Tolleranza della condotta contestata al lavoratore e giusta causa di licenziamento

Riccardo Maraga
09 Settembre 2022

La tolleranza, da parte del datore di lavoro, della condotta contestata al dipendente e posta alla base del suo licenziamento ex art. 2119 c.c. non vale, di per sé, a escludere la lesione del vincolo fiduciario e la sussistenza della giusta causa stessa.
Il caso

L'ordinanza in commento trae origine dal contenzioso insorto tra una società attività nel settore delle telecomunicazioni e una sua dipendente, inquadrata nel V livello del CCNL Telecomunicazioni con qualifica di operatore specializzato customer care, che era stata licenziata per giusta causa ex artt. 2119 c.c. e 43 del CCNL per aver effettuato n. 135 illegittime visualizzazioni di alcuni clienti, eseguite nell'arco di due mesi e senza indicazione del motivo, in violazione, ad avviso del datore di lavoro, della policy aziendale che vietava tale condotta.

Il Tribunale e la Corte d'Appello di Napoli avevano dichiarato illegittimo il licenziamento e condannato la società alla reintegra e al risarcimento del danno sulla base di una serie di argomentazioni e, in particolare, perché, seppure non era dato dubitare sul verificarsi dei fatti nella loro materialità - e cioè le n. 135 visualizzazioni riferibili all'account della dipendente, effettuate senza l'indicazione del motivo del contatto - altrettanto non poteva affermarsi sulla effettiva obbligatorietà della rigida osservanza della procedura aziendale come invece dedotto dalla società in sede di contestazione in quanto era stato provato un atteggiamento datoriale in un certo senso tollerante della prassi suddetta e ciò valeva ad escludere che il comportamento tenuto dalla lavoratrice avesse potuto incrinare in modo irrimediabile il vincolo fiduciario con conseguente improcrastinabile interruzione del rapporto di lavoro.

Giunta una prima volta in Cassazione, la questione era stata risolta con un parziale accoglimento del ricorso presentato dalla Società con conseguente rinvio alla Corte di merito la quale, nel giudizio rescissorio, aveva tuttavia, pur tenendo conto dei principi di diritto enucleati dalla Corte di Cassazione, confermato la statuizione di primo grado, ovvero, l'illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato alla dipendente.

Chiamata a pronunciarsi nuovamente sulla questione, la Cassazione ha, innanzitutto, escluso che la Corte di rinvio si fosse “svincolata” dalla sentenza rescindente, come sostenuto dalla Società, affermando che, al contrario, si è attenuta ai confini del giudizio rescissorio e alle specifiche direttive della Suprema Corte.

Nel merito, la Cassazione ha rigettato il ricorso della Società e ha, dunque, confermato l'illegittimità del licenziamento affermando, con specifico riferimento alla sussistenza della giusta causa di recesso, che “comunque la Corte di rinvio, nell'applicare il principio di diritto enunciato, ha svolto una valutazione globale delle risultanze istruttorie, escludendo che le visualizzazioni multiple fossero non solo illecite ma anche sintomatiche di negligenza o infedeltà e tale valutazione di merito non è censurabile in questa sede di legittimità”.

È stata, dunque, confermata la rilevanza dell'atteggiamento tollerante tenuto dalla Società nei confronti della condotta contestata alla dipendente come elemento atto a escludere la sua potenzialità lesiva del vincolo fiduciario e la sua configurabilità come negligenza o infedeltà verso il datore di lavoro.

I precedenti sulla rilevanza, nel giudizio di legittimità del licenziamento disciplinare, della tolleranza della condotta contestata

Analizzando la giurisprudenza della Cassazione in materia di giusta causa di licenziamento si può affermare che la tolleranza, da parte del datore di lavoro, della condotta contestata al dipendente e posta alla base del suo licenziamento ex art. 2119 c.c. non vale, di per sé, a escludere la lesione del vincolo fiduciario e la sussistenza della giusta causa stessa.

Ciò in quanto ogni inadempimento è autonomo anche nella valutazione del datore di lavoro (Cass. 9701/2012).

Tale prospettazione tende ad esaltare l'elemento della specificità del giudizio sulla sussistenza della giusta causa che postula la necessità di accertare in concreto se – in relazione alla qualità del singolo rapporto intercorso tra le parti, alla posizione che in esso abbia avuto il prestatore d'opera e, quindi, alla qualità e al grado del particolare vincolo di fiducia che quel rapporto comporta – la specifica mancanza commessa dal dipendente, considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, risulti obiettivamente e soggettivamente idonea a ledere in modo irreparabile la fiducia del datore di lavoro (Cass. 19 giugno 2020, n. 12031; Cass. n. 12798 del 2018).

In altre parole: nel giudizio sulla sussistenza della giusta causa non c'è spazio per valutazioni generali e astratte ma occorre verificare se, in concreto, con specifico riferimento agli elementi oggetti e soggettivi del caso, la condotta del dipendente è sufficiente a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

Di per sé, dunque, anche una condotta tollerata dal datore di lavoro può assumere, con specifico riferimento al singolo rapporto di lavoro, un disvalore diverso e maggiore, tale da legittimare la massima sanzione disciplinare.

Ciò non significa, però, come dimostra la stessa ordinanza in commento, che la previa tolleranza di una condotta non sia un elemento importante nella valutazione della sussistenza della giusta causa.

La Cassazione non ha mancato di evidenziare, infatti, che la consapevolezza, da parte del datore di lavoro, dell'esistenza di pratiche simili a quelle contestate e la diffusività delle stesse in ambito aziendale, incide sul principio secondo cui l'inadempimento va valutato in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all'art. 1455 cod. civ. (Cass. 22 gennaio 2019 n. 1634).

Occorre evidenziare, infatti, che, anche nell'ottica della “personalizzazione” del giudizio circa la sussistenza della giusta causa, la precedente tolleranza datoriale della condotta realizzata dal dipendente potrebbe incidere sulla portata soggettiva dell'inadempimento in quanto si potrebbe ritenere che l'«inerzia» del datore di lavoro nel punire l'illecito e quindi la sua «tolleranza», o ancora il suo comportamento di «acquiescenza» possano determinare il legittimo affidamento del lavoratore sulla mancanza di connotazione disciplinare dell'illecito.

Ciò non potrebbe non incidere – sul piano soggettivo – nella valutazione della rilevanza dell'inadempimento del lavoratore.

Appare, in ogni caso, opportuno precisare che la tolleranza dimostrata dal datore di lavoro, nel passato, rispetto ad uno specifico inadempimento del lavoratore o di altri colleghi non può, di per sé, ingenerare un affidamento del dipendente, meritevole di tutela, in ordine alle prestazioni future a meno che il comportamento datoriale lasci prevedere che analoga tolleranza riguarderà anche le prestazioni future e che, dunque, si sia formata una vera e propria prassi aziendale di tolleranza rispetto a determinati comportamenti che perdono, dunque, il carattere della antigiuridicità.

La precedente tolleranza datoriale della condotta posta in essere dal dipendente potrebbe incidere anche sulla portata oggettiva dell'inadempimento in quanto potrebbe condurre a ritenere che il divieto, di cui il datore di lavoro ha tollerato l'infrazione, non sia più oggettivamente tale o, comunque, non presenti un disvalore tale da legittimare la sanzione espulsiva per coloro che lo infrangono.

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema: A. Maresca, Licenziamento disciplinare e sussistenza del fatto contestato nella giurisprudenza della Cassazione, in Lavoro Diritti Europa, n. 2/2019; B. De Mozzi, Le conseguenze sanzionatorie della violazione del principio di immediatezza nel licenziamento disciplinare, in Diritto delle Relazioni Industriali, 4, 2017.

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