Le nuove Corti di giustizia tributaria

Vincenzo Busa
07 Settembre 2022

L'impegno assunto con il PNRR di riformare entro il quarto trimestre 2022 la giustizia tributaria, al fine di rendere più efficace l'applicazione della legislazione in materia e ridurre l'elevato numero di ricorsi avanti la Corte di Cassazione (riforma 1.7 - traguardo M1C1-35), ha indotto il Parlamento ad approvare la legge 31 agosto 2022, n. 130, che innova la giustizia e il processo tributari.
Premessa

Con l'obiettivo di dare compiuta attuazione al principio del giusto processo tributario fin qui compromesso dalle lungaggini del giudizio avanti la Corte di Cassazione, mediante disposizioni volte ad assicurarne la ‘ragionevole durata' prefigurata all'art. 111 della Costituzione nonché all'art. 6 del CEDU, la legge di riforma è stata varata in data 9 agosto 2022 sulla base del DdL governativo n. 2636 ed avvalendosi dei contributi della Commissione interministeriale Della Cananea (v. relazione del 30 giugno 2021) e della Commissione Gallo istituita dal Presidente del CNEL (v. DdL d'iniziativa CNEL, atto Senato n. 2467). Ciò in conformità alla prassi parlamentare che consente l'esame a camere sciolte dei progetti di legge presentati in attuazione di impellenti obblighi comunitari.

Nonostante alcuni profili critici, che avrebbero richiesto più adeguati approfondimenti, nelle soluzioni adottate la riforma appare sostanzialmente equilibrata e rispondente alle più pressanti istanze di modernizzazione della giustizia tributaria.

La modifica formale della denominazione delle Commissioni tributarie in Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado (art. 1, comma 1, lett. a) della legge n.130/2002), ancorché ininfluente ai fini della conformazione della giurisdizione tributaria, vuole segnare la definitiva distanza dalle Commissioni di origine amministrativa preesistenti alla riforma del 1972.

Ai sensi dell'art. 1-bis del d.lgs. n. 545/1992 (inserito dall'art. 1, comma 1, lett. b della legge n. 130/2002), la giurisdizione tributaria è esercitata dai magistrati tributari e dai giudici tributari nominati presso le Corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, presenti nel ruolo unico nazionale di cui all'art. 4, comma 39-bis, della legge 12 novembre 2011, n. 183, alla data del 1° gennaio 2022 (di seguito, giudici presenti nel ruolo unico).

Il nuovo organico dei magistrati è determinato in 448 unità presso le Corti di giustizia tributaria di primo grado e 128 unità nelle Corti di secondo grado (art. 1-bis, comma 3, del d.lgs. n. 545/1992).

Le numerose disposizioni, inserite con la tecnica della novellazione nei decreti legislativi n. 545 e n. 546 del 1992, innovano rispettivamente l'ordinamento degli organi di giurisdizione tributarie e l'organizzazione degli uffici di collaborazione nonché le disposizioni sul processo tributario.

Di seguito si propone una sintetica illustrazione delle novità più significative.

L'introduzione del giudice professionale

La novità di maggior rilievo è rappresentata dalla creazione di un corpo di magistrati specializzati, professionali e a tempo pieno, ai quali sono affidate a regime le sorti della giurisdizione tributaria.

In accoglimento della proposta unanime degli operatori di settore, è stabilito che a regime i magistrati tributari siano reclutati mediante procedure concorsuali regolate dettagliatamente dalla stessa legge di riforma. Il concorso per esami consiste in una prova scritta (che prevede lo svolgimento di due elaborati teorici vertenti sul diritto tributario e sul diritto civile e commerciale, nonché un esercizio teorico-pratico di diritto tributario) e in una prova orale (art. 4 del d.lgs. n. 545/1992, come sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. e).

Nei primi tre bandi di concorso è prevista una riserva di posti del 30 per cento a favore dei giudici tributari ‘laici' (diversi dai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari) presenti alla data del 1' gennaio 2022 nel menzionato ruolo unico da almeno sei mesi, in possesso di laurea in giurisprudenza o economia, che non siano titolari di trattamento pensionistico (art. 1, comma 3).

Al concorso per giudice delle Corti tributarie possono accedere anche i laureati in discipline economiche in possesso del diploma di laurea magistrale in Scienze dell'economia (classe LM-56) o in Scienze economico-aziendali (Classe LM-77) o di titoli degli ordinamenti previdenti equiparati (art. 4-bis del d.lgs. 545/1992, inserito dall'art. 1, comma 1, lett. f), in adesione alla necessità di arruolare giudici in possesso anche di cognizioni tecnico-contabili che, avendo superato le prove concorsuali di contabilità aziendale e bilancio, siano in gradodi orientarsi proficuamente nella trattazione delle varie e complesse questioni aziendali ed economiche alla base delle controversie concernenti la determinazione dei presupposti del tributo. Invero, la specializzazione estrema della materia tributaria postula conoscenze che vanno oltre la tradizionale formazione prettamente giuridica dei magistrati. Al legislatore va riconosciuto il merito di aver messo a fuoco ed affrontato questo particolare tratto della giustizia tributaria.

A seguito del superamento del concorso, i magistrati svolgono un tirocinio formativo di almeno sei mesi che, in caso di valutazione negativa, viene ripetuto. Al secondo tirocinio valutato negativamente, il CPGT delibera la cessazione del rapporto di impiego (art. 4- quinquies del d.lgs. n. 545/1992, inserito dall'art. 1, comma 1, lett. f).

Ai magistrati tributari reclutati per concorso è riconosciuto il trattamento economico previsto per i magistrati ordinari (art. 13-bis del d.lgs. n. 545/1992 inserito dall'art. 1, comma 1, lett. p).

Per tutti i giudici e magistrati delle nuove Corti di giustizia tributaria il CPGT assicura la formazione continua e l'aggiornamento professionale attraverso la frequenza di corsi a carattere teorico-pratico (art. 5-bis del d.lgs. 545/1992, inserito dall'art. 1, comma 1, lett. g).

È autorizzata l'assunzione di 476 magistrati tributari tramite 7 concorsi pubblici per 68 unità da bandire in ciascuno degli anni dal 2024 al 2030 (art. 1, comma 10) .

La permanenza in servizio degli attuali giudici tributari: la componente ‘laica'

Per tutti i componenti delle nuove Corti, siano essi giudici assunti per concorso ovvero presenti nel ruolo unico, la permanenza in servizio è consentita fino al compimento di 70 anni di età (art. 11 del d.lgs. 545/1992, come modificato dall'art. 1, comma 1, lett. n). Tale limite è tuttavia attenuato per i giudici ‘laici' (cui è consentito svolgere contestualmente altre attività professionali) presenti nel ruolo unico: per favorire l'inserimento graduale dei magistrati assunti tramite concorso e nel contempo assicurare la continuità del servizio, i giudici tributari ‘laici' attualmente in organico potranno esercitare le funzioni presso le Corti anche oltre il limite generale di età fissato a settanta anni e, per l'esattezza, fino al compimento del settantaquattresimo anno di età che sia raggiunto nel corso dell'anno 2023; del settantatreesimo anno di età compiuto nel corso del 2024; del settantaduesimo anno di età compiuto nel corso del 2025; del settantunesimo anno di età compiuto nel corso del 2025; del settantesimo anno di età compiuto nel corso del 2026 (art. 8, comma 1).

Ne consegue che, al di fuori dei predetti casi tassativamente individuati, i giudici ‘laici' (più giovani) presenti nel ruolo unico continueranno a prestare servizio anche oltre il 2026 e fino al compimento del settantesimo anno di età.

Come si è detto, la deroga al limite dei settanta anni dovrebbe interessare soltanto la componente ‘laica' dei giudici presenti nel ruolo unico, considerato che l'altra componente formata da giudici ‘togati' (che operano contemporaneamente in altre giurisdizioni) è destinataria della norma speciale, non compatibile con quella in esame, di cui al successivo punto.

Ai giudici onorari ‘laici' presenti nel ruolo unico verrà riconosciuto - a corrispettivo di un servizio che non dà luogo a rapporto di pubblico impiego - il medesimo trattamento economico fruito in precedenza.

La permanenza in servizio degli attuali giudici tributari: la componente ‘togata'

Un trattamento speciale è riservato alla componente ‘togata' degli attuali giudici onorari, vale a dire ai magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari che alla del 1° gennaio 2022 risultano presenti nel ruolo unico nazionale tenuto dal CPGT (articoli da 4 a 10).

In numero non superiore a 100 (50 se magistrati ordinari), essi potranno transitare definitivamente nelle nuove Corti di giustizia tributaria previa partecipazione ad apposita procedura di interpello bandita dal CPGT. Sono esclusi dalla procedura i magistrati che abbiano compiuto 60 anni di età (alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione) ovvero che (alla stessa data) siano stati destinatari di un giudizio di demerito. La graduatoria finale per la copertura dei 100 posti sarà formata in base all'anzianità di servizio maturata nella magistratura di provenienza, cui si aggiunge l'anzianità maturata nel citato ruolo unico nazionale dei componenti delle Commissioni tributarie.

Il comma 8 stabilisce che in caso di transito nella giurisdizione tributaria i giudici ‘togati' conservano ai fini giuridici ed economici l'anzianità maturata. Il loro trattamento economico non potrà essere inferiore a quello previsto per i magistrati ordinari né a quello complessivamente fruito nella magistratura di provenienza.

Anche ai magistrati transitati per opzione che si dimettano dalle Corti di giustizia tributaria si applica il divieto di riammissione in magistratura di cui all'art. 211 del regio decreto n. 12/1941.

L'assunzione dei 100 giudici ‘laici' transitati per opzione è prevista al termine del procedimento di interpello che dovrà concludersi entro il 2023 (art. 1, comma 10).

Non vi è dubbio come anche questa soluzione contribuisca ad elevare i livelli di applicazione e professionalità dei magistrati che andranno a operare in via esclusiva nelle nuove Corti tributarie.

Le prevedibili difficoltà operative iniziali

L'insieme delle novità appena illustrate porta a ritenere che già nel corso del 2023 vi sarà una preoccupante carenza di giudici in servizio, dovuta sia all'esiguità del numero di magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari attualmente in servizio nelle Commissioni tributarie che possono (o che intendano) optare per la giurisdizione tributaria, sia all'anticipazione dell'età pensionabile per i giudici ‘laici' (come si è detto, già nel 2023 cesseranno dall'incarico quanti avranno compiuto 74 anni, con un anno di anticipo rispetto al previgente limite dei 75 anni). Considerato che l'immissione in servizio dei primi 68 magistrati vincitori di concorso avverrà non prima del 2024, è verosimile ipotizzare che le nuove Corti andranno incontro a obiettive difficoltà operative per carenza di organico.

Di tale evenienza pare si sia reso conto lo stesso legislatore della riforma, tant'è che all'art. 1, comma 14, del testo approvato in via definitiva dalla camera si fa carico al CPGT di individuare entro il 31 gennaio 2023 le sedi delle Corti di giustizia tributaria nelle quali non è possibile esercitare la funzione giurisdizionale a motivo della carenza di organico e, conseguentemente, assegnare d'ufficio alle predette sedi giudici tributari presenti nel ruolo unico, riconoscendo agli stessi un'indennità di funzione aggiuntiva di 100 euro mensili.

È da sperare che tale rimedio possa risultare sufficiente ad assicurare la continuità della funzione.

La riduzione dei carichi di lavoro presso la Corte di Cassazione

Ancor più dei filtri poco efficaci azionati dalla “apposita Sezione” (c.d. filtro) ed introdotti con legge n. 69/2009, che ha precluso l'accesso in Cassazione delle questioni di diritto decise in modo conforme alla giurisprudenza della Cassazione ex art. 360-bis c.p.c., la riduzione del numero dei rinvii alla Suprema Corte dovrebbe essere assicurata, oltre che dalla più elevata qualità delle pronunce di merito rese dal giudice professionale, da una serie di disposizioni recate dalla riforma.

Per ridurre i carichi di lavoro nel terzo grado di giudizio, quale presupposto per la riduzione dei tempi di giustizia, si è ritenuto opportuno innanzitutto istituire per legge, presso la Suprema corte, un'apposita Sezione civile incaricata esclusivamente della trattazione delle controversie tributarie (art. 3).

La funzione strumentale che ai fini dello smaltimento delle controversie pendenti svolge la stabilizzazione degli orientamenti di legittimità non è sfuggita all'attenzione del legislatore. È noto infatti come la proliferazione delle vertenze consegua anche alla difficoltà dei giudici di merito di rinvenire orientamenti univoci nella giurisprudenza della Suprema Corte. Affinché la funzione nomofilattica della Suprema Corte possa effettivamente orientare e razionalizzare la trattazione delle vertenze tributarie, il legislatore ha affidato al Primo presidente il compito di adottare “provvedimenti organizzativi adeguati” volti a monitorare le pronunce ondivaghe e “stabilizzare gli orientamenti di legittimità. Per la prima volta viene affermata a livello normativo l'importanza che gli aspetti organizzavi assumono ai fini dell'attuazione del giusto processo.

Si auspica che l'Ufficio del Massimario, di cui si dirà successivamente, in esito al monitoraggio sistematico delle decisioni adottate nei gradi di merito, assicuri la più ampia e sistematica pubblicità delle decisioni emesse dalle Corti di giustizia tributaria, con l'obiettivo di evidenziare le questioni in attesa di soluzione univoca da parte della Suprema Corte.

Sarà il Primo Presidente a dover altresì “favorite l'acquisizione di una specifica competenza da parte dei magistrati assegnati alla sezione”, avendo presente che l'ingresso in Cassazione continua ad essere riservata ai magistrati ordinari. La preclusione all'accesso dei giudici delle Corti di giustizia tributaria è stata verosimilmente dettata dal pregiudizio che la componente di giudici professionali formata da laureati in economia, ammessi in extremis dal Senato a partecipare al concorso, sia in possesso di cognizioni geneticamente inadeguate alla trattazione delle questioni di diritto. Ciò senza aver considerato che tutti i vincitori di concorso, indipendentemente dal corso di studi seguito nelle università, per accedere alle Corti di giustizia tributaria dovranno aver superato apposite prove centrate su materie giuridiche e, in particolare, sul diritto processuale civile e tributario.

A rendere più efficace la funzione nomofilattica della Suprema Corte e, nel contempo, deflazionare il contenzioso in tutti i gradi di giudizio, avrebbe potuto contribuire la norma – espunta in extremis dal testo finale della legge di riforma – che contemplava la sospensione del giudizio di merito per consentire alla Corte di Cassazione l'enunciazione di un principio di diritto. Chiunque abbia dimestichezza con le logiche di gestione delle controversie tributarie sa che la parte pubblica del processo è normalmente orientata ad uniformarsi ai principi di diritto consolidati nella giurisprudenza della Cassazione e che l'esito del giudizio di merito, eventualmente non confortato dalla giurisprudenza della Suprema Corte, è del tutto interlocutorio e prelude alla coltivazione della controversia fino all'ultimo grado di giudizio.

È questa una peculiarità del processo tributario riconducibile all'esigenza di uniformare, in attuazione del principio costituzionalmente garantito di buona amministrazione, i comportamenti della parte pubblica, il più delle volte rappresentata dall'Agenzia delle entrate quale gestore dei tributi erariali, che non trova riscontro nelle altre giurisdizioni e che pone l'esigenza di far emergere e conoscere nel più breve tempo possibile gli indirizzi della Cassazione. Sotto questo aspetto andrebbe rimeditata l'idea di accantonare la questione pregiudiziale di diritto, quale strumento di per sé idoneo ad introdurre nel giudizio di merito le istanza della Suprema Corte e ridurre drasticamente il numero dei rinvii al terzo grado di giudizio.

Il potenziamento delle competenze del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (CPGT)

Il compito di rilevare, classificare e ordinare in massime le decisioni emesse dalle Corti di secondo grado e quelle più significative emesse in primo grado, è attribuito non più agli uffici del massimario che operano presso le Commissioni tributarie regionali, ma ad un apposito Ufficio del Massimario nazionale istituito presso il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria a decorrere dal 1° gennaio 2023 (art. 24-bis del d.lgs. 545/1992 inserito dall'art. 1, comma 1, lett. r); art. 8, comma 2). Tale Ufficio si avvarrà di quindici giudici le cui massime andranno ad alimentare la banca dati della giurisprudenza tributaria di merito, consultabile anche dalla Corte di Cassazione, per favorire una conoscenza diffusa degli orientamenti delle Corti tributarie.

È auspicabile che nella banca dati facciano ingresso non solo le massime relative a pronunce da segnalare come precedente utile cui uniformare sia la giurisprudenza sia la produzione amministrativa, ma soprattutto le massime relative a decisioni che si discostino dagli orientamenti della Cassazione o che comunque approdino a reiterate soluzioni anomale, tali da alimentare controversie la cui instaurazione o coltivazione potrebbe essere evitata anche per effetto della pubblicità diffusa indotta dall'inserimento della massima nella banca dati.

Come anticipato, l'Ufficio del Massimario è di fondamentale supporto anche per “agevolare la rapida definizione dei procedimenti pendenti presso la Corte di cassazione in materia tributaria” (art. 3), che trattano questioni decise in modo difforme dalle corti di merito.

La nuova competenza del CPGT andrebbe coordinata con le diverse iniziative che, sfruttando la informatizzazione dei giudizi, tendono ad assicurare la par condicio delle parti nell'accesso alle fonti giurisprudenziali, fin qui consentito alla parte pubblica. In questa direzione si muove la recente, meritoria iniziativa del CPGT volta alla costituzione di una banca dati ‘aperta' di tutte le decisioni emesse nei giudizi di merito (c.d. Prodigit).

Merita menzione l'introduzione del giudizio di demerito di competenza del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria che comporta l'esclusione dagli elenchi dei giudici aspiranti all'assegnazione di un incarico, in due casi tassativamente previsti dalla legge: qualora al candidato sia stata irrogata una sanzione disciplinare ovvero qualora egli abbia depositato una quota pari o superiore al 60 per cento dei provvedimenti di propria competenza oltre il termine di trenta giorni dalla data di deliberazione (art. 11, comma 5, come sostituito dall'art. 1, comma 1, lett. n).

La novità si segnala per i possibili riflessi che potrebbe avere ai fini di una compiuta definizione di un sistema di controllo interno a presidio della produttività dei magistrati, utilizzabile dall'organo di autogoverno a fini generali e, in particolare, in occasione degli avanzamenti di carriera e della erogazione delle competenze economiche. Di contro, il tradizionale appiattimento sull' anzianità di servizio, riproposto dalla riforma quale unico ed “esclusivo” criterio di riferimento per la determinazione degli stipendi (art. 13-bis del d.lgs. n. 545/1992 inserito dall'art. 1, comma 1, lett. f), non sembra andare nella auspicata direzione di incentivare la produttività degli apparati giudiziari.

La riforma ha inteso infine innovare la composizione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria (art. 8, comma 5). È previsto che tra i nove consiglieri dell'organo di autogoverno vi sia almeno un magistrato proveniente dalla magistratura ordinaria, uno da quella amministrativa, uno da quella contabile e uno da quella militare, collocati fuori ruolo. Tale disposizione esprime efficacia transitoria e fors'anche ‘eventuale' ove si consideri che l'anzidetta componente minima e necessaria del Consiglio è costituita da giudici ‘togati' presenti al 1° gennaio 2022 nel menzionato ruolo ad esaurimento, che possono eventualmente transitare su opzione, in numero non superiore a 100, nei ruoli dei magistrati tributari.

Le novità sullo svolgimento del processo

Con l'inserimento della norma che prevede l'introduzione del giudice monocratico all'art. 4-bis del d.lgs. n. 546/1992 (art. 4, comma 1, lett. b), la legge di riforma apre la serie di interventi che incidono sullo svolgimento del processo tributario. Il giudice monocratico rappresenta una delle novità più significative della riforma, destinata a favorire lo smaltimento del micro-contenzioso che ha fin qui intasato le Commissioni tributarie con un assorbimento di risorse da destinare a miglior causa.

In composizione monocratica la Corte di giustizia tributaria di primo grado decide le controversie di valore fino a 3.000 euro, coincidente con il medesimo limite della difesa diretta da parte del contribuente, con esclusione di quelle il cui valore non sia determinabile. Il valore si calcola avendo riguardo esclusivamente all'importo del tributo in contestazione nonché all'imposta virtuale calcolata a seguito della rettifica di perdite. Si ricorda che in conformità all'art. 70, comma 10-bis, del d.lgs. n. 546/1992, introdotto dall'art. 9 del d.lgs. n. 156/2015, la competenza del giudice monocratico era già prevista nel giudizio di ottemperanza per l'esecuzione delle sentenze che comportano il pagamento di somme d'importo fino a ventimila euro e comunque per il pagamento delle spese di giudizio. L'impugnazione della sentenza pronunciata dal giudice monocratico è ammessa nei modi ordinari, essendo stati rimossi i limiti previsti dal disegno di legge governativo.

In composizione monocratica la Corte di giustizia tributaria di primo grado tratterà le controversie instaurate con ricorsi notificati a decorrere dal 1° gennaio 2023.

L'introduzione nel processo tributario della prova testimoniale

L'introduzione nel processo tributario della prova testimoniale (art. 7, comma 4, del d.Lgs. n. 546/1992, come sostituito dall'art. 4, comma 1, lett. c), si propone l'obiettivo di equiparare la posizione processuale delle parti in causa, ove si consideri che le sommarie informazioni orali trasfuse nei verbali acquisiti al fascicolo processuale di fatto già entrano nel processo tributario, con innegabile vantaggio per l'Amministrazione finanziaria. Ciascuna delle parti potrà ora richiedere l'assunzione di una testimonianza che il giudice dispone qualora lo ritenga necessario ai fini della decisione, anche in mancanza di accordo tra le parti. La testimonianza deve essere assunta nella forma scritta disciplinata all'art. 257-bis del c.p.c.. Al testimone si chiederà di fornire, entro un termine prefissato, risposta scritta a determinati quesiti, compilando il modello di testimonianza predisposto dalla parte che ha richiesto l'assunzione. Considerato che la norma rinvia all'art. 257-bis c.p.c. per individuare le “forme” dell'assunzione testimoniale, è dubbio che il giudice, dopo aver acquisito le risposte scritte, possa - come previsto dal citato art. del c.p.c. - chiamare il testimone a deporre in sua presenza.

Non è dato disporre la prova testimoniale per confutare circostanze attestate da pubblico ufficiale e risultanti da verbali o altri atti facenti fede fino a querela di falso.

Tale disciplina si applica ai ricorsi notificati a decorrere dal 16 settembre 2022 (data di entrata in vigore della legge di riforma).

In coerenza con l'obiettivo di deflazionare il contenzioso e ridurre i tempi del giudizio, si colloca altresì la norma in vigore dal 16 settembre 2022 che attribuisce al giudice la potestà di formulare alle parti una proposta di conciliazione giudiziale, limitatamente alle controversie di valore non superiore a 50.000 euro (le stesse soggette a reclamo-mediazione), instaurate con ricorsi notificati a decorrere dal 16 settembre 2022. Con espressione di incerta portata, si afferma che il giudice assume l'iniziativa “avuto riguardo all'oggetto del giudizio e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione” (art. 48-bis 1 del d.lgs. n. 546/1992 inserito dall'art. 8, comma 1, lett. g).

La riforma contempla inoltre una maggiorazione del 50 per cento delle spese di giudizio addebitate alla parte in causa che, dopo aver disatteso la proposta conciliativa avanzata da controparte o dal giudice, si veda riconoscere nel merito una pretesa inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata (art. 15, comma 2-octies, del d.lgs. n. 546/1992, come sostituito dall'art. 8, comma 1, lett. d).

Con intervento parallelo a quello appena illustrato il legislatore ha inteso potenziare anche l'istituto de “Il reclamo e la mediazione inserendo due disposizioni all'art. 17-bis del d.lgs. n. 546 del 1992 (art. 4, comma 1, lett. e). La prima delle quali, in verità superflua dal momento che – come si dirà - ripropone il contenuto di una norma già in vigore, pone le spese del giudizio a carico della parte soccombente che non abbia inteso aderire alla proposta di definizione formulata da controparte in sede di reclamo-mediazione, nell'eventualità che le ragioni già espresse in quella sede vengano successivamente accolte dal giudice. La norma è ridondante nella misura in cui ribadisce nella sostanza la condanna della parte soccombente alle spese di lite. È altresì fuorviante laddove non tiene conto dell'art. 15, comma 2-septies del d.lgs. n. 546/1992, secondo cui “Nelle controversie di cui all'articolo 17-bis le spese di giudizio di cui al comma 1 sono maggiorate del 50 per cento a titolo di rimborso delle maggiori spese del procedimento”.

Di contro, l'ulteriore norma, guidata dalla volontà di potenziare l'istituto del reclamo-mediazione attraverso la responsabilizzazione dell'amministrazione finanziaria, rivela un contenuto decisamente innovativo, laddove dispone che la condanna alle spese di lite dell'amministrazione “può rilevare ai fini della eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che ha immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione”.

Cambia il regime della sospensione dell'esecuzione dell'atto impugnato. A modifica della previgente norma che prevedeva l'esame dell'istanza di sospensione entro 180 giorni, ora il Presidente dovrà fissare la trattazione per la prima camera di consiglio utile non oltre il trentesimo giorno dalla presentazione dell'istanza. Non è consentito far coincidere l'udienza di trattazione della sospensione con quella fissata per l'esame nel merito della controversia (art. 47, commi 2 e 4, come modificati dall'art. 8, comma 1, lett. f).

Intervenendo all'art. 47, comma 5, del d.lgs. n. 546/1992, il legislatore della riforma dispone che la prestazione di garanzia, cui potrebbe essere subordinato il provvedimento di sospensione dell'atto impugnato, non è più richiesta per i contribuenti con “bollino di affidabilità fiscale(art. 2). L'attribuzione di questa qualifica compete ai contribuenti soggetti alla disciplina degli indici sintetici di affidabilità fiscale di cui all'art. 9-bis del decreto-legge n. 50/2017, convertito dalla legge n. 96 del 2017, che abbiano conseguito un punteggio pari almeno a 9 negli ultimi tre periodi d'imposta precedenti a quello di proposizione del ricorso. È da chiedersi quale possa essere l'utilità concreta di tale previsione e quante difficoltà operative essa comporti, ove si consideri che l'onere di prestare garanzia è previsto in via eventuale e che il riscontro della qualità di contribuente con “bollino di affidabilità fiscalenon è di immediato accertamento. Le sorti della semplificazione fiscale così tanto auspicata si giocano anche su disposizioni di questo tipo, che rischiano peraltro di inquinare le logiche processuali con l'immissione di parametri di giudizio definiti dall'Amministrazione finanziaria autonomamente, in assenza di controllo giudiziale.

Il disposto del nuovo comma 5-bis inserito all'art. 7 del d.lgs. n. 546/1992 (art. 6) sembrerebbe innovare la disciplina dell'onere della prova nel processo tributario. In realtà reca affermazioni pleonastiche ed ampiamente consolidate nella giurisprudenza della Cassazione che rischiano di creare fraintendimenti e complicazioni. Benché le norme vadano interpretate nel senso che abbiano un significato, nel caso di specie è obiettivamente difficile risalire all'intenzione del legislatore e cogliere la portata innovativa della riforma dell'art. 7.

Dire che “L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato” altro non può significare se non che l'Amministrazione debba specificare in modo circostanziato e puntuale nella motivazione dell'atto impugnato, a pena di nullità, i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa ed eventualmente fornire in giudizio elementi di prova a supporto. La successiva affermazione per cui “Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni”, ribadisce nella sostanza l'obbligo di motivare congruamente l'atto impositivo acquisito al fascicolo processuale ed eventualmente addurre in giudizio elementi probatori a supporto dei relativi presupposti, dando per implicito che il giudice è in ogni caso chiamato a pronunciarsi nei limiti del contenuto della domanda posta dal ricorrente.

Sarebbe azzardato, oltre che in aperto conflitto con la complessiva struttura del processo tributario e la giurisprudenza consolidata della Cassazione, voler leggere tra le pieghe della nuova norma una improbabile apertura al superamento del giudizio di impugnazione-merito al fine di accreditare decisioni di merito sul rapporto che superino i limiti posti dalle ragioni esposte nell'atto impositivo impugnato.

Anche l'ultimo periodo della norma in esame (“Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso”) s'inserisce nel solco tracciato dalla giurisprudenza che, nelle controversie concernenti il rimborso di tributi, pone l'onere della prova a carico del contribuente che agisce, in questo caso, nella veste di attore in senso formale e sostanziale.

Limitatamente ai giudizi instaurati avanti le Corti di giustizia tributaria di primo e di secondo grado, con ricorso notificato a decorrere dal 1° settembre 2023, sono introdotte alcune disposizioni che innovano la disciplina della partecipazione all'udienza da remoto di cui all'art. 16 del decreto-legge n. 119 del 2018, come modificato dal decreto-legge n. 34 del 2020 (art. 4, comma 4).

Vi si afferma, in particolare:

(i) che la possibilità di celebrare l'udienza a distanza sia subordinata alla condizione che entrambe le parti costituite nel processo ne facciano richiesta e

(ii) che le udienze tenute dalla corte in composizione monocratica e quelle di trattazione delle istanze di sospensione di cui agli articoli 47, comma 2, e 52, comma 3, del d.lgs. n. 546/1992, si svolgano esclusivamente a distanza, fatta salva la possibilità che, su richiesta di una delle parti, il giudice consenta la partecipazione in presenza.

La definizione delle liti pendenti in Cassazione

Per favorire lo smaltimento delle pendenze, viene riproposta la definizione agevolata dei giudizi tributari pendenti dinanzi la Corte di cassazione (art. 5).

La definizione è disciplinata distintamente:

(i) per le controversie di valore non superiore a 100.000 euro nelle quali l'Agenzia delle entrate sia risultata integralmente soccombente in tutti i precedenti gradi di giudizio, definibili previo pagamento di un importo pari al 5 per cento del valore della controversia e

(ii) per le liti di valore non superiore a 50.000 euro nelle quali l'Agenzia delle entrate sia risultata soccombente in tutto o in parte in uno dei gradi di merito, definibili con il pagamento di una somma pari al 20 per cento del valore della controversia.

Sono ammesse alla definizione le controversie che vedono come parte in causa l'Agenzia delle Entrate, per le quali il ricorso per cassazione sia stato notificato alla controparte entro il 16 settembre 2022 (data di entrata in vigore della legge di riforma n. 130 del 31 agosto 2002, pubblicata in G.U. il 1° settembre 2022), sempre che alla data di presentazione della domanda di definizione, in scadenza il 16 gennaio 2023 (entro 120 giorni dall'entrata in vigore della legge), non sia intervenuta una sentenza definitiva.

Benché nell'indicare i requisiti di ammissibilità della domanda di definizione si accenni alla soccombenza o meno dell'Agenzia delle entrate, è poi prevista la possibilità di estendere la definizione anche alle controversie instaurate avverso gli atti di enti territoriali che autonomamente deliberino di avvalersene.

Superfluo aggiungere che l'aspettativa di sfoltire le pendenze in Cassazione con un taglio stimato dal governo di 23 mila liti, non giustifica la reiterazione di provvedimenti premiali che, come quello in esame, incentivano il contenzioso e contribuiscono a svalutare l'assolvimento spontaneo delle obbligazioni tributarie, rendendo poco credibile l'azione di contrasto dell'evasione fiscale.

Estinzione del processo, fatta salva l'istanza di trattazione

Di notevole impatto sulla sorte delle vertenze perdenti in Cassazione è, infine, la disposizione recata dall'art. 5, comma 12, secondo cui il Presidente dichiara estinto il processo qualora la parte interessata ometta di presentare apposita istanza di trattazione entro il 16 marzo 2023, ossia entro due mesi decorrenti dalla scadenza del termine previsto per la presentazione della domanda di definizione.

Il disposto del secondo periodo del citato comma, secondo cui “L'impugnazione del diniego vale anche come istanza di trattazione” sembrerebbe stemperare il rigore della previsione estintiva. In realtà esprime un contenuto equivoco: non è agevole comprendere come l'effetto impeditivo dell'estinzione, proprio dell'istanza di trattazione, possa conseguire anche all'impugnazione del diniego (della stessa istanza) e indipendentemente dai motivi e dall'esito del gravame.

Criticità e presunti dubbi di legittimità costituzionale della riforma

La soluzione di confermare gli organi di giustizia tributaria nella loro speciale configurazione interna al sistema giurisdizionale, resistendo alle pressioni che ne auspicavano l'assorbimento nella magistratura ordinaria o contabile, per alcuni commentatori sarebbe in contrasto con l'art. 102 della Costituzione, che vieta l'istituzione di nuove giurisdizioni speciali. Secondo questa corrente di pensiero, le corpose novità apportate dalla legge di riforma e, in particolare, la selezione dei giudici tramite concorso, avrebbero radicalmente mutato la fisionomia e la struttura della giurisdizione tributaria, al punto da escludere che questa possa continuare a considerarsi una mera prosecuzione delle Commissioni tributarie e non un nuovo giudice speciale.

È da ritenere al riguardo come la legge approvata lo scorso 9 agosto, incentrata soprattutto sull'introduzione del giudice professionale, abbia innovato l'ordinamento delle Commissioni tributarie non più di quanto sia stato fatto con il d.P.R. n. 636/1972 e con il d.lgs. n. 545/1992, in ogni caso apportando modifiche tali da poter escludere che nelle Corti di giustizia tributaria debba ravvisarsi un nuovo giudice speciale, in tutto diverso dalle preesistenti Commissioni. Si ricorda che la conformità dell'ordinamento delle Commissioni tributarie al dettato della Costituzione è stata affermata dal Giudice delle leggi con ordinanza n. 144/1998, nell'assunto che la previsione di particolari “requisiti di idoneità e di qualificazione professionale” contribuisca a “migliorare”, non certo a “snaturare” il “sistema di estrazione dei giudici”. Invero, la riforma è centrata soprattutto sull'affinamento dei criteri di arruolamento e sul potenziamento del ruolo di indipendenza dei giudici, senza incidere nei tratti qualificanti della giurisdizione tributaria che resta confermata nel giudizio di legittimità costituzionale espresso dal Giudice delle leggi.

Nel confermare le competenze del MEF in ordine sia al rapporto di dipendenza del personale amministrativo sia alla organizzazione logistica degli uffici giudiziari, il legislatore ha resistito alle pressioni di quanti auspicavano la ‘sottrazione delle Commissioni al rapporto di dipendenza dal MEF', dagli stessi indicata come soluzione non più rinviabile, necessaria per porre termine alla posizione di vantaggio che in tal modo verrebbe assicurata alla parte pubblica del processo tributaria (e, segnatamente, alle Agenzie fiscali) i cui interessi coinciderebbero con quelli del MEF.

Senza trascurare le complicazioni e gli oneri che l'accoglimento della menzionata proposta di riforma avrebbe comportato, al punto da stravolgere l'attuale assetto organizzativo delle segreterie, cui va ascritto il merito di avere fin qui supportato egregiamente i giudici nella gestione dei processi tributari di merito, la menzionata istanza “autonomistica” non sembra tener conto delle competenze prettamente amministrative esercitate dalle segreterie, in nessun modo interferenti con la funzione giurisdizionale, né del potere di vigilanza esercitato dal Presidente sulla qualità ed efficienza dei servizi di segreteriaai sensi dell'art. 15 del d.lgs. n. 545/1992 ovvero della funzione ispettiva che il CPGT può esercitare anche nei confronti delle stesse segreterie.

Nell'ambito del servizio di vigilanza sul funzionamento degli uffici giudiziari, l'organo di autogoverno potrà infatti disporre ispezioni affidandone l'incarico non più ad uno dei propri componenti, ma ad un apposito Ufficio ispettivo istituito con decorrenza 1° gennaio 2023, composto di sei magistrati. Il nuovo ufficio avrà competenza non solo sull'attività giurisdizionale, ma potrà svolgere attività anche sul funzionamento degli uffici amministrativi con il “supporto”, in tal caso, della Direzione della giustizia tributaria del Dipartimento delle finanze (art. 1, comma 1, lett. q), che ha aggiunto il comma 2-bis all'art. 26 del d.lgs. n. 546/1992).

Non è senza significato, ai fini dell'indipendenza delle Corti di giustizia tributaria dall'autorità amministrativa, che il servizio di vigilanza sui menzionati uffici venga espletato dal nuovo Ufficio ispettivo non più “previa intesa” ma con il mero supporto logistico del MEF.

Il legislatore della riforma ha inteso rafforzare l'autonomia del CPGT anche sotto l'aspetto contabile e, nel contempo, marcare la sua posizione sovraordinata rispetto agli uffici amministrativi, laddove prevede che l'Organo di autogoverno, attingendo ai propri fondi, individui le misure e i criteri di attribuzione “dell'indennità di amministrazione” e “della retribuzione di posizione di parte variabile” spettanti al personale del MEF assegnato agli uffici delle Corti tributarie (art. 1, comma 15).

Anche la gestione del concorso per l'assunzione dei magistrati tributari non è affidata alle cure esclusive del MEF: il relativo bando è emanato con decreto del MEFprevia delibera del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria”; allo stesso modo, le nomine della commissione esaminatrice e del comitato di vigilanza sono preventivamentedeliberatedal CPGT (commi 4 e 4-quater dell'art. 4 del d.lgs. n. 545/1992, come rispettivamente modificato e inserito dall'art. 1, comma 3, lett. f) della legge di riforma).

Le richiamate prerogative contribuiscono a rafforzare la posizione di indipendenza del CPGT che sovrintende autonomamente alla funzione giurisdizionale garantita dalla Costituzione.

La proposta di estromettere il MEF dalla gestione delle segreterie risulterebbe infine più convincente se corroborata dalla segnalazione di eventuali inconvenienti concreti desunti dalla quotidiana operatività degli uffici anziché da argomentazioni di stampo esclusivamente teorico. D'altra parte, le competenze del MEF nella gestione delle segreterie non sembrano dissimili da quelle di spettanza del Ministero della Giustizia nell'organizzazione degli uffici di supporto alla magistratura penale, né la supposta convergenza di interessi tra la parte pubblica del processo tributario ed il gestore delle segreterie appare assai diversa dalla contiguità della Pubblica accusa al gestore delle cancellerie penali.

La norma prima illustrata, volta ad incrementare i livelli di responsabilizzazione dell'Amministrazione finanziaria nella gestione del reclamo-mediazione, si inserisce correttamente nella logica che ha ispirato detto istituto, prendendo definitiva distanza dalle proposte che ne chiedevano l'abrogazione, peraltro senza dare dimostrazione di averne compreso la portata.

È superfluo sottolineare la natura amministrativa dell'istituto del reclamo-mediazione, che il legislatore ha inteso inserire nel corpo delle disposizioni disciplinanti il processo tributario affinché il confronto tra fisco e contribuente in sede amministrativa, funzionale alla definizione extragiudiziale della potenziale controversia, potesse svolgersi sulla base delle stesse ragioni cristallizzate nel ricorso giurisdizionale, così da risultare più efficace e responsabile per entrambe le parti. La proposta di “affidare la mediazione ad un organo terzo attiene invece ad altra sfera di interessi, molto più prossimi a quelli perseguiti dalla funzione giurisdizionale, attestandosi di fatto su una linea parallela e alternativa a quella del giudice, con inevitabili complicazioni ed inconvenienti indotti dalla istituzione di una ennesima ed onerosa sovrastruttura, oltre che dalla conseguente deresponsabilizzazione dell'amministratrice finanziaria e dall'insidia di rimettere alla valutazione di un soggetto terzo non inserito nel sistema giurisdizionale la determinazione delle pretese e, con essa, lo stesso principio di indisponibilità dell'obbligazione tributaria (per approfondimenti e analisi dei risultati conseguiti in termini di riduzione dei ricorsi depositati in giudizio per effetto della gestione del reclamo-mediazione, si rinvia a La mediazione nella prospettiva di riforma del processo tributario, “il Tributario”, 16 giugno 2021).

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