Natura della responsabilità da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. e prescrizione

02 Settembre 2022

La responsabilità da direzione e coordinamento, ex art. 2497 c.c., ha natura extracontrattuale e, pertanto, la relativa azione di prescrive in cinque anni: lo ha affermato la Corte di Cassazione, con sentenza n. 14876.
Massima

Nell'ambito della responsabilità da direzione e coordinamento disciplinata dall'art. 2497 c.c., l'azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare nell'interesse della massa dei creditori contro il socio che esercita direzione e coordinamento soggiace a un termine di prescrizione di cinque anni ai sensi dell'art. 2947 c.c., trattandosi di una responsabilità di natura extracontrattuale.

Il caso

Il caso giunto all'attenzione della Corte di cassazione può essere illustrato come segue. Una società per azioni, controllata all'88,57% da un'altra società per azioni, dichiara fallimento. Il curatore della società fallita esercita azione di responsabilità contro il socio di maggioranza, invocando profili di responsabilità da direzione e coordinamento.

Il Tribunale di Cosenza, investito del giudizio di primo grado, rigetta tuttavia la domanda avanzata dal fallimento, ritenendo che l'azione si sia prescritta. La Corte di appello di Catanzaro prima e la Corte di cassazione poi confermano la sentenza di primo grado, rigettando la domanda del fallimento per intervenuta prescrizione.

La questione

Il provvedimento della Corte di cassazione si occupa della natura della responsabilità del socio di controllo nell'ambito dei gruppi. Poiché la responsabilità viene qualificata dalla Cassazione come extracontrattuale, il termine di prescrizione applicabile è più breve di quello ordinario ed esso risulta decorso nel caso di specie. La domanda del fallimento viene così rigettata.

Osservazioni

Il capo IX, introdotto con la riforma epocale del diritto societario del 2003, disciplina la “direzione e coordinamento di società”. Si tratta di poche disposizioni fra le quali spicca per importanza l'art. 2497 c.c., rubricato “responsabilità”. La norma statuisce che “le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio sociale”.

Questa disposizione si occupa di responsabilità del socio, non dell'amministratore. In particolare nell'ambito delle procedure concorsuali sono frequenti le azioni di responsabilità contro gli amministratori (e i sindaci), ma si tratta di una fattispecie diversa da quella disciplinata dall'art. 2497 comma 1 c.c. Le azioni contro il socio e contro gli amministratori possono peraltro anche coesistere: il curatore potrebbe valutare di agire in giudizio sia contro l'amministratore sia contro il socio.

Del resto l'art. 2497 c.c., in un comma successivo, allude anche agli amministratori e statuisce che “risponde in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio” (art. 2497 comma 2 c.c.). Se - nel caso specifico - alla responsabilità del socio si aggiunge quella dell'amministratore, nulla vieta al curatore di agire in giudizio contro ambedue.

L'art. 2497 c.c. concerne le società o gli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento. Nella maggior parte dei casi si tratta di società, ma la disposizione fa espresso riferimento anche ad enti. In questo contesto sono ipotizzabili azioni di responsabilità anche contro enti pubblici. La questione è stata affrontata in una recente sentenza del Tribunale di Palermo (28 aprile 2021), che – per la particolarità delle condotte addebitate all'ente pubblico – merita di essere illustrata. Il Comune di Palermo si deve occupare istituzionalmente della raccolta dei rifiuti e, a questo fine, si avvale di una società per azioni (società municipalizzata). Il Comune di Palermo esercita la direzione e il coordinamento sulla municipalizzata, detenendone il 100% del capitale. Il servizio di raccolta dei rifiuti viene assicurato dalla società municipalizzata in forza di apposito contratto di servizio concluso con il socio unico (il Comune di Palermo), servizio finanziato mediante il gettito del prelievo fiscale.

La società municipalizzata che si occupa della raccolta dei rifiuti per conto del Comune di Palermo fallisce. Il curatore della società municipalizzata fallita agisce contro il Comune ai sensi dell'art. 2497 c.c. Al Comune di Palermo, quale ente che esercita la direzione e il coordinamento, vengono addebitate due condotte:

  1. avere indotto la controllata a stabilizzare circa 900 lavoratori precari, determinando così un onere finanziario insostenibile;
  2. avere indotto la controllata a cedere dei crediti a un prezzo troppo basso, determinando così la mancata riscossione di importi necessari per la sopravvivenza della società.

Con riferimento alla prima condotta contestata, emerge nel corso dell'istruttoria che la società municipalizzata deteneva a sua volta una partecipazione in un'altra società (il 100% di una s.r.l.). Il Comune di Palermo, esercitando i poteri che gli derivavano dalla sua partecipazione totalitaria, aveva fatto sì che la controllata della controllata stabilizzasse un significativo numero di lavoratori precari. Il costo del lavoro della controllata della controllata era lievitato da circa 16 milioni a circa 23,7 milioni di euro. Il Tribunale di Palermo, pur ritenendo illegittima questa condotta, ritiene che non si possa procedere a una condanna del Comune di Palermo ai sensi dell'art. 2467 c.c. per difetto di prova del nesso causale. Vero è che il costo del lavoro aumentò a dismisura, ma non vi è la prova che sia stato proprio detto aumento a determinare l'insolvenza della società. Non è possibile stabilire – scrive il giudice palermitano – se e in che misura il dissesto della s.r.l. (ossia della controllata della municipalizzata) sia da ascriversi all'eccessiva onerosità del costo del lavoro o, piuttosto, da imputare a cause diverse quali, ad esempio, il mancato aggiornamento a importi adeguati dei corrispettivi di cui alla convenzione fra la municipalizzata e la sua controllata.

Con riferimento alla seconda condotta contestata, emerge nel corso dell'istruttoria che la società municipalizzata vantava crediti per circa 76 milioni di euro nei confronti del Comune di Palermo, crediti che furono ceduti a una banca per un corrispettivo di circa 39 milioni di euro. In sostanza i crediti, al posto di essere incassati per intero, vengono svenduti, determinando un significativo ammanco (la perdita sui crediti è di circa 37 milioni di euro). Questa operazione di svendita dei crediti non ha alcuna giustificazione e dimostra una condotta dell'ente controllante (il Comune di Palermo) in spregio dei principi di corretta gestione societaria.

In conclusione, il Comune di Palermo viene condannato a pagare al fallimento della società municipalizzata il risarcimento del danno.

Tornando ad analizzare l'art. 2497 c.c. sulla responsabilità civile del socio, un'ulteriore nozione su cui riflettere è quella di “direzione e coordinamento”. Non risponde insomma qualsiasi socio, ma quello che esercita la direzione e il coordinamento. Nel caso affrontato dalla Corte di cassazione in commento, il socio deteneva ben l'88,57% del capitale della società, essendo dunque fuori di ogni dubbio che controllasse la società.

In altri casi può risultare più complesso stabilire se sussistono direzione e coordinamento. Aiuta peraltro l'art. 2497-sexies c.c., il quale statuisce una presunzione: “ai fini di quanto previsto nel presente capo, si presume salvo prova contraria che l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell'articolo 2359”. Nel caso deciso dalla Corte di cassazione sussisteva un controllo di diritto, che si ha sulla società in cui un'altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria.

Se esistono direzione e coordinamento, opera l'art. 2497 c.c., che prevede una fattispecie particolare di responsabilità. Questa disposizione di per sé non riguarda solo le procedure concorsuali; va peraltro detto che le azioni di responsabilità sono esercitate con maggiore frequenza nel contesto concorsuale.

Se subentra poi il fallimento (ma dal 15 luglio 2022 dobbiamo abituarci a chiamarlo: “liquidazione giudiziale”), l'azione spetta al curatore. Più precisamente, statuisce il comma 4 dell'art. 2497 c.c. che “nel caso di fallimento, liquidazione coatta amministrativa e amministrazione straordinaria, l'azione spettante ai creditori di questa è esercitata dal curatore o dal commissario liquidatore o dal commissario straordinario”.

La responsabilità da direzione e coordinamento sussiste, ai sensi dell'art. 2497 c.c., per “la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società”. Le condotte poste in essere dal socio di maggioranza possono rendere impossibile la soddisfazione dei creditori della controllata. Se così avviene, la responsabilità per il mancato pagamento è imputabile al socio controllante. Va peraltro osservato che il rimedio extracontrattuale è sussidiario rispetto al rimedio contrattuale. In altre parole, il creditore danneggiato dal socio di maggioranza deve dimostrare di non riuscire a essere soddisfatto dalla società di cui è creditore sulla base del titolo contrattuale (si pensi a una fornitura di merci non pagata). Questo principio di sussidiarietà viene espresso nel comma 3 dell'art. 2497 c.c., dove si afferma che “il socio ed il creditore sociale possono agire contro la società o l'ente che esercita l'attività di direzione e coordinamento, solo se non sono stati soddisfatti dalla società soggetta alla attività di direzione e coordinamento”.

In caso di fallimento (come nel provvedimento della Corte di cassazione in commento) e ora – con il codice della crisi – di liquidazione giudiziale della società, l'impossibilità di soddisfazione dei creditori sociali è conclamata. Se il passivo è maggiore dell'attivo, i creditori (o almeno alcuni di essi: quelli chirografari) non vengono soddisfatti oppure vengono soddisfatti solo in parte. Ecco allora che il curatore può ipotizzare di agire in giudizio contro il socio di maggioranza.

Continuando a esaminare la disciplina della responsabilità del socio da direzione e coordinamento, quale risultante dall'art. 2497 c.c., la responsabilità del socio controllante è prevista in due direzioni:

  1. nei confronti dei soci e
  2. nei confronti dei creditori sociali.

La natura della responsabilità non è tuttavia identica a seconda che la responsabilità del socio controllante sia fatta valere dagli altri soci oppure dai creditori. Nell'ipotesi dei soci della controllata, questi hanno un rapporto contrattuale diretto con gli altri soci (compreso con il socio di maggioranza): la fonte di questa responsabilità è costituita dal contratto di società. Nella diversa situazione di un'azione intentata dai creditori sociali, il rapporto è extracontrattuale: vero difatti che i creditori hanno un rapporto contrattuale con la società controllata (ad esempio il contratto di vendita di merci non pagate); tuttavia essi creditori della controllata non hanno alcun rapporto contrattuale diretto con la società controllante.

Nel provvedimento della Corte di cassazione in commento la responsabilità del socio controllante verso i creditori sociali viene qualificata come extracontrattuale. Si tratta di responsabilità aquiliana da fatto illecito ai sensi dell'art. 2043 c.c. In caso di responsabilità extracontrattuale, il termine di prescrizione è di soli cinque anni. Non trova applicazione l'art. 2946 c.c. sulla prescrizione ordinaria di 10 anni anni in materia contrattuale, bensì l'art. 2947 c.c. che abbrevia la prescrizione in caso di risarcimento del danno da fatto illecito in soli cinque anni.

Un altro precedente sulla prescrizione nell'ambito della responsabilità da direzione e coordinamento è rappresentato da una sentenza della Corte di appello di Milano (16 luglio 2020, in giurisprudenzadelleimprese.it). Nel caso affrontato dal giudice milanese l'azione di responsabilità venne esercitata da un socio di minoranza contro il socio di maggioranza. Il socio di maggioranza eccepisce l'intervenuta prescrizione, e la Corte di appello di Milano deve affrontare il tema della prescrizione nell'ambito della responsabilità da direzione e coordinamento. Le disposizioni di legge su direzione e coordinamento non si occupano di prescrizione dell'azione di responsabilità, cosicché la soluzione va rinvenuta nelle regole generali.

L'aspetto più interessante della sentenza della Corte di appello di Milano consiste nel rilevare che – anche per quanto riguarda i profili della prescrizione - un conto è l'azione di responsabilità dei creditori, un altro conto è quella del socio. Nel caso milanese l'azione di responsabilità era stata esercitata da un socio di minoranza. Il giudice ritiene che la disposizione pertinente non sia l'art. 2946 c.c. (che disciplina la responsabilità contrattuale) e nemmeno l'art. 2947 c.c. (che regola la responsabilità da fatto illecito). La Corte di appello di Milano ritiene invece rilevante l'art. 2949 c.c., sulla prescrizione in materia di società. Questa disposizione afferma che “si prescrivono in cinque anni i diritti che derivano dai rapporti sociali, se la società è iscritta nel registro delle imprese”. Si ha dunque un termine di prescrizione breve (cinque anni), analogo a quello previsto dall'art. 2947 c.c. per la responsabilità da fatto illecito.

Secondo la Corte di appello di Milano è inutile chiedersi se l'azione di responsabilità contro il socio che esercita la direzione e il coordinamento abbia natura contrattuale oppure extracontrattuale. La disposizione rilevante è difatti quella che disciplina i rapporti societari. Le contestazioni mosse dal socio non sono assimilabili a quelle mosse da un creditore della società; esse, invece, trovano il proprio fondamento nel rapporto sociale. La Corte di cassazione (25 settembre 2014, n. 21908) ha stabilito che i rapporti sociali ai quali si applica la prescrizione breve di cui all'art. 2949 c.c. si riferiscono a quei diritti che derivano dalle relazioni che si istituiscono fra i soggetti dell'organizzazione sociale in dipendenza diretta con il contratto di società e delle situazioni determinate dallo svolgimento della vita sociale.

Il provvedimento della Corte di cassazione n. 14876 del 2022 in commento non si occupa dell'altra questione rilevante in tema di prescrizione: il dies a quo. Ogni volta che ci si occupa di prescrizione, non basta stabilire quanto lungo è il termine di prescrizione, ma bisogna comprendere da quando esso decorra. La menzionata sentenza della Corte di appello di Milano (16 luglio 2020, in giurisprudenzadelleimprese.it) ha ritenuto che il decorso del termine di prescrizione debba essere individuato nel momento in cui è risultato conoscibile il pregiudizio agli interessi sociali. Non è dunque di per sé il fatto contestato al socio di maggioranza a rilevare ai fini del decorso del termine di prescrizione, bensì la presa di coscienza del danno che ne consegue da parte dei danneggiati.

Conclusioni

L'art. 2497 c.c. disciplina la responsabilità da direzione e coordinamento. Su questa disposizione, introdotta dalla riforma del diritto societario del 2003, si è nel frattempo formata una significativa giurisprudenza. Nel provvedimento in commento la Corte di cassazione mostra di qualificare la responsabilità da direzione e coordinamento, una volta dichiarato il fallimento, come una forma di responsabilità da fatto illecito. Da questa qualificazione consegue che il termine di prescrizione è quello breve di cinque anni.

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