Il divieto di reformatio in peius nelle impugnazioni civili

Diego Trigilia
01 Settembre 2022

La principale questione di interesse che è stata chiamata ad affrontare l'ordinanza in commento è quella che attiene all'esistenza, o meno, all'interno del sistema giuridico italiano, del principio di divieto di reformatio in peius anche nell'ambito delle impugnazioni civili.
Massima

Nei giudizi di risarcimento danni, ove il giudice di primo grado liquidi il danno quantificando anche il lucro cessante e sia l'impugnazione principale sia quella incidentale investano solo alcune voci del danno emergente, non è consentito al giudice di appello escludere ufficiosamente l'esistenza del lucro cessante, perché l'appellato avrebbe dovuto proporre appello incidentale sul punto.

Il caso

Nell'ambito di un giudizio di risarcimento del danno da occupazione usurpativa, a seguito di immissione nel possesso dopo la scadenza dei termini, previsti a pena d'inefficacia dall'ormai abrogato art. 20, comma 1, l. 22 ottobre 1971, n. 865, il danneggiato interponeva appello avverso la sentenza di primo grado, con la quale il tribunale adito, definitivamente pronunciando, aveva quantificato il pregiudizio, complessivamente subito, ritenendo dovuti anche gli interessi compensativi, pari agli interessi legali, a titolo di lucro cessante ex artt. 2056 e 1223 c.c., calcolati dalla data dell'irreversibile trasformazione del fondo sino alla pronuncia della sentenza, previa rivalutazione mensile. Chiedeva l'appellante la riforma dell'impugnato provvedimento, limitatamente ad una maggiore stima del terreno, abusivamente occupato, nonché l'aumento di altre voci di danno – afferenti esclusivamente al danno emergente e non anche al lucro cessante –. Si costituiva la società appellata, la quale, oltre a chiedere il rigetto delle richieste avversarie, proponeva appello incidentale, censurando la sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva ritenuto che l'occupazione de qua era stata effettuata in assoluta carenza di potere, trattandosi invece di occupazione illegittima – con conseguente applicazione dell'art. 5-bis l. 359/1992 –; chiedeva poi, anch'essa, una nuova quantificazione del solo danno emergente, tenuto conto della natura agricola del fondo, ricadente in area assolutamente inedificabile. La Corte adita accoglieva parzialmente l'appello principale, rigettando, di contro, quello incidentale; pur vincitore, l'appellante principale otteneva, però, un risarcimento di entità minore rispetto a quanto stabilito in primo grado, ritenendo il giudice inesistente – in quanto non provato – il danno da lucro cessante, rappresentato dagli interessi compensativi, calcolati dalla data dell'irreversibile trasformazione del fondo sino alla pronuncia della sentenza, liquidati invece, come detto, in prima istanza. La sentenza di secondo grado veniva di conseguenza impugnata in Cassazione dal danneggiato.

La questione

Sul piano processuale la principale questione di interesse che è stata chiamata ad affrontare l'ordinanza in commento è quella che attiene all'esistenza, o meno, all'interno del sistema giuridico italiano, del principio di divieto di reformatio in peius anche nell'ambito delle impugnazioni civili.

Le soluzioni giuridiche

La decisione si fonda sul richiamo di una copiosa giurisprudenza, sia con specifico riferimento al giudizio d'appello (Cass. Civ., ord., 6 ottobre 2020, n. 21504; Cass. Civ., sent., 17 febbraio 2020, n. 3896; Cass. Civ., ord., 18 maggio 2018, n. 12275; Cass. Civ., ord., 29 novembre 2017, n. 28492; Cass. Civ., sent., 20 febbraio 2014, n. 4078; Cass. Civ., sent., 27 giugno 2011, n. 14127), al giudizio di rinvio (Cass. Civ., ord., 16 novembre 2020, n. 25877), nonché altresì al giudizio di legittimità, in ipotesi di applicazione dello jus superveniens (Cass. Civ., sent., 18 marzo 2016, n. 5442; Cass. Civ., sent., 9 marzo 2015, n. 4676; Cass. Civ., 29 novembre 2013, n. 26840).

Rileva, dunque, la S.C. come il principio in esame non assume, nel processo civile, valenza in sé, ma si configura piuttosto come un corollario, un effetto proprio del modus operandi delle impugnazioni civili. A differenza del processo penale, invero, nel quale il divieto di reformatio in peius è previsto sul piano normativo dall'art. 597 c.p.p., nei gravami civili viene piuttosto in rilievo l'effetto devolutivo, il quale concorre, da un lato, a delimitare l'oggetto del giudizio di gravame, e, dall'altro, definisce i poteri del giudice di secondo grado sulla base dei motivi di impugnazione, come proposti dalle parti. Ciò che sarebbe confermato (come evidenziato già da Cass. civ., sent., 8 novembre 2013, n. 25244), dalla circostanza per la quale il divieto di reformatio in peius non sarebbe idoneo a spiegare la ragione per la quale, in assenza di impugnazione incidentale sullo stesso capo o sullo stesso punto del provvedimento impugnato in via principale, il giudice d'appello non può pervenire ad una decisione più sfavorevole per l'appellante di quanto non fosse la sentenza di primo grado.

L'impossibilità per il giudice dell'impugnazione di pervenire ad una decisione più sfavorevole per l'appellante principale, in assenza di appello incidentale sul medesimo capo o punto della sentenza, non deriva, in sostanza, dall'applicazione del summenzionato divieto, del quale, come visto, non v'è traccia nella lettera del codice di rito, quanto piuttosto dalla corretta interpretazione e conseguente applicazione del combinato disposto degli artt. 342 e 329 c.p.c.

A mente della prima disposizione: « L'appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell'art.163. L'appello deve essere motivato. La motivazione dell'appello deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l'indicazione delle circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di quelli previsti dall'art. 163-bis». Stabilisce poi l'art. 329 c.p.c.: «Salvi i casi di cui ai numeri 1, 2, 3 e 6 dell'art. 395, l'acquiescenza risultante da accettazione espressa o da atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle impugnazioni ammesse dalla legge ne esclude la proponibilità. L'impugnazione parziale importa acquiescenza alle parti della sentenza non impugnate». Sono le anzidette norme che, nel momento in cui definiscono il quantum devolutum alla cognizione del giudice dell'impugnazione – la prima, imponendo nella redazione dell'atto introduttivo la proposizione di specifici motivi di doglianza, la seconda, avvertendo le parti circa gli effetti di rinuncia, nel caso di specie parziale, all'impugnazione dei punti e dei capi non espressamente individuati – producono, quale effetto, il divieto per il secondo decidente di riformare in senso peggiorativo per l'appellante principale la sentenza di primo grado, in assenza di un'impugnazione incidentale antagonista: soltanto questa appare, infatti, idonea a manifestare un interesse ad impugnare dell'appellato, di segno e sostanza opposti rispetto a quelli dell'appellante principale, in presenza del quale il giudice non può non pronunciarsi, in tale ipotesi, a favore o in danno dell'uno o dell'altro. Difatti, se la sentenza impugnata non può essere riformata in senso favorevole all'appellato che non abbia proposto appello incidentale, lo stesso risultato si impone nel caso di rigetto dell'impugnazione principale, che non può giovare all'appellato stesso, al punto da procurargli un effetto ulteriormente favorevole, che solo la proposizione dell'appello incidentale gli avrebbe consentito di ottenere. Quest'ultimo, a detta della Suprema Corte, non può giovarsi della reiezione del gravame principale per lucrare effetti che gli sono preclusi dall'acquiescenza, prestata al provvedimento di primo grado. Ciò consegue, quindi, non dall'applicazione del principio del divieto della reformatio in peius, privo di fondamento nel sistema del codice di rito, ma dagli effetti processuali propri della devoluzione nei limiti di quanto impugnato: l'assenza di motivi di gravame specifici su singoli punti e capi della sentenza, attraverso l'appello incidentale, comporta acquiescenza sugli stessi e l'impossibilità per l'appellato di ottenere effetti per sé favorevoli. Così ricostruito il sistema, l'ordinanza in commento appare particolarmente utile, anche perché coglie l'occasione per esplicitare il contenuto del thema decidendum nel giudizio di appello, ravvisato: 1) nei motivi di doglianza, proposti, come visto, a cura dell'appellante principale e dell'appellante incidentale, che vogliano ottenere la riforma del provvedimento e, di conseguenza, effetti per esse parti più favorevoli; 2) nelle ragioni, non specificamente ed esplicitamente fatte valere dalle parti e che, tuttavia, appaiono, nell'ambito delle censure proposte, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone necessario antecedente logico e giuridico; 3) nelle domande e nelle eccezioni non accolte in primo grado e che, se non riproposte dall'appellato, si intendono rinunciate.

Osservazioni

Con l'ordinanza in commento i giudici di legittimità, sulla scorta di un orientamento consolidato, hanno colto l'occasione per rimarcare il principio dell'effetto parzialmente devolutivo dei mezzi di impugnazione nel processo civile, fornendo indicazioni preziose e condivisibili su diversi piani di analisi. Innanzitutto su quello dogmatico ed interpretativo: l'avere, infatti, negato un'esistenza autonoma al principio di divieto di reformatio in peius nei gravami civili, sulla scorta di una interpretazione letterale e sistematica del codice di rito, ha l'indubbio merito di riportare in primo piano la necessità di non affidare le linee argomentative giuridiche ad assiomi tralaticiamente consolidati – il divieto in commento appunto –, ma di ricercare e ricostruire l'esatta intenzione del legislatore, come risultante dalla lettera delle norme. Premesso tale imprescindibile punto di partenza, il secondo piano di analisi, affrontato dal provvedimento de quo, contiene indicazioni particolarmente utili per l'operatore del diritto, che si trovi a dover incoare, da una parte, o decidere, dall'altra, un giudizio di impugnazione: la Suprema Corte, ha, infatti, ricordato quali sono gli esatti poteri di cognizione del giudice del gravame, limitandoli non senza margini alle doglianze avanzate dalle parti; ha imposto a queste ultime, che intendono ottenere effetti più favorevoli, di manifestare il proprio interesse ad appellare, necessaria conseguenza dell'art. 100 c.p.c., indicando specificamente le parti della sentenza che si intendono contestare, con i distinti mezzi dell'appello principale e dell'appello incidentale.

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