Accertamento delle violazioni sugli obblighi di monitoraggio fiscale, la disciplina non è retroattiva
01 Settembre 2022
Il copioso dibattito giurisprudenziale
Uno dei temi più discussi negli ultimi anni nelle aule della giustizia tributaria è stato senz'altro quello del c.d. “raddoppio dei termini di accertamento”, facoltà concessa all'Amministrazione finanziaria dal legislatore pro tempore (art. 12, d.l. n. 78/2009) con il chiaro intento di contrastare l'evasione fiscale evitando e/o limitando al massimo la possibilità di occultare disponibilità finanziarie in Paesi non collaborativi. Svariate sono state le questioni affrontate:
Con riferimento, in particolare, alla prima tematica, ovvero se trattasi di norma procedurale o sostanziale, si sono alternate nel tempo pronunce giurisdizionali sia in un senso che nell'altro.
Nella sentenza del 13 dicembre 2018 n. 5452, la Ctr per la Lombardia, con un'interpretazione estensiva, propendeva per il carattere retroattivo delle disposizioni sul monitoraggio fiscale richiamando la ratio legis ovvero quella di evitare l'occultamento in Paesi non collaborativi di disponibilità finanziarie; nello stesso senso si pronunciava la Ctp di Milano (sent. n. 5821 del 20 dicembre 2019) accostandosi a quella giurisprudenza di legittimità (Cass., n. 29632 del 14 novembre 2019; ordinanza n. 30742 del 28 novembre 2018) che ha definito il secondo comma del citato articolo 12 di "natura chiaramente procedimentale, non apportando modifiche all'obbligazione tributaria o alla posizione soggettiva del contribuente, ma esclusivamente sui termini di esercizio del potere di controllo, accertamento e contestazione della violazione, con la conseguenza che alle stesse va riconosciuta valenza retroattiva”, quindi con applicazione delle disposizioni anche ai periodi d'imposta precedenti a quello della loro entrata in vigore (ovvero dal 2009 a ritroso). Proseguiva nella stessa direzione la Ctr Lombardia (sent. 1608 del 27 aprile 2021) secondo cui “il comma 2 bis dell'art. 12 del d.l. 78/2009, ha introdotto il raddoppio dei termini per l'accertamento basato sulla presunzione di cui al comma 2, mentre, il comma 2 ter ha a sua volta previsto il raddoppio dei termini fissati dall'art. 20 del d.lgs. 472/97 per l'accertamento delle violazioni di cui ai commi 1, 2 e 3 dell'art. 4 del d.l. 167/90.
Il legislatore con la dizione “in deroga ad ogni vigente disposizione di legge” prevista al comma 2 bis dell'articolo, ha inteso derogare a quanto previsto dallo Statuto del contribuente, ivi compresa la disposizione in tema di irretroattività della norma tributaria. A tale deroga va riconosciuta natura di norma procedimentale, in quanto la stessa non crea né modifica obbligazioni tributarie preesistenti né amplia la base imponibile e neppure incide sulle regole di determinazione e quantificazione del reddito ma riguarda aspetti oggettivamente processuali, intendendo rafforzare i poteri istruttori dell'Ufficio. In altri termini, con la disposizione in esame il legislatore non ha inteso sottoporre a tassazione manifestazioni di ricchezza che in precedenza non ne erano assoggettate ma ha, semplicemente, inteso apprestare uno strumento di lotta all'evasione fiscale consentendo alla Amministrazione finanziaria di recuperare a tassazione le attività non dichiarate ed esportate nei paesi a fiscalità privilegiata.
La norma non ha ad oggetto la sostanza del rapporto impositivo bensì il regime probatorio che lo riguarda, sollevando l'Amministrazione dall'onere di dimostrare la provenienza reddituale delle somme utilizzate per investimenti in detti paesi.
In direzione opposta si pronunciava la Ctp di Milano (sent. n. 3479 del 26 luglio 2018) affermando che le norme che sanzionano la violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale e quelle che prevedono la presunzione legale relativa per gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, hanno carattere sostanziale e non procedurale, sono irretroattive e pertanto decorrono dalla loro entrata in vigore, non rendendo applicabile per gli anni pregressi l'istituto del raddoppio dei termini di accertamento. Proseguiva, inter alias, la stessa Ctp di Milano (sent. n. 1512/2020) la quale ha osservato come la norma di cui all'art. 12 del d.l. 78/2009, che ha introdotto un regime di presunzione legale secondo cui in assenza di prova contraria le somme detenute in Paesi “Black list” sono considerate come redditi sottratti all'imposizione, prevedendo ai commi 2 bis e ter il raddoppio dei termini per l'accertamento, ha natura sostanziale e, quindi, irretroattiva avendo introdotto per la prima volta una presunzione legale e avendo inciso sulla ripartizione dell'onere probatorio. Replicava la Ctr Lombardia (sent. n. 2048/2020) che, stando al tenore letterale dell'art. 12 d.l. 78/2009, riteneva che la conclusione interpretativa che appare logicamente più corretta, anche sulla base di criteri sistematici, è quella di ritenere la disposizione in ordine al raddoppio dei termini di accertamento di cui al comma 2-bis priva di efficacia retroattiva; ciò anche in quanto il raddoppio dei termini è riferibile agli accertamenti effettuati in applicazione della presunzione legale introdotta al comma 2 che, senza dubbio, non può considerarsi applicabile in via retroattiva, nonché per le implicazioni che una diversa interpretazione avrebbe in termini di sostanziale compromissione dell'effettività dei diritti di difesa. Faceva “da eco”, a breve distanza, la stessa Ctr Lombardia (sent. 327/2021) affermando di condividere l'orientamento maggioritario della giurisprudenza che qualifica la novella del 2010 come norma sostanziale e non procedurale. I giudici non hanno condiviso la tesi proposta dall'Ufficio secondo cui la disposizione sul raddoppio dei termini di accertamento ha natura procedimentale e che, come tale, sarebbe soggetta al principio del tempus regit actum, trovando applicazione anche riguardo alle somme detenute all'estero in violazione dei suddetti obblighi dichiarativi negli anni precedenti l'entrata in vigore del citato D.L. n. 78 del 2009. Tale assunto, secondo i giudici milanesi, si pone in contrasto con il prevalente orientamento giurisprudenziale secondo cui «la presunzione di evasione sancita da tale norma, in vigore dal 1 luglio 2009, non ha efficacia retroattiva, in quanto non può attribuirsi alla stessa natura processuale, essendo le norme in tema di presunzioni collocate, tra quelle sostanziali, nel codice civile. Inoltre, una differente interpretazione finirebbe per pregiudicare, in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., l'effettività del diritto di difesa del contribuente rispetto alla scelta in ordine alla conservazione di un certo tipo di documentazione probatoriamente rilevante». (cfr. Cass. n. 2662/18, n. 2562/2019 e ord., sez. VI, del 02/10/2020 n. 21018). L'interpretazione che consente di estendere i termini di decadenza per la notifica degli avvisi di accertamento anche ad anni di imposta anteriori al 2010 confligge, secondo la Ctr, con l'art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente che ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi stabilito dall'art. 11 preleggi, salvo che questa non sia espressamente prevista. L'esclusione dell'applicazione retroattiva trova giustificazione nella esigenza di salvaguardare principi fondamentali del nostro ordinamento, quali la certezza del diritto, il principio del legittimo affidamento e quello di ragionevolezza, nonché i principi contenuti nella Costituzione, quali il diritto alla difesa ed il principio di capacità contributiva. Per tale ragione, concludevano i giudici, al divieto di irretroattività fanno eccezione solo le norme dichiaratamente interpretative, che sono esplicitamente qualificate tali dal legislatore. (cfr. Cass. nn. 30742 e 33223/2018). Il caso recente
La Ctr Lombardia ha di recente confermato l'applicazione del suddetto orientamento maggioritario con la sentenza n. 3156 del 21 luglio 2022. La controversia oggetto di esame concerneva l'impugnazione da parte di un contribuente di un atto di contestazione (anni d'imposta 2007 e 2008) avente ad oggetto l'irrogazione delle sanzioni per omessa indicazione nella dichiarazione dei redditi (Quadro RW) di attività finanziarie detenute all'estero. Fra i motivi di impugnazione, il ricorrente eccepiva l'inapplicabilità del raddoppio dei termini di accertamento (articolo 12 del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78) per una polizza sulla vita stipulata nel 2006 con una società lussemburghese essendo lo stato del Lussemburgo escluso dai Paesi Black List, esclusione stabilita dal decreto ministeriale 16 dicembre 2014 (con efficacia retroattiva) e per altre due polizze stipulate per il tramite di un istituto di credito italiano italiana con il ramo vita dello stesso avente sede in Irlanda.
I giudici di prime cure accoglievano parzialmente il ricorso limitatamente alla sanzione applicata in relazione alle polizze stipulate per il tramite dell'intermediario italiano.
I giudici “del riesame”, con motivazione dirimente e assorbente ogni altra questione, hanno rilevato l'intervenuta decadenza dell'Ufficio osservando che «la disciplina del raddoppio dei termini per l'accertamento prevista dall'art. 12 comma 2-ter del D.L. 78/2009 è in vigore dal 1° luglio 2009 e che l'atto di contestazione opposto è relativo agli anni d'imposta 2007 e 2008, notificato alla ricorrente nel 2018. Si richiama in tal senso l'ordinanza n. 24359 del 9 settembre 2021 ove la Corte di Cassazione si è espressa ribandendo l'ormai consolidato principio di diritto concernente l'irretroattività delle disposizioni contenute nell'art. 12 del D.L. 78/2009 che non hanno efficacia processuale, ma efficacia sostanziale e quindi non retroattiva». |