Questioni in tema di contributo unificato per atti giudiziari

25 Agosto 2022

Molteplici sono le questioni di interesse poste e risolte dalla pronuncia in oggetto. La prima riguarda la legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.lgs. 546/1992, che attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie sul contributo unificato.
Massima

Sebbene il contributo unificato possa in parte concorrere al funzionamento dell'intero sistema di giustizia tributaria ed anche a coprire le spese per i compensi dei giudici tributari, ciò non incide affatto sull'indipendenza e l'imparzialità di questi ultimi, non essendoci alcuna relazione diretta tra il contributo unificato (e ancora meno sulla individuazione della parte tenuta a corrisponderlo) ed il compenso delle persone fisiche che decidono la causa, parimenti a quanto, peraltro, avviene nei giudizi ordinari.

La disciplina del processo tributario ed in particolare quella sulla costituzione dell'appellato non introduce alcuna deroga a tale regola generale in materia di spese processuali. Deve, pertanto, ribadirsi che le norme relative al "costo" del processo, cioè quelle del d.P.R. 115/2002 (in prosieguo anche Testo unico in materia di spese di giustizia, o TUSG) in tema di spese di giustizia e di pagamento del contributo unificato ricollegano tale contributo all'iscrizione a ruolo ex art. 9 del medesimo d.P.R. e ne impongono la debenza a carico della parte che per prima si costituisce in giudizio.

in tema di spese processuali, qualora il provvedimento giudiziale rechi la condanna alle spese e, nell'ambito di essa, non contenga alcun riferimento alla somma pagata dalla parte vittoriosa a titolo di contributo unificato, la decisione di condanna deve intendersi estesa implicitamente anche alla restituzione di tale somma.

Il caso

La società contribuente sosteneva, nel ricorso per cassazione proposto e deciso con la pronuncia in nota, in primo luogo la illegittimità costituzionale dell'art. 2 del d.lgs. 546/1992, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie sul contributo unificato, il cui gettito, in parte, è assegnato proprio a tale magistratura. Secondo tal prospettazione vi sarebbe stato contrasto con l'art. 111, comma 2, Cost. non avendo la sentenza tenuto in conto la circostanza per la quale i giudici tributari non appartengono al personale del Ministero dell'Economia e sarebbero quindi risultati sotto tal profilo iudices in causa propria.

Secondariamente, si eccepiva in ricorso la violazione del combinato disposto degli art. 37 del d.lgs. 98/2011, 54 del d.lgs. 546/1992 e 11 e 14, comma 1, del d.P.R. 115/2002, in quanto la costituzione dell'appellata società, nel giudizio tributario, era avvenuta nei termini e nei modi previsti dall'art. 54 del d.lgs. 546/1992, sicché non poteva discenderne l'applicazione dell'art. 14 del d.P.R. 115/2002, che prevede che la parte che si costituisce per prima in giudizio è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato.

In ultimo, per quanto di interesse sul tema, decidendo la Corte quanto alle spese processuali il Collegio ha ritenuto opportuno precisare in motivazione che qualora il provvedimento giudiziale rechi la condanna alle spese e, nell'ambito di essa, non contenga alcun riferimento alla somma pagata dalla parte vittoriosa a titolo di contributo unificato, la decisione di condanna deve intendersi estesa implicitamente anche alla restituzione di tale somma, in quanto il contributo unificato, previsto dall'art. 13 del d.P.R. 115/2002.

La questione

Molteplici sono le questioni di interesse poste e risolte dalla pronuncia in oggetto.

La prima riguarda la legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.lgs. 546/1992, che attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie sul contributo unificato, il cui gettito, in parte, è assegnato proprio a tale magistratura, per contrasto con l'art. 111, comma 2, Costituzione.

La seconda si incentra sulla possibile violazione del combinato disposto degli art. 37 del d.lgs. 98/2011, art. 54 del d.lgs. 546/1992 e 11 e 14, comma 1, del d.P.R. 115/2002, in quanto la costituzione della società contribuente nel processo per il quale era richiesto il contributo unificato aveva la posizione processuale di appellata e pertanto, secondo la stessa, non poteva da ciò discenderne l'applicazione dell'art. 14 del d.P.R. 115/2002, che prevede che la parte che si costituisce per prima in giudizio è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato.

Infine, la Corte ha ritenuto di esprimersi su un ulteriore aspetto del tributo in argomento, chiarendo che poiché il contributo unificato, previsto dall'art. 13 del d.P.R. 115/2002, costituisce un'obbligazione "ex lege" di importo predeterminato, che grava sulla parte soccombente per effetto della stessa condanna alle spese, la ricorrente potrà qui recuperare il contributo unificato dall'Amministrazione finanziaria, che, secondo le sue allegazioni, è risultata soccombente nel giudizio di appello anche relativamente alle spese di lite.

Le soluzioni giuridiche

Con riguardo al profilo relativo alla giurisdizione in tema di debenza del contributo unificato per atti giudiziari e ai temi di possibile incostituzionalità dell'attribuzione della stessa al giudice tributario, la Corte opportunamente fa rimando al concetto della imparzialità del giudice. Nel caso di specie, non si è ravvisato alcun pregiudizio o interesse in capo all'organo giudicante, non potendo identificarsi i singoli magistrati tributari con la giurisdizione tributaria.

In ordine alla seconda questione, la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata, in forza della quale si è ritenuto, ex art. 14, comma 1, del d.P.R. n. 115/2002, che stabilisce chiaramente che la parte che per prima si costituisce in giudizio è tenuta al pagamento contestuale del contributo unificato, dal momento che la disciplina del processo tributario ed in particolare quella sulla costituzione dell'appellato non introduce alcuna deroga a tale regola generale in materia di spese processuali.

Quanto poi al terzo aspetto di cui si è detto, la Corte precisa in motivazione come la decisione di condanna alle spese, se non diversamente abbia a prevedere, debba intendersi estesa implicitamente anche alla restituzione di tale somma, in quanto il contributo unificato, previsto dall'art. 13 del d.P.R. 115/2002, costituisce un'obbligazione "ex lege" di importo predeterminato, che grava sulla parte soccombente per effetto della stessa condanna alle spese, la cui statuizione può conseguentemente essere azionata, quale titolo esecutivo, per ottenere la ripetizione di quanto versato in adempimento di quell'obbligazione.

Osservazioni

Con riferimento al profilo riguardante la giurisdizione delle commissioni tributarie quanto alle controversie aventi per oggetto il contributo unificato in parola, è ben vero che il contributo unificato concorre certamente al funzionamento dell'intero sistema di giustizia tributaria ed anche a coprire, come è necessario e giusto, le spese per i compensi dei giudici tributari.

Tale situazione, peraltro, come nota la Corte nella pronuncia in commento, non incide affatto sull'indipendenza e l'imparzialità di costoro, non essendoci alcuna relazione diretta tra il contributo unificato - e ancora meno sulla individuazione della parte tenuta a corrisponderlo - ed il compenso delle persone fisiche che decidono la causa, parimenti a quanto, peraltro, avviene nei giudizi ordinari. Tal giustificazione pare del tutto condivisibile, anche alla luce del fatto che diversamente opinando si dovrebbe ritenere esistente una situazione di difetto di imparzialità o terzietà del giudice in ogni causa in cui è parte il Ministero delle Giustizia o il Ministero dell'Economia, soggetti che a diverso titolo sono in relazione con tutti i giudicanti: una situazione tale, se presente per tutti tali soggetti, porterebbe alla paralisi della giurisdizione.

In diritto, la Corte fa opportunamente rimando in motivazione alla natura essenziale e necessaria dell'imparzialità del giudice, che tale si impone non solo ai sensi dell'art. 111, comma 2, dalla nostra Costituzione, ma anche in forza dell'art. 6 § 1 Cedu, dell'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e dell'art. 14 § 1 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966. Tal elemento è individuato come requisito centrale del sistema processuale che esige l'assenza di pregiudizi soggettivi e oggettivi in capo all'organo giudicante, anche eventualmente collegati ad un interesse nella controversia.

Non solo. Ulteriori elementi possono desumersi dal sistema stesso del TUSG.

Sebbene letteralmente l'art. 13, comma 1-quater TUSG preveda che il giudice dell'impugnazione deve dare atto «della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente» che determinano il raddoppio del contributo, appare evidente che la legge plus dixit quam voluit. Infatti, l'attestazione del giudice può riguardare solo la ricorrenza del "presupposto processuale" che determina in astratto il raddoppio del contributo (ossia l'aver adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell'impugnazione); ma non può riguardare la sussistenza dell'altro presupposto richiesto dall'art. 13, comma 1-quater, TUSG, costituito dalla debenza del contributo unificato iniziale, il cui accertamento compete in via esclusiva all'amministrazione giudiziaria e, in caso di contestazione, alla giurisdizione tributaria.

In altri termini, come il giudice civile non può accertare la debenza del contributo unificato iniziale e - ove sorga contestazione - la relativa questione va risolta nell'ambito di un apposito giudizio da instaurarsi dinanzi al giudice tributario con la necessaria partecipazione del Ministero della Giustizia (titolare della pretesa tributaria), così il medesimo giudice non può provvedere all'accertamento in concreto della debenza della doppia contribuzione, essendo questa logicamente e giuridicamente conseguente alla prima. E difetti, l'attestazione del giudice dell'impugnazione ha la funzione ricognitiva della sussistenza di uno soltanto dei presupposti previsti dalla legge, quello di carattere "processuale" attinente al tipo di pronuncia adottata (così, Cass. sez. VI - 3, 20 novembre 2015, n. 23830; Cass. sez. I, 5 aprile 2019, n. 9660). Rimane invece affidato all'Amministrazione Finanziaria il compito di accertare in concreto la sussistenza degli altri presupposti dai quali dipende la debenza in concreto della doppia contribuzione (Cass. sez. III, 24 ottobre 2018, n. 26907; Cass. sez. III, 14 marzo 2014, n. 5955); cosicché, se è vero che - come prevede l'art. 13 comma 1-quater, ultima parte, T.U.S.G. - l'obbligo del pagamento «sorge al momento del deposito» del provvedimento che respinge integralmente o dichiara inammissibile o improcedibile l'impugnazione, il detto obbligo sorge a condizione che sussistano gli altri presupposti richiesti dalla legge per l'insorgere del debito tributario, da accertarsi a cura dell'Amministrazione che è creditore del tributo azionato, vale a dire del contributo de quo.

Ancora di recente, il Giudice della Legittimità ha statuito (Cass. sez. VI, ord., 22 febbraio 2021, n. 4731) che l'obbligo di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall'art 13, comma 1-quater, del d.P.R. 115/2002, dipende dalla coesistenza di due presupposti, l'uno di natura processuale, e cioè che il giudice abbia adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione, la cui verifica spetta al giudice ordinario, l'altro di natura sostanziale, ovvero che la parte che ha proposto l'impugnazione sia tenuta al versamento del contributo unificato iniziale, soggetto al sindacato del giudice tributario.

L'iniziativa quindi spettante all'Amministrazione rende necessaria l'esistenza di atti dell'Amministrazione stessa che accertino la debenza del contributo e quindi coessenziale e conseguente a tali atti la giurisdizione del giudice naturali di tali atti e pretese, vale a dire il giudice tributario.

Con riguardo all'secondo profilo di interesse, in tema di identificazione del momento e del soggetto rilevanti per l'attribuzione dell'obbligo di versare il contributo, va premesso che l'accertata natura tributaria del contributo unificato consente di bene interpretare il testo della disposizione di cui al comma 1-quater dell'art. 13 TUSG, il cui esame offre indicazioni interpretative utili alla soluzione della questione che ora si pone.

Tale comma è composto da due periodi. Il primo periodo stabilisce che «Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis». Il secondo periodo stabilisce poi che «Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso». Il primo periodo costituisce la norma fondante l'obbligazione tributaria, quella che fissa i presupposti per il sorgere della pretesa erariale; esso, per sua natura, è rivolto all'Amministrazione dello Stato competente alla riscossione del contributo unificato, nella persona del funzionario della cancelleria del giudice dell'impugnazione (artt. 15 e 16 TUSG). I debiti tributari, com'è noto, nascono ex lege con l'avveramento dei relativi presupposti (cfr. Cass. Sez. Un., 28 maggio 1987, n. 4779, secondo cui l'atto amministrativo di accertamento ha natura meramente ricognitiva; più di recente, Cass., sez. V, 15 ottobre 2018, n. 25650; Cass. sez. V, 12 marzo 2007, n. 5746); e per l'appunto la disposizione in esame fissa i presupposti per il sorgere dell'obbligazione tributaria, che nasce per il solo fatto della sopravvenienza di essi, debitamente rilevata.

Il primo periodo del comma 1-quater dell'art. 13 TUSG individua infatti "due presupposti" per il sorgere dell'obbligo di versare il doppio contributo: 1) che il giudice abbia adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell'impugnazione; 2) che la parte che ha proposto impugnazione sia tenuta al versamento del contributo unificato iniziale. Il primo presupposto, che si ricava dall'incipit della formula normativa («Quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile (...)»), appartiene al campo del diritto processuale e corrisponde al fatto che il giudice dell'impugnazione abbia adottato una pronuncia corrispondente ad uno dei tipi (integrale rigetto o inammissibilità o improcedibilità dell'impugnazione) previsti dalla legge. Il secondo presupposto, invece, appartiene al campo del diritto sostanziale tributario e si ricava dall'espressione che segue la prima: «la parte è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis.»; laddove l'aggettivo "ulteriore" significa che l'importo da versare si aggiunge e corrisponde a quello dovuto a titolo di contributo unificato per il giudizio di impugnazione, ex art. 13, comma 1-bis, TUSG, al momento dell'iscrizione della causa a ruolo. Ebbene, tale secondo presupposto rimanda implicitamente a tutte le norme del Testo unico sulle spese di giustizia che prevedono i casi in cui, proprio all'atto dell'iscrizione del procedimento, è dovuto il contributo unificato e stabiliscono i relativi importi (artt. 9 e segg. TUSG).

Dalla sopra detta ricostruzione si evince che ciò che rileva è il fatto dell'iscrizione del procedimento assoggettato al contributo; pare però di comprendere dalla lettura della sentenza annotata come la società (vittoriosa nella causa per la quale è stato versato tale contributo) abbia avuto la veste di appellata di fronte alla CTR (alla quale posizione processuale rimanda proprio l'art. 54 d.lgs. 546/1992 citato in motivazione nella pronuncia qui commentata).

Ebbene, l'appellata evidentemente non iscrive a ruolo la causa, in quanto a ciò provvede l'appellante; non è dato quindi comprendere con chiarezza in forza di quale elemento di fatto la Corte, nella pronuncia qui annotata, abbia ritenuto da un lato dovuto il contributo “a carico della parte che per prima si costituisce in giudizio (art. 14), così confermando che l'iscrizione deve avvenire all'atto della costituzione” ma poi in concreto, pur avendo come sembra la contribuente ricorrente assunto la veste di appellata, rigettato il suo motivo di ricorso sul punto. A meno di non ritenere che la società abbia in quella sede non solo rivestito la posizione di appellata ma abbia anche proposto appello incidentale: cosa che però non si evince dalla sentenza annotata.

Infine, la Corte precisa che in tema di spese processuali, qualora il provvedimento giudiziale rechi la condanna alle spese e, nell'ambito di essa, non contenga alcun riferimento alla somma pagata dalla parte vittoriosa a titolo di contributo unificato, la decisione di condanna deve intendersi estesa implicitamente anche alla restituzione di tale somma, in quanto il contributo unificato, previsto dall'art. 13 del d.P.R. 115/2002, costituisce un'obbligazione "ex lege" di importo predeterminato, che grava sulla parte soccombente per effetto della stessa condanna alle spese, la cui statuizione può conseguentemente essere azionata, quale titolo esecutivo, per ottenere la ripetizione di quanto versato in adempimento di quell'obbligazione (Cass. sez. 1, 10 luglio 2019, n. 18529). Ne deriva, pertanto, che la ricorrente potrà recuperare il contributo unificato dall'Amministrazione finanziaria, che, secondo le sue allegazioni, è soccombente nel giudizio di appello anche relativamente alle spese di lite.

Tal affermazione, certamente del tutto logica, rimane invero anch'essa non del tutto comprensibile a fronte della lettura della sentenza che si annota.

Infatti, la Corte narra nella parte della propria statuizione riguardante lo svolgimento del processo, come a fronte dell'accoglimento del ricorso della contribuente di fronte alla CTP, la sentenza di prime cure sia stata poi riformata in appello: di qui il ricorso per cassazione della società.

L'Amministrazione, quindi, pare esser risultata vittoriosa e non soccombente nel giudizio di appello: ne deriva che la controparte, essa si soccombente, non dovrebbe, per regola generale del processo, aver diritto alla restituzione di alcunché appunto in quanto sconfitta.

In ogni caso, poi, la questione relativa alla restituzione dell'importo per contributo unificato non pare dedotta in causa: pertanto può forse ritenersi che sul punto la Corte qui si sia espressa in sede di obiter dictum non costituendo quindi tale espressione ratio decidendi della pronuncia in nota.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.