La riforma del processo tributario è giunta in porto. Ed ora?

Andrea Carinci
12 Agosto 2022

Alla fine, quando oramai la fiducia pareva esaurita, nelle intemperanze di una fine anticipata della Legislatura, la riforma è passata. Il testo, dopo il Sentato, è stato infine approvato anche alla Camera e la riforma della giustizia tributaria è giunta in porto.
Premessa

È stato un percorso non particolarmente lungo, in termini di tempo, ma nonostante questo abbastanza travagliato, avendo coinvolto ben due commissioni.

Purtroppo, i tempi imposti alla riforma, resa possibile ma anche condizionata dal PNRR, non hanno consentito un vero dibattito sui temi della riforma.

Certo, il principale obiettivo perseguito, ossia la professionalizzazione del giudice tributario, era un obiettivo abbondantemente condiviso, ma il come lo si è voluto realizzare è stata in larga parte una soluzione univoca ed imposta, non partecipata né condivisa dalla comunità degli studiosi e degli operatori. Senza trascurare, poi, le diverse modifiche al processo che alla fine sono state inserite, sovente non giustificate né comprensibili, scollegate da ogni visione di insieme e, così, da una precisa strategia riformatrice.

Professionalizzazione del giudice

Una prima modifica, di carattere essenzialmente formale, è la nuova denominazione delle Commissioni, che diventano, con la riforma, Corti di giustizia di primo e secondo grado.

Nel merito, invece, la modifica più importante è la professionalizzazione del giudice.

Ad esito della riforma, è previsto che i componenti delle Corti di giustizia siano giudici nominati ad esito di un concorso.

Almeno sulla carta si tratterà di un concorso assai complesso, che verterà su una prova scritta, articolata in tre prove (diritto tributario, diritto civile e commerciale ed una prova teorico pratica sul processo tributario), nonché una prova orale su ben 10 materie, che vanno dal diritto tributario, a quello penale, al diritto internazionale pubblico e privato (la domanda che sorge spontanea è, però, perché, visto che difficilmente l'internazionale privato entra in gioco in una controversia tributaria) fino alla contabilità aziendale e bilancio. Un concorso, insomma, che ricorda per complessità quello di magistratura, ragione per cui si dubita che possa essere celebrato prima di un paio di anni.

La professionalizzazione è sicuramente un risultato sperato, che supera l'indubbia stranezza di avere un contenzioso tanto importante, per numero e valori, affidata a giudici onorari. Il problema è però che questa professionalizzazione è stata realizzata dimenticando un altro importante tassello, sovente denunciato rispetto al regime previgente, ossia l'indipendenza delle Commissioni tributarie dal MEF. Ebbene, tale aspetto, da più parti lamentato come evidente pregiudizio al principio di indipendenza del giudice, non viene rimediato ma, addirittura, peggiorato, posto che i nuovi giudici saranno, testualmente, assunti dal MEF.

È questa, con ogni evidenza, la principale criticità della riforma, perché fa venire irrimediabilmente meno un profilo fondamentale della funzione giurisdizionale, ossia l'indipendenza del giudice da ogni altro potere (art. 104 Cost.), qui peraltro pregiudicata dal fatto che il MEF è una, addirittura, delle due parti in giudizio. Appare così evidente la violazione egli art. 104 e 111 Cost. nonché dell'art. 6 della CEDU, che non mancherà di essere quanto prima denunciata.

Vi è invece una novità significativa assai positiva, introdotta nel testo finale rispetto al progetto licenziato dal Governo: si prevede, infatti, un tirocinio di sei mesi per i neo magistrati e, poi e soprattutto, un processo di formazione permanente e continua. Si è insomma giustamente realizzato che la professionalizzazione non è data solo da un concorso.

Novità processuali

Come anticipato, ci sono poi anche molte novità sul processo.

La prima, è che le cause di valore fino a € 3.000 (valore determinato ex art. 12, co. 5, D.Lgs. 546/1992) sono affidate al giudice monocratico.

L'intendimento è, con ogni evidenza, quello di impegnare minori risorse per le controversie ritenute bagatellari. Il regime processuale applicabile è però il medesimo previsto per il collegiale (in caso di erronea elezione del giudice, collegiale o monocratico, è previsto un meccanismo di translatio), salvo una novità in tema di udienza da remoto: mentre per il collegiale l'udienza da remoto deve essere richiesta, nel monocratico l'udienza da remoto è la regola, salvo apposita istanza di udienza pubblica in presenza, che deve però essere argomentata su “comprovate ragioni”. Rispetto al progetto originario, è fortunatamente sparita la limitazione originariamente prevista per l'appello, che quindi non soffre più alcuna preclusione.

Altra novità è la previsione di un regime premiale per i contribuenti con “bollino di affidabilità fiscale”: ai contribuenti, cui sia stato attribuito un punteggio pari a 9 negli ultimi tre periodi prima della proposizione del ricorso, non viene richiesta garanzia in caso di sospensione degli effetti dell'atto impugnato.

Viene poi istituita, presso la Corte di Cassazione, una sezione civile incaricata esclusivamente delle controversie in materia tributaria. Purtroppo, essendo precluso il passaggio dei nuovi giudici tributari in Cassazione, questa novità rischia di cambiare poco l'assetto attuale, caratterizzato da una profonda spaccatura tra legittimità e merito, troppo diversi per cultura, formazione ed esperienze. Spaccatura che si riverbera, poi, nel dialogo tra Corti, dove la Cassazione non tiene in alcuna considerazione il merito e, spesso, il merito disattende le indicazioni della Suprema Corte, in spregio alla funzione nomofilattica perseguita da questa. Si prevede solo che il primo presidente della Corte debba adottare provvedimenti organizzativi tali da favorire “una specifica competenza da parte dei magistrati assegnati alla” nuova sezione tributaria: con ogni evidenza, potrà però essere una competenza solo teorica, che quindi non basterà a creare una cultura comune ed una condivisione di visione tra legittimità e merito.

Altra novità è prevista per la conciliazione e per il reclamo, nel senso che la parte che non accetta la conciliazione ovvero non accoglie il reclamo è chiamata a pagare le spese processuali laddove la sentenza riconosca le sue ragioni in misura inferiore a quella della conciliazione ovvero in virtù delle medesime ragioni formulate in sede di reclamo o mediazione. Nel caso del reclamo è peraltro previsto che l'eventuale condanna alle spese di lite possa rilevare ai fini della responsabilità amministrativa del funzionario che ha “immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione”. Si tratta, comprensibilmente, di una previsione che ha suscitato grandi preoccupazioni, ma che non tiene conto di alcuni profili: primo, che la decisione di accogliere o meno il reclamo raramente è di un singolo funzionario; poi, e soprattutto, che ad evitare la responsabilità sembrerebbe bastare una motivazione del rigetto, non occorrendo anche che essa sia fondata.

Novità in tema di prove

Due le novità in tema di prove.

Innanzitutto, viene ammessa la prova testimoniale seppure nella forma solo scritta ex art. 257-bis c.p.c. Rispetto al modello processualcivilistico, ovviamente, va apprezzato il fatto che non è richiesto il previo accordo delle parti (che avrebbe reso inutile l'istituto). Sono però fissati dei limiti: innanzitutto, il giudice la può ammettere “ove lo ritenga necessario ai fini della decisione”. Ciò significa, che detta prova torna ammissibile in sostanziale assenza di altri elementi istruttori.

Poi, la prova testimoniale non è consentita per provare fatti attestati dal pubblico ufficiale in atti facenti fede pubblica: il limite ha però senso limitatamente ai soli fatti coperti da detta fede, posto che, in questo caso, occorre la querela di falso; al contempo, il limite non vale per tutti quegli elementi che, pur rilevati nel PVC, non possono ritenersi coperti da fede pubblica.

La seconda novità in tema di prova attiene alla formalizzazione della regola sull'onere della prova, per cui questa incombe sull'ente impositore (la norma parla di Amministrazione, termine oggi atecnico, per cui si devono ritenere compresi tutti gli enti impositori), salvo in materia di rimborso, dove invece la prova è a carico del contribuente. La norma mira, con ogni evidenza, a cristallizzare e rendere indiscussa una regola che poteva ritenersi già assodata nella materia, posto che attore di fatto è sempre l'ente impositore. È però una regola che conosce sovente delle deroghe, soprattutto ad opera ella giurisprudenza (si pensi al tema dei costi deducibili), per cui la vera sfida sarà farla funzionare nel coacervo di presunzioni a favore dell'ente impositore di matrice giurisprudenziale.

Novità in tema di definizione agevolata delle cause

È prevista poi l'accelerazione nelle istanze di sospensione degli atti, che dovranno essere trattate (termine ordinatorio) entro trenta giorni dalla loro presentazione. Inoltre, si prevede espressamente che l'udienza sulla sospensiva non possa coincidere con la trattazione del merito. L'obiettivo è, con ogni evidenza, di superare quell'orientamento di merito (avvallato dalla Suprema Corte) che ammetteva la decisione sul merito in occasione della discussione sulla sospensiva (evidentemente per accelerare i tempi). Sennonché, così facendo, si precludeva alle parti di poter produrre memorie illustrative ex art. 32. Ebbene, la novella dovrebbe scongiurare un tale risultato, chiaramente pregiudizievole per le ragioni delle parti.

Altra novità è l'introduzione della facoltà per il giudice di proporre alle parti la conciliazione, relativamente alle controversie oggetto di reclamo (valore fino a € 50.000); limite, quest'ultimo, che non appare tuttavia particolarmente comprensibile, dato che la proposta di conciliazione può essere fatta solo in presenza di “questioni di facile e pronta soluzione”, aspetto questo che non è però dato dal valore di causa.

Si è poi istituzionalizzata in modo compiuto l'udienza da remoto. Evidentemente l'esigenza è stata quella di venire incontro ai problemi di garantire le presenze dei giudici soprattutto nelle sedi disagiate; ma, se così è, forse sarebbe stato meglio rivedere la geografia giudiziaria. Ad ogni modo, la regola è che le parti possono sempre chiedere, con mutuo consenso, l'udienza da remoto; viceversa, l'udienza è da remoto, salvo istanza di parte motivata da comprovate ragioni, nel caso delle udienze monocratiche e sulla sospensiva.

Infine, è stata prevista una definizione agevolata per la cause pendenti in Cassazione. Con troppi limiti, però, che verosimilmente ne pregiudicheranno l'appetibilità. Entro 120 giorni dall'entrata in vigore della legge, è possibile fare istanza di definizione delle liti pendenti (quindi con ricorso notificato) ad una data che dal testo non è chiaro se sa il 15 luglio ovvero quello di pubblicazione della legge. Occorrono, poi, precise condizioni: se l'Agenzia delle entrate (la definizione interessa solo le liti con questa) è rimasta soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, sono definibili le cause con valore (di sola imposta e per singolo atto) fino a € 100.000; se, invece, l'Agenzia è rimasta soccombete, qui espressamente in tutto o in parte, in uno solo dei gradi di merito, sono definibili le liti fino a € 50.000. Nel primo caso va pagata una somma parti al 5% e, nel secondo, pari al 20%, senza alcuna rateazione. Sono escluse le liti in tema di risorse proprie dell'Unione.

In conclusione

Ai numerosi limiti della riforma, quello dell'indipendenza del giudice dal MEF in primis, si aggiunge, infine, una grossa mancanza.

Sicuramente, una grossa criticità della riforma è quella di non aver toccato, se non marginalmente, l'istituto della mediazione, che invece, fin dalla sua introduzione, era stato salutato come un importante strumento di deflazione; deflazione che, a rigore, costituirebbe il grande obiettivo del PNRR in tema di giustizia, che la riforma vorrebbe attuare, ragione per cui una simile trascuratezza non trova giustificazione.

L'occasione era invece ghiotta per mettere mano all'istituto e rimediare a quelle criticità che la prassi aveva evidenziato, prima fra tutte l'assenza di ogni terzietà in capo al soggetto chiamato a decidere sul reclamo (e mediazione). Bisognava insomma dare atto di ciò ed immaginare di affidare il reclamo ad un soggetto terzo, che potevano benissimo essere i vecchi giudici tributari, che comunque hanno maturato una lunga esperienza nella materia tributaria, che la riforma farà perdere. Un'occasione mancata, quindi, che getta un ulteriore ombra su una riforma che, certamente, poteva essere meglio meditata.

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