Ambito di operatività del principio di non contestazione e di rimessione nel termine per impugnare
29 Agosto 2022
Massima
Lo smarrimento del fascicolo d'ufficio (come pure di quello di parte) relativo al giudizio di primo grado non può considerarsi causa impeditiva della proposizione dell'impugnazione entro il termine di legge, tale da giustificare una richiesta di rimessione in termini, potendo la parte chiedere al giudice di secondo grado la ricostituzione di detti fascicoli e l'eventuale integrazione dei motivi d'appello. Il principio di non contestazione di cui all'art. 115 c.p.c. ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni, le une e le altre da intendersi in senso sostanziale, atteso che il principio è stato sempre interpretato nel senso che, imponendo al convenuto l'onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte (o, per converso, all'attore di prendere posizione sui fatti modificativi o estintivi allegati dal convenuto), determina effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti. E' manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale — per asserita violazione degli artt. 24 e 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 47 della Carta di Nizza e 6 della CEDU, quali norme interposte — dell'art. 702-quater c.p.c., nella parte in cui stabilisce che l'ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione è appellabile entro il termine breve di trenta giorni dalla sua comunicazione ad opera della cancelleria, trattandosi di schema procedimentale che, rispondendo allo scopo di garantire la stabilità delle decisioni non impugnate entro un determinato termine, ritenuto dall'ordinamento nazionale adeguato ai fini di una ponderata determinazione della parte interessata, non è incompatibile con il principio di effettività della tutela giurisdizionale. Il caso
Proposto ricorso ex art. 702-bis c.p.c. per ottenere l'indennizzo in favore delle vittime dei reati violenti ed intenzionali, impossibilitate a conseguire dagli autori delle condotte criminose il risarcimento dei danni ai sensi della direttiva comunitaria 2004/80/CE del 29 aprile 2004 e rigettata la domanda dal giudice di prime cure, veniva interposto appello contro l'ordinanza così pronunciata, ma il gravame veniva dichiarato inammissibile dal giudice di appello, per essere stato proposto oltre il termine di trenta giorni fissato dall'art. 702-ter, comma 6, c.p.c., decorrente, nella specie, dalla comunicazione del provvedimento impugnato da parte della cancelleria del giudice "a quo". Il giudice di seconde cure escludeva peraltro la ricorrenza delle condizioni per la rimessione in termini degli appellanti, argomentata sulla mancata riconsegna, da parte della cancelleria del Tribunale, del fascicolo di primo grado. Ad avviso del giudice di appello, infatti, ai fini dell'accoglimento dell'istanza di rimessione in termini non poteva considerarsi sufficiente la dichiarazione scritta, allegata all'atto di appello, proveniente da una collega di studio del difensore dell'appellante avente ad oggetto l'impossibilità di reperire il fascicolo di primo grado, essendo necessaria a tal fine un'attestazione da parte della cancelleria. La questione
Avverso la decisione di appello veniva proposto ricorso per cassazione, affidato a numerosi motivi, spesso congiunti tra loro. Era in primo luogo censurata la sentenza impugnata per avere negato qualsivoglia valore, ai fini della rimessione in termini, ad una prova liberamente apprezzabile, quale la dichiarazione scritta della collega di studio del difensore degli (allora) appellanti; ancora, veniva criticata la sentenza impugnata per non aver preso in considerazione ai fini dell'accoglimento dell'istanza di rimessione un fatto pacifico ed incontestato, giacché la controparte del giudizio di appello non aveva mai posto in discussione il fatto dell'impossibilità del ritiro del fascicolo di primo grado, ma solo prospettato che i documenti contenuti nello stesso non fossero essenziali per la formazione dell'appello. Infine, veniva prospettata questione di legittimità costituzionale dell'art. 702-quater c.p.c. per violazione degli artt. 3 e 24 Cost. nella parte in cui stabilisce che la semplice comunicazione da parte della cancelleria dell'ordinanza ex art. 702-ter c.p.c. sia in grado di far decorrere il termine breve per l'appello senza che sia necessaria la notificazione del provvedimento ad opera della parte. Le soluzioni giuridiche
La terza sezione della Cassazione, con l'ordinanza in commento, rigetta integralmente il ricorso. Quanto alla prima doglianza, ritiene che ai fini dell'applicazione della rimessione in termini al termine per proporre impugnazione, occorre la sussistenza di una causa non imputabile, consistente in una impossibilità assoluta «che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza in questione» e che tali caratteri non sono ravvisabili nella mancata disponibilità del fascicolo di primo grado, anche alla luce del principio affermato dalla stessa S.C. (v. Cass. 25 marzo 2013, n. 7393) secondo cui «lo smarrimento del fascicolo d'ufficio (come pure di quello di parte), relativo al giudizio di primo grado, non può considerarsi causa impeditiva della proposizione dell'impugnazione entro il termine di legge, tale da giustificare una richiesta di rimessione in termini, potendo la parte chiedere al giudice la ricostituzione di detti fascicoli e l'eventuale integrazione dei motivi d'appello». La Cassazione, inoltre, dichiara inammissibile il motivo di ricorso relativo alla mancata considerazione, ai fini dell'accoglimento dell'istanza di rimessione, di un fatto pacifico ed incontestato, quale quello della mancata trasmissione del fascicolo di primo grado, a causa del mancato rispetto del principio di autosufficienza, non avendo il ricorrente predisposto l'atto di impugnazione in modo tale sia da «indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese», sia di «contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi» tramite la trascrizione degli atti processuali nella misura necessaria a tale scopo. Oltre ad essere inammissibile, il motivo di ricorso viene comunque ritenuto infondato in considerazione della circostanza che il principio di non contestazione contenuto nell'art. 115 c.p.c. non può mai avere ad oggetto questioni che attengono allo svolgimento del processo, ma unicamente i «fatti storici sottesi a domande ed eccezioni», atteso che il principio è stato sempre interpretato nel senso che, imponendo alla parte l'onere di prendere posizione sui fatti allegati dalla controparte, produce «effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti». Dopo aver dichiarato inammissibili gli altri motivi di ricorso, la S.C. infine dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 702-quater c.p.c. per asserita violazione degli artt. 24 e 117, comma 1, Cost. in relazione agli artt. 47 della Carta di Nizza e 6 della CEDU, quali norme interposte, osservando che lo schema procedimentale delineato nella norma asseritamente illegittima non è incompatibile con il principio di effettività della tutela giurisdizionale, come d'altronde affermato di recente dalla stessa giurisprudenza di legittimità (Cass. 4 febbraio 2020, n. 2467) ed aggiungendo che «l'effetto della inammissibilità dell'impugnazione, che consegue all'inosservanza del termine, non integra una sanzione sproporzionata rispetto alla finalità di salvaguardare elementari esigenze di certezza giuridica». Osservazioni
La decisione de qua, che si apprezza per la chiarezza dell'impostazione seguita, affronta numerose questioni processuali, con soluzioni pienamente condivisibili. In primo luogo, si condivide pienamente la decisione nella parte in cui esclude la configurabilità della causa non imputabile nell'impossibilità del ritiro del fascicolo di causa di primo grado: la garanzia costituzionale del contraddittorio impone infatti di attribuire un fondamento soggettivo all'autoresponsabilità processuale da decadenza, ricollegando effetti pregiudizievoli all'inattività processuale ove la stessa sia riconducibile a colpa della parte (o del suo difensore). Ciò induce ad integrare la nozione di causa non imputabile con il criterio della diligenza o assenza di colpa, ricomprendendovi ogni impedimento (all'esercizio del potere processuale) non evitabile con un comportamento diligente (Caponi, La rimessione in termini nel processo civile, Milano 1996; 195 ss.; De Santis, La rimessione in termini nel processo civile, Torino 1997, 142 ss.). La parte costituita a mezzo di difensore, dunque, risponderà delle negligenze di quest'ultimo, le quali verranno ad essa imputate oggettivamente in virtù del rapporto di mandato. In tal caso, esclusa la possibilità di ottenere la rimessione in termini, la parte potrà intentare un'azione di risarcimento dei danni da responsabilità professionale. Quanto poi all'oggetto del principio di non contestazione, è noto che esso riguardi solo ed esclusivamente i fatti allegati dalle parti (Cass. 18 maggio 2011, n. 10860, in GI 2012, 129; Cass. 11 giugno 2014, n. 13217). D'altronde, che non sia consentito estendere l'ambito di operatività del principio di non contestazione deriva con evidenza dalla circostanza che la contestazione dei fatti sui quali la controparte ha imperniato la domanda attiene all'esercizio del medesimo potere di allegazione che compete a colui che chiede la tutela del proprio diritto: costituisce, cioè, espressione del più ampio principio di disponibilità dell'oggetto del processo, vale a dire del potere delle parti di determinare in via esclusiva l'ambito entro il quale si svolge il giudizio; a tale potere corrisponde l'obbligo di pronuncia del giudice «su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa» (c.d. corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato: art. 112 c.p.c.). Presupposto indispensabile per il sorgere dell'onere della contestazione è dunque la formulazione di una compiuta allegazione ad opera della parte dei fatti (costitutivi, impeditivi, estintivi o modificativi) posti a fondamento della sua posizione. L'ambito di operatività del principio di non contestazione, allora, non può mai oltrepassare questi confini: esso quindi non può mai riguardare i documenti prodotti (operando in tali casi i meccanismi del disconoscimento del documento o della sua impugnazione tramite querela di falso: Cass. 28 febbraio 2017, n. 5051; Cass. 21 giugno 2016, n. 12517; Cass. 22 maggio 2014, n. 11349), né tantomeno, come affermato dalla decisione che qui si commenta, può avere ad oggetto le questioni che attengono allo svolgimento del processo, in quanto estranee alla res in iudicium deducta. Riferimenti
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