La CEDU sulla malpractice medica: servono norme a tutela dei pazienti e di chi partecipa ai trial
01 Settembre 2022
È ciò che è stato sancito dalla CEDU in due casi (Tusa c. Romania e Traskunova c. Russia) del 30 agosto in cui detta le linee guida in materia di malpractice, soprattutto nei casi di sperimentazioni mediche (trial).
Nel primo: una mastopatia fibrocistica, patologia benigna, fu scambiata erroneamente da un oncologo, a seguito di mammografia ed esame citologico, per un più grave cancro al seno sinistro. La donna fu quindi sottoposta a chemioterapia e le fu asportato il seno (oltre a parte del muscolo ed altri tessuti), senza esame estemporaneo dei tessuti ablati. La verità fu acclarata con esami accurati, anche su detti tessuti e sulle pregresse analisi, da un endocrinologo cui si era rivolta la donna. Iniziò una dura e lunga battaglia legale per la condanna dei medici e per l'indennizzo, in tutte le sedi (penale, disciplinare e civile) tuttora in corso dopo più di 14 anni dall'errore medico. Seppure i vari Comitati del Ministero della Salute ed i periti avessero acclarato una violazione dell'etica professionale e degli standard clinici da parte di questi due medici, ritennero che il paziente fosse parimenti certo che il suo stato di salute non sarebbe stato influenzato dalla condotta del medico. In breve, per le Corti l'intervento era stato eseguito ad opera d'arte, seppure basato su un'errata diagnosi: in questi casi, essendo il medico uno specialista, vigeva la presunzione della sua correttezza. I ricorsi furono vani e rigettati: in sede disciplinare l'oncologo ebbe solo una blanda sanzione (ammonimento), la posizione dell'altro fu archiviata; in sede penale i ritardi hanno portato alla prescrizione (la posizione del chirurgo fu archiviata per il suo decesso) ed in sede civile (azione iniziata 9 anni fa e tuttora pendente) le è stato contestato di non chiedere di sanzionare la responsabilità medica, bensì di acclarare un illecito che l'aveva danneggiata.
Nell'altro caso la ricorrente lamenta la morte della figlia, affetta da schizofrenia e quindi soggetto vulnerabile, che si era sottoposta a due sperimentazioni relative ad un farmaco per curare la sua patologia. Non era stata però preventivamente informata degli effetti collaterali che hanno portato alla sua morte, dopo lunga agonia ed il coma, soffrendo di una malattia cardiovascolare: era sconsigliata l'assunzione del farmaco in caso di questi problemi. La donna lamenta che non fu fatta alcuna visita medica preventiva per verificare l'idoneità della figlia alla sperimentazione, né furono fatte indagini mediche sulla sua salute anche durante la stessa. Denunciò l'accaduto anche per tutelare il nipote, un bambino piccolo rimasto orfano. Le autorità, malgrado che le perizie evidenziassero errori e negligenze mediche, rifiutarono sempre di avviare un procedimento penale, sì che non ha potuto avere alcuna risposta giudiziaria adeguata al riguardo. L'onere di tutelare la persona che si sottopone a trattamenti e sperimentazioni mediche (in primis sul consenso informato della stessa) è imposto dalla Convezione di Oviedo.
Obbligo di istituire un quadro normativo e giudiziario pertinente ed efficace. La CEDU, pur evidenziando che non esiste un vero e proprio diritto alla salute garantito dalla Cedu, ricorda che gli Stati hanno obblighi positivi e negativi di cura e protezione stabiliti sia dall'art. 2 (diritto alla vita) che 8 (privacy e serenità familiare). Gli obblighi stabiliti da queste due disposizioni sono perfettamente sovrapponibili perché identici, pur tutelando due aspetti diversi ma complementari della vita di un individuo e consistono «da un lato, nell'attuare una normativa che obblighi gli ospedali pubblici e privati ad adottare misure adeguate per proteggere l'integrità fisica dei loro pazienti e, dall'altro, nel mettere a disposizione delle vittime di negligenza medica una procedura che consenta loro di ottenere, se del caso, il risarcimento delle loro lesioni personali» (neretto, nda). Non basta quindi rispettare la prassi scientifica incontestata, i protocolli e gli standard medici internazionali, la materia deve essere disciplinata capillarmente in modo da adottare misure atte a tutelare i pazienti. Questi oneri vigono anche in caso di sperimentazioni cliniche in cui il soggetto che accetta di partecipare al trial deve prestare il consenso informato: non solo deve essere informato in modo esaustivo, chiaro e trasparente su ogni aspetto della sperimentazione, sugli effetti indesiderati, eventuali complicazioni etc., sì da sottoporsi coscientemente e volontariamente alle cure sperimentali (ciò vale anche per quelle “classiche”). Deve potersi immaginare i vantaggi ed i rischi della terapia ed accettarli concretamente. Inoltre, nel caso di soggetti fragili, come i malati di mente del caso Traskunova, si devono adottare misure ancora più stringenti per tutelarne l'integrità psico-fisica.
Nella fattispecie non sono state adottate le minime misure di sicurezza e non sono stati rispettati i protocolli e gli standard internazionali legati alla ricerca medica: non solo non ha avuto alcuna dovuta informativa per le due sperimentazioni cui si è sottoposta, ma non ha avuto l'obbligatoria visita preventiva per accertare che avesse una salute sufficientemente buona per sopportare le cure sperimentali, né è stata monitorata prima, durante e dopo le sperimentazioni. Possono sembrare semplici accorgimenti, ma erano misure salvavita perché avrebbero permesso di accertare l'incompatibilità delle sue altre patologie cardiovascolari col farmaco somministratele con esito fatale proprio per queste carenze. Per la CEDU ciò è dovuto per l'assenza di un quadro normativo specifico e le carenze delle poche norme sulla tutela della salute. Evidenzia, infine, come l'adottare un ordinamento normativo sul tema potrebbe non esimere uno Stato dalle sue responsabilità per la violazione di tali doveri se non è previsto parimenti un efficace sistema giudiziario che indennizzi le vittime di malpractice medica e contestualmente sanzioni i medici che sono venuti meno ai loro doveri professionali. Nel caso Traskunova ciò non è avvenuto. A conferma di ciò nella vertenza Tusa la ricorrente ha potuto esperire tutti i rimedi previsti dal suo ordinamento interno ed era anche prevista una normativa speciale che disciplinava i casi di malasanità. Le procedure sono state avviate e trattate simultaneamente, mentre ancora erano pendenti le altre e malgrado la chiara evidenza di una responsabilità medica non è stata indennizzata, anzi il sistema giudiziario lento, farraginoso e contrastante ha portato alla prescrizione del caso per l'oncologo ed all'archiviazione dello stesso per il decesso del chirurgo. Inoltre, l'unica azione suscettibile di farle ottenere un risarcimento danni, quella civile, risulta tuttora pendente a 9 anni dalla presentazione del ricorso ed a 14 dall'errore medico. Sulla mancata scriminante degli Stati da dette violazioni dei doveri di cura e protezione la CEDU chiarisce che «l'obbligo procedurale derivante dagli articoli 2 e 8 della Convenzione non può essere soddisfatto se i meccanismi di tutela previsti dal diritto interno esistono solo in teoria: soprattutto, essi devono funzionare efficacemente nella pratica, il che presuppone un rapido esame del caso senza inutili ritardi» (ex multis Calvelli e Ciglio c. Italia [GC] del 2002; neretto , nda), sì che nel caso Tusa è stata ravvisata una deroga all'art. 8 Cedu.
Quando è obbligatoria l'azione penale nei casi di malasanità? «In alcune situazioni eccezionali, in cui la colpa imputabile ai prestatori di assistenza sanitaria è andata oltre un semplice errore o negligenza medica, la Corte ha ritenuto che il rispetto dell'obbligo procedurale debba includere il ricorso al diritto penale. In tutti gli altri casi in cui la violazione del diritto alla vita o all'integrità personale non è causata intenzionalmente, l'obbligo procedurale imposto dall'articolo 2 non richiede necessariamente la previsione di un rimedio penale (…). Tale obbligo sarà soddisfatto se l'ordinamento giuridico offre alle vittime un rimedio dinanzi ai tribunali civili, da solo o in combinazione con un ricorso dinanzi ai tribunali penali, consentendo di stabilire qualsiasi responsabilità dei medici interessati e di ottenere un adeguato risarcimento civile. Possono anche essere previste misure disciplinari» (Lopes de Sousa Fernandes c. Portogallo [GC] del 19/12/17; neretto, nda). La CEDU, a tal proposito, chiarisce che non è suo compito valutare se le autorità interne hanno applicato correttamente il loro diritto penale o se vi era una responsabilità dei medici, seppure ritenga «che, ai fini della valutazione del caso di specie, fosse opportuno esaminare se le sperimentazioni cliniche in questione fossero state effettuate nel rispetto del quadro normativo pertinente e, in particolare, avessero rispettato le garanzie esistenti (…). In assenza di una siffatta valutazione da parte delle autorità, non si può affermare che il rimedio di cui trattasi sia stato efficace nelle circostanze del caso di specie» (Ionita c. Romania del 10/1/17). Dunque nel caso Traskunova la Corte ha ravvisato anche una violazione procedurale dell'art. 2, tanto più che non è chiaro se la ricorrente fosse a conoscenza dell'esistenza ed avesse potuto, perciò, avvalersi degli altri rimedi sopra menzionati. (Fonte: dirittoegiustizia.it) |