Personale sanitario non vaccinato e mansioni alternative

Marianna Russo
17 Agosto 2022

All'onere probatorio previsto dall'art. 4 D.L. n. 44/2021 per il personale sanitario non vaccinato non devono applicarsi i principi giurisprudenziali in materia di repechage, dovendosi ritenere che, in assenza di specifiche allegazioni attoree circa l'esistenza di posti compatibili e disponibili, l'onere datoriale sia temperato e possa ritenersi assolto mediante presunzioni.
Il caso

La vicenda in commento si inserisce nell'ampio e variegato panorama dei contenziosi emersi in seguito all'entrata in vigore dell'art. 4 D.l. 1° aprile 2021, n. 44, convertito con modificazioni dalla L. 28 maggio 2021, n. 76, in materia di obbligo vaccinale per il personale sanitario.

Nel caso di specie, la lavoratrice, occupata in qualità di logopedista presso un Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, impugna il provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione comunicatole dal datore di lavoro in quanto non si è sottoposta al vaccino obbligatorio anti-Covid e chiede, con provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c., di essere riammessa al lavoro e di percepire tutte le retribuzioni dovute a partire dalla data della sospensione.

A sostegno del fumus boni iuris della sua richiesta, la ricorrente deduce di essere affetta da patologie che la esonerano dall'obbligo vaccinale e di poter continuare a svolgere la prestazione in modalità telematica. Inoltre, denuncia l'illegittimità dell'art. 4 D.l. n. 44/2021 sotto diversi profili.

Per quanto concerne il periculum in mora, la lavoratrice evidenzia che l'attività lavorativa esercitata costituisce l'unica fonte di reddito del proprio nucleo familiare e di non possedere un patrimonio sufficiente per far fronte al mantenimento della famiglia nelle more del giudizio ordinario.

Il Tribunale di Roma, però, rigetta il ricorso in quanto considera insussistente il fumus boni iuris addotto e compensa le spese di lite tra le parti, in considerazione della novità di alcune delle questioni trattate e della non uniformità degli orientamenti giurisprudenziali sull'obbligo datoriale di individuare un'altra collocazione per il personale sanitario inadempiente.

Le questioni

Le questioni affrontate dalla pronuncia sono molteplici, in quanto numerose sono le doglianze sollevate dalla ricorrente.

Innanzitutto, la pretesa inesistenza dell'obbligo vaccinale alla luce delle modifiche introdotte all'art. 4 D.l. n. 44/2021 dal D.l. n. 172 del 26 novembre 2021, convertito dalla L. n. 3 del 21 gennaio 2022 (che indica come data per l'obbligo di vaccinazione il 15 dicembre 2021), non appare condivisibile dal giudice.

In assenza di una disposizione transitoria, infatti, “si ritiene debbano trovare applicazione i principi generali in materia di successione delle leggi nel tempo e, precisamente, stante la persistenza dell'obbligo vaccinale per gli operatori sanitari, il principio tempus regit actum”.

Secondo la pronuncia in commento, la nuova norma, “lungi dall'aver soppresso l'obbligo vaccinale per gli operatori sanitari sino al 15.12.2021”, come sostenuto dalla ricorrente, ha invece introdotto, a decorrere da tale data, l'obbligatorietà della “terza dose” per il personale sanitario.

Per quanto concerne l'esonero dall'obbligo vaccinale, dalla lettura del combinato disposto dei commi 2 e 5 del citato art. 4, nonché della circ. del Ministero della Salute del 4 agosto 2021, n. 35309, si rileva che sono deputati al rilascio di tali certificazioni esclusivamente i medici vaccinatori dei Servizi vaccinali delle Aziende ed Enti dei Servizi Sanitari Regionali o i Medici di Medicina Generale o Pediatri di Libera Scelta dell'assistito che operano nell'ambito della campagna di vaccinazione anti-SARS-CoV-2 nazionale. Il certificato del medico curante presentato dalla ricorrente, pertanto, non è ritenuto idoneo per comprovare l'esonero dall'obbligo vaccinale.

In riferimento all'assunta violazione della normativa eurounitaria, il giudice sottolinea che “la materia degli obblighi vaccinali non costituisce in sé oggetto di una disciplina dell'Unione, e rispetto ad essa ogni Stato mantiene nell'ordinamento interno ampio margine di autonomia, come è agevolmente verificabile dall'assenza di uniformità tra gli Stati membri in merito alla previsione di vaccinazioni obbligatorie”.

In particolare, nulla impedisce agli Stati membri di introdurre, per ragioni di sanità pubblica, condizioni più restrittive, che abbiano una finalità legittima e siano con tale finalità proporzionate, in ambiti che, quale quello specifico della vaccinazione, non sono oggetto di disciplina unionale. Pertanto, non vi è alcuna violazione del Regolamento europeo n. 953/2021, secondo il quale è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate ai fini della libera circolazione nell'ambito dell'Unione Europea (considerando n. 36).

Non è riscontrabile nemmeno alcuna violazione dell'art. 32 Cost., perché “si deve confutare e respingere l'affermazione secondo cui i vaccini contro il Sars-Cov-2 siano ‘sperimentali' in quanto approvati senza un rigoroso processo di valutazione scientifica e di sperimentazione clinica che ne abbia preceduto l'ammissione”.

Infatti, l'efficacia dei vaccini contro il Sars-Cov-2 è confermata dall'evidenza dei bollettini sull'andamento dell'epidemia emessi dall'ISS, mentre la sicurezza è documentata dall'AIFA, secondo la quale gli eventi avversi conseguenti alla somministrazione del vaccino devono ritenersi rispondenti ad un criterio di normalità statistica.

Inoltre, la pronuncia mette in evidenza come “il margine di incertezza dovuto al c.d. ignoto irriducibile, che la legge deve fronteggiare in un'emergenza pandemica tanto grave, non può giustificare, né sul piano scientifico né sul piano giuridico, il fenomeno della esitazione vaccinale”.

Infine, la vaccinazione anti-Covid rientra a pieno titolo tra quelle previste dall'art. 1 della L. n. 210 del 1992 e, di conseguenza, non è necessaria nel testo dell'art. 4 D.L. n. 44/2021 un'espressa previsione dell'indennizzo in favore di eventuali danneggiati.

Le soluzioni giuridiche

Come visto, molte sono le questioni affrontate nella pronuncia, ma uno degli spunti più interessanti e dai risvolti più concreti e pratici è offerto dalla riflessione sulle c.d. mansioni alternative.

Secondo la ricorrente è stato violato il comma 8 dell'art. 4 D.l. n. 44/2021 (nella versione all'epoca vigente), che prevedeva l'adibizione del lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2. Alla luce di ciò, la lavoratrice avrebbe potuto continuare a svolgere l'attività di logopedista da remoto, come avvenuto dal marzo 2020 al momento della sospensione.

In realtà, dalla documentazione in atti emergono chiaramente sia l'esaurimento dei pazienti in carico in modalità da remoto sia le ragioni della scelta aziendale di non operare più con modalità telematica, fondate sull'evidenza scientifica della miglior efficacia terapeutica della modalità in presenza.

La ricorrente, però, deduce che il datore di lavoro non avrebbe offerto alcuna prova circa l'impossibilità di una diversa collocazione lavorativa, anche di tipo amministrativo, per evitare il contatto con i pazienti.

La formulazione del comma 8 all'epoca vigente, però, prevede l'adibizione a mansioni diverse solo “ove possibile” e, sulla base della formulazione letterale, il Tribunale di Roma si discosta dall'impostazione di quella parte della giurisprudenza di merito che estende alla situazione del personale sanitario non vaccinato il regime probatorio dell'obbligo di repechage.

Secondo la pronuncia in esame, “le due fattispecie non appaiono sovrapponibili: un conto è il licenziamento ed altro un provvedimento di temporanea sospensione; da un lato si tratta di valutare le ragioni aziendali che determinano la cessazione del rapporto di lavoro e dall'altro le ragioni di tutela della salute dei dipendenti (tutti) e degli utenti in un periodo di emergenza sanitaria, che impongono una sospensione temporanea del rapporto per una scelta volontaria dell'operatore”, cioè il rifiuto della somministrazione vaccinale.

Il giudice, perciò, esclude che all'onere probatorio previsto dal comma 8 all'epoca in vigore “debbano applicarsi i principi giurisprudenziali in materia di obbligo di repechage, dovendosi piuttosto ritenere che, in assenza di specifiche allegazioni attoree circa l'esistenza di posti compatibili e disponibili, l'onere datoriale sia comunque temperato e possa ritenersi assolto mediante presunzioni”, tanto più nell'ambito di un procedimento cautelare.

A sostegno della propria tesi, il giudice sottolinea che nel nuovo testo dell'art. 4, così come modificato dal D.L. n. 172/2021, tale onere datoriale è stato completamente eliminato.

Osservazioni

Numerosi e interessanti sono gli spunti di riflessione offerti dalla pronuncia in commento, che tocca alcuni tra i punti più delicati e incandescenti dell'elevato contenzioso in materia di mancata vaccinazione degli operatori sanitari e conseguente sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.

In particolare, è utile e significativo l'approfondimento del tema della possibile adibizione a mansioni diverse del personale sanitario non vaccinato, a causa della contiguità e del rischio di sovrapposizione con l'obbligo di repechage introdotto dalla giurisprudenza per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Appare pienamente condivisibile la tesi sostenuta nella pronuncia, in quanto, nelle ipotesi di mancata vaccinazione del personale sanitario, al datore di lavoro non è attribuita dalla legge alcuna discrezionalità: è tenuto a sospendere gli operatori non vaccinati.

Pertanto, caricarlo dell'ulteriore aggravio di dover dimostrare di aver vagliato tutte le possibili alternative di adibizione a mansioni diverse risulterebbe eccessivo.

Anche perché, a differenza di quanto accade nel licenziamento per giustificato motivo oggettivo, è il datore di lavoro a “subire” la scelta del lavoratore di non vaccinarsi e a dover riorganizzare la propria attività imprenditoriale di conseguenza, al fine di rispettare la prescrizione normativa della sospensione.

Minimi riferimenti bibliografici

S. Apa, Obbligo vaccinale anti-Covid al vaglio della Corte di Giustizia dell'Unione europea, in IlGiuslavorista, 28 febbraio 2022;

E. Gragnoli, L'epidemia, la vaccinazione, il rifiuto e l'ultimo provvedimento normativo, in Lav. dir. eur., 2021, n. 2;

G. Guarini, Rifiuto del vaccino anti Covid 19 e conseguenze giuridiche per il personale sanitario nelle recenti sentenze di Verona e Modena, in IlGiuslavorista, 4 agosto 2021;

P. Pascucci, SARS-CoV-2 e obbligo dei lavoratori di vaccinarsi, in Lav. dir. eur., 2021, n. 3;

P. Patrizio, Obbligo vaccinale sui luoghi di lavoro, tra impossibilità di imposizione del trattamento sanitario e necessità di contrastare la diffusione del virus, in IlGiuslavorista, 6 ottobre 2021;

C. Pisani, Il vaccino per gli operatori sanitari obbligatorio per legge è requisito essenziale per la prestazione, in Lav. dir. eur., 2021, n. 2;

M. Russo, Per “riveder le stelle” serve la ricerca giuslavoristica? Riflessioni sul lavoro tra vaccini anti-Covid e green pass, in Lav. dir. eur., 2021, n. 4.