Opposizione a decreto ingiuntivo e procedimento obbligatorio di conciliazione

30 Agosto 2022

La questione giuridica che viene esaminata nella sentenza in commento attiene alle conseguenze – in caso di opposizione a decreto ingiuntivo – della mancata attivazione (da parte dell'utente) del tentativo di conciliazione obbligatorio previsto per le controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica e gas.
Massima

Nelle controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica e gas l'onere di attivare il tentativo obbligatorio di conciliazione ricade sull'utente-opponente; di conseguenza, allorché l'utente introduca un giudizio di opposizione avverso il decreto ingiuntivo ottenuto dalla società fornitrice di energia elettrica o gas per il pagamento del corrispettivo per tale fornitura, l'utente-opponente sarà onerato di attivare tale tentativo di conciliazione incorrendo altrimenti nell'improcedibilità della sua domanda (M.A.).

Il caso

Una società fornitrice di energia elettrica aveva chiesto e ottenuto un decreto ingiuntivo ai danni di un utente per il pagamento del corrispettivo per la fornitura di energia elettrica.

L'utente aveva proposto opposizione a tale decreto ingiuntivo (e ne aveva chiesto la revoca deducendo la propria estraneità al rapporto giuridico sostanziale dedotto e comunque la mancata dimostrazione del credito da parte dell'opposta), citando in giudizio la società fornitrice di energia elettrica dinanzi al Tribunale Ordinario di Verona.

Nel costituirsi in giudizio, l'opposta (i.e. la società fornitrice di energia elettrica) aveva eccepito, in via preliminare di rito, il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal “Testo integrato in materia di procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie tra clienti o utenti finali e operatori o gestori nei settori regolati dall'Autorità” (anche noto come “Testo Integrato Conciliazione” o “TICO” e quindi d'ora in avanti, per brevità, chiamato per l'appunto “TICO”), approvato dall'allora Autorità per l'Energia Elettrica, il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI) – successivamente diventata Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) – con la delibera n. 209/2016/E/COM del 5 maggio 2016.

Di conseguenza il Giudice aveva assegnato all'opponente un termine per la presentazione della domanda di conciliazione ed aveva quindi fissato l'udienza per l'eventuale prosecuzione del giudizio, nel corso della quale tuttavia il Giudice riscontrava che il procedimento di conciliazione non era stato attivato e rinviava quindi la causa per la precisazione delle conclusioni.

La questione

La questione giuridica che viene esaminata nella sentenza in commento attiene alle conseguenze –in caso di opposizione a decreto ingiuntivo – della mancata attivazione (da parte dell'utente) del tentativo di conciliazione obbligatorio previsto per le controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica e gas.

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento il Tribunale Ordinario di Verona (sezione III civile) ha dichiarato improcedibile la domanda giudiziale proposta dall'utente-opponente.

L'iter argomentativo seguìto dal Tribunale Ordinario di Verona nella sentenza in commento parte dalla constatazione che il d.lgs. 206/2005 (c.d. codice del consumo, all'art. 141 comma 6 lett. c) fa espressamente salvo il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle materie di competenza dell'allora Autorità per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI), successivamente diventata Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), e dalla constatazione che il “TICO” – per l'appunto approvato dall'allora AEEGSI, successivamente diventata ARERA, con la delibera n. 209/2016/E/COM del 5 maggio 2016 – qualifica espressamente come «obbligatorio» tale tentativo di conciliazione e prevede espressamente che l'esperimento di tale tentativo di conciliazione costituisca una «condizione di procedibilità della domanda giudiziale».

Di conseguenza, atteso che (come si è detto retro) a fronte dell'eccezione dell'opposta il Giudice aveva assegnato all'opponente un termine per la presentazione della domanda di conciliazione senza però che tale procedimento di conciliazione venisse poi attivato dall'opponente che era stato onerato dal Giudice di attivarsi nel termine indicato (e ovviamente neanche dall'opposta), si era posto il problema di individuare le conseguenze – in caso di opposizione a decreto ingiuntivo – della mancata attivazione da parte dell'utente-opponente del procedimento di conciliazione obbligatorio previsto per le controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica e gas.

A tal riguardo, nella sentenza in commento il Giudice ha individuato nell'utente (e quindi, in quel caso, nell'opponente) il soggetto onerato dell'attivazione del tentativo di conciliazione, traendo argomenti in tal senso dal fatto che dalla disciplina sul tentativo di conciliazione obbligatorio nelle controversie agrarie potesse evincersi che nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo l'onere di attivare il procedimento di conciliazione ricada sull'opponente, nonché dal fatto che il suddetto “TICO” individuasse espressamente nel «cliente o utente finale» il soggetto onerato della presentazione della domanda di conciliazione.

Nella sentenza in commento, inoltre, il Giudice ha fatto leva sul fatto che il suddetto “TICO” prevede espressamente che l'esperimento di tale tentativo di conciliazione costituisca una «condizione di procedibilità» della domanda giudiziale.

Nella sentenza in commento il Giudice ha poi osservato che – atteso che il suddetto “TICO” non disciplinava (a differenza della normativa in tema di mediazione obbligatoria o di negoziazione assistita) l'iter del giudizio nel caso in cui fosse stato eccepito o anche rilevato d'ufficio il difetto della condizione di procedibilità e neanche il momento in cui tale tentativo di conciliazione obbligatorio dovesse essere esperito nel caso di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – per colmare tali lacune potessero applicarsi analogicamente i principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione nella sentenza 28 aprile 2020, n. 8240, con la quale era stato affermato che chi intendesse agire in via monitoria nell'ambito di controversie in materia di comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori non fosse tenuto a esperire il previo tentativo di conciliazione dovendo quest'ultimo entrare in gioco solo nel momento, successivo ed eventuale, del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Di conseguenza, posto che il problema dell'esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione doveva porsi solamente dopo l'instaurazione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo e non già prima nel momento del ricorso monitorio, l'utente (opponente in quel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo) che, malgrado fosse stato onerato dal Giudice di attivare il tentativo di conciliazione in un dato termine, avesse omesso di attivarsi in tal senso doveva andare incontro alla dichiarazione di improcedibilità della sua domanda giudiziale.

A nulla è valso il fatto che nei propri atti conclusivi l'utente-opponente avesse fatto riferimento ai principi espressi dalla nota sentenza delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione 18 settembre 2020, n. 19596 che aveva chiarito che nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria (ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010) i cui giudizi erano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo, l'onere di promuovere la procedura di mediazione fosse a carico della parte opposta con la conseguenza che, in caso di mancata attivazione da parte di quest'ultima, alla pronuncia di improcedibilità consegua la revoca del decreto ingiuntivo.

Infatti nella sentenza in commento il Giudice ha superato tale argomentazione osservando che nel caso del procedimento di mediazione ex d.lgs. 28/2010 l'esigenza di affermare tali principi (da parte della giurisprudenza e da ultimo ad opera delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione) era nata dal fatto che nella normativa in materia di mediazione obbligatoria e in particolare nell'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 mancasse un'espressa indicazione di chi fosse il soggetto onerato dell'attivazione del tentativo obbligatorio di mediazione, mentre invece (a differenza dei profili riguardanti l'iter del giudizio nel caso in cui fosse stato eccepito o rilevato d'ufficio il difetto della condizione di procedibilità e il momento in cui il difetto di procedibilità potesse essere eccepito o rilevato) tale profilo (i.e. chi fosse il soggetto onerato dell'attivazione del tentativo di conciliazione) era chiaramente contemplato dal suddetto “TICO”, posto che (come riportato nella sentenza in commento) «infatti, l'art. 6.1 del Testo integrato Conciliazione onera espressamente il solo cliente finale dell'attivazione della procedura in parola, escludendo così al contempo che essa possa essere attivata dall'operatore o gestore, qualifica che spetta alla convenuta opposta».

Pertanto, vista la mancata attivazione del tentativo di conciliazione da parte dell'utente/opponente nel termine assegnatogli, nella sentenza in commento il Giudice ha dichiarato improcedibili le domande giudiziali dell'opponente (che aveva chiesto di revocare il decreto ingiuntivo).

Osservazioni

La soluzione offerta dalla sentenza in commento appare fondata essenzialmente sul fatto che:

- se da una parte è vero (come ha osservato l'opponente nella causa conclusasi con la sentenza in commento) che le Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione con la nota sentenza del 18 settembre 2020 n. 19596 avevano composto il contrasto esistente nella giurisprudenza stabilendo che l'onere di attivare il procedimento di mediazione nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sia a carico del creditore opposto, quale attore in senso sostanziale (affermando il seguente principio di diritto «Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi del d.lgs. 28/2010, art. 5, comma 1-bis, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo»),

- dall'altra parte è vero(come osservato dal Giudice nella sentenza in commento) che l'esigenza di affermare tale principio (da parte della giurisprudenza, da ultimo ad opera delle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione) era sorta con riferimento al procedimento di mediazione ex d.lgs. 28/2010 a causa del fatto che nella normativa in materia di mediazione obbligatoria e in particolare nell'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. 28/2010 mancasse un'espressa indicazione di chi fosse il soggetto onerato dell'attivazione del tentativo obbligatorio di mediazione, mentre invece (a differenza dei profili riguardanti l'iter del giudizio nel caso in cui fosse stato eccepito o rilevato d'ufficio il difetto della condizione di procedibilità e il momento in cui il difetto di procedibilità potesse essere eccepito o rilevato) tale profilo (i.e. chi fosse il soggetto onerato dell'attivazione del tentativo di conciliazione) era chiaramente contemplato dal suddetto “TICO”.

Infatti, nel caso delle controversie in materia di fornitura di energia elettrica e gas (si segnala, per completezza, che ciò non vale solo per le «controversie tra Clienti finali di energia elettrica alimentati in bassa e/o media tensione, Clienti finali di gas alimentati in bassa pressione» ma anche per le controversie fra «Prosumer o Utenti finali e Operatori o Gestori» e «tra Prosumer e GSE in materia di ritiro dedicato e scambio sul posto») il suddetto “TICO”– approvato dall'allora Autorità per l'Energia Elettrica il Gas e il Sistema Idrico (AEEGSI), successivamente diventata Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA), con la delibera n. 209/2016/E/COM del 5 maggio 2016 – prevede espressamente che sia il cliente o utente finale il soggetto onerato di attivare la procedura obbligatoria di conciliazione (testualmente: «Il Cliente o Utente finale che intende attivare la procedura può presentare la domanda di conciliazione», v. art. 6.1 della versione originaria, testo poi conservato, ma collocato all'art. 7.1, anche nella versione modificata, come integrata e modificata dalla deliberazione 383/2016/E/com, dalla deliberazione 355/2018/R/com e dalla deliberazione 301/2021/E/com, in vigore dal 1° gennaio 2022).

Di conseguenza, relativamente all'aspetto concernente l'individuazione di quale fosse (fra l'utente e la società fornitrice di energia elettrica o gas) il soggetto onerato, a pena di improcedibilità della sua domanda giudiziale, della presentazione dell'istanza per la conciliazione, non vi era alcuna lacuna da colmare (per es. utilizzando – come nel giudizio deciso con la sentenza in commento l'opponente chiedeva di fare – i principi stabiliti dalle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione in tema di procedimento di mediazione obbligatoria ex d.lgs. n. 28/2010, laddove per l'appunto è stato stabilito che, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione fosse a carico della parte opposta con la conseguenza che, laddove quest'ultima non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo).

La motivazione della sentenza in commento postula altresì, correttamente, che il suddetto “TICO” preveda che l'esperimento di tale tentativo di conciliazione costituisca una «condizione di procedibilità» della domanda giudiziale.

Come si è visto nel paragrafo precedente, il Tribunale Ordinario di Verona ha altresì individuato nell'utente/opponente il soggetto onerato dell'attivazione del tentativo di conciliazionetraendo argomenti in tal senso dal fatto che dalla disciplina sul tentativo di conciliazione obbligatorio nelle controversie agrarie potesse evincersi che nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo l'onere di attivare il procedimento di conciliazione ricada sull'opponente.

Circa tale conclusione è, tuttavia, utile segnalare (al fine di sollevare spunti di riflessione) come le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez. Un., 28 aprile 2020 n. 8241)

- da un lato, abbiano mostrato di ritenere non convincente la tentata assimilazione del tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni al tentativo di conciliazione in materia di rapporti agrari, affermando che il settore agrario non presenta punti in comune con quello delle telecomunicazioni né sotto il profilo degli interessi coinvolti né sotto quello delle esigenze da tutelare (mancando ad esempio una generale contrapposizione tra parte forte e parte debole), e di ritenere invece il tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni assimilabile (per le esigenze di fondo che li contraddistinguono, per la comune esigenza di tutelare attraverso di esso la parte contrattualmente più debole, per le notevoli analogie in quanto attinenti entrambi alla regolazione di servizi di pubblica utilità di interesse economico generale) al tentativo di conciliazione nel settore delle controversie in tema di distribuzione di energia elettrica o gas (e quindi se ne deduce che vada ritenuta la non assimilabilità anche fra il tentativo di conciliazione in materia di energia elettrica e gas e quello in materia di rapporti agrari),

- mentre, dall'altro, abbiano ritenuto cheil tentativo di conciliazione in materia dicontroversie agrarie costituisca una condizione di proponibilità della domanda e non di procedibilità.

Pertanto, appare controvertibile che per colmare le lacune della disciplina prevista per le controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica o gas possa farsi riferimento per analogia a quanto previsto in materia di controversie agrarie.

Appare controvertibile anche il riferimento al fatto che dalla disciplina concernente le controversie agrarie potesse evincersi che nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo l'onere di attivare il procedimento di conciliazione ricada sull'opponente. Infatti la Corte Suprema di Cassazione (Cass. Civ. sez. III, 20 marzo 2018, n. 6839) ha enunciato il seguente principio di diritto: «In materia agraria, grava sulla parte che intenda proporre ricorso per decreto ingiuntivo a tutela di un diritto nascente da un rapporto agrario l'onere di esperire il preventivo tentativo di conciliazione nei modi stabiliti dal d.lgs. 150/2011, art. 11, a pena di improponibilità della domanda rilevabile di ufficio», posto che l'onere di attivare preventivamente (come condizione di proponibilità della domanda) il tentativo di conciliazione «va osservato anche quando la richiesta di tutela venga articolata con le forme della cognizione sommaria proprie del procedimento per ingiunzione» e quindi «con riferimento al procedimento monitorio, l'onere di esperire il (come visto) necessario tentativo di conciliazione non può certo gravare sul debitore ingiunto che voglia spiegare opposizione al decreto ingiuntivo».

Ad ogni modo,risultaindiscutibile ilpregio delle argomentazioni e dello sforzo motivazionale contenuti nella sentenza in commento, a fortiori in considerazione del fatto che si trattadi una questione che obiettivamente non trova nella normativa una soluzione e che non è ancora giunta all'attenzione della giurisprudenza di legittimità.

Inoltre,per completezza della trattazione, qui di seguito si evidenzierà un'ulteriore diversa possibile lettura della questione che si era posta nella causa conclusasi con la sentenza in commento, espressa da alcune pronunce di merito reperite, nonché si segnaleranno alcune riflessioni problematiche.

*

Dando per assodato che nel caso delle controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica e gas sia previsto (i) che un tentativo di conciliazione sia obbligatorio, (ii) che a presentare la domanda di conciliazione debba essere il cliente o utente finale e (iii) che l'esperimento del tentativo di conciliazione rappresenti una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, può osservarsi come tale diversa interpretazione (espressa, come si vedrà infra, da alcune pronunce di merito) giunga in buona sostanza a ritenere che il tentativo di conciliazione costituisca condizione di procedibilità unicamente nelle controversie promosse dall'utente nei confronti della società fornitrice di energia e non viceversa, con esclusione quindi delle cause promosse dalla società fornitrice di energia e quindi, di conseguenza, con esclusione anche delle cause di opposizione (proposte dall'utente) avverso un decreto ingiuntivo ottenuto, per recupero crediti, dal fornitore di energia.

Che l'improcedibilità della domanda (nelle controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica e gas) nell'eventualità di mancata attivazione del tentativo obbligatorio di conciliazione sia prevista unicamente nel caso di controversia promossa dall'utente (e non anche nel caso di controversia promossa dalla società fornitrice di energia elettrica o gas, come e.g. nel caso di ricorso per decreto ingiuntivo per recupero crediti chiesto e ottenuto dalla società fornitrice di energia elettrica o gas ai danni dell'utente, il quale abbia poi instaurato un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo) è stato affermato da alcune recenti pronunce di merito, fra le quali si segnalano le seguenti.

Anzitutto va detto che alcune sentenze di merito hanno chiarito come tale tentativo di conciliazione non costituisca condizione di procedibilità dell'azione intentata dal fornitore nei confronti dell'utente, e.g.:

- il Tribunale Ordinario di Pavia, sezione III civile, con la sentenza 19 ottobre 2020 n. 979 ha affermato (nel caso di opposizione avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dalla società venditrice di energia) che: «In via preliminare, si deve rilevare l'infondatezza dell'eccezione di improcedibilità sollevata dalla SA.GE. S.r.l.s. riguardante l'omesso esperimento del tentativo di conciliazione previsto dalla delibera A.E.E.G.S.I. n. 209/2016/E: infatti, la conciliazione di cui trattasi riguarda le controversie promosse dal cliente (che deve seguire una particolare procedura stragiudiziale, ben descritta nella delibera stessa) nei confronti della società venditrice e non viceversa e, dunque, non condiziona la procedibilità delle cause promosse da quest'ultima a fronte della morosità dell'utente»;

- il Tribunale Ordinario di Milano, sez. XI civile, con la sentenza 14 febbraio 2022 n. 1254ha affermato (all'esito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo nell'ambito del quale l'utente opponente aveva eccepito l'improcedibilità della domanda avanzata in via monitoria dall'opposta stante il mancato previo esperimento del tentativo di conciliazione) che: «Quanto, poi, al tentativo di conciliazione preventivo previsto dalla delibera n. 209/2016 ARERA,osserva il Tribunale chequest'ultimo non costituisce, in mancanza di espressa previsione in tal senso, condizione di procedibilità dell'azione intentata dal fornitore nei confrontidell'utente. Difatti, il “Testo integrato (…) nel dettare la concreta disciplina del procedimento di conciliazione, fa esclusivo riferimento all'ipotesi, diversa da quella di specie, in cui sia l'utente ad agire nei confronti del fornitore e non già il contrario, prevedendo espressamente quale condizione di ammissibilità della domanda di conciliazione la preventiva proposizione, ovviamente da parte dell'utente, di apposito reclamo alla società somministrante e dando in tal modo per presupposto che sia soltanto l'utente e non già il gestore a dover esperire in via preventiva ed obbligatoria il procedimento conciliativo de quo (…) D'altronde l'interpretazione qui proposta risulta, invero, assolutamente coerente con la funzione del procedimento conciliativo in parola qualeemerge dall'intero sistema delineato dalla delibera su menzionata, che è quella di dotare, ovviamente in chiave deflattiva, l'utente di uno strumento che sia potenzialmente idoneo alla risoluzione delle controversie eventualmente sorte nel corso del rapporto contrattuale con il fornitore senza doversi sobbarcare i costi connessi alla tutela giurisdizionale. A ciò si aggiunga, infine, che una diversa soluzione ermeneutica contrasterebbe irrimediabilmente, dato il tenore testuale delle disposizioni sopra riportate, con l'esigenza imposta dall'art. 24 Cost. di interpretare in senso restrittivo le norme che, come in questo caso, producono l'effetto di limitare l'accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti».

Può osservarsi come la pronuncia di merito da ultimo citata tenga in debita considerazione il principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui (ex multis v. Cass. Civ. sez. I, 21 settembre 2012 n. 16092) le disposizioni che prevedono condizioni di procedibilità, costituendo deroga all'esercizio del diritto di agire in giudizio garantito dall'art. 24 Cost., non possono essere interpretate in senso estensivo.

Ad ogni modo, il precedente più significativo (di tale orientamento alternativo) è il seguente.

Il Tribunale Ordinario di Milano, sezione XI civile, con sentenza 16 febbraio 2021 n. 1407 si è infatti spinto oltre affermando non soltanto che il tentativo di conciliazione costituisca condizione di procedibilità esclusivamente nelle controversie promosse dall'utente, ma anche (espressamente) che sono dunque escluse le cause di opposizione a decreto ingiuntivo per recupero crediti del gestore («il tentativo di conciliazione costituisce condizione di procedibilità solo nelle controversie promosse dall'utente. Sono dunque tra le altre escluse le cause di opposizione a decreto ingiuntivo per recupero crediti del gestore»).

L'orientamento espresso dal Tribunale di Milano con la pronuncia da ultimo menzionata sembra coerente con il fatto chenel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l'opponente, ancorché sia l'attore in senso formale, riveste la posizione di convenuto in senso sostanziale, così come specularmente l'opposto, ancorché sia il convenuto in senso formale, riveste la posizione di attore in senso sostanziale, e quindi, tutto sommato, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si tratterà di vagliare (a contraddittorio instaurato e a cognizione piena) la domanda di condanna (del debitore opponente al pagamento di somme in virtù del diritto di credito vantato dal creditore opposto, già ricorrente in via monitoria), inizialmente proposta in via monitoria dal creditore opposto.

Così ripercorsi i diversi orientamenti espressi dalla giurisprudenza di merito, pare utile, a sommesso parere di chi scrive, sollevare di seguito qualche spunto di riflessione problematico.

Appare del tutto pacifico che il tentativo di conciliazione in esame sia obbligatorio (e non meramente facoltativo) e che costituisca una condizione di procedibilità (e non di proponibilità) della domanda. Infatti la stessa rubrica dell'art. 3 del suddetto “TICO” (sia nella versione originaria che in quella attualmente in vigore) parla espressamente di “Obbligatorietà del tentativo di conciliazione” e in tale art. 3 (in particolare l'art. 3.1) è espressamente previsto che l'esperimento di tale tentativo di conciliazione costituisca una condizione di procedibilità della domanda giudiziale («Per le controversie di cui al precedente articolo 2, che tale e 2.2, l'esperimento del tentativo di conciliazione presso il Servizio Conciliazione dell'Autorità, nel rispetto del presente provvedimento, ovvero dinanzi agli organismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie di cui all'articolo 14, è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, a norma dell'art. 2, comma 24, lett. b), della l. 481/1995 e dell'art. 141, comma 6, lettera c), del Codice del consumo»).

Tuttavia, l'effettiva portata di tale ultima disposizione potrebbe dipendere anche dal significato che si intenda dare alla locuzione «domanda giudiziale».

Da tale punto di vista,

- se da una parte è vero che le summenzionate Sezioni Unite 28 aprile 2020, n. 8240, nel decidere che il tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni non andasse esperito nella fase monitoria, avevano affermato che i termini “ricorso giurisdizionale”, “controversia” e “agire in giudizio” non esprimessero una realtà processuale atta a ricomprendere anche il ricorso monitorio,

- dall'altra parte è pur vero che la giurisprudenza di legittimità, proprio nel summenzionato arresto riguardante le controversie agrarie (Cass. Civ. sez. III, 20 marzo 2018, n. 6839), per giustificare il fatto che in tal caso il tentativo di conciliazione andasse esperito anche prima del ricorso monitorio (d'altronde in quel caso si trattava di condizione di proponibilità), aveva accolto un concetto di “domanda” proposta in giudizio tale da ricomprendere anche il ricorso monitorio: «la "domanda" che si intende proporre in giudizio ed in relazione alla quale va esperito il tentativo non può che essere intesa nel significato, omnicomprensivo, di istanza volta al riconoscimento di un diritto o comunque alla tutela di un bene della vita (…) alcuna rilevanza assumendo, per tale nozione, la sequenza procedimentale attivata (ordinaria o semplificata) o la modalità di proposizione seguita (in via principale o riconvenzionale)».

Orbene,in un caso come quello di cui alla sentenza in commento (concernente la richiesta di pagamento avanzata in via monitoria da parte della società fornitrice di energia, con conseguente opposizione a decreto ingiuntivo da parte dell'utente):

- se si aderisse all'interpretazione della locuzione «domanda giudiziale» da ultimo esposta, l'unica vera “domanda” sarebbe quella (già avanzata in sede monitoria e poi proseguita, in qualità di attore sostanziale, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo) della società fornitrice di energia elettrica e non già quella (di revoca del decreto ingiuntivo opposto) dell'utente/opponente;

- aderendo invece alla tesi affermata dalle summenzionate Sezioni Unite 28 aprile 2020 n. 8240in tema di tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni (settore, questo, come si è visto retro, ritenuto dalla Corte Suprema di Cassazione maggiormente “simile” a quello dell'energia elettrica e del gas, rispetto a quello delle controversie agrarie) si dovrebbe ritenere che, anche ai fini della condizione di procedibilità stabilita per le controversie in materia di energia elettrica e gas, la “domanda giudiziale” sia non già quella monitoria (avanzata, nel caso di specie, dalla società fornitrice di energia e poi proseguita, in qualità di opposta e attrice sostanziale, nel giudizio di opposizione) bensì solamente quella “ordinaria” (i.e. l'opposizione proposta dall'utente avverso il decreto ingiuntivo).

In ogni caso, lasciando per un momento in disparte le suddette considerazioni relative a cosa debba esattamente intendersi per «domanda giudiziale», resta il fatto (come si anticipava retro) che, in ogni caso, dall'esame della disciplina prevista per tale tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica e gas pare potersi evincere che solo il cliente o utente finale possa materialmente attivare la procedura di conciliazione, e tale considerazione (come si dirà infra) appare destinata a influire anche sulla questione relativa all'individuazione della parte onerata della proposizione della conciliazione.

Premesso che, anche aderendo alla tesi affermata dalle summenzionate Sezioni Unite 28 aprile 2020, n. 8240 per il tentativo di conciliazione in materia di telecomunicazioni (per cui, in un caso come quello di cui alla sentenza in commento, la questione del tentativo obbligatorio di conciliazione e conseguente condizione di procedibilità dovrebbe porsi solamente una volta introdotto il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo), si porrebbe comunque la questione dell'individuazione della parte onerata della proposizione dell'istanza di conciliazione, va comunque osservato come a tal riguardo non sia ancora possibile (per il caso della conciliazione in materia di controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica e gas) prendere come riferimento la disciplina e gli approdi giurisprudenziali in materia di telecomunicazioni. In effetti tale specifica questione(i.e. quale sia la parte onerata della proposizione del tentativo di conciliazione a seguito dell'opposizione a decreto ingiuntivo, in materia di telecomunicazioni)è stata rimessa alle Sezioni Unite con l'ordinanza n. 18741/2019 e ad oggi non risulta che vi sia stata ancora la relativa pronuncia(come infatti affermato dalle summenzionate Sezioni Unite 28 aprile 2020, n. 8240: «La specifica questione poi della individuazione della parte onerata dell'esperimento del tentativo di conciliazione, se l'opponente, come affermato da Cass. n. 64629/2015, con principio ripreso da Cass. n. 23003/2019, o l'opposto (e se quindi, di conseguenza, legittimato a proporre l'eccezione sia il convenuto in senso formale o sostanziale), che come detto non ha necessità di essere affrontata in questa sede, perché non si è mai aperto nel caso in esame il giudizio di opposizione, è stata rimessa alle Sezioni unite con la separata ordinanza n. 18741/2019, e sarà esaminata in separato giudizio»).

Ad ogni modo si segnala sin d'ora come i contesti (i.e. la disciplina della conciliazione in materia di telecomunicazioni e quella relativa alle controversie elettrica il gas e il sistema idrico) in cui tale questione si cala siano differenti.

Infatti, dal “Regolamento di procedura relativo alle controversie fra organismi di telecomunicazioni ed utenti” si evince espressamente che sia gli utenti che gli organismi di telecomunicazioni siano tenuti (prima di agire in giudizio) a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione («Gli utenti, singoli o associati, ovvero gli organismi di telecomunicazioni, che lamentino la violazione di un proprio diritto o interesse protetti da un accordo di diritto privato o dalle norme in materia di telecomunicazioni attribuite alla competenza dell'Autorità e che intendano agire in giudizio, sono tenuti a promuovere preventivamente un tentativo di conciliazione dinanzi al Corecom competente per territorio»; v. art. 3.1).

Invece il “TICO” non detta regole chiarissime.

Infatti, da una parte, in quest'ultimo diverse volte si associano i concetti di “attivazione della procedura”, di “presentazione della domanda” etc. alla “Parte”, la quale in esso viene definita in modo da ricomprendere non solo gli utenti ma anche gli operatori (l'art. 1 sulle definizioni definisce «“Parte”, il Cliente o Utente finale, l'Operatore o Gestore e il GSE»): e.g. «il Servizio Conciliazione, entro il termine di 7 giorni dalla ricezione della domanda, invita la Parte che ha attivato la procedura al perfezionamento e all'integrazione della domanda» (art. 7.6 attuale versione, art. 6.7 versione originaria), «Il Servizio Conciliazione comunica tempestivamente alla Parte l'inammissibilità della domanda di conciliazione» (art. 8.2 attuale versione, art. 7.2 versione originaria), «La Parte che abbia presentato domanda di conciliazione» (art. 9.8 attuale versione, art. 8.8 versione originaria); «la Parte attivante» (art. 11.2 attuale versione), «la Parte che ha attivato la procedura» (art. 11.6 attuale versione, art. 10.6 versione originaria), etc.

Dall'altra parte, invece, in esso vi è la previsione (menzionata anche nella sentenza in commento) di cui all'art. 7.1 (dell'attuale versione) relativa alla «presentazione della domanda di conciliazione» che sembra effettivamente riferirsi solamente al cliente o utente finale («Il Cliente o Utente finale che intende attivare la procedura può presentare la domanda di conciliazione, direttamente o mediante un delegato, anche appartenente alle associazioni dei consumatori o di categoria, dal quale decida di farsi rappresentare, solo dopo aver inviato il reclamo all'Operatore o Gestore e questi abbia riscontrato con una risposta ritenuta insoddisfacente o siano decorsi 40 giorni dall'invio del predetto reclamo»). Tuttavia, circa la specificazione contenuta nell'appena menzionato art. 7.1 (6.1. versione previgente), si potrebbe teoricamente anche ritenere che essa sia stata fatta solamente per chiarire che (posto che la procedura sia attivabile da tutte le parti, anche i fornitori di energia), solamente laddove sia il cliente a voler attivare la procedura, il cliente stesso debba aver rispettato una ben precisa condizione di ammissibilità rappresentata dall'aver «inviato il reclamo all'Operatore o Gestore e questi abbia riscontrato con una risposta ritenuta insoddisfacente o siano decorsi 40 giorni dall'invio del predetto reclamo» [tant'è vero che l'art. 8.1.b (7.1.b versione previgente) prevede che «La domanda di conciliazione è inammissibile ed è archiviata nei seguenti casi: () quando è presentata senza il previo reclamo all'Operatore o Gestore»].

Ad ogni modo, anche ritenendo che l'impostazione più corretta sia quella per cui nel “TICO” effettivamente soltanto l'iniziativa del cliente venga contemplata, resta il problema del complicato coordinamento fra un tentativo di conciliazione che può essere materialmente attivato solamente dal cliente o utente finale e un'impostazione che pretenda di addossare aprioristicamente (per il caso di giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo) all'opponente (o all'opposto) l'onere di attivare, a pena di improcedibilità della domanda giudiziale, il tentativo di conciliazione nelle controversie in materia di fornitura di energia elettrica o gas.

A tal riguardo, sia sommessamente consentito osservare che:

- da un lato, ritenere che l'onere di attivare (a pena di improcedibilità della domanda giudiziale) il tentativo di conciliazione in materia di controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica o gas debba ricadere sempre sull'opponente appare non del tutto conciliabile con la tesi per cui il “TICO” preveda che solamente il cliente o utente finale possa attivare il tentativo di conciliazione [infatti, ancorché ovviamente quasi sempre accadrà che sia la società fornitrice di energia a rivestire il ruolo di creditore in via monitoria e quindi poi di parte opposta e pertanto l'utente sia l'opponente, non può negarsi che possa sporadicamente accadere che sia l'utente ad agire in via monitoria, e.g. per ottenere la restituzione di importi pagati in eccedenza o comunque non dovuti, e quindi la società fornitrice di energia a trovarsi a rivestire i panni dell'opponente, e in tal caso non si potrebbe efficacemente pretendere di addossare contemporaneamente all'utente e all'opponente (a pena di improcedibilità della domanda) l'onere di attivare il tentativo di conciliazione, il quale quindi dovrebbe essere attivato dall'utente-opposto oppure dal fornitore-opponente];

- dall'altro lato, quand'anche si volesse ritenere [applicando i ragionamenti e i princìpi espressi dalle Sezioni Unite della Corte Suprema di Cassazione in materia di tentativo di mediazione ex d.lgs. 28/2010 nella nota sentenza 18 settembre 2020 n. 19596, in cui inter alia si era osservato che «se, infatti, si pone l'onere in questione a carico dell'opponente e questi rimane inerte, la conseguenza è che alla pronuncia di improcedibilità farà seguito l'irrevocabilità del decreto ingiuntivo; se l'onere, invece, è a carico dell'opposto, la sua inerzia comporterà l'improcedibilità e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo; il quale ben potrà essere riproposto, senza quell'effetto preclusivo che consegue alla irrevocabilità del decreto (…) Dovendo scegliere tra due contrapposte interpretazioni (…) nel conflitto tra il principio di efficienza (e ragionevole durata) e la garanzia del diritto di difesa, quest'ultimo deve necessariamente prevalere (…) l'approdo ermeneutico odierno è pienamente in armonia con le conclusioni raggiunte dal medesimo Collegio nelle recenti sentenze 28 aprile 2020, n. 8240 e n. 8241, le quali hanno esaminato problemi diversi, ma tuttavia relativi a questioni lato sensu assimilabili a quella odierna, relative al tentativo obbligatorio di conciliazione nell'ambito dei servizi di telefonia nel contesto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo»] che l'onere di attivare (a pena di improcedibilità della domanda giudiziale) il tentativo di conciliazione in materia di controversie fra utenti e fornitori di energia elettrica o gas debba ricadere sempre sulla parte opposta (quale attore sostanziale), anche tale diversa impostazione non apparirebbe del tutto conciliabile con la tesi per cui il “TICO” preveda che solamente il cliente o utente finale possa materialmente attivare il tentativo di conciliazione [infatti, come detto, quasi sempre accadrà che sia la società fornitrice di energia a rivestire il ruolo di creditore in via monitoria e quindi poi di parte opposta e in tal caso (considerato che si era detto che solamente l'utente possa materialmente attivare il tentativo di conciliazione) non si potrebbe efficacemente pretendere di addossare contemporaneamente all'utente e all'opposta l'onere di attivare il tentativo di conciliazione].

Come si è visto, quindi, il problema appena descritto (i.e. quello di pretendere di addossare aprioristicamente all'opponente, o all'opposto, l'onere di promuovere un tentativo di conciliazione che si ritenga attivabile solamente dall'utente o cliente) sembra costituire una vera e propria aporia, a meno che si ritenga che nelle controversie tra utenti e fornitori di energia elettrica e gas l'attivazione del tentativo di conciliazione sia prevista, a pena di improcedibilità della domanda, unicamente in caso di controversie promosse dal cliente nei confronti della società venditrice e non viceversa, utilizzando però un concetto di “domanda giudiziale” tale da avere il significato, omnicomprensivo, di istanza (indipendentemente dalla sequenza procedimentale attivata o dalla modalità di proposizione seguita) volta al riconoscimento di un diritto o comunque alla tutela di un bene della vita [ritenendo quindi che in caso di opposizione a decreto ingiuntivo la “domanda giudiziale” sia quella del creditore che aveva agito in via monitoria e che poi si trova ad essere la parte opposta nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ritenendo di conseguenza che laddove la società fornitrice di energia elettrica o gas abbia agito in via monitoria per recupero crediti nei confronti dell'utente (il quale abbia poi proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo) non si sia in presenza di una controversia promossa dal cliente o utente nei confronti della società fornitrice di energia, e ritenendo pertanto che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l'unico caso in cui si sia in presenza di una controversia promossa dal cliente o utente nei confronti della società fornitrice di energia sia quello in cui l'utente o cliente abbia agito in via monitoria (e.g. per ottenere la restituzione di importi pagati in eccedenza o comunque non dovuti) e conseguentemente la società fornitrice di energia elettrica o gas abbia proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo]. Ebbene in tale ultimo caso (i.e. quello in cui l'utente o cliente agisca in via monitoria, e.g. per ottenere la restituzione di importi pagati in eccedenza o comunque non dovuti, e conseguentemente la società fornitrice di energia elettrica o gas proponga opposizione avverso il decreto ingiuntivo) l'onere di attivazione del tentativo di conciliazione – a pena di improcedibilità della “domanda giudiziale” (che da questa prospettiva sarebbe quella inizialmente proposta dal creditore che abbia agito in via monitoria e che poi rivesta la posizione di opposto nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo) – ricadrebbe sull'utente (peraltro unica parte a poter materialmente attivare tale tentativo di conciliazione), parte opposta (e quindi creditrice ed attrice in senso sostanziale) in tale giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

In conclusione, in disparte tale ipotesi da ultimo sommessamente avanzata, ad ogni modo quel che conta è rilevare come nella giurisprudenza di merito non vi sia unanimità di vedute, posto che, a fronte dell'orientamento espresso (dal Tribunale Ordinario di Verona) con la sentenza in commento(che ha condotto alla dichiarazione di improcedibilità della domanda dell'utente/opponente), vi sia un altro contrapposto orientamento (espresso dalle summenzionate pronunce del Tribunale Ordinario di Milano e del Tribunale Ordinario di Pavia) secondo il quale tale tentativo di conciliazione costituiscacondizione di procedibilità esclusivamente nelle controversie promosse dall'utente con esclusione delle cause di opposizione a decreto ingiuntivo per recupero crediti del gestore/fornitore.

Ancorché i due diversi orientamenti di merito sopra indicati abbiano fornito una soluzione al problema con apprezzabili argomentazioni, la questione problematica trattata nella sentenza in commento appare (come si è detto sopra) ancora non del tutto risolta e appare pertanto necessario attendere che la questione venga ulteriormente approfondita dalla giurisprudenza, fino a quella di legittimità.

Riferimenti
  • Vaccari, La conciliazione obbligatoria nelle controversie tra utenti di energia elettrica e gas e i gestori, Il Processo Civile, Giuffrè Francis Lefebvre, 24 ottobre 2018.

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