Adozione piena, adozione mite, affidamento familiare: la Cassazione fa il punto

04 Agosto 2022

In questa interessante pronuncia la Cassazione si interroga sui confini effettivi delle diverse forme di adozione e affidamento familiare. In particolare, in presenza di una situazione di abbandono, si può escludere il ricorso all'adozione piena?
Massima

Il giudizio di accertamento dello stato di adottabilità di un minore, ex art. 8 ss. l. 184/1983, e quello volto a disporre un'adozione mite, in base all'art. 44 della stessa legge, costituiscono due procedimenti autonomi, di natura differente e non sovrapponibili fra loro; il primo infatti è funzionale alla successiva dichiarazione di un'adozione piena, con recisione dei rapporti del minore con la famiglia d'origine, mentre il secondo può creare un vincolo di filiazione giuridica coesistente con quello dei genitori biologici.

Il caso

Il Tribunale per i minorenni dichiara lo stato di adottabilità di una minore, con conseguente suo inserimento in una famiglia affidataria in possesso dei requisiti per accedere ad una futura adozione; interpongono opposizione i genitori della minore. La Corte d'appello conferma come effettivamente la stessa versasse in stato d'abbandono, perché per di più la madre era deceduta nelle more del giudizio e il padre non era dotato di sufficienti risorse per potersene occupare; ritiene opportuno, peraltro, che il padre non svanisca dalla vita della figlia, ma continui a vederla saltuariamente. Dispone pertanto l'adozione della minore ex art. 44 l. 184/1983 e regola le visite del padre con la figlia. il Procuratore Generale presso la Corte d'appello interpone ricorso per cassazione, che viene accolto, con conseguente rinvio del procedimento alla Corte distrettuale.

La questione

Quali sono i confini tra adozione piena, adozione in casi particolari e affidamento familiare? In particolare, in presenza di una situazione di abbandono, si può escludere il ricorso all'adozione piena?

Le soluzioni giuridiche

Come noto, la l. n. 184/1983 disciplina tre istituti differenti a protezione del soggetto minore di età, quando la famiglia d'origine presenta criticità: affidamento familiare, adozione piena e adozione in casi particolari. Il primo è finalizzato a garantire al minore un ambiente familiare idoneo, quando ne sia temporaneamente privo; l'adozione piena (già “legittimante” prima della l. n. 219/2012, di riforma della filiazione) consente l'inserimento di un minore, riconosciuto in stato di abbandono morale e materiale, in una nuova famiglia, composta da due persone unite in matrimonio, di cui assume lo stato di figlio a tutti gli effetti; l'adozione in casi particolari determina, per parte sua, la costituzione di un rapporto “parafamiliare” con il minore, in fattispecie specificamente individuate, senza che sussista necessariamente stato d'abbandono.

Per molto tempo i tre istituti sono stati interpretati “a compartimenti stagni”, escludendosi reciproche interferenze, nel timore di possibili strumentalizzazioni. In particolare, si era inteso evitare che l'affidamento, specie se di lunga durata, potesse rappresentare un escamotage per giungere all'adozione piena, saltando la procedura di abbinamento tra il minore in stato di adottabilità ed una coppia, che fosse stata ritenuta idonea. Per parte sua, l'adozione in casi particolari veniva vista per lo più come l'ultima risorsa per attribuire una famiglia a minori che, per caratteristiche personologiche o fisiche, ovvero per l'età non più tenera, difficilmente avrebbero potuto accedere all'adozione piena, pur se in stato di abbandono. A mano a mano, la prospettiva è assai mutata, per intervento del legislatore e dell'interpretazione giurisprudenziale, sia della Corte di Strasburgo, sia della Corte di cassazione, con l'obiettivo di individuare soluzioni sempre più duttili, calibrate sull'interesse di ciascun minore. Il d.P.R. n. 154/2013 ha infatti novellato l'art. 15, l. n. 184/1983, subordinando la declaratoria dello stato di adottabilità, oltre che all'inadempimento delle prescrizioni imposte dal giudice ai genitori, alla provata irrecuperabilità delle capacità di costoro in un tempo ragionevole. A sua volta, la l. n. 173/2015, introducendo il comma 5-bis all'art. 4 l. adoz., in nome della tutela della continuità affettiva, ha previsto che, ove il minore sia dichiarato in stato di adottabilità durante un prolungato periodo di affidamento, la coppia affidataria abbia un titolo preferenziale per adottarlo (sempre che abbia fatto domanda e sia in possesso di tutti i requisiti di legge); la l. n. 149/2001, per parte sua, aveva già ampliato le fattispecie di cui all'art. 44 l. adoz., attribuendo autonomia alla situazione del minore affetto da handicap, con conseguente nuova linfa al caso della constatata impossibilità di affidamento preadottivo, quale presupposto per l'adozione in casi particolari.

Malgrado le innovazioni sopra evidenziate, l'adozione piena rappresenta formalmente l'unico strumento operativo, che l'ordinamento prevede a fronte di una consolidata situazione di abbandono morale e materiale del minore, non dipendente da causa di forza maggiore. Come è noto, l'adozione è procedura (giustamente) complessa, intervenendo su diritti soggettivi primari: occorre innanzitutto una preventiva dichiarazione dello stato di adottabilità del minore, passata in giudicato (art. 15, l. 183/1984); segue la fase dell'affidamento preadottivo in favore di una coppia ritenuta idonea tra quelle positivamente valutate dal giudice minorile e, in caso di esito positivo, interviene la declaratoria di adozione (art. 27 l. cit.). Con essa il minore recide ogni rapporto giuridico e di fatto con la famiglia d'origine, per essere inserito in una nuova, composta da una coppia coniugata, di cui assume lo status di figlio.

Il modello adozionale, nei termini che si sono esaminati, non risponde indistintamente alle esigenze di una famiglia per tutti i minori in condizioni di difficoltà. Accanto a situazioni di indubbio abbandono, se ne configurano altre, di c.d. semiabbandono, nelle quali la famiglia d'origine possiede risorse educative e formative, che se supportate, potrebbero evitare la recisione del rapporto con il figlio; ciò si verifica soprattutto in relazione a minori in protratta permanenza fuori della famiglia e collocati in comunità, ovvero in affidamento prolungato, con il mantenimento di rapporti con i familiari. Dall'esperienza elaborata dal Tribunale di Bari si è pervenuti alla rivalutazione del già ricordato art. 44, lett. d), della l. n. 184/1983: la c.d. adozione “mite” (peculiare forma dell'adozione in casi particolari) si è posta come alternativa all'adozione piena. Al contrario di quest'ultima, l'adozione è mite, in quanto, pur garantendo l'inserimento del minore in una nuova famiglia, con l'acquisizione di uno status “parafiliale”, non recide i rapporti, giuridici e di fatto, con quella d'origine, permettendo così il mantenimento di una relazione del minore con i parenti di sangue.

L'adozione mite ha trovato il pieno favore della Corte Edu, la quale non ha mancato di stigmatizzare le carenze dell'ordinamento italiano, che non contempla espressamente una specifica disciplina, alternativa all'adozione piena, da ritenersi necessariamente quale extrema ratio nelle situazioni di grave e conclamato stato d'abbandono. La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha recepito senza indugio le indicazioni provenienti da Strasburgo. Se, in precedenza, l'accertamento dello stato di abbandono di un minore si riteneva essere di competenza esclusiva del giudice di merito, negli ultimi tempi assai sovente la Suprema Corte ha preso a cassare decisioni nelle quali il giudice a quo aveva omesso adeguate valutazioni sullo stato di semiabbandono, quale presupposto per una possibile pronuncia di adozione mite, tale da mantenere in essere il rapporto del minore con la famiglia d'origine.

Nel contesto sopra richiamato si colloca la sentenza in commento, giustamente critica nei confronti dell'applicazione disinvolta dell'adozione mite da parte della Corte d'appello. La pronuncia impugnata, nel confermare lo stato di abbandono di una minore, già dichiarato dal tribunale minorile (quando ancora la mamma era in vita), aveva ritenuto di far luogo ad adozione ex art. 44 lett. d), l. 184/1983 (verosimilmente in favore della coppia già affidataria) “ai fini di un'equilibrata costruzione dell'identità personale della minore” stessa. Nel cassare con rinvio questa decisione, la Suprema Corte rimarca la differenza strutturale tra il procedimento per l'adozione piena e quello relativo all'adozione in casi particolari. Sul primo già si è detto; quanto al secondo, preme rammentare come non sia necessario uno stato di abbandono; esso potrebbe non esistere affatto (si pensi ai casi sempre più frequenti di adozione del figlio del compagno o della compagna, all'interno di coppie omoaffettive), o rilevare solo come “semiabbandono”, ovvero ancora sussistere in pieno, senza peraltro darsi luogo ad un'adozione piena (è il caso già esaminato del minore, la cui età o l'esistenza di problematiche siano tali escludere una “richiesta” da parte di una coppia di aspiranti genitori). Per la declaratoria di adozione in casi particolari, occorre poi (oltre all'ovvio accertamento dell'interesse del minore), l'assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale (art. 46 l. cit), ma pure quello degli aspiranti adottanti (art. 45 l.cit.).

Osservazioni

La pronuncia in commento osserva correttamente come, in presenza di un conclamato stato di abbandono di un minore, non possa farsi luogo di regola ad adozione mite, sulla scorta dell'art. 44 lett. d). La norma infatti prevede l'accesso a tale forma di adozione, “quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, ossia quando manchi lo stato di abbandono. Non è certo questa la sede per rammentare come detta previsione, negli ultimi anni abbia legittimato la costituzione di un rapporto “parafiliale” specie in presenza di progetti filiazione all'interno di coppie dello stesso sesso: si è così affermato che impossibilità di affidamento preadottivo può essere tanto di fatto, quanto di diritto.

Solo in presenza di uno stato di c.d. semiabbandono può farsi luogo all'adozione mite; occorre peraltro che vi siano adeguate risorse da parte dei genitori d'origine a mantenere una relazione con il figlio, inserito stabilmente in un'altra famiglia e che gli stessi concordino per questa adozione. Nel contempo, anche gli adottanti devono espressamente assentire a tale forma di adozione, nella consapevolezza che l'adottato (il quale acquisterà uno status pressochè analogo a quello del figlio matrimoniale) manterrà relazioni e rapporti anche con i componenti della famiglia d'origine, con cui dovranno necessariamente rapportarsi.

Pare dunque opportuno l'intervento della Corte di Cassazione, per evitare che, sulla scorta dei principi espressi dalla Corte Edu e ripresi dal giudice di legittimità, si consolidi un favor nei confronti dell'adozione mite, ben oltre quelli che sono i suoi limiti operativi. Il rispetto del fondamentale diritto del minore a crescere nella propria famiglia è recessivo rispetto all'inserimento di un'idonea famiglia adottiva, in presenza di situazione di abbandono (e, dunque della mancanza di quel minimo di accudimento ed assistenza, richiesto ai genitori o ai loro parenti). Per di più, occorre valutare gli intendimenti dei futuri adottanti: i procedimenti finalizzati all'adozione piena ovvero all'adozione mite non sono, dunque, sovrapponibili.

Nel caso di specie, risulta per di più che la Corte territoriale avesse ritenuto di mantenere un legame tra il genitore e la minore, nel presupposto di garantire a quest'ultima una pretesa “costruzione dell'identità personale”, contro le indicazioni dei CTU, che avevano segnalato una “forma di accudimento invertito”, con possibilità di disturbo distorto della personalità della minore medesima. Si giustifica quindi, oltre al vizio di erronea applicazione di norme giuridiche, anche il vizio di motivazione.