Continuità aziendale e tutela occupazionale: la revisione dell'art. 84 CCI all'insegna del pragmatismo

Alessandro Corrado
23 Agosto 2022

L'articolo ripercorre le tappe dell'iter che ha portato alla versione attuale dell'art. 84 CCI, approfondendo gli aspetti della norma dedicati alla tutela dei lavoratori e dei loro crediti.
Introduzione
Nell'ambito della revisione del Codice della crisi resa necessaria dall'esigenza di attuare la Direttiva (UE) 2019/1023 (c.d. Direttiva “Insolvency”), il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83 recante modifiche al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza di cui al d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 ha sottoposto la parte dell'art. 84 dedicata alla tutela occupazionale ad un deciso cambiamento. Il presente contributo intende ripercorrere le tappe dell'iter che ha portato alla versione attuale del testo approfondendo gli aspetti della norma dedicati alla tutela dei lavoratori e dei loro crediti.
Il testo elaborato dalla Commissione Rordorf (art. 89)

La prima stesura, ad opera della Commissione Rordorf, contenuta nell'art. 89, aveva licenziato una versione che, nel rispetto della delega ricevuta dal decreto legislativo n. 155/2019, delineava la differenza tra concordato preventivo in continuità diretta ed indiretta omettendo ogni riferimento alla tutela della stabilità dei rapporti di lavoro.

QQqcluesta restava quindi esclusivamente demandata alle disposizioni dell'art. 47 l. n. 428/1990 il cui comma 4 bis, lett. b-bis, inserito dopo la sentenza di condanna della Corte di Giustizia 11 giugno 2019 causa C-561/07, garantisce ai lavoratori dipendenti di un imprenditore che abbia chiesto l'apertura di una procedura di concordato preventivo non liquidatorio l'applicazione dell'art. 2112 c.c. e la salvaguardia della continuità del rapporto con l'imprenditore cessionario dell'azienda.

A parte una piccola sbavatura testuale, nella parte in cui sembra autorizzare impresa cedente e cessionaria a stipulare con le organizzazioni sindacali accordi che prevedano il “mantenimento, anche parziale, dell'occupazione”, la soluzione adottata è conforme al dettato della Direttiva n. 2001/23/CE, nella parte in cui consente di derogare alle tutele ai diritti dei lavoratori nelle sole ipotesi di procedure di insolvenza e liquidazione che si svolgano sotto il controllo di un'autorità pubblica, lasciando spazio – nei casi di procedure finalizzate al risanamento ed alla continuità aziendale – alla sola possibilità di modificare le condizioni di lavoro.

L'antinomia normativa creata dal Codice della crisi: il dissidio tra gli artt. 84 e 368

Il Codice della crisi varato con il d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 si è fatto portatore di istanze di tutela occupazionale che non solo non erano state previste dal legislatore delegante, ma dalla formulazione testuale alquanto problematica: il comma 2 (di quello che nel frattempo è stato rinumerato come art. 84) ha infatti identificato in continuità indiretta la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di un soggetto terzo rispetto al debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto stipulato anche anteriormente purché in funzione della presentazione del ricorso unitamente al mantenimento o alla riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall'omologazione.

La clausola occupazionale, che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto contribuire a promuovere la salvaguardia dei posti di lavoro, aveva tuttavia sollevato numerose critiche in dottrina: sia per l'eccesso di delega ed i conseguenti dubbi di legittimità costituzionale; sia per il potenziale effetto disincentivante causato dal vincolo al mantenimento dell'occupazione, sia per la rigidità dell'imposto requisito dimensionale. Sia, ancora e soprattutto, perché in contrasto proprio con il comma 4-bis dell'art. 47 L. n. 428/1990 che – con il testo opportunamente modificato dall'art. 368 d.lgs. n. 14/2019 – per le procedure concorsuali dirette al risanamento, concordato preventivo in continuità indiretta ex art. 84, comma 2 (lett. a), accordi di ristrutturazione non liquidatori (lett. b) ed amministrazione straordinaria in continuità aziendale (lett. c), stabilisce la possibilità di raggiungere un accordo “con finalità di salvaguardia dell'occupazione, fermo il trasferimento al cessionario dei rapporti di lavoro” e si allinea ancor più ai principi stabiliti dalla Direttiva 2001/23/CE limitando alle sole “condizioni di lavoro” la possibilità di derogare i diritti offerti ai lavoratori dall'art. 2112 c.c. e soprattutto con la Direttiva stessa.

Paradossalmente, quindi, la stabilità di tutti i rapporti di lavoro sarebbe stata garantita solo se osservata dalla visuale del trasferimento d'azienda ai sensi dell'art. 47, comma 4-bis, lett. a) legge n. 428/1990, mentre sarebbe venuta meno se affrontata sotto il profilo della domanda di accesso al concordato preventivo in continuità indiretta ex art. 84, comma 2, CCI, che prelude al trasferimento stesso.

Altrettanto dubbie sono apparse alla dottrina le conseguenze sanzionatorie a carico del debitore per il mancato rispetto del vincolo al mantenimento dell'occupazione nella misura fissata: soprattutto se intervenuto dopo il perfezionarsi della cessione d'azienda e quindi per un evento riferibile al cessionario, anche indipendentemente dalla sua scelta (come nel caso di dimissioni di uno o più dipendenti), sarebbe problematico configurarlo quale inadempimento nei confronti dei creditori concordatari ed imporre al cessionario l'onere di riportare il numero dei lavoratori al di sopra della soglia minima.

In definitiva, proprio la finalità di tutela dell'occupazione perseguita con il rispetto del vincolo per la quale il comma 2 dell'art. 84 è stato congegnato avrebbe rischiato, secondo molti commentatori, di creare un effetto distorsivo finendo per confinare l'uso dello strumento ad ipotesi residuali.

C'è tuttavia da precisare che in realtà, mentre questo dibattito prendeva forma e si amplificava, la prassi si cimentava proprio con il criticato requisito dimensionale verificandone il rispetto ai fini della qualificazione del concordato preventivo in continuità indiretta, come si evince dal provvedimento del Tribunale Milano 28 novembre 2019.

Al di là di questo isolato caso, le critiche espresse dalla dottrina sembrano confermare la tesi dominante secondo cui, nell'ambito della crisi d'impresa, risulta arduo contemperare gli interessi dei creditori del debitore con quelli dei lavoratori senza arrivare a comprimere quelli degli uni a scapito di quelli degli altri.

La revisione dell'art. 84 all'insegna del pragmatismo

Le numerose critiche appena passate in rassegna hanno quindi consigliato al legislatore una revisione del testo dell'art. 84 CCI: quello previsto dal d.lgs. n. 83/2022, pur ribadendo la necessità della salvaguardia occupazionale, ha difatti eliminato ogni riferimento al vincolo del mantenimento di un determinato numero di lavoratori. La continuità aziendale, si legge infatti, tutela l'interesse dei creditori, ritenuto quindi preminente, e “preserva, nella misura possibile, i posti di lavoro”.

La nuova, e decisamente più neutra, formulazione, sembra enunciare la necessità che le operazioni di risanamento condotte in continuità aziendale si sforzino di non sacrificare la tutela occupazionale, con il pragmatismo di chi sa bene che in realtà esse raramente vengono concluse senza lo snellimento della forza lavoro, non fosse altro che (solo per fare un esempio) per evitare la duplicazione di funzioni (come, ad esempio, quella amministrativa) solitamente già presenti in modo ben strutturato presso il cessionario.

È tuttavia indubbio che la nuova versione cancella l'antinomia normativa con il citato comma 4 bis, art. 47, l. n. 428/1990 ed appiana di conseguenza ogni contrasto con la Direttiva n. 2001/23/CE.

La tutela dei crediti retributivi: l'eccezione alla regola della relative priority rule; la moratoria prevista dall'art. 86 CCI

Il nuovo comma 7 dell'art. 84 contempla inoltre in modo espresso la tutela dei crediti retributivi prevedendo che quelli “assistiti dal privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 1 c.c. sono soddisfatti, nel concordato in continuità aziendale, nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione sul valore di liquidazione e sul valore eccedente il valore di liquidazione”.

Così congegnata, la norma garantisce ai lavoratori la priorità del pagamento dei crediti rispetto a quelli di rango inferiore (secondo la c.d. absolute priority rule) costituendo dunque un'eccezione al principio della c.d. priorità relativa secondo cui il plusvalore creato grazie alla continuità, in misura eccedente il valore di liquidazione del patrimonio, può essere distribuito anche senza garantire la soddisfazione integrale del creditore più tutelato, a condizione che gli sia comunque garantito un trattamento non peggiore rispetto a quello del creditore di rango successivo.

La medesima norma assegna dignità normativa ai diritti pensionistici dei lavoratori disponendo in particolare che “la proposta e il piano assicurano il rispetto di quanto previsto dall'art. 2116, primo comma, c.c.”, vale a dire le forme di previdenza e di assistenza obbligatorie e le contribuzioni e prestazioni relative, dovute al prestatore di lavoro anche quando l'imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza.

Tale previsione sembra in linea con quella contenuta nell'art. 13, comma 1, lett. b) ii) della Direttiva Insolvency la necessità di informare le Organizzazioni Sindacali sulle procedure di ristrutturazione preventiva in grado di incidere appunto sui diritti pensionistici dei lavoratori.

Sul punto occorrerà tuttavia tenere presente che la tutela vera e propria dei diritti previdenziali a fronte dell'omissione contributiva può intervenire con un'azione risarcitoria che può essere esercitata soltanto nel momento in cui la definitiva perdita della prestazione previdenziale viene in essere per il lavoratore il quale, prima di quel momento, soffre esclusivamente un danno potenziale in quanto titolare di una posizione assicurativa carente (in caso di parziale omissione contributiva) ovvero del tutto mancante (in caso di totale omissione) contro il quale è ammessa un'azione di mero accertamento (sul punto si rinvia a Cass. sez. lav. 8 giugno 2021, n. 15947).

Sebbene tutelati dalla regola della priorità assoluta, i crediti retributivi non sfuggono alla possibilità che il piano concordatario preveda una moratoria nel pagamento, che secondo il testo dell'art. 86 sostituito dalla bozza del CdM del 17 marzo 2022 (a differenza degli altri crediti minuti di privilegio, pegno o ipoteca per i quali non è previsto alcun termine) può arrivare “fino a sei mesi dall'omologazione”: sul punto, si osserva che l'art. 6 Direttiva 2019/1023, recepito dall'art. 6 d.l. n. 118/2021 sulla composizione negoziata per la soluzione della crisi d'impresa, esclude dalla sospensione delle azioni esecutive individuali proprio i diritti di credito dei lavoratori.

Conclusioni

Al termine di questa breve trattazione, si può dire che la strada imboccata con il nuovo testo dell'art. 84, nel solco di quanto disposto dalla Direttiva 2019/1023, sembra garantire un'adeguata attenzione alle esigenze della tutela occupazionale nelle operazioni di ristrutturazione con continuità risolvendo ogni contrasto con le norme protettive della stabilità dei rapporti di lavoro, lasciando alla prassi, libera da vincoli prestabiliti, il compito di verificare di volta in volta la possibilità che il numero dei lavoratori alle dipendenze dell'imprenditore in crisi subisca una, probabilmente inevitabile, riduzione.

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