Recesso del socio: nuovi chiarimenti dalla Cassazione

Paolo Cagliari
08 Settembre 2022

In una recente sentenza (n. 20546 del 2022) la Cassazione interviene sul dibattuto tema del diritto di recesso del socio di s.p.a., nell'ipotesi di introduzione, nello statuto, di nuovi vincoli alla circolazione dei titoli azionari.
Massima

Al fine di accertare la legittimità del recesso del socio in conseguenza dell'introduzione o della rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari, è necessario e sufficiente verificare se la modifica statutaria abbia effettivamente rimosso un limite prima esistente, indipendentemente dal fatto che essa abbia o meno una rilevanza sostanziale rispetto alla precedente disciplina.

Il caso

Una società a responsabilità limitata, che deteneva una partecipazione in una società per azioni, agiva in giudizio perché venisse accertata la legittimità del recesso esercitato a seguito della delibera dell'assemblea straordinaria con la quale era stata introdotta una modifica dello statuto che escludeva il diritto di prelazione spettante ai soci per i trasferimenti di azioni a società direttamente o indirettamente controllate, ovvero, in via alternativa, in quanto il trasferimento della partecipazione detenuta dal socio di maggioranza aveva determinato il mutamento del soggetto che esercitava il potere di direzione e coordinamento e delle condizioni di rischio dell'investimento effettuato dalla società attrice.

Il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda, ravvisando la ricorrenza della causa di recesso contemplata dall'art. 2497-quater, comma 1, lett. c), c.c.

L'adita Corte d'appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, reputava illegittimo il recesso, dal momento che l'intervenuta modifica del soggetto che esercitava l'attività di direzione e coordinamento non aveva comportato l'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento; nel contempo, escludeva che la deliberata modifica statutaria avesse innovato in modo sostanziale la clausola attributiva del diritto di prelazione, poiché il trasferimento infragruppo non aveva mutato il centro decisionale cui faceva capo la partecipazione del socio di maggioranza e, anche qualora fosse mutato, avrebbe comportato l'obbligo di ritrasferire la partecipazione.

La sentenza della Corte d'appello di Firenze veniva impugnata con ricorso per cassazione.

Le questioni giuridiche e la soluzione

Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso.

La motivazione posta a fondamento della decisione assunta si articola nei seguenti passaggi:

1) nell'ipotesi prevista dall'art. 2437, comma 2, lett. b), c.c., il diritto di recesso è attribuito in conseguenza di una modifica dei vincoli alla circolazione dei titoli azionari, non essendo richiesto che essa abbia una rilevanza sostanziale, a differenza di quanto stabilito nella diversa fattispecie contemplata dall'art. 2437, comma 1, lett. a), c.c.;

2) poiché alle due norme non sono sottese le medesime esigenze di tutela degli interessi della società, le disposizioni dell'una non possono estendersi all'altra;

3) il fatto che il legislatore abbia imposto che tutte le limitazioni alla circolazione delle azioni risultino dal titolo azionario conferma che ogni modifica delle stesse assume rilevanza, indipendentemente dalla sua portata innovativa dal punto di vista sostanziale.

Osservazioni

A pochi mesi di distanza, la Corte di cassazione torna a pronunciarsi sulle condizioni che consentono di recedere dalla società per azioni, precisando ulteriormente l'ambito e i presupposti di applicabilità della disciplina recata dall'art. 2437 c.c.

Con la sentenza n. 6280 del 24 febbraio 2022, infatti, i giudici di legittimità si erano espressi – in modo, peraltro, innovativo rispetto a un proprio precedente del 2013 – in merito alla norma che consente il recesso quando sia deliberata la modifica della durata della società.

Ora, invece, il fuoco dell'attenzione viene rivolto alla disposizione, recata dall'art. 2437, comma 2, lett. b), c.c., in virtù della quale il socio può recedere quando siano stati introdotti o rimossi vincoli alla circolazione dei titoli azionari. Nel caso di specie, era stata approvata una delibera che aveva escluso la prelazione dei soci in presenza di trasferimenti di azioni disposti in favore di società direttamente o indirettamente controllate: sia in primo che in secondo grado, era stato ritenuto che essa non fosse idonea ad attribuire il diritto di recesso, mentre la Corte di cassazione è pervenuta a conclusioni opposte.

Prima di esaminare le argomentazioni addotte a sostegno della decisione assunta, è opportuno svolgere alcune considerazioni volte a inquadrare in termini sistematici la questione affrontata.

Con la riforma del 2003, il legislatore ha inteso tutelare maggiormente la posizione del socio di società di capitali, soprattutto in relazione alla possibilità di scioglimento del vincolo: si spiegano, così, le disposizioni dedicate all'istituto del recesso, che, quale modalità di fuoriuscita alternativa rispetto alla cessione della partecipazione, mira, da un lato, a garantire la possibilità di fare valere i propri interessi e manifestare il proprio dissenso contro la tirannia della maggioranza e, dall'altro lato, ad agevolare la dismissione dell'investimento effettuato dal socio risparmiatore o investitore al momento dell'ingresso in società, riducendo così le remore ad apportare capitale di rischio. Per bilanciare, soprattutto nelle società chiuse (caratterizzate da una base prevalentemente personale), l'interesse individuale del socio con quello della maggioranza e dei creditori sociali, il legislatore della riforma ha, peraltro, notevolmente ampliato l'autonomia statutaria, ferme restando le disposizioni aventi carattere inderogabile.

In effetti, l'art. 2437 c.c., quale norma generale, contempla tre tipologie di cause di recesso.

La prima comprende le cause legali inderogabili (art. 2437, commi 1 e 3, c.c.), individuate nella modifica dell'oggetto sociale, nella trasformazione della società o nel trasferimento all'estero della sua sede, nella revoca dello stato di liquidazione, nell'eliminazione (e non nella semplice modifica) delle cause legali derogabili o statutarie di recesso, nella modifica dei criteri di liquidazione della partecipazione o dei diritti di voto o di partecipazione del socio statutariamente previsti, nonché nella previsione della durata a tempo indeterminato della società le cui azioni non siano quotate in un mercato regolamentato.

Nella seconda tipologia rientrano, invece, le cause legali derogabili statutariamente (art. 2437, comma 2, c.c.), che si identificano nella proroga del termine di durata della società (per non tradire l'aspettativa del socio alla liquidazione della sua partecipazione) e nell'introduzione o nella rimozione di vincoli alla circolazione dei titoli azionari (per tutelare l'interesse del socio al mantenimento del regime di circolazione previsto al momento del suo ingresso in società).

La terza, infine, annovera le clausole statutarie o convenzionali, che, a termini del comma 4 dell'art. 2437 c.c., possono essere introdotte negli statuti delle società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio.

Le ipotesi appartenenti alla prima e alla seconda categoria sono accomunate dal fatto che chi esercita il recesso, oltre a possedere la qualità di socio, non deve avere contribuito all'approvazione della delibera di modifica della clausola statutaria e deve, dunque, aver espresso voto contrario o essersi astenuto; con riguardo alle cause derogabili, inoltre, non deve esistere una previsione statutaria che, anche in presenza della modifica, escluda nondimeno la facoltà di recedere.

L'introduzione o la rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni (che si identificano tipicamente in clausole di gradimento, di prelazione o di liquidazione degli eredi del socio defunto, nonché in quelle pattuizioni che incidono sulla negoziabilità delle azioni al fine di aumentare o consolidare la partecipazione societaria), da non confondersi con l'apposizione di mere condizioni o limiti al trasferimento (che non valgano, cioè, a precludere del tutto la fuoriuscita del socio), rappresenta, quindi, una delle situazioni nelle quali il recesso è ammesso, salvo che non sia diversamente disposto dallo statuto. La previsione si collega a quella dell'art. 2355-bis c.c., con cui, oltre a fissarsi in cinque anni il periodo massimo di estensione del divieto del trasferimento delle azioni, è stata introdotta la sanzione di inefficacia delle clausole statutarie che subordinano il subentro del nuovo socio al mero gradimento di organi sociali o degli altri soci, o assoggettano a particolari condizioni il trasferimento delle azioni mortis causa, ove non sia previsto un correlativo obbligo di acquisto da parte della società o degli altri soci, oppure il diritto di recesso dell'alienante. È proprio volgendo lo sguardo alla disposizione da ultimo menzionata che la Corte di cassazione, con la sentenza che si annota, ha tratto uno degli argomenti che hanno condotto alla riforma della sentenza impugnata, che aveva ravvisato l'illegittimità del recesso. L'obiezione che era stata mossa dai giudici di merito, infatti, si appuntava sull'assenza di un impatto sostanziale, ovvero significativo, sul regime di circolazione delle azioni della modifica della clausola di prelazione, consistente nella sottrazione a essa dei trasferimenti effettuati in favore di una società controllata.

Tale impostazione è stata sconfessata, in quanto, ai fini dell'art. 2437, comma 2, lett. b), c.c., è da reputarsi sufficiente verificare se la modifica statutaria abbia rimosso un limite alla circolazione delle azioni prima esistente, indipendentemente dalla rilevanza delle conseguenze che ne discendono.

Convince di ciò, secondo i giudici di legittimità, il confronto con la previsione recata dal medesimo art. 2437, al comma 1, lett. a), ove si richiede espressamente che la modifica della clausola statutaria inerente all'oggetto sociale determini un cambiamento significativo dell'attività della società; l'assenza di un'analoga specificazione, nell'ipotesi di recesso collegata all'introduzione o all'eliminazione di vincoli alla circolazione delle azioni, è da intendersi quale ritenuta idoneità, al riguardo, di qualsiasi modifica statutaria, quale che ne sia la portata sostanziale.

La ragione di tale differenza, d'altro canto, è da attribuirsi al fatto che solo nel caso previsto dall'art. 2437, comma 1, lett. a), c.c., in ragione dell'inderogabilità che assiste la facoltà di fuoriuscita del socio (che non può essere in alcun modo limitata o esclusa), va scongiurata l'eventualità che la società sia privata delle proprie fonti di approvvigionamento – costituite dai conferimenti – anche a fronte di modifiche solo formali; nel caso di introduzione o rimozione di vincoli alla circolazione delle azioni, non avrebbe senso perseguire la medesima finalità, stante la possibilità di escludere il diritto di recesso per via statutaria. In altre parole, poiché la causa di recesso di cui all'art. 2437, comma 2, lett. b), c.c. è liberamente plasmabile (a differenza di quanto è a dirsi per le ipotesi qualificate come inderogabili), la sua operatività non può essere subordinata all'impatto concreto che la modifica approvata viene a esplicare sul regime di circolazione delle azioni, a meno che non risulti una precisa volontà in questo senso: sarà, dunque, lo statuto a dovere stabilire espressamente un simile condizionamento, che la legge, di per sé, non impone.

Se ne trae conferma dal disposto dell'art. 2355-bis, comma 4, c.c., a mente del quale tutte le limitazioni alla circolazione delle azioni debbono risultare dal titolo azionario, ovvero esservi debitamente annotate: il fatto che il legislatore abbia prescritto questo formalismo indipendentemente dalla portata sostanziale della modifica, dimostra che tale aspetto non concorre all'integrazione della fattispecie, anche ai fini del recesso del socio, onde evitare che entrino così in gioco valutazioni che, connotate da soggettività e discrezionalità, possono prestare il fianco ad arbitrarietà e minare la certezza degli assetti societari.

Conclusioni

La sentenza annotata contribuisce a delineare i confini operativi del diritto di recesso del socio di società per azioni, che la riforma del 2003 ha decisamente innovato, mettendo in risalto come la diversa natura attribuita alle varie cause previste dal legislatore – che ne impone la suddivisione in categorie distinte – ha un impatto significativo sulla disciplina applicabile, dovendosi escludere che le regole dettate per l'una valgano senz'altro pure per le altre.

Non va, peraltro, dimenticato che quelle previste dall'art. 2437 c.c. non rappresentano le uniche ipotesi nelle quali è ammesso il recesso.

Basti considerare, al riguardo, che l'art. 2497-quater c.c., con specifico riferimento alle società soggette a direzione e coordinamento, contempla ulteriori ipotesi di recesso legale inderogabile (quando la società o l'ente che esercita tale attività ha deliberato una trasformazione implicante il mutamento dello scopo e/o dell'oggetto sociale con una variazione sensibile delle condizioni economiche o patrimoniali della società; quando, a favore del socio recedente, sia stata emessa sentenza di condanna esecutiva verso chi esercita attività di direzione e coordinamento; all'inizio e alla cessazione dell'attività di direzione e coordinamento, ove ne consegua un'alterazione delle condizioni di rischio e sempre che non si tratti di società quotata in mercati regolamentati e che non sia stata promossa un'offerta pubblica d'acquisto).

Allo stesso modo, il diritto di recesso (parimenti inderogabile) spetta al socio qualora venga deliberata l'uscita, in via diretta o indiretta, dal mercato regolamentato, escludendo così la quotazione stessa (art. 2437-quinquies c.c.) o quando siano riscontrati errori nella stima del valore dei beni in natura o dei crediti conferiti (art. 2343, comma 4, c.c.).

Lo sforzo ermeneutico della giurisprudenza contribuisce così a individuare i tratti salienti e caratterizzanti della variegata disciplina introdotta dal legislatore, ferma restando la possibilità di introdurre per via statutaria, quando ciò è consentito, previsioni volte, a seconda dei casi, a completarla, ad arricchirla o a derogarla.

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