Le nuove tabelle milanesi “a punti” per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale: problemi risolti e questioni ancora incerte

Andrea Penta
06 Settembre 2022

All'indomani della pubblicazione delle nuove linee guida elaborate dall'Osservatorio del Tribunale di Milano in tema di criteri di liquidazione del danno (diretto iure proprio) da perdita del rapporto parentale, la sentenza n. 6059 emessa dal Tribunale di Milano, sez. X, in data 11 luglio 2022 rappresenta l'occasione per esaminare le dette linee (riprodotte pedissequamente nel corpo del provvedimento) e verificare se, e in che termini, si siano uniformate alle direttive date di recente dalla Suprema Corte, oltre che per analizzare alcune questioni che sono rimaste sullo sfondo, ma che comunque incidono, sia pure di riflesso, sulla liquidazione del danno.
Le precedenti tabelle milanesi

L'Osservatorio milanese aveva, nel 2021, confermato una tabella prevedente una forbice che consentiva di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto, tipizzabili, in particolare:

a) nella sopravvivenza o meno di altri congiunti del nucleo familiare primario;

b) nella convivenza o meno di questi ultimi;

c) nella qualità ed intensità della relazione affettiva familiare residua;

d) nella qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta;

e) nell'età della vittima primaria e secondaria (sul tema si segnalano G. CHIRIATTI, La liquidazione del danno parentale secondo Cass. n. 10579/2021: più che un endorsement per Roma, un invito a Milano; L. PAPOFF, La tabella di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale e il valore dell'uniformità del giudizio nella sentenza Cass. n. 10579/2021; M. RODOLFI, La fine della tabella di Milano per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (o danno da morte)? Conseguenze e riflessi. Tutti in Ridare.it.).

In quella occasione, nel confermare i valori monetari liquidabili per la morte del genitore, del figlio, del coniuge (non-separato), della parte dell'unione civile o del convivente di fatto, del fratello e del nipote, l'Osservatorio non aveva escluso la possibilità che il giudice riconoscesse il danno da perdita del rapporto parentale anche a soggetti diversi da quelli previsti nella Tabella, purché venisse fornita la prova di un intenso legame affettivo e di un reale sconvolgimento di vita della vittima secondaria a seguito della morte o della grave lesione biologica del congiunto.

Sempre in quella sede era stato ribadito che il danno in esame non è in re ipsa e non esiste, pertanto, un “minimo garantito”, essendo, per l'effetto, la parte gravata dagli oneri di allegazione e prova del danno non patrimoniale subìto, fermi il ricorso alla prova per presunzioni e la possibilità per il giudice di porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (Cass., n. 25164/2020).

L'intervento dirompente della Cassazione

In questo contesto era poi intervenuta la nota sentenza della Terza Sezione civile della Cassazione n. 10579/2021 (est. Scoditti), a mente della quale «In tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, al fine di garantire non solo un'adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio in casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul "sistema a punti", che preveda, oltre al a) l'adozione del criterio a punto (variabile), b) l'estrazione del valore medio del punto dai precedenti, c) la modularità e d) l'elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, indefettibilmente, l'età della vittima, l'età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché e) l'indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull'importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l'eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella».

In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione del giudice d'appello che, per liquidare il danno da perdita del rapporto parentale patito dal fratello e dal coniuge della vittima, aveva fatto applicazione delle tabelle milanesi, non fondate sulla tecnica del punto, bensì sull'individuazione di un importo minimo e di un "tetto" massimo, con un intervallo molto ampio tra l'uno e l'altro.

In estrema sintesi, venivano individuati due principali limiti al sistema tabellare milanese in materia di danno da perdita del rapporto parentale: da un lato, esso “si limita ad individuare un tetto minimo ed un tetto massimo, fra i quali ricorre peraltro una assai significativa differenza (ad esempio, a favore del coniuge è prevista nell'edizione 2021 delle tabelle un'oscillazione fra euro 168.250,00 e euro 336.500,00)”; dall'altro lato, non si fa(ceva) ricorso al criterio del punto variabile, il quale consentirebbe di tradurre la clausola generale dell'equità in una fattispecie, con ciò circoscrivendo l'esercizio della discrezionalità del giudice in sede di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale ed assicurando, conseguentemente, l'uniformità di trattamento sul territorio nazionale.

Di fatto, con la menzionata pronuncia la Cassazione aveva preso nettamente le distanze dal metodo milanese, delineando un modello ideale di tabella a punti ricalcante pianamente quella romana [la quale prevede una tabellazione a punti, da attribuirsi in base a cinque diversi fattori (1. il rapporto di parentela tra la vittima ed il superstite; 2. l'età della vittima; 3. l'età del superstite; 4. la – precedente - convivenza col defunto; 5. la composizione del nucleo familiare], la cui somma, moltiplicata per il valore del punto base di “sofferenza” (pari, nell'edizione 2019, ad euro 9.806,70), determina il quantum risarcibile) senza richiamarla espressamente. Nel solco di questa impostazione si era inserita poco dopo l'ordinanza n. 26300/2021 della medesima sezione (est. Scarano).

Seppure non menzionandola espressamente, nell'individuare i criteri che la tabella dovrebbe avere per garantire l'uniformità dei giudizi, la Cassazione sembrava (cfr. I. OBERTO TARENA, Danno da perdita del rapporto parentale: la Cassazione non consente l'applicazione delle tabelle milanesi, su Ri.Da.Re. 26 gennaio 2022) riferirsi alla tabella predisposta dal Tribunale di Roma, i cui valori, tuttavia, non sono stati elaborati a fronte di un monitoraggio giurisprudenziale, su cui si è invece basata la tabella milanese, esaminando oltre cinquecento decisioni emesse da uffici giudiziari di tutta la penisola.

In realtà, già con la sentenza n. 29495/2019 la Suprema Corte aveva iniziato a prendere le distanze dalle tabelle milanesi per la liquidazione del danno parentale, affermando che: “diversamente da quanto statuito per il pregiudizio arrecato all'integrità psico-fisica, le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano non costituiscono concretizzazione paritaria dell'equità su tutto il territorio nazionale”.

Tale principio era stato poi confermato dalla successiva sentenza n. 11719/2021 (decisa in realtà cinque mesi prima della sentenza n. 10579/2021, ancorché pubblicata successivamente), la quale, peraltro, aveva anche affermato che le tabelle predisposte dal Tribunale di Milano per il danno parentale erano legittimamente adottabili come parametro di riferimento.

Il concetto di “modularità”

La funzione di garanzia dell'uniformità delle decisioni svolta dalla tabella elaborata dall'ufficio giudiziario è affidata, quindi, al sistema del punto variabile, per il grado di prevedibilità che tale tecnica offre, pur con limitate possibilità di deroga, derivanti dalla eccezionalità del caso di specie.

Quando il sistema del punto variabile non è seguito, la tabella non garantisce la funzione per la quale è stata concepita, che è quella dell'uniformità e prevedibilità delle decisioni a garanzia del principio di eguaglianza.

Tra i requisiti che una tabella siffatta dovrebbe contenere lascia perplessi il richiamo alla modularità. Invero, si intende per tale (v. Enciclopedia Treccani) la proprietà di ciò che è modulare (m. di una composizione, di una struttura - composta di più elementi -). In particolare, in urbanistica, in architettura, nell'arredamento, nel disegno industriale, e anche in alcune manifestazioni artistiche non figurative, si intende la ripetizione di una medesima forma o struttura che grazie ad accorgimenti o accessorî consente varie possibilità di composizione. In ambito economico (nell'accezione del famoso economista americano H. SIMON, Models of discovery: and other topics in the methods of science, Boston, D. Reidel Pub. Co., 1977), poi, un sistema (naturale o sociale) si dice complesso quando è composto da un elevato numero di elementi che interagiscono tra loro in maniera non semplice.

Il livello di complessità dipende dal numero di elementi e dal numero di interazioni tra gli elementi.

La modularizzazione di un sistema (complesso) consente di suddividerlo in diversi sottosistemi (o moduli) interfacciati tra loro. In un sistema modulare le interazioni avvengono tra elementi dello stesso sottosistema, mentre i diversi sottosistemi sono connessi attraverso interfacce. In altre parole, la scomposizione di un sistema in diversi moduli quasi indipendenti tra loro consente di semplificare drasticamente l'organizzazione del sistema stesso. Se le interfacce tra i sottosistemi sono standard e stabili nel tempo è, infatti, possibile organizzare i diversi sottosistemi in parallelo, riducendo le interazioni tra elementi, e quindi riducendo esponenzialmente il numero di elementi da controllare. La relazione tra i diversi moduli definisce l'architettura del sistema.

Come è facilmente evincibile da quanto precede, scarsa attinenza ha con il tema in discussione il concetto di modularità, per quanto reiteratamente richiamato.

L'importanza di una tabella ad hoc

Nella liquidazione del danno parentale bisogna guardare al profilo dell'effettiva quantificazione del pregiudizio, a prescindere da quale sia la tabella adottata, e, nel caso di quantificazione non conforme al risultato che si sarebbe conseguito seguendo una tabella basata sul sistema a punti secondo i criteri sopra indicati, a quale sia la motivazione della decisione.

Resta, infatti, fermo che, ove la liquidazione del danno parentale sia stata effettuata non seguendo una tabella basata sul sistema a punti, l'onere di motivazione del giudice di merito, che non abbia fatto applicazione di una siffatta tabella, sorge nel caso in cui si sia pervenuti ad una quantificazione del risarcimento che, alla luce delle circostanze del caso concreto, risulti inferiore a quella cui si sarebbe pervenuti utilizzando la tabella in discorso, o comunque risulti sproporzionata rispetto alla quantificazione cui l'adozione dei parametri tratti da tale tabella avrebbe consentito di pervenire.

Il criterio per la valutazione delle decisioni adottate sulla base del precedente orientamento è, dunque, quello dell'assenza o presenza di sproporzione rispetto al danno che si sarebbe determinato seguendo una tabella basata sul sistema a punti. Ove una tale sproporzione ricorra, il criterio di giudizio riposa nell'esame della motivazione della decisione (Cass. n. 17018/2018).

Va altresì evidenziato che, come ricordato da Cass., sez. III, 10 novembre 2021, n. 33005, ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale mediante il criterio tabellare, il danneggiato ha esclusivamente l'onere di fare istanza di applicazione del detto criterio, spettando poi al giudice di merito di liquidare il danno non patrimoniale mediante la tabella conforme a diritto.

Le nuove tabelle elaborate dall'Osservatorio milanese

Partendo dal presupposto per cui la sentenza della Cass. n. 10579/2021 non ha censurato i valori monetari, ma solo i criteri di applicazione (recte, l'eccessiva discrezionalità lasciata al giudice nel valutare i parametri che possono influire sulla liquidazione nell'ambito del range compreso fra valore monetario base e massima personalizzazione; in questi termini Cass., sez. III, n. 26300/2021), l'Osservatorio milanese, uniformandosi a tale pronuncia, ha in data 29 giugno 2022 pubblicato le nuove tabelle per la liquidazione del danno parentale, evidenziando che le stesse non hanno rappresentato l'occasione per diminuire ovvero aumentare i risarcimenti finora liquidati con le tabelle sul danno parentale approvate dal 2009 al 2021.

L'obiettivo dell'attribuzione dei punti, spesso ancorati a circostanze documentali, è quello di agevolare le transazioni, essendo il range di discrezionalità ridotto al 30%.

Meritorio appare il richiamo volto ad evitare che il risarcimento si traduca in un mero calcolo matematico e le tabelle siano usate come una scorciatoia per eludere gli oneri di allegazione e prova gravanti sulle parti e l'obbligo di motivazione gravante sul giudice; le tabelle non escludono, cioè, l'onere dei difensori di allegare e provare (spesso anche in via presuntiva) i fatti posti a fondamento della domanda, ovvero di eccepirne l'insussistenza, e del giudice di motivare sul punto, sì da evitare che si liquidi un danno in re ipsa.

Uno dei punti maggiormente significativi delle nuove tabelle è rappresentato dalla distinzione tra le prime quattro circostanze (età della vittima primaria e della vittima secondaria, convivenza tra le due, sopravvivenza di altri congiunti), aventi natura “oggettiva” e, quindi, “provabili” anche con documenti anagrafici, e la quinta circostanza (lett. “E”, qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto), di natura “soggettiva” e riguardante sia gli aspetti cc.dd. “esteriori” del danno da perdita del parente (stravolgimento della vita della vittima secondaria in conseguenza della perdita) sia gli aspetti cc.dd. “interiori” di tale danno (sofferenza interiore), che deve essere allegata, potendo poi essere provata anche con presunzioni.

Pertanto, avuto riguardo alla menzionata circostanza indicata con lettera “E” (per la quale sono previsti fino a 30 punti nelle due tabelle), si dovrà tener conto della qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto, sia in termini di sofferenza interiore patita (da provare anche in via presuntiva) sia in termini di stravolgimento della vita della vittima secondaria (dimensione dinamico-relazionale).

Viene, invece, rimesso al singolo giudice la scelta se procedere alla liquidazione dei valori monetari riconducibili al parametro “E” con un unico importo monetario o con somme distinte per ciascuna delle menzionate voci/componenti del danno non patrimoniale.

Si è deciso, inoltre, di confermare la tradizionale distinzione tra le due tabelle milanesi per la liquidazione del danno parentale a seconda del tipo di rapporto parentale perso. L'analisi della giurisprudenza di merito ha dimostrato, difatti, che nella liquidazione del danno da perdita del parente di 2° grado (fratelli e nipoti) vi è una sostanziale differenza rispetto alle liquidazioni del danno da perdita del parente di 1° grado (genitori/figli) e del coniuge ed assimilati. Per la tabella dei fratelli-nipoti l'assegnazione dei punti è stata, quindi, calibrata - rispetto a quanto previsto nella tabella della perdita del parente di 1° grado/coniuge ed assimilati - con punti inferiori per l'età (della vittima primaria e secondaria) e maggiori per la convivenza, fermi i punti per le altre circostanze.

Ai fini dell'attribuzione dei punti per il parametro, il giudice potrà tenere conto, sia delle circostanze obiettive di cui ai precedenti quattro parametri (“obiettivi”), e delle conseguenziali valutazioni presuntive, sia di ulteriori circostanze che siano allegate e provate (anche con presunzioni), relative, ad esempio, ma non solo, alle seguenti circostanze di fatto:

  • frequentazioni/contatti (in presenza o telefonici o in internet);
  • condivisione delle festività/ricorrenze;
  • condivisione di vacanze;
  • condivisione attività lavorativa/hobby/sport;
  • attività di assistenza sanitaria/domestica;
  • agonia/penosità/particolare durata della malattia della vittima primaria laddove determini una maggiore sofferenza nella vittima secondaria;
  • altri casi.

Già in passato, si riteneva, in termini generali, che la quantificazione del danno dovesse ancorarsi al caso concreto, in considerazione:

a) della proporzione, della durata e dell'intensità del vissuto;
b) della composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale;
c) all'età della vittima e dei familiari danneggiati;
d) alla personalità individuale di costoro;
d-1) alla loro capacità di reazione al trauma del lutto.

Ulteriori fattori da considerare, nella liquidazione specifica per ogni avente diritto (è esclusa la possibilità per il giudice di procedere ad una determinazione complessiva ed unitaria del suddetto danno morale ed alla conseguente ripartizione dell'intero importo in modo automaticamente proporzionale tra tutti gli aventi diritto; Cass. n. 1203/2007), sono stati reputati:

e) grado di parentela;
f) rapporto di coniugio o di filiazione;
g) numero dei figli, la loro età;
h) la convivenza;
i) la durata del matrimonio;
l) la alterazione della vita di coppia (Cass. n. 15760/2006).

Le voci che compongono il danno da perdita del rapporto parentale

Sullo sfondo delle nuove tabelle restano alcune questioni che costituiscono il presupposto di ogni attività liquidatoria.

Occorre, innanzitutto, valutare se siano ancora attuali le note cc.dd. “sentenze gemelle” del 2003 (Cass., sentt. nn. 8827/2003 e 8828/2003), a tenore delle quali “il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno subìto in conseguenza della uccisione di un congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale lamenta l'incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, del quale è titolare (la cui tutela ex art. 32 Cost., ove risulti intaccata l'integrità psicofisica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico), sia dall'interesse all'integrità morale (la cui tutela, ricollegabile all'art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo), e ciò in quanto l'interesse fatto valere è quello alla intangibilità della sfera degli affetti e della reciproca solidarietà nell'ambito della famiglia e alla inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale costituita dalla famiglia, la cui tutela è ricollegabile agli artt. 2, 29 e 30 Cost.”.

In termini generali, la liquidazione del danno non patrimoniale da perdita del congiunto deve essere effettuata: “mediante la determinazione di un importo omnicomprensivo (cfr. Cass. n. 19816/2010, e Cass. 3 febbraio 2011, n. 2557),includendovi sia la sofferenza interiore e lo stato di prostrazione derivanti dall'avvenimento luttuoso (cd. turbamento d'animo) [...] sia le conseguenze nell'ambito delle relazioni parentali e familiari (cd. danno da perdita del rapporto parentale), senza che siano ammissibili duplicazioni” (Cass., n. 12953/2011).

Negli ultimi anni la Cassazione (n. 28989/2019) tende a ritenere che l'unitario danno non patrimoniale derivante dalla perdita o lesione del rapporto parentale sia composto da due voci e, cioè, 1) l'interiore sofferenza morale soggettiva (sul piano morale soggettivo, nel momento in cui la perdita del congiunto è percepita nel proprio vissuto interiore) e 2) quella riflessa sul piano dinamico-relazionale (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana del soggetto che l'ha subita).

In definitiva, con la voce di danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale, si deve intendere quel pregiudizio, subìto dal prossimo congiunto, che va ad incidere tanto sul profilo della sofferenza interiore soggettiva, quanto sul piano dinamico-relazionale.

E così, per Cass. n. 7748/2020, la lesione subita dal congiunto fa sorgere in capo ai parenti della vittima un danno non riflesso, ma diretto, e consistente non solo nel possibile (e non più necessario) sconvolgimento delle abitudini di vita, ma anche nella sofferenza d'animo interiore.

La liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di congiunto va, pertanto, effettuata mediante la determinazione di un importo omnicomprensivo (cfr. Cass. n. 19816/2010; Cass. n. 2557/2011), includendovi sia la sofferenza inferiore e lo stato di prostrazione derivanti dall'avvenimento luttuoso (compreso quello che si qualifica in termini di cd. “danno morale in senso stretto”) sia le conseguenze nell'àmbito delle relazioni parentali e familiari (che si qualifica in termini di “pregiudizio derivante dalla lesione dell'integrità della famiglia”), senza che siano ammissibili duplicazioni (cfr., dopo Cass. S.U. n. 26972/2008, tra le altre, Cass. n. 1072/2011), ma nemmeno riduzioni.

Secondo Cass. 28989/2019, costituiscono “indebita duplicazione di risarcimento, da un lato, la congiunta attribuzione di danno morale e danno parentale (la sofferenza patita nel momento della percezione della perdita e quella - dinamico-relazionale -) che accompagna l'esistenza del soggetto che l'ha subita non sono che componenti del complesso pregiudizio che deve essere integralmente ed unitariamente ristorato; cfr. Cass. n. 25351/2015) e, dall'altro, la congiunta attribuzione di danno esistenziale e danno parentale (al prossimo congiunto di persona deceduta)” (Cass. n. 30997/2018; conf. Cass. n. 8622/2021).

A sua volta, Cass. n. 8887/2020 ha avuto modo di chiarire che la componente morale del danno da perdita del rapporto parentale costituisce assai frequentemente l'aspetto più rilevante e significativo rispetto al danno relazionale, con la conseguente necessità di accurata valutazione e liquidazione proporzionale delle due componenti del danno non patrimoniale. Peraltro, non sono mancate in passato pronunce (cfr. Cass., sez. III, n. 16992/2015) le quali, sembrando attribuire di fatto un ruolo preponderante al profilo esistenziale, hanno statuito che il pregiudizio da perdita del rapporto parentale rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale, distinto dal danno morale e da quello biologico, con i quali concorre a compendiarlo, e consiste non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì nello sconvolgimento dell'esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita.

Il danno non patrimoniale da perdita del congiunto può, pertanto, presentarsi come sofferenza interiore e/o come sconvolgimento delle abitudini e delle aspettative di vita dei superstiti (Cass. n. 23469/2018). Tuttavia, Sez. III, Sentenza n. 21060/2016 (conf. Sez. III, Sentenza n. 28989/2019) ha precisato che, nel caso di morte di un prossimo congiunto, un danno non patrimoniale diverso ed ulteriore rispetto alla sofferenza morale (cd. danno da rottura del rapporto parentale) non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti la perdita delle abitudini quotidiane, ma esige la dimostrazione di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita (aspetto dinamico-relazionale; atteso che i micropregiudizi esistenziali - l'agenda della vita alterata e/o peggiorata - sono già in essi ricompresi), che è onere dell'attore allegare e provare; tale onere di allegazione, peraltro, va adempiuto in modo circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche.

Nella specie, la S.C. ha ritenuto inidonea a dimostrare uno sconvolgimento delle abitudini di vita degli stretti congiunti dell'ucciso la mera allegazione di circostanze, quali la convivenza con la vittima, i suoi studi universitari ed il suo subentro in attività imprenditoriali di famiglia, nonché l'assenza di incomprensioni all'interno del nucleo familiare, volte a dimostrare in via presuntiva che gli attori avevano investito molto, in termini umani e professionali, sul parente defunto, figlio primogenito, e che il dolore per la sua prematura perdita era stato particolarmente intenso.

I rapporti con il danno biologico

Occorre, in secondo luogo, domandarsi se l'impostazione che si è appena descritta valga solo allorquando difetti una lesione all'integrità psico-fisica (consistendo le conseguenze risarcibili, in assenza di una malattia provocata dalla perdita del congiunto, nel danno morale e in quello dinamico-relazionale), vale a dire se, qualora il parente subisca anche una lesione all'integrità psico-fisica, questa debba assorbire il danno esistenziale ed affiancarsi al danno morale (così non alterando la concezione binaria del danno parentale).

In realtà, l'eventuale danno alla salute andrebbe ad aggiungersi al danno da perdita del rapporto parentale, e non a sostituirsi ad una delle sue componenti. Va, infatti, ricordato (cfr. Sez. III, Sentenza n. 21084 del 19/10/2015) che la morte di un prossimo congiunto può causare nei familiari superstiti, oltre al 1) danno parentale, consistente nella perdita del rapporto e nella correlata sofferenza soggettiva (danno-evento), anche un 2) danno biologico vero e proprio (danno-conseguenza – aspetto integrità psico-fisica -), in presenza di una effettiva compromissione dello stato di salute fisica o psichica di chi lo invoca, l'uno e l'altro dovendo essere oggetto di separata considerazione come elementi del danno non patrimoniale, ma nondimeno suscettibili - in virtù del principio della "onnicomprensività" della liquidazione - di liquidazione unitaria.

Già in precedenza, per Cass., sez. III, n. 2557/2011, “il soggetto che chiede iure proprio il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza dell'uccisione del congiunto per la definitiva perdita del rapporto parentale lamenta l'incisione di un interesse giuridico diverso sia dal bene salute, del quale è titolare (la cui tutela ex art. 32 Cost., ove risulti intaccata l'integrità psicofisica, si esprime mediante il risarcimento del danno biologico), sia del danno morale (la cui tutela, ricollegabile all'art. 2 Cost., ove sia determinata una ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno morale soggettivo)”.

Il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, secondo questa impostazione, si collega alla violazione dell'interesse alla intangibilità della sfera degli affetti, alla reciproca solidarietà familiare, nonché all'inviolabilità della libera e piena esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana nell'ambito di quella peculiare formazione sociale che è la famiglia, la cui esigenza di tutela si rinviene negli artt. 2, 29 e 30 Cost.

A ben vedere, il danno da perdita del rapporto parentale è ontologicamente diverso da quello che consegue alla lesione dell'integrità psicofisica e si collega alla violazione di un diritto di rilevanza costituzionale diverso dal diritto alla salute tutelato dall'art. 32 Cost. Siffatto danno va al di là del puro dolore che la morte di una persona provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e, pertanto, nell'irrimediabile distruzione di un sistema di vita basato sull'affettività, sulla condivisione e sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra genitore e figlio, tra fratello e sorella ecc. (M. RODOLFI, Perdita del rapporto parentale (danno da), su Ri.Da.Re. 7 luglio 2022).

E' chiaro che, se si parametrasse la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale su quello biologico (ove configurabile; visione pan-biologica), si correrebbe il concreto rischio di “calmierare” il risarcimento: perché, generalmente, la patologia psichica sviluppata in conseguenza della morte di un familiare non si attesta su percentuali di invalidità permanente molto elevate, di modo che la liquidazione tabellare per punto (pur considerando l'incremento per personalizzazione) difficilmente raggiungerebbe il livello astrattamente attingibile mediante una liquidazione equitativa “pura” (ovvero basata su un'ampia forbice di valori, come quella attualmente contemplata dalle tabelle del Tribunale di Milano).

Paventa tale rischio L. LA BATTAGLIA, Il danno da perdita del rapporto parentale dopo la seconda stagione di San Martino, su Il Corriere giuridico, 2020, 328). Ed è forse proprio la finalità pratica di incrementare il risarcimento che ha indotto in passato Cass. 20.8.2015, n. 16992, a prospettare la cumulabilità di danno biologico, danno morale e danno “dinamico-relazionale” (o esistenziale; inteso come lesione del diritto all'intangibilità della sfera degli affetti familiari). E così, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, si è detto che ciascuno dei familiari superstiti è titolare di un autonomo diritto all'integrale risarcimento comprensivo del danno biologico (lesioni psico-fisiche dovute al lutto), morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo) e del danno dinamico-relazionale (consistente nel peggioramento delle abitudini e delle condizioni, interne ed esterne, di vita quotidiana; cfr. Cass., sez. lav., n. 21917/2014).

In conclusione, una volta liquidato, da parte del giudice di primo grado, il danno derivato agli originari attori dalla morte del figlio sotto il profilo della perdita del rapporto parentale (incidente tanto sulla conservazione del proprio equilibrio emotivo-soggettivo, quanto sull'impedita prosecuzione concreta di una relazione personale valutabile sul terreno della dimensione dinamico-relazionale), l'ulteriore liquidazione, in favore degli attori, di un importo a titolo di risarcimento del danno biologico (necessariamente da intendere come danno alla salute degli stessi, e dunque come lesione della propria integrità psico-fisica conseguente all'uccisione del proprio figlio) non costituisce affatto una duplicazione della prima liquidazione, trattandosi di voci di danno del tutto diverse tra loro (Cassazione del 28 marzo 2022, n. 9857; conf. Cass. 11.11.2019, n. 28989).

Invero, il danno biologico del congiunto di una vittima di sinistro stradale deve necessariamente essere qualcosa di distinto dal danno morale e si verifica allorché, al termine della necessaria elaborazione del lutto, risultino prodotte alterazioni patologiche dell'organismo (aspetto psichico compreso): ciò in quanto danno biologico da compromissione dell'integrità (fisica o psichica) e pregiudizio da perdita del rapporto parentale hanno natura assolutamente diversa (Cass. n. 3359/2009).

L'onere probatorio

Il giudice deve apprezzare la gravità ed effettiva entità del danno in esame in considerazione dei concreti rapporti col congiunto, anche ricorrendo ad elementi presuntivi, quali la maggiore o minore prossimità del legame parentale, la qualità dei legami affettivi (anche se al di fuori di una configurazione formale), la sopravvivenza di altri congiunti, la convivenza o meno col danneggiato, l'età delle parti ed ogni altra circostanza del caso.

Sul piano delle allegazioni e della prova, le nuove tabelle milanesi affermano che, ove in un determinato rapporto parentale ricorrano circostanze che consentano di presumere di regola (salvo prova contraria, sempre possibile) una relazione affettiva molto intensa (ad es., nel caso del bambino di 5 anni che perde il genitore, ipotesi in cui di regola vi è convivenza ed è ordinariamente presumibile la condivisione giornaliera di tutte le principali attività della vita quotidiana, nonché la dipendenza della vittima secondaria dalla vittima primaria per le attività di cura, educazione ed assistenza parentale) sarà possibile attribuire il massimo dei punti per il parametro “E”.

Nella fattispecie analizzata dal Tribunale di Milano, nella sentenza n. 6059/2022 (la figlia di un uomo, deceduto a seguito di una battuta di caccia, aveva convenuto in giudizio il responsabile del decesso e le sue compagnie assicuratrici, chiedendone la condanna ex art. 2050 c.c. al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali derivanti dalla morte del padre), con particolare riguardo al detto parametro, ha ritenuto che l'attrice avesse adeguatamente provato che con il padre intratteneva un legame stabile e profondo, come attestato tanto dalla copiosa documentazione fotografica prodotta, quanto dalla prova testimoniale delegata.

Risultava provato, pertanto, che l'attrice: - frequentava regolarmente il padre, presso la casa coniugale di questi; - frequentava il padre nella giornata di giovedì, ogni settimana, nonché nei fine settimana da venerdì a domenica, per tre volte al mese; - durante l'estate, inoltre, trascorreva periodi di vacanza più lunghi (15/20 giorni) insieme al padre, alla sua seconda moglie, e ai suoi due fratelli; - durante le estati del 2014 e del 2015 era solita trascorrere il tempo libero in compagnia del padre, della seconda moglie e dei fratelli, presso la loro casa di abitazione; - aveva l'abitudine, negli anni 2014 e 2015, di venerdì o, in alternativa, di sabato, di uscire a cena con il padre; - periodicamente (circa una volta al mese) veniva portata dal padre a fare delle gite.

Il “danno parentale” non può considerarsi un danno in re ipsa, dovendo essere puntualmente allegato e provato da chi ne invoca il risarcimento, mediante l'utilizzo di tutti i mezzi di prova consentiti dall'ordinamento (Cass. 20.8.2015, n. 16992).

Atteso il suo contenuto di sofferenza interiore e patema d'animo che, come tale, non può essere accertato con metodi scientifici, né provato in modo diretto (se non in casi eccezionali), il danno morale dei prossimi congiunti può essere accertato anche sulla base di indizi che consentano di pervenire ad una sua prova presuntiva.

Trattandosi, infatti, di pregiudizio che si proietta nel futuro (diversamente dal danno morale soggettivo contingente), dovendosi aver riguardo al periodo di tempo nel quale si sarebbe presumibilmente esplicato il godimento del congiunto che l'illecito ha invece reso impossibile, sarà consentito il ricorso a valutazioni prognostiche ed a presunzioni (le quali possono assurgere anche ad unica fonte di convincimento del giudice; v. Cass. S.U., n. 26972/2008; Cass. S.U., n. 6572/2006, Cass. III n. 13546/2006) sulla base degli elementi obiettivi che sarà onere del danneggiato fornire.

L'onere probatorio avente ad oggetto la dimostrazione dell'effettiva sussistenza di un danno non patrimoniale sarà maggiormente rigoroso nell'ipotesi in cui il rapporto di parentela tra vittima e superstite sia meno stretto.

In caso di uccisione di uno stretto congiunto (coniuge, genitore, figlio, fratello), il danno può essere riconosciuto in base ad una presunzione semplice, iuris tantum, a favore dei familiari della vittima (purché siano allegate precise circostanze, di valenza pregnante, atte a formare il convincimento, anche presuntivo, da parte del giudice, della rilevanza ai fini riconoscimento del danno morale in base a presunzioni semplici), con conseguente inversione dell'onere della prova a carico del danneggiante, che deve provare che la perdita del congiunto (coniuge o genitore) non abbia determinato conseguenze pregnanti nella sfera soggettiva, fornendo la dimostrazione di rapporti deteriorati, di una convivenza forzata o di una relazione da “separati in casa” (situazione di mera convivenza forzata, caratterizzata da rapporti deteriorati, contrassegnati da continue tensioni e screzi, coniugi in realtà separati in casa, ecc.; cfr. Cass., n. 13546/2006; Cass. S.U., n. 6572/2006; per Cass. 19.11.2018, n. 29784, la prova contraria che il danneggiante è chiamato a fornire non può limitarsi a quella della mera mancanza di convivenza, dovendo piuttosto incentrarsi “sull'assenza di legame affettivo tra i superstiti e la vittima nonostante il rapporto di parentela”).

L'onere della prova contraria sarà tanto più pregnante quanto più stretto sia il rapporto parentale rispetto alla cui perdita s'intenda confutare l'operatività del meccanismo presuntivo (Cass. 13.5.2011, n. 10527). In particolare, l'efficacia della prova presuntiva è tanto maggiore, quanto più stretto è il vincolo parentale “spezzato”, mentre, al contrario, mano a mano che ci si allontani dalla famiglia nucleare “tradizionale”, è necessario dimostrare l'effettiva e concreta intensità del legame, mediante la prova delle circostanze (quali l'età dei soggetti coinvolti, la convivenza o meno con la vittima primaria, la consistenza – più o meno ampia – del nucleo familiare) di fatto suscettibili di far emergere la qualità, la frequenza e le modalità in cui il rapporto era solito dipanarsi.

Qualche dubbio si nutre in ordine a tale impostazione, atteso che il criterio di cd. vicinanza della prova renderebbe estremamente difficoltoso per il danneggiante fornire la dimostrazione del contrario.

Probabilmente la quadratura del cerchio potrebbe raggiungersi aderendo all'indirizzo secondo cui, “Ai fini del ristoro del pregiudizio esistenziale da lesione del rapporto parentale, soltanto l'allegazione circostanziata - mercé l'indicazione di fatti precisi e specifici nel caso concreto - di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, ovvero del compimento di scelte di vita diverse, determina l'inversione dell'onere della prova” (Cass., sez. III, n. 10527/2011).

In entrambe le tabelle integrate a punti, in coerenza con i criteri orientativi delle tabelle milanesi ed. 2021 (“non esiste un minimo garantito”), viene inserita la seguente necessaria avvertenza: “contrasti di rilevante intensità o controversie giudiziarie tra le due vittime, violenze o reati commessi dalla vittima secondaria nei confronti della vittima primaria possono ridurre, fino ad azzerare, l'ammontare risarcitorio riconosciuto in base a tutti i parametri/punti della tabella”.

Il risarcimento del danno non patrimoniale per la perdita del coniuge non va misurato in base ad automatismi. L'esame del giudice deve certamente partire dalla presunzione della sussistenza tanto del danno dinamico-relazionale quanto di quello morale per l'intima sofferenza, ma non può non verificare la sussistenza di eventuali elementi contrari che possano attenuarne o escluderne il riconoscimento.

In un caso analizzato di recente dalla Corte di cassazione (sentenza n. 9010/2022), i giudici di legittimità hanno condiviso il motivo di ricorso, proposto dall'azienda sanitaria, che riteneva essere stati ingiustamente pretermessi, da parte del giudice di merito, alcuni elementi di fatto che potevano portare ad escludere o a ridurre sensibilmente la somma riconosciuta alla moglie come ristoro del danno da perdita di rapporto parentale. Tali elementi - contrastanti con i presunti danni non patrimoniali - erano costituiti dalla 1) mancata prova della coabitazione nella stessa epoca dell'avvenuto decesso, dalla 2) risalente relazione omosessuale intrattenuta dal marito e dal 3) repentino cambio di vita realizzato dalla donna subito dopo l'evento luttuoso.

Essa aveva, infatti, concepito un figlio con un nuovo compagno con il quale aveva intrapreso una nuova convivenza in epoca successiva a tale nascita. Da ciò - dice la Cassazione - è possibile giungere ad escludere che vi fosse ancora quel legame affettivo e di condivisione "parentale" che in caso di perdita del familiare o del convivente determina tanto il danno dinamico-relazionale quanto quello dell'intima sofferenza morale.

Il danno da lesione del rapporto parentale

Quando la lesione della salute è assai lieve, non può configurarsi alcun pregiudizio nei confronti dei congiunti del leso; infatti, affinché ricorra questa tipologia di danno è necessario che la vittima abbia subìto lesioni seriamente invalidanti, tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse, che è onere dell'attore allegare e provare.

Circa il danno da grave lesione del rapporto parentale, l'Osservatorio milanese nel 2021 aveva ribadito quanto già esposto nelle precedenti edizioni: la misura del danno non patrimoniale risarcibile alla vittima secondaria è disancorato dal danno biologico subìto dalla vittima primaria. Infatti, pur essendo la gravità di quest'ultimo rilevante per la stessa configurabilità del danno al familiare, pare opportuno tener conto nella liquidazione del danno essenzialmente della natura e intensità del legame tra vittime secondarie e vittima primaria, nonché della quantità e qualità dell'alterazione della vita familiare (da provarsi anche mediante presunzioni).

Peraltro, Cass. n. 18641/2011, in una fattispecie di pregiudizio dinamico-relazionale della vita dei genitori del figlio nato tetraplegico, ha ancorato il danno (da compromissione del rapporto) parentale (inteso quale danno esistenziale consistente nell'alterazione e/o cambiamento della personalità del soggetto, che si estrinseca nello sconvolgimento dell'esistenza e, cioè, in radicali cambiamenti di vita) alla liquidazione del danno biologico, quale parametro di riferimento equitativo non del tutto arbitrario (nel caso esaminato il danno parentale è stato valutato in una percentuale dell'80% del danno biologico).

Anche la giurisprudenza di merito, qualora l'illecito determini altresì ripercussioni di tipo esistenziale sulle abitudini di vita (necessità di accudire quotidianamente un macroleso, con conseguente perdita o significativa riduzione delle attività sociali e culturali), tende ad operare la personalizzazione (nei limiti massimi di 1/5) sul danno biologico (così Trib. Bologna 29 gennaio 2009). Il Tribunale di Palermo (si pensi Trib. Palermo 7 gennaio 2009, n. 219) applica una forcella che, avendo sempre come parametro di riferimento il danno biologico al 100%, oscilla tra la metà ed un quarto di quest'ultimo.

La difficoltà di tipizzazione delle infinite variabili nei casi concreti ha suggerito l'individuazione solo di un possibile tetto massimo della liquidazione, pari al tetto massimo per ciascuna ipotesi di cui alla perdita del rapporto parentale (da applicare solo allorché sia provato il massimo sconvolgimento della vita familiare), non essendo possibile ipotizzare un danno non patrimoniale “base”.

Il vero problema consiste nello stabilire se i parametri recati nella tabella milanese tengano conto anche dell'alterazione/cambiamento della personalità del soggetto che si estrinsechi in uno sconvolgimento dell'esistenza.

La complessità del lavoro svolto sul danno da perdita del rapporto parentale non ha consentito, all'attualità, all'Osservatorio milanese di elaborare anche una nuova tabella integrata a punti per la liquidazione del danno da grave lesione del rapporto parentale. Medio tempore viene invitato il giudice a valutare di avvalersi della tabella 2022 sul danno da perdita del rapporto parentale corrispondente al tipo di rapporto parentale gravemente leso, opportunamente adattando e calibrando la liquidazione al caso concreto, per quanto dedotto e provato.

Il dato esterno ed oggettivo della convivenza non è elemento idoneo a bilanciare le evidenziate contrapposte esigenze e ad escludere a priori il diritto del non convivente al risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale. Tuttavia, secondo una parte della giurisprudenza, affinché possa ritenersi leso il rapporto parentale di soggetti al di fuori della famiglia nucleare (nonni, nipoti, genero, nuora), sarebbe necessaria la convivenza, quale connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali, anche allargati, caratterizzati da reciproci vincoli affettivi, di pratica della solidarietà, di sostegno economico, solo in tal modo assumendo rilevanza giuridica il collegamento tra danneggiato primario e secondario, nonché la famiglia intesa come luogo in cui, attraverso la quotidianità della vita, si esplica la personalità di ciascuno, ai sensi dell'art. 2 Cost. (Trib. Arezzo 7 gennaio 2014, n. 5; Cass., sez. III, n. 4253/2012; Cass., sez. III, n. 6938/1993; Trib. Milano 27 gennaio 2015 e Trib. Milano 2 dicembre 2014, n. 14320).

La convivenza può, tuttavia, assurgere ad elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare il quantum debeatur (Cass., sez. III, n. 21230/2016).

L'onere di allegazione va adempiuto in modo circostanziato (mercé l'indicazione di fatti precisi e specifici nel caso concreto - fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita o compimento di scelte di vita diverse), non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte od ipotetiche (Cass., sez. III, n. 25729/2014). Invero, la lesione del rapporto parentale non costituisce un'ipotesi di danno in re ipsa (Cass., sez. III, n. 12985/2016).

Per App. Torino 12 gennaio 2007, i prossimi congiunti della vittima hanno diritto al risarcimento del danno esistenziale derivante dalla compromissione del rapporto parentale, consistente nel forzato sconvolgimento delle abitudini di vita e dei rapporti relazionali (si pensi al dover modificare il proprio modo di vivere per assistere un figlio gravemente invalido, alla forzata rinuncia alle attività quotidiane e, in genere, allo sconvolgimento - conseguente all'illecito - della propria vita familiare e sociale); solo i congiunti legati alla vittima da una relazione meno intensa debbono fornire la prova rigorosa del pregiudizio nel modo di vivere la loro esistenza.

Il Tribunale di Venezia ritiene necessario il ricorso ad una consulenza in grado di esprimere in termini scientificamente verificabili l'incidenza sulla qualità della vita del soggetto sopravvissuto, dovendosi valorizzare soprattutto l'appesantimento del ruolo familiare per la necessità di prestare assistenza ad un familiare ovvero ad altro soggetto stabilmente convivente.

Conclusioni

Occorre prendere le mosse dal presupposto per cui una tabella costituisce il punto di partenza per una compensazione economica socialmente adeguata del pregiudizio e, per sua natura, non può farsi carico di tutte le peculiarità del singolo caso.

Orbene, al di là delle questioni analizzate nei §§ 7 (le voci/componenti ricomprese nell'ambito del danno da perdita parentale) e 8 (i rapporti tra il danno da perdita parentale e quello biologico), di cui probabilmente non si potevano far carico le novellate tabelle, nonché della scelta consapevole (probabilmente dettata dalla necessità di fornire in tempi congrui un riscontro alla sollecitazione lanciata dalla Cassazione) di non fornire in questa sede delle risposte anche sul tema del danno da compromissione del rapporto parentale (su cui infra sub § 10), può tranquillamente pervenirsi alla conclusione che le nuove tabelle integrate a punti elaborate dall'Osservatorio di Milano siano coerenti con i principi di diritto enunciati nella sentenza Cass. 10579/2021 e possano essere utilizzati dal giudice per determinare una liquidazione equa, uniforme e prevedibile del danno da perdita del rapporto parentale, soprattutto in considerazione del fatto che rappresentano lo sviluppo dei precedenti giurisprudenziali esaminati in numero congruo dal gruppo di studio.

Del resto, l'alternativa offerta dalle tabelle romane non sembra percorribile, se solo si considera che non traggono origine dall'estrazione del valore del punto dai precedenti, a differenza di quanto prescritto da Cass. 10579/2021.

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