ragioni: innanzitutto si afferma che l'istituto di cui all'art. 1456 c.c. è proprio dei contratti a prestazioni corrispettive, e quindi non avrebbe cittadinanza in un contratto non sinallagmatico. In secondo luogo si può rilevare che il legislatore ha dettato uno specifico strumento per ottenere la risoluzione della donazione in caso di inadempimento dell'onere: quello dettato al comma 4 dell'art. 793 c.c., in base al quale la risoluzione per l'inadempimento può essere proposta dal donante o dai suoi eredi se preveduta nell'atto di donazione. Non sembra quindi lasciare spazio ad altri metodi per la risoluzione stessa. Un'alternativa che può essere valutata, qualora sia ferma volontà delle parti raggiungere l'obiettivo in esame, è quella di inserire oltre all'onere anche una condizione risolutiva; tale costruzione, che pure può essere convincente, lascerebbe comunque scoperta la possibilità di una riqualificazione della condizione come clausola risolutiva espressa, con le ricadute previste dalla citata Cassazione del 2014 (nullità parziale del contratto).
Orientamenti a confronto
Casistica
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