Limiti all'utilizzo per copertura perdite della riserva da plusvalenze derivanti da valutazione delle partecipazioni in imprese controllate

Daniele Fico
23 Agosto 2022

La sentenza in commento analizza le riserve da plusvalenze derivanti dalla valutazione delle partecipazioni in società controllate con il metodo del patrimonio netto, evidenziando se tali plusvalenze costituiscano riserve non distribuibili o se invece possano essere utilizzate per coprire le perdite della società.
Massima

In tema di società di capitali, la riserva costituita, ai sensi dell'art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., dalle plusvalenze, derivanti dalla valutazione delle partecipazioni in imprese controllate secondo il criterio del patrimonio netto, ha natura di riserva non distribuibile, basandosi su un valore solo stimato e non ancora realizzato, e può essere utilizzata per la copertura delle perdite solo dopo l'assorbimento di ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio.

Il caso

La questione nasce a seguito dell'impugnazione dinanzi al Tribunale di Roma da parte di alcuni soci di una società per azioni di una delibera assembleare di approvazione del bilancio per violazione dell'art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., in merito alla valutazione della posta relativa alle partecipazioni in società controllate con il metodo del patrimonio netto, la cui plusvalenza avrebbe dovuto costituire una riserva non distribuibile, in luogo del costo storico e la conseguente delibera di distribuzione degli utili del bilancio di esercizio così approvato.

L'anzidetta deliberazione assembleare è stata dichiarata nulla dai giudici di primo grado capitolini con sentenza del 17 febbraio 2006, avverso la quale la società soccombente ha presentato ricorso in Appello che con due distinte sentenze - dapprima, non definitiva, con conseguente rimessione in istruttoria per la disposizione di consulenza tecnica, e successivamente definitiva – ha respinto il ricorso.

La società soccombente ha quindi impugnato la sentenza non definitiva e quella definitiva dinanzi alla Cassazione che ha rigettato i ricorsi riuniti, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore solidale dei controricorrenti.

La questione giuridica e la soluzione

Nella sentenza in esame, i giudici di legittimità hanno affrontato alcuni interessanti aspetti in tema di bilancio di esercizio di società di capitali, concernenti le regole di redazione dello stesso, la valutazione delle partecipazioni in società controllate e collegate, la riserva costituita dalle plusvalenze ex art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., derivanti dall'applicazione del criterio del patrimonio netto, in luogo del costo ed i limiti all'utilizzo di questa riserva; ovvero se, ed a quali condizioni, sia legittimo l'utilizzo a copertura delle perdite di esercizio - così rendendo lecita la distribuzione di utili ai soci cui, al contrario, ai sensi dell'art. 2433, comma 3, c.c., non potrebbe farsi luogo in presenza di perdita fino a quando il capitale non sia integrato o diminuito in misura corrispondente.

La S.C., in primo luogo, si è soffermata sui principi di redazione del bilancio di esercizio ricordando, da un lato, che al fine di preservare il capitale sociale e tutelare quindi l'affidamento dei terzi nella solidità dell'impresa, gli stessi sono ispirati al criterio generale di prudenza; dall'altro, l'esigenza, di più recente emersione, volta a evitare di sottostimare tale stato evidenziando i valori reali dell'azienda, attraverso il ricorso al criterio definito del fair value.

In tale ottica, i giudici di legittimità sottolineano il ridimensionamento del concetto tradizionale del capitale sociale minimo come strumento di tutela del ceto creditorio, verso un nuovo ruolo affidato all'equilibrio finanziario ed alla capacità dell'impresa a produrre reddito, a loro volta propiziate da una corretta organizzazione dell'impresa medesima.

In secondo luogo, sulla valutazione delle immobilizzazioni consistenti in partecipazioni, ricordando che ai sensi dell'art. 2426, comma 1, n. 1, c.c., le stesse sono iscritte al costo di acquisto; ma che il n. 4 di tale disposizione consente all'organo amministrativo – trattasi di facoltà, e non certo di obbligo – di valutare le partecipazioni detenute in imprese controllate e collegate secondo il metodo del patrimonio netto, ovvero “per un importo pari alla corrispondente frazione del patrimonio netto risultante dall'ultimo bilancio delle imprese medesime, detratti i dividendi ed operate le rettifiche richieste dai principi di redazione del bilancio consolidato, nonché quelle necessarie per il rispetto dei principi indicati negli artt. 2423 e 2423-bis”. Applicando questo criterio, negli esercizi successivi i maggiori valori (plusvalenze), rispetto al valore dell'esercizio precedente, sono iscritti in una “riserva non distribuibile”.

La ratio di tale principio, osservano i giudici di legittimità, è quella di evitare il rischio di indebite fuoriuscite di ricchezza del patrimonio della società e, in particolare, la distribuzione di ricchezza ai soci, con conseguente riduzione del patrimonio sociale e minore tutela per i creditori che, al contrario, hanno diritto ad essere soddisfatti con priorità rispetto ai soci (in questo senso, Cass. 23 marzo 2004, n. 5740, in ilcaso.it).

La S.C. si è poi soffermata sulla nozione di “disponibilità” e di “non distribuibilità” delle riserve evidenziando, per le prime, la possibilità di utilizzazione per diversi scopi, tra i quali, l'imputazione a copertura delle perdite d'esercizio, l'aumento gratuito di capitale e la distribuzione ai soci come utile; a differenza delle riserve “non distribuibili” per le quali, al contrario, non è ammessa la possibilità di ripartizione tra i soci. Le stesse possono comunque essere utilizzate a copertura delle perdite, nel rispetto, però, di un ordine successivo che prevede prima l'imputazione delle riserve meno vincolate e più disponibili (prima le riserve facoltative, poi quelle statutarie, poi quelle legali) e, successivamente, quelle più vincolate e, di conseguenza, meno disponibili.

Per la Cassazione, infatti, le riserve sono destinate a costituire “un presidio avanzato del capitale” sociale (Cass. 17 novembre 2005, n. 23269, in ilcaso.it) e i “diversi strati” del patrimonio netto, dal momento che sono progressivamente più vincolati a garanzia dei creditori, possono e devono subire le decisioni dei soci di intaccarli nell'ordine anzidetto, restando preclusa ai soci stessi la possibilità di far gravare le perdite sul netto maggiormente vincolato, sino a quando esistono parti di netto meno vincolate o non vincolate (Cass. 2 aprile 2007, n. 8221, in altalex.com).

Quanto sopra, porta a confermare il principio secondo cui le riserve appostate nel patrimonio netto di una società di capitali possono essere imputate a riduzione del capitale soltanto secondo un ordine di progressiva minore disponibilità, da ultimo residuando, in questo caso sulla base delle maggioranze dell'assemblea straordinaria, l'operazione di riduzione del capitale sociale.

Con specifico riferimento, infine, alla riserva di cui all'art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., i giudici di legittimità, dopo aver osservato che la non distribuibilità trova la sua ratio nel fatto che si tratta di valore soltanto stimato, ma non ancora realizzato e, come tale, non certo, hanno affermato che la stessa - in considerazione del suddetto principio di imputazione delle riserve dalla meno vincolata alla più vincolata – deve essere intaccata soltanto dopo che altre riserve prive di vincolo di non distribuibilità siano state già erose dalle perdite.

Alla luce di tali principi, tenuto conto, altresì - come esplicitato nelle due sentenze della Corte d'Appello di Roma - della esistenza di riserve in bilancio che, quindi, avrebbero dovuto essere assorbite prioritariamente dalle perdite, la Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi riuniti.

Osservazioni

E' noto che il concetto di ‘‘disponibilità'' non coincide con quello di ‘‘distribuibilità'', termine quest'ultimo da intendersi come possibilità di ripartire tra i soci una determinata riserva, il cui divieto, rectius indistribuibilità, impone che il valore corrispondente alla stessa resti nel patrimonio netto, impedendo, conseguentemente, una diminuzione patrimoniale della società.

La disponibilità di una riserva, al contrario, dovrebbe coincidere con l'attitudine della medesima ‘‘ad essere genericamente oggetto di un atto di disposizione da parte dell'organo legittimato a compierlo, e che l'atto di disposizione in generale dovrebbe poter coincidere con una qualunque utilizzazione volta a far produrre a quell'oggetto l'utilità economica (anzi una qualsiasi delle utilità economiche) connessa allo stesso'' (l'espressione è di G.A.M. Trimarchi, L'aumento del capitale sociale, Milano, 2007, 21).

In tale ottica, è stato osservato che la distribuibilità è soltanto uno degli aspetti della disponibilità, ‘‘in un rapporto di species a genus'' (sempre G.A.M. Trimarchi, L'aumento del capitale sociale, cit., 21). Da ciò discende che, in termini generali, le riserve indisponibili sono, in quanto tali, indistribuibili; per essere indisponibile, infatti, la riserva deve avere uno scopo che non renda praticabile l'atto di utilizzazione della medesima ai fini dell'incremento del capitale sociale. Per contro, le riserve non distribuibili possono essere disponibili per l'aumento del capitale e, se generiche, cioè se sprovviste di scopo, possono essere disponibili anche ad altri fini; così come disponibili per l'imputazione a capitale sociale sono le riserve distribuibili tra i soci, in aggiunta all'utile d'esercizio o in sostituzione dello stesso.

Su questo aspetto, il legislatore non fornisce una nozione di disponibilità o di distribuibilità, limitandosi a richiedere nella nota integrativa l'indicazione analitica delle voci del patrimonio netto con specificazione della loro origine, della possibilità di utilizzazione (disponibilità) e distribuibilità, nonché della loro avvenuta utilizzazione nei precedenti esercizi (art. 2427, comma 1, n. 7-bis, c.c.).

Con specifico riferimento alla riserva relativa a plusvalenze derivanti, in sede di valutazione delle partecipazioni in imprese controllate e collegate, dall'applicazione del metodo del patrimonio netto, rispetto al valore indicato nel bilancio del precedente esercizio, giova evidenziare che la stessa, oltre che indisponibile è, in base al disposto di cui all'art. 2426, comma 1, n. 4, ultima parte, c.c., non distribuibile ai soci (contra G E. Colombo, Il bilancio d'esercizio, in Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. Colombo, G.B. Portale, Torino, 7*, 1994, 513, secondo il quale, al contrario, non pare dubitabile che tale riserva sia disponibile, poiché l'imputazione a capitale non equivale a far uscire il relativo valore dal patrimonio sociale); dal momento che, diversamente, si darebbe luogo ad una distribuzione di utili solo sperati, quindi non realizzati – come evidenziato nella sentenza dalla S.C. in commento - con conseguente restituzione di patrimonio ai soci e lesione dell'integrità del capitale sociale.

Quanto sopra, tuttavia, non sta a significare che tale riserva non possa in alcun modo essere utilizzata, ben potendosi imputare a copertura delle perdite d'esercizio sulla base, però, di una graduazione, che comporta l'imputazione delle stesse secondo una progressione rigida, dalla riserva meno vincolata e più disponibile a quella più vincolata. L'imputazione della perdita di esercizio a riserva, infatti, non può essere effettuata indiscriminatamente, in considerazione del fatto che le diverse componenti del netto sono soggette ad una disciplina vincolistica differente, ossia sono più o meno liberamente disponibili dall'assemblea per essere distribuite ai soci.

In particolare, alla luce del principio della tutela dei creditori sociali, le perdite dovranno intaccare per prima quelle parti del netto non soggette ad alcun vincolo, o che sono meno “rigidamente vincolate”, a protezione dei creditori (così G.E. Colombo, Il bilancio d'esercizio, cit., 510). Su tale aspetto, sia la dottrina (cfr., per tutti, G.F. Campobasso, Diritto commerciale. Diritto delle società, Torino, 2006, 513; G.A.M. Trimarchi, L'aumento del capitale sociale, cit., 96; R. Nobili, La riduzione del capitale, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da P. Abbadessa, G.B. Portale, Torino, 3, 2007, 318; G.E. Colombo, Il bilancio d'esercizio, cit., 510 s.), sia la giurisprudenza, di legittimità (al riguardo, si rinvia alle decisioni della Cassazione sopra citate ed a Cass. 5 maggio 2022, n. 14210, in altalex.com, dal contenuto analogo alla sentenza in commento) e di merito (App. Milano 19 giugno 1999, in Notariato, 1999, 243 ss.; Trib. Genova 12 febbraio 2003, in Le Società, 2003, 616; Trib. Roma 20 febbraio 2001, in Le Società, 2001, 969), sono concordi nel ritenere che la perdita debba essere imputata alle riserve secondo un ordine prestabilito che tenga conto del grado di disponibilità delle medesime. Pertanto, l'effetto di erosione delle perdite “sarà progressivo a partire dalle riserve meno vincolate fino a quelle soggette a maggiore vincolo” (così G. Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Trattato delle società per azioni, cit., 1***, 2004, 783).

Al riguardo, è pacifico che le perdite vanno ad intaccare:

- in primo luogo, le riserve facoltative (costituite con utili non distribuiti) e le riserve disponibili;

- poi le riserve statutarie;

- poi i fondi di rivalutazione monetaria;

- quindi la riserva da sovrapprezzo azioni o quote, equiparata alla riserva legale;

- poi la riserva legale;

- infine, la riserva da fair value, per la quale, l'art. 6, comma 5, D. Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38, prevede l'utilizzazione per copertura delle perdite di esercizio soltanto dopo aver utilizzato le riserve di utili disponibili e la riserva legale, e la più volte menzionata riserva ex art. 2426, comma 1, n. 4, c.c.

Conclusioni

Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ribadisce il proprio consolidato orientamento, assolutamente condivisibile dallo scrivente, secondo cui la riserva da plusvalenze derivanti dalla valutazione delle partecipazioni in imprese controllate e collegate di cui all'art. 2426, comma 1, n. 4, c.c., per il principio della graduazione delle voci iscritte al patrimonio netto, è utilizzabile a copertura delle perdite soltanto nel caso in cui difettino in bilancio poste del netto più liberamente disponibili. In altri termini, tale riserva potrà essere utilizzata per ridurre o eliminare le perdite soltanto dopo ogni altra riserva distribuibile iscritta in bilancio, ma prima del capitale.

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