Lo svolgimento di altra attività lavorativa durante il congedo per gravi motivi familiari legittima il recesso datoriale

Giulia Passaquindici
Alessandro Tonelli
05 Settembre 2022

Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha confermato la decisione assunta dalla Corte d'Appello di Roma, ribadendo la legittimità del recesso datoriale a fronte dell'inadempimento da parte del lavoratore all'espresso divieto normativo di svolgere attività lavorativa durante il congedo per gravi motivi familiari.
Massima

È proporzionale la sanzione del licenziamento per giustificato motivo soggettivo rispetto alla gravità dell'inadempimento del lavoratore, consistito nella violazione del divieto di svolgere qualsiasi attività lavorativa durante il periodo di aspettativa concessa per gravi motivi familiari, ai sensi dell'art. 4, l. n. 53 del 2000.

Il caso

Il ricorrente ha impugnato la decisione della Corte d'Appello di Roma che aveva dichiarato legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato al lavoratore per aver questi svolto attività lavorativa diversa durante l'aspettativa concessa dal datore di lavoro per gravi motivi familiari.

Il dipendente, infatti, aveva avanzato richiesta di aspettativa per assistere la moglie in stato di gravidanza a rischio; la società aveva, quindi, accolto l'istanza qualificandola come aspettativa per gravi motivi familiari ai sensi degli artt. 157 CCNL di settore e 4 L. 53/2000.

Nel corso del periodo di sospensione dell'attività lavorativa il datore di lavoro aveva disposto delle indagini investigative all'esito delle quali era emerso che il dipendente svolgeva servizi di pulizia riconducibili alle imprese di cui il dipendente e la moglie erano titolari.

La società, quindi, aveva contestato disciplinarmente tale condotta e successivamente licenziato il lavoratore ravvisando giustificato motivo soggettivo per violazione delle disposizioni sopra citate che vietano espressamente di svolgere attività lavorativa durante il periodo di congedo per gravi motivi familiari.

La questione

La questione considerata riguarda la legittimità del licenziamento per giustificato motivo soggettivo del lavoratore che, durante il congedo per gravi motivi familiari, svolge attività lavorativa diversa.

La soluzione giuridica

Il ricorrente ha affidato a tre motivi l'impugnazione della sentenza resa dalla Corte d'Appello: (i) il primo consistente nella violazione o falsa applicazione degli artt. 157 CCNL di settore e 4 L. 53/2000 sostenendo che l'aspettativa richiesta era dovuta a motivi personali e non a “gravi motivi familiari”; (ii) il secondo integrato dalla nullità della sentenza per omessa motivazione sulla gravità dell'inadempimento ai fini del giustificato motivo soggettivo di recesso; (iii) l'ultimo per aver la Corte omesso l'esame di talune circostanze in fatto (la mancanza di benefici economici per il lavoratore, l'assenza di costi per la collettività e per il datore di lavoro derivanti dall'aspettativa, considerato che quest'ultimo non aveva dovuto sostituire il dipendente, e, infine, l'equivoco creato dalla società sulla concessione di una aspettativa per motivi familiari e non personali).

La Corte ha respinto il primo motivo, qualificandolo come inammissibile, considerato che tale censura non integrava la violazione invocata ma si traduceva nella sollecitazione di una diversa ricostruzione fattuale che, pertanto, non poteva trovare spazio in sede di legittimità.

Anche il secondo motivo non ha trovato accoglimento, posto che la Corte ha rilevato come la sentenza impugnata fosse motivata in punto gravità dell'inadempimento del lavoratore e proporzionalità della sanzione espulsiva, avendo la Corte di merito applicato le clausole generali secondo i criteri indicati dalla Suprema Corte in conformità ai principi desumibili dall'ordinamento generale.

Nel caso particolare, venivano in rilievo il giustificato motivo soggettivo e la sua integrazione per comportamento contrario all'espresso divieto normativo, contenuto negli artt. 4 L. 53/2000 e 157 CCNL applicato, di svolgere attività lavorativa durante il periodo di congedo.

In ultimo, è stato respinto anche il terzo motivo di gravame in quanto in ricorrente non denunciava effettivamente l'omesso esame di un fatto storico, bensì l'errata valutazione della gravità dell'inadempimento e della proporzionalità del provvedimento datoriale.

Osservazioni

La Suprema Corte ha confermato la decisione assunta dalla Corte d'Appello di Roma, ribadendo la legittimità del recesso datoriale a fronte dell'inadempimento da parte del lavoratore all'espresso divieto normativo di svolgere attività lavorativa durante il congedo per gravi motivi familiari.

La Cassazione, prendendo le distanze da altro e più risalente orientamento, non pare aver dato rilievo a circostanze ulteriori quali l'eventuale compromissione del soddisfacimento degli interessi alla base del congedo e la lesione del vincolo fiduciario con il datore di lavoro, ma ha ritenuto sufficiente a integrare il giustificato motivo soggettivo di licenziamento la violazione dell'espresso divieto normativo contenuto nell'art. 4 L. 53/2000.

In senso conforme i giudici di legittimità si erano già pronunciati chiarendo come la condotta in analisi si ponga ex se in violazione non solo della disposizione di legge sopra richiamata, ma anche dei fondamentali doveri di lealtà e fedeltà scaturenti dal datore di lavoro.

L'orientamento recentemente adottato dalla Corte di legittimità pare, dunque, rigoroso ragionevolmente in considerazione dell'assoluto ed espresso divieto normativo di svolgere attività lavorativa durante il congedo per gravi motivi familiari.

Altrettanto, tuttavia, non può dirsi con riguardo ai casi di attività lavorativa ulteriore svolta dal dipendente durante l'assenza per malattia.

Mancando in tal caso l'assoluto divieto di svolgere attività lavorativa durante la malattia, infatti, la giurisprudenza ha talvolta adottato un approccio paradossalmente più cauto, tenuto peraltro conto anche degli interessi economici in gioco non solo del datore di lavoro, ma anche dell'ente previdenziale e dei relativi contribuenti.

Parte della giurisprudenza di legittimità, invero, ritiene che non tutte le attività svolte dal dipendente in malattia giustifichino il recesso datoriale, ma pretende anche la prova, a carico del datore di lavoro, che l'ulteriore attività svolta sia idonea a pregiudicare la guarigione e quindi il rientro in servizio del lavoratore.

Si osserva, infine, che non mancano, tuttavia, anche pronunce di segno diverso, le quali tengono in maggior considerazione il dovere del dipendente malato di astenersi da attività che possano pregiudicarne lo stato di salute e ritardarne il rientro in servizio.

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