Condotta antisindacale e giurisdizione: la qualifica di “lavoratore” incide sui poteri del collegio giudicante in autodichia
22 Agosto 2022
Massima
La controversia avente ad oggetto il carattere antisindacale della condotta datoriale rientra nella giurisdizione del giudice del lavoro, atteso che la lite, pur vertendo su rapporti non estranei all'esercizio delle funzioni dell'organo costituzionale e, lato sensu, al rapporto di lavoro del personale dipendente, esula dal ristretto ambito di giurisdizione affidato al Collegio giudicante in autodichia, potendo innanzi a quest'ultimo proporre ricorso i soli dipendenti ed avverso i provvedimenti amministrativi che li riguardano. Il fatto
L'associazione sindacale CGIL impugnava innanzi alla Corte Costituzionale le modifiche del regolamento dei servizi e del personale (RSP) approvate dalla medesima Corte, in sede non giurisdizionale, il 17 dicembre 2021, ai sensi dell'art. 14 L. n. 87/1953.
Con riferimento a tale approvazione veniva asserita la natura antisindacale della condotta. La ricorrente chiedeva il riconoscimento, nell'alveo dell'autodichia di cui è titolare la Consulta, di un'azione analoga a quella prevista, per la generalità dei lavoratori del settore pubblico e privato, dall'art. 28 St. Lav., nulla prevedendo il suddetto RSP quanto al diritto alla negoziazione ed all'azione in autodichia a tutela delle prerogative delle oo.ss.
L'o.s. richiamava anche il Regolamento del 24 gennaio 2018 il quale prevede l'istituzione di un Collegio giudicante di primo e di secondo grado competenti a pronunciarsi su provvedimenti attinenti alla materia dell'impiego del personale della Corte Costituzionale. Tali Collegi, evidenziava la ricorrente, giudicano con i poteri della giurisdizione esclusiva (art. 6).
Così ricostruito il quadro ordinamentale, ad avviso della CGIL la Corte, in sede non giurisdizionale, avrebbe violato il Protocollo stipulato nel 2005, in quanto prima di assumere determinazioni definitive in ordine allo stato giuridico ed economico del personale, avrebbe mancato di attivare le preventive consultazioni ed informazioni a cui aveva diritto il sindacato.
Durante l'iter di approvazione delle modifiche del RSP i rappresentanti sindacali erano stati consultati solo in parte, avendo ricevuto flussi informativi ritenuti inadeguati, senza la possibilità di incidere sul processo decisionale tramite un'effettiva concertazione.
La ricorrente evidenziava, inoltre, che il Regolamento del 24 gennaio 2018, nel prevedere l'azione giudiziaria in autodichia dei soli dipendenti avverso i provvedimenti che li riguardano, non consente in maniera esplicita un ricorso avverso i meri comportamenti, con l'effetto che la tutela giudiziaria dei diritti sindacali, ove non sia stato adottato un provvedimento, sarebbe sostanzialmente obliterata.
La CIGL, pertanto, prospettava un'interpretazione adeguatrice delle norme di riferimento, chiedendo alla Corte Costituzionale il potere di esercitare un'azione analoga a quella prevista dall'art. 28 St. Lav., in connessione con gli artt. 24, 39 e 111 Cost.
La ricorrente domandava, infine, qualora non fosse percorribile la via interpretativa, la trasmissione del fascicolo di causa alla Cancelleria della Corte ai sensi dell'art. 23 L. n. 87/53, chiedendo la prospettazione della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 14, commi 1 e 2, L. n. 87/53 e del Regolamento del 24 gennaio 2018, nella parte in cui, in caso di lesione della libertà sindacale o dei diritti di rappresentanza dei lavoratori, non è consentito il ricorso ex art. 28 St. Lav. ovvero ad altra azione avente analoghe caratteristiche.
La Corte Costituzionale, costituitasi in giudizio, eccepiva il difetto di giurisdizione del Collegio. Nessun giudice avrebbe il potere di imporre un sistema di relazioni sindacali diverso da quello disciplinato dalla stessa Corte.
Secondo la tesi difensiva dell'organo costituzionale, l'unico titolare della disciplina del rapporto di lavoro dei propri dipendenti, nonché titolare delle relative relazioni sindacali, sarebbe la Consulta, con conseguente insindacabilità in sede giudiziaria.
La posizione della ricorrente veniva contestata anche sotto il profilo sostanziale, asserendo la tempestività dell'informazione fornita ai sindacati dell'avvio dei lavori della riforma, sulla quale gli stessi sarebbero stati invitati a formulare le proprie considerazioni. La questione
Il Collegio giudicante in autodichia può esprimersi in merito alla condotta antisindacale asseritamente tenuta in sede non giurisdizionale dalla Consulta? La soluzione del Collegio
Il Collegio ha ritenuto di declinare la propria giurisdizione a favore del giudice del lavoro, evidenziando che il Regolamento del 24 gennaio 2018 prevede il ricorso in autodichia dei soli dipendenti della Corte avverso i provvedimenti che li riguardano, nulla indicando in ordine alla tutela dei diritti e delle prerogative delle associazioni sindacali.
Nessuna previsione in tal senso è prevista nel Protocollo del 2005, né nel RSP agli artt. 55, 56 e 57 regolanti i diritti sindacali.
Non è stata rinvenuta, in sintesi, alcuna disciplina, nell'ambito delle norme interne della Corte Costituzionale, che legittimi il ricorso giurisdizionale in autodichia di organismi rappresentativi interni alla Corte stessa, in particolar modo con riferimento a condotte omissive o commissive non esternate nella forma dei provvedimenti amministrativi, come tali non incidenti, in maniera diretta ed immediata, sui singoli dipendenti.
Il Collegio ha richiamato l'insegnamento della Corte Costituzionale secondo il quale l'autonomia normativa degli organi costituzionali ha un fondamento che ne rappresenta anche il confine giacché, se è consentito agli stessi disciplinare il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, non è possibile, in via di principio, ricorrere alla medesima potestà normativa né per disciplinare rapporti giuridici con soggetti terzi, né per riservare agli organi di autodichia la decisione di eventuali controversie che ne coinvolgano le situazioni soggettive.
L'organo giudicane ha ritenuto, quindi, che la richiesta di interpretazione adeguatrice/chiarificatrice non potesse trovare esito favorevole per il tenore univoco delle disposizioni poste dagli artt. 1 e 2 della Regolamento del 2018, da leggersi alla luce dell'art. 12 preleggi c.c.
Trattandosi di disposizioni eccezionalmente derogatorie rispetto al diritto comune, infatti, dovevano essere oggetto di stretta interpretazione, sicché le relazioni sindacali, pur contemplate nel RSP e nel Protocollo 2005, non potevano ritenersi rimesse nella sfera riservata agli organi giurisdizionali interni della Corte.
Il Collegio ha ritenuto, inoltre, non potersi ipotizzare un difetto di tutela giudiziaria del momento associativo del rapporto di lavoro dei dipendenti della Corte Costituzionale, concludendo che le oo.ss. possono agire in giudizio all'interno dell'ordinario regime di tutela dei diritti sindacali dinanzi al giudice del lavoro.
Non accolta è stata anche la richiesta di rinvio per lo scrutinio della legittimità costituzionale delle disposizioni normative indicate dalla ricorrente.
In sintesi, il Collegio ha dichiarato la propria carenza di giurisdizionale atteso che la controversia, pur vertendo su rapporti non estranei all'esercizio delle funzioni dell'organo costituzionale e lato sensu al rapporto di lavoro del personale dipendente, esulava dal ristretto ambito di giurisdizione affidato al Collegio medesimo, innanzi al quale sono legittimati espressamente ad agire i soli dipendenti avverso i provvedimenti amministrativi che li riguardano.
Conformemente a quanto previsto per le controversie di soggetti terzi esterni alla Corte, la lite non poteva che ricadere nell'ambito della giurisdizione comune. Osservazioni
Nella decisione in commento il focus del Collegio viene posto non direttamente sul carattere antisindacale o meno della condotta, quanto sulla sussistenza di un fondamento normativo dell'azione dell'organizzazione sindacale, interna alla Consulta, in sede di autodichia.
Il regolamento del 24 gennaio 2018, diretto a disciplinare i ricorsi in materia di impiego del personale della Corte costituzionale, non prevede espressamente, tra i legittimati attivi, anche i sindacati. L'art. 2 del medesimo regolamento, infatti, pone uno strumento di tutela a favore dei soli lavoratori e con riferimento ai provvedimenti attinenti alla materia dell'impiego del personale presso la Consulta (in servizio ed in quiescenza).
Quid iuris laddove l'asserito pregiudizio del lavoratore non sia diretto, in quanto involgente le prerogative sindacali, né abbia trovato espressione in un provvedimento del datore pubblico?
Sul punto si rammenta che, secondo una parte della dottrina, è possibile distinguere tra condotta antisindacale “monoffensiva” e “plurioffensiva”. In astratto, quindi, la condotta antisindacale potrebbe ledere solo ed esclusivamente i diritti e le prerogative del sindacato, ovvero anche quelli del/i lavoratore/i.
Nella prima ipotesi, quale quella che ha caratterizzato la vicenda oggetto della decisione in esame, il sindacato potrà agire in giudizio ai sensi dell'art. 28 St. Lav.
Nel secondo caso, dal momento che la condotta lede anche interessi individuali del lavoratore (ad esempio un illegittimo trasferimento ad altra sede di un dirigente sindacale), non potrebbe dubitarsi della conservazione da parte del sindacato del potere di reagire in via giudiziale, senza che questo limiti il diritto di difesa del singolo dipendente pregiudicato.
La giurisprudenza, infatti, non ha posto in discussione la coesistenza delle due azioni (individuale e collettiva), le quali ben potranno giungere a conclusione in modo autonomo ed indipendente l'una dall'altra (Cass. 18539/2015).
Con riferimento all'art. 28 St. Lav. è bene evidenziare che il Legislatore ha espressamente regolato l'azione come rimedio nella disponibilità della sola organizzazione sindacale e non anche dei lavoratori che alla medesima siano iscritti.
Tale precisazione consente di ricollegarci alla questione risolta dal Collegio nel caso di specie.
L'art. 2 del regolamento del 2018 precitato individua i soli lavoratori come soggetti legittimati ad agire in sede di autodichia a tutela della propria posizione, asseritamente lesa dal provvedimento datoriale, e non anche soggetti che possiamo definire “terzi” rispetto al rapporto di lavoro.
Già in precedenza la Consulta ha avuto modo di pronunciarsi in ordine al confine tra giurisdizione ed autodichia degli organi costituzionali: sebbene questi ultimi possano disciplinare il rapporto di lavoro con i propri dipendenti, non spetta loro, in via di principio, ricorrere alla propria potestà normativa per disciplinare rapporti giuridici con soggetti terzi, né per riservare agli organi di autodichia la decisione di eventuali controversie che ne coinvolgano le situazioni soggettive.
Questa conclusione non viene meno anche qualora le controversie coinvolgenti soggetti diversi dai lavoratori abbiano ad oggetto rapporti non estranei all'esercizio delle funzioni dell'organo costituzionale.
Tali liti, non riguardando questioni puramente interne al suddetto organo, non potrebbero essere sottratte alla “giurisdizione comune” (tralasciando in questa sede la discussione circa la natura giurisdizionale o meno degli organi di autodichia).
Il richiamato orientamento della Consulta trova conferma nella decisione del Collegio il quale, escludendo di potersi pronunciare in sede di autodichia, ha riconosciuto la giurisdizione del giudice del lavoro. Ad agire, infatti, non era il lavoratore avverso un provvedimento datoriale asseritamente lesivo, ma l'organizzazione sindacale, ergo un soggetto terzo rispetto al rapporto di lavoro, i cui diritti e prerogative non avrebbero potuto essere inclusi nell'eccezionale perimetro operativo dell'autodichia.
Proprio il distinguo lavoratore-terzo diviene, dunque, elemento dirimente nell'individuazione dello strumento di tutela del caso specifico. A ciò dovrebbe aggiungersi anche l'ipotesi in cui il pregiudizio non derivi direttamente da un provvedimento dell'organo costituzionale-datore, stando al dato letterale del Regolamento più volte richiamato.
Infine sembra il caso di osservare che in una situazione processuale opposta a quella qui affrontata in cui ad essere adito per primo sia il “giudice comune”, questo, secondo le regole generali, avrebbe il potere-dovere di qualificare la domanda al fine di valutare se, per petitum e causa petendi, essa sia attratta nel perimetro dell'autodichia sancita, in via generale ed astratta, dalla fonte di autonomia normativa dell'organo costituzionale, così de facto interpretando la fonte stessa.
Tale risultato striderebbe con la ratio stessa dell'autodichia, individuata nell'intento di evitare il sindacato sull'atto: non sarebbe la vertenza in sé a costituire un rischio per l'indipendenza dell'organo costituzionale, quanto il fatto che, per dirimere la controversia, il giudice comune si pronunci su atti normativi interni.
In ogni caso, sembra potersi affermare che proprio la qualifica di lavoratore dipendente dell'organo costituzionale costituirà un elemento dirimente nell'accertare la giurisdizione esclusiva del Collegio in sede di autodichia (art. 6 Regolamento del 24 gennaio 2018). Per approfondire
P. Arigotti, Manuale di diritto e relazioni sindacali nel pubblico impiego, Maggioli editore, 2021.
C. Delle Donne, La questione di autodichia nel processo (ovvero degli incerti confini tra regolamento di giurisdizione e conflitto di attribuzioni), in www.judicium.it, Fasc. 3/2020.
L. Castelli, Il “combinato disposto” delle sentenze n. 213 e n. 262 del 2017 e i suoi (non convincenti) riflessi sull'autodichia degli organi costituzionali, in Osservatorio Costituzionale Fasc. 01/2018, 21 febbraio 2018.
F. Dalla Balla, I paradossi dell'autodichia - Prospettive delle giurisdizioni domestiche dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 262/2017, in federalismi.it, 18 luglio 2018. |